Diritto d’iniziativa

Definizione

Per “diritto d’iniziativa” si intende il potere di proporre l’adozione di atti giuridici della Comunità e dell’Unione europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE), considerandolo un elemento fondamentale dell’equilibrio istituzionale da esso delineato, attribuisce tale potere in via pressoché esclusiva alla Commissione europea, ritenuta portatrice dell’interesse generale della Comunità stessa; non mancano peraltro, in numero assai limitato per la verità, ipotesi nelle quali il potere suddetto viene affidato al Consiglio dei ministri, al Parlamento europeo, alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) alla Banca centrale europea (BCE). Il Trattato di Maastricht (Trattato UE), in sintonia con il carattere intergovernativo dell’Unione, ripartisce invece il diritto d’iniziativa tra la Commissione e gli Stati membri.

Il diritto d’iniziativa nell’ordinamento della Comunità europea

Il Trattato istitutivo della Comunità europea conferisce alla Commissione, in tema di diritto d’iniziativa, un quasi monopolio, da essa esercitato anche nel rispetto delle disposizioni del suo Regolamento interno approvato il 29 novembre 2000 (C [2000] 3614, in “Gazzetta ufficiale della Comunità europea” n. L 308 dell’8 dicembre 2000, p. 26 e ss.) e modificato da ultimo con la decisione n. 2008/401/CE, Euratom del 30 aprile 2008 (GUUE n. L 140 del 30 maggio 2008, p. 22 e ss.). Il diritto si estrinseca nella presentazione di proposte motivate, indicanti una o più basi giuridiche, giustificate alla luce del principio di sussidiarietà e del principio di proporzionalità e rese pubbliche per mezzo della Gazzetta Ufficiale dell’Unione. Questo potere, sottinteso nel testo dell’art. 211 del Trattato CE, laddove si dice che la Commissione «partecipa alla formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento europeo», determina l’avvio del processo decisionale comunitario e condiziona l’azione del Consiglio nella prosecuzione e nella conclusione del processo medesimo. Il Consiglio è libero di accettare o respingere nella sua interezza una proposta della Commissione ed è libero anche di non discuterla e di non giungere così ad alcuna deliberazione – a meno che il Trattato o un atto derivato non gli impongano di adottare misure entro un termine preciso (v. Corte di giustizia, sentenza 30 settembre 2003, causa C-76/01 P; Comité des industries du coton et des fibres connexes de l’Union européenne – Eurocoton – e altri, c. Consiglio, Regno Unito e Tessival S.p.A., in “Raccolta”, 2003, p. I-10091 e ss.). Ai sensi dell’art. 250, par. 1 del Trattato CE, il Consiglio stesso però, qualora lo volesse, può emanare atti che costituiscano emendamento della proposta della Commissione solo attraverso il voto all’unanimità, e ciò anche laddove il Trattato dovesse aver previsto, normalmente, la maggioranza qualificata (sono escluse le ipotesi in cui il Comitato di conciliazione, menzionato dall’art. 251, parr. 4 e 5 nell’ambito della Procedura di codecisione, si riunisca, deliberi e abbia elaborato un progetto comune). Tale norma, concepita per tutelare gli Stati membri più piccoli, non permette inoltre modifiche illimitate, in quanto si deve pur sempre evitare che il provvedimento finale adottato dal Consiglio stravolga la proposta iniziale della Commissione e risulti completamente differente rispetto ad essa (v. Corte di giustizia, sentenza 11 novembre 1997, causa C-408/95, Eurotunnel SA ed altri, c. SeaFrance, già Société nouvelle d’armement transmanche SA (SNAT), in “Raccolta”, 1997, p. I-6315 e ss.). Stando all’art. 250, par. 2, inoltre, la Commissione, che partecipa con un suo rappresentante alle sedute del Consiglio, fintantoché quest’ultimo non abbia deliberato può in qualsiasi momento modificare oppure ritirare la sua proposta (Corte di giustizia, sentenza 14 luglio 1988, causa 188/85, Fédération de l’industrie de l’huilerie de la CEE (Fediol), c. Commissione, in “Raccolta”, 1988, p. 4193 e ss.; punti 32 e 33 (iii) dell’Accordo quadro sui rapporti tra Parlamento europeo e Commissione del 26 maggio 2005) (v. anche Accordi interistituzionali).

Il Trattato CE contempla inoltre la c.d. iniziativa dell’iniziativa, consistente nella facoltà, per gli Stati membri, il Parlamento europeo e il Consiglio, di chiedere alla Commissione la presentazione di proposte normative. Tale facoltà viene attribuita in pochi casi: agli Stati membri, dall’art. 67, par. 1 nel settore dei visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone di cui al titolo IV (soltanto, però, a partire dal 1° maggio 2004, e cioè dal quinto anno successivo all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, avendo goduto gli Stati medesimi, tra il 1° maggio 1999 e il 30 aprile 2004, di un vero e proprio diritto d’iniziativa nelle materie in oggetto, cogestito insieme alla Commissione) nonché dall’art. 115 nel settore della politica economica e monetaria; al Parlamento europeo, dall’art. 192, par. 2 (v. al riguardo l’art. 39 del Regolamento interno del Parlamento, pubblicato nella sua 16° edizione – luglio 2004 – in GUUE, n. L 44 del 15 febbraio 2005, p. 1 e ss.); al Consiglio, dall’art. 208 per quanto ritenuto opportuno ai fini del raggiungimento degli obiettivi comuni. La Commissione, tranne nell’ipotesi dell’art. 115, non è obbligata a concretizzare gli inviti che le venissero rivolti; si è tuttavia impegnata a tenere nel debito conto le richieste provenienti dal Parlamento europeo e a fornire a quest’ultimo risposte rapide e sufficientemente dettagliate (punto 14, 3° comma dell’Accordo quadro del 2005 richiamato poc’anzi).

In via del tutto marginale, come accennato, il Trattato CE concede un diritto d’iniziativa anche al Consiglio, al Parlamento europeo, alla Corte di giustizia e alla Banca centrale europea. Il Consiglio non può deliberare senza una proposta della Commissione, salvo rare eccezioni; tra queste, figurano le decisioni: in materia di navigazione marittima ed aerea (art. 80, par. 2); sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto, in seguito all’istanza di uno Stato membro (art. 88, par. 2, 3° comma); sulle modalità e la procedura di associazione tra la Comunità e i paesi e territori d’oltremare (art. 187) (v. Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea); sull’autorizzazione delle spese di bilancio superiori al dodicesimo (art. 273, 2° comma); e sulla fissazione del regime linguistico delle istituzioni comunitarie (art. 290). Il Parlamento europeo è chiamato (art. 190, par. 4) ad elaborare il progetto volto a permettere l’elezione a suffragio universale diretto secondo una procedura uniforme in, o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri (v. Procedura elettorale uniforme e composizione del Parlamento europeo; Elezioni dirette del Parlamento europeo). La Corte di giustizia è competente a richiedere l’aumento del numero degli avvocati generali, l’istituzione di camere giurisdizionali o la modifica delle disposizioni del suo Statuto (artt. 222, 225A e 245). Quanto alla BCE, rilevano gli artt. 107, par. 5 (raccomandazione rivolta al Consiglio per l’emendamento di specifiche norme dello Statuto del Sistema europeo di Banche centrali) e 111 (raccomandazioni al Consiglio concernenti la politica monetaria).

Il diritto d’iniziativa nell’ordinamento dell’Unione europea

Il Trattato di Maastricht, sia nelle norme relative alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC) (titolo V, secondo pilastro) sia in quelle riguardanti la Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (titolo VI, terzo pilastro) priva la Commissione dell’esclusività nell’esercizio del diritto d’iniziativa, attribuendo quest’ultimo tanto alla Commissione medesima quanto agli Stati membri: in tal senso dispongono infatti, relativamente al secondo pilastro l’art. 22, par. 1, e relativamente al terzo pilastro l’art. 34, par. 2 del Trattato UE.

L’art. 14, par. 4 introduce poi l’istituto dell’“iniziativa dell’iniziativa” nel contesto della Politica estera e di sicurezza comune, potendo il Consiglio chiedere alla Commissione di sottoporgli proposte appropriate per assicurare l’attuazione di azioni comuni.

Le norme del Trattato di Lisbona

Per effetto del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, disposizioni sul diritto d’iniziativa si rinvengono sia nel nuovo Trattato sull’Unione europea sia nel nuovo Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Trattato FUE), entrambi considerati qui di seguito nella loro versione consolidata, pubblicata in GUUE, n. C 115 del 9 maggio 2008, pp. 13 e ss., 47 e ss.

Da un punto di vista generale, l’art. 17, par. 2 del Trattato UE stabilisce che un atto legislativo dell’Unione (e cioè un atto adottato mediante procedura legislativa ordinaria o speciale: regolamenti, direttive e decisioni) «può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono»; l’art. 289, par. 4 del Trattato FUE, chiarisce poi che gli atti legislativi possono essere altresì adottati su iniziativa di un gruppo di Stati membri o del Parlamento europeo, su raccomandazione della Banca centrale europea (BCE) e su richiesta della Corte di giustizia o della Banca europea per gli investimenti (BEI). È inoltre possibile che l’iniziativa promani dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ed anche, se consentito, direttamente dallo stesso Consiglio.

Più in particolare, con riferimento alla Commissione, gli artt. 211 e 250 del Trattato CE di cui si è parlato sopra, trovano conferma negli artt. 17 del nuovo Trattato UE e 293 del Trattato FUE. Trovano ugualmente conferma, quanto all’“iniziativa dell’iniziativa” assegnata a Stati membri, Parlamento europeo e Consiglio, gli artt. 115, 192, par. 2 e 208 del Trattato CE (artt. 135, 225 e 241 del Trattato FUE); una interessante novità è peraltro quella di cui agli artt. 11, par. 4 del nuovo Trattato UE e 24, 1° comma del Trattato FUE, stante la possibilità concessa al riguardo anche ai cittadini dell’Unione, purché in numero non inferiore al milione e purché esprimano una quota significativa di Stati membri da definire tramite regolamento (cfr. in senso analogo l’art. I-47 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa del 29 ottobre 2004) (v. anche Costituzione europea).

Per ciò che riguarda il diritto d’iniziativa esercitato da organi diversi dalla Commissione, quanto al Consiglio vengono ribaditi i medesimi casi, esaminati in precedenza, ad eccezione di quelli sull’associazione con i Paesi e territori d’oltremare e sull’autorizzazione delle spese di bilancio superiori al dodicesimo, nei quali si è deciso invece di coinvolgere la Commissione (cfr. artt. 100, 108 e 342 del Trattato FUE); quanto al Parlamento europeo, alla Corte di giustizia e alla BCE, gli esempi fatti sopra si ripetono negli artt. 129, 219, 223, 252, 257 e 281 del Trattato FUE. Un autonomo diritto d’iniziativa viene infine previsto per gli Stati membri (art. 7, par. 1 del Trattato UE in caso di violazione grave dei valori fondamentali sui quali è fondata l’Unione; art. 76 del Trattato FUE in tema di cooperazione giudiziaria penale e di cooperazione di polizia), per l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (tra l’altro, dall’art. 27, par. 3 del Trattato UE e dagli artt. 222 e 331 del Trattato FUE) e per la BEI (art. 308, 3° comma del Trattato FUE, allorquando siano necessarie modifiche al suo Statuto). Allo stesso modo, peraltro, si era espresso il Trattato costituzionale su Stati membri (artt. I-59 e III-264), ministro degli Affari esteri dell’Unione (artt. I-40, I-41, III-329 e III-420) e BEI (art. III-393).

Pierluigi Simone (2012)