Giscard d’Estaing, Valéry

  1. d’E. (Coblenza 1926), il 19 maggio 1974 succede alla presidenza francese a Georges Pompidou, egli ha già acquistato una autorevolezza europea in campo economico e finanziario, come ministro di Charles de Gaulle e di Georges Pompidou, rispettivamente dal 1962 al 1966 e dal 1969 al 1974. Nella coalizione che regge la Francia dopo l’uscita di scena del generale, G. d’E. rappresenta un elettorato di centro, portavoce del mondo imprenditoriale e finanziario con vocazione internazionale, laddove i gollisti esprimono piuttosto la piccola imprenditoria, l’agricoltura.

L’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) non avanza per la paralisi del Consiglio dei ministri ed il deterioramento della posizione della Commissione europea, fenomeni che erano venuti aggravandosi nel corso degli anni e dei quali anche la Francia aveva la responsabilità. La tesi funzionalista, che avrebbe dovuto provocare l’irreversibilità delle misure unificanti, non resiste alla divaricazione drammatica delle economie degli Stati membri (v. Funzionalismo), con la conseguente difficoltà di ipotizzare nuovi approfondimenti. La elezione di G. d’E. segue di pochi mesi l’uscita della Francia dal meccanismo di cambio comunitario, motivata dal crescente squilibrio della bilancia dei pagamenti. L’Allargamento a paesi che non hanno mai condiviso la filosofia federale (v. Federalismo) tende a spingere la Comunità europea verso posizioni intergovernative (v. Cooperazione intergovernativa). Si è esaurita, con il passaggio di generazione, la spinta legata alla riconciliazione franco-tedesca. L’ideologia del Sessantotto ha oscurato il significato e l’immagine della causa europeista. Altri sono i miti che mobilitano i giovani, dal Vietnam alla rivoluzione culturale cinese, le utopie del terzo mondo distanti dai principi di democrazia liberale alla base della costruzione comunitaria.

Ci sono tuttavia interessi, speranze che impediscono di fare un passo indietro del quale nessuno può assumersi la responsabilità, in un momento di crisi dell’Occidente. G. d’E., sin dalle prime settimane del suo potere, fa mostra di grande attenzione verso la causa europea, soprattutto verso la riforma delle Istituzioni comunitarie. Mette in luce una maggiore flessibilità nei confronti dei poteri e delle strutture comuni, il che è anche un modo di prendere le distanze dalla precedente politica della Francia.

Il Vertice di Parigi del dicembre 1974 rende chiaro a tutti che occorre un esame profondo e dettagliato non soltanto dello stato attuale della struttura comunitaria, ma anche delle azioni possibili e necessarie per rinforzarla gradualmente, in modo da avviarla verso quella Unione europea che già la Dichiarazione di Parigi del 19 ottobre 1972 indicava come obiettivo per la fine del decennio. Il primo grande contributo di G. è la trasformazione delle Conferenze al vertice dei capi di Stato e di governo in Consiglio europeo, che unifica le competenze comunitarie e quelle politiche. Esso, dal punto di vista istituzionale, sarà retto dalle stesse norme che nel Trattati di Roma regolano il funzionamento del Consiglio, tratta argomenti strettamente comunitari e problemi di politica estera di comune interesse dei Nove. Diventa un centro di decisione, senza peraltro che ci sia bisogno di nuovi Trattati, con il vantaggio di impegnare direttamente i capi di governo all’interno delle istituzioni esistenti (v. De Giovanni, 2002, pp. 246-250).

Il nuovo Consiglio esalta la capacità di comando della Comunità, una volta convocato nelle date canoniche – tre volte l’anno – dalle varie presidenze. Non figura nell’equilibrio a tre intorno al quale cresce l’idea di un’architettura europea, ma diviene un fattore decisivo della Costituzione materiale: nella motivazione suggerita dallo stesso G. d’E., permette un confronto tra i capi di governo; fa sentire la voce dell’Europa; funge da Corte di appello delle altre istituzioni. Alla crescita del Consiglio europeo corrisponde un ridimensionamento del Consiglio dei ministri, che accentua i suoi aspetti tecnici, sottolineati dalla molteplicità delle sue possibili composizioni. Nella fase puramente comunitaria, che durerà fino all’Atto unico europeo, la dimensione politica tarda a manifestarsi, come contrappeso alla fallita accelerazione che avrebbe dovuto imprimere nel 1954 la Comunità europea di difesa (CED). L’equilibrio a tre corrisponde al dominio del mercato, anche se Commissione, Parlamento europeo, Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) tendono a spostare l’accento verso il nodo dei diritti e delle regole, pur se regole e diritti concepite a ridosso del mercato. Il Consiglio non è soltanto organo di impulso ma anche di decisione, non solo di orientamento ma anche di convergenza. Prevale il coordinamento aperto, il governo delle differenze più che la ricerca della omogeneità. Il nuovo equilibrio è più politico di quello precedente, nel quale avevano il sopravvento le dimensioni esecutiva e legislativa. La creazione del Consiglio europeo sta a cuore a G. d’E. sia come erede di Charles de Gaulle, che credeva alla magia dei Vertici, che come erede di Jean Monnet, che credeva alla strategia dei piccoli passi. Ma il Consiglio ha bisogno di una disciplina intellettuale in fase di preparazione, altrimenti le agende tendono ad allungarsi all’infinito a scapito della loro incisività (v. Delors, 2004, p. 180).

La costituzione del Consiglio europeo può sembrare un modo di ridurre il ruolo della Commissione. È il parere del suo presidente, Roy Jenkins. Nonostante questo, nonostante il suo carattere intergovernativo, l’idea riceve l’appoggio di Jean Monnet e di Altiero Spinelli, anche perché essa conferisce ai vertici politici una maggiore libertà di manovra, al di sopra di vincoli anche domestici. Per il suo carattere non burocratico permette, soprattutto ai maggiori paesi, di lanciare nuove iniziative. I federalisti ne criticano la carenza di democraticità, ed insistono, ottenendola, per le Elezioni dirette del Parlamento europeo.

La decisione del Vertice di Parigi del dicembre 1974 relativa alla elezione del Parlamento europeo, che sarà resa operante soltanto nel 1979, reca il segno del cambiamento con il quale G. d’E. vuole caratterizzare la sua azione interna ed esterna. In un suo libro dell’ottobre 1970 (Démocratie française) G. aveva auspicato una “confederazione europea”. Il capolista del suo partito, Simone Veil, sarà anche il primo presidente della Assemblea di Strasburgo. L’elezione rappresenta la più grande novità istituzionale degli anni Settanta, ancorché essa introduca un ulteriore elemento anomalo nell’equilibrio comunitario ed imponga di conseguenza, con particolare urgenza, una revisione organica dell’intero sistema. Questo infatti avanza periodicamente per la spinta di squilibri dinamici, che inducono a revisioni periodiche dei poteri degli organi e dei loro rapporti reciproci, in una ricerca di coerenza che finisce per spostare sempre più avanti l’orizzonte dell’integrazione. Succede ad esempio nelle asimmetrie tra elezione diretta e quindi spessore democratico del Parlamento da un lato ed i suoi scarsi poteri dall’altro; oppure tra il grande mercato e la necessità della moneta unica (v. anche Euro) per il suo corretto finanziamento.

L’anno in cui G. d’E. è eletto presidente è anche un anno cruciale per i partner politici della Francia. Il governo di Edward Heath aveva trascorso il 1973 cercando quello che sembrava a tutti impossibile e cioè la pace sociale che potesse allontanare il paese da un inarrestabile declino. Egli aveva voluto l’entrata della Regno Unito nella Comunità nonostante una aspra opposizione della classe politica e della opinione pubblica, nel generoso disegno di assegnare nuovi obiettivi di presenza internazionale e di efficienza economica al suo paese; obiettivi che segnassero la fine del dopoguerra e, con essa, l’inizio della riconversione psicologica e politica del Regno Unito dopo l’esaurimento della fase postimperiale. Ma l’aggravamento della crisi economica interna incoraggia gli oppositori ad esasperare la controversia comunitaria come un’arma al fine di creare difficoltà ulteriori al governo del paese. Harold Wilson, nuovo primo ministro dal marzo 1974, rifugge da ogni dogmatismo. Nella campagna elettorale aveva promesso di rinegoziare i termini dell’adesione alla Comunità europea ma non aveva mai messo in discussione la necessità della Gran Bretagna di rimanere in Europa.

La Repubblica Federale Tedesca (v. Germania) è intenta a normalizzare le relazioni con l’Unione Sovietica e con l’altra Germania, nell’ambito della sua nuova Ostpolitik. L’Approfondimento dell’integrazione comunitaria perseguito dal Cancelliere Helmut Schmidt è anche una sorta di Westpolitik intesa a dissipare i timori di una seconda Rapallo e a ottenere l’accettazione francese dello status di Berlino. Schmidt è alla ricerca di un potere sovranazionale che attenui la dipendenza dagli Stati Uniti in termini economici se non militari. Il declino di Bretton Woods e la crescita della mobilità dei capitali riducono l’autonomia interna e spingono alla costruzione di sistemi regionali.

  1. d’E. promuove il primo degli incontri al vertice tra i maggiori paesi industrializzati, vincendo le esitazioni del presidente americano Gerald Ford, per discutere al più alto livello di crescita, occupazione, commercio, inflazione. Il circolo privilegiato si riunisce la prima volta a Rambouillet nel novembre 1975. Il club al quale pensa G. d’E. esige che i membri abbiano governi stabili capaci di orientare con fermezza la rotta economica dello Stato e di mantenere gli impegni internazionali. L’Italia è invece sconvolta da una crisi politica che rischia di trasformarsi in una crisi istituzionale. Se Rambouillet deve trovare una soluzione efficace ai due grandi problemi che colpiscono l’economia mondiale, le fluttuazioni del dollaro e l’imprevedibilità del costo del petrolio, l’Italia a giudizio di G. d’E., non può farne parte. Ma più delle obiezioni di G. d’E. pesano le preoccupazioni politiche degli Stati Uniti per l’evoluzione della crisi italiana. L’esclusione di questo paese avrebbe inferto un grave colpo al governo e favorito uno spostamento a sinistra dell’intero sistema politico e per questo è inaccettabile a Washington, che impone la partecipazione dell’Italia.

Giunge a compimento, allo scadere del decennio, l’altro evento significativo degli anni Settanta, l’integrazione monetaria europea. La svolta ha radici lontane, si confonde con altre questioni, l’adesione britannica alla Comunità, la Politica agricola comune (PAC), l’elezione diretta del Parlamento europeo, la maggioranza in Consiglio (v. Maggioranza qualificata) per le decisioni comunitarie (v. Processo decisionale). Il cammino verso la moneta europea accompagna per lunghi tratti l’esperienza di governo di G. d’E., fin quasi all’esaurimento della sua presidenza.

Negli ultimi anni Sessanta la valuta francese subisce le pressioni del marco: pesano negativamente il maggio del 1968, la sconfitta di de Gaulle, la crisi petrolifera. G. d’E. già nel marzo 1969 avanza l’ipotesi che la Comunità si trasformi in una Unione economica e monetaria. Fa conoscere le sue idee anche ad Helmut Schmidt, allora autorevole parlamentare socialdemocratico, al quale lo lega un’amicizia nata dalla comune appartenenza al Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. G. d’E. suggerisce la messa in comune delle riserve valutarie accompagnata da un sistema di voto in materia di politica monetaria e congiunturale. Schmidt si dichiara d’accordo ma replica che un obiettivo di questo tipo avrebbe richiesto decenni, non immaginando che pochi anni dopo esso sarebbe nato dalla iniziativa congiunta dei due.

Agli inizi degli anni Settanta, un contrasto separa i ministri di Francia e Germania dell’epoca, G. d’E. e Karl Schiller, nella loro opposizione alla speculazione periodicamente dirompente. Il primo chiede che siano adottate misure comunitarie di controllo dei movimenti di capitali; l’altro è uno strenuo difensore del libero mercato. Schiller non ha del resto alcuna fiducia nelle possibilità comunitarie di imporre la necessaria disciplina agli Stati membri, che egli peraltro accusa di essere fra i responsabili dell’incombente inflazione.

La decisione del governo americano dell’agosto 1971 di sospendere la convertibilità del dollaro spinge alla fissazione di margini di fluttuazione, come reazione allo sfaldamento del sistema dei cambi fissi. Nel settembre 1972 G. d’E. invita i partner comunitari a porre in essere le misure necessarie per fronteggiare l’inflazione crescente che sta sconvolgendo, a ritmi ed in misura uguali, le economie europee. Il Vertice di Parigi del 19 ottobre 1972 è l’ultimo tentativo francese di plasmare la Comunità secondo una ipotesi ed un modello conformi ai propri interessi, nella previsione ottimistica di una convergenza naturale, francese e britannica, nei confronti di una rinascente autonomia tedesca, che stava avendo le sue prove nel successo della Ostpolitik e nella perdurante e preoccupante espansione del proprio primato economico e politico. Nel marzo 1973 viene creato il meccanismo di cambio, che fissa i limiti di oscillazione tra le singole monete dei paesi comunitari. Per il suo andamento sinuoso tra i massimi ed i minimi delle parità previste, il sistema crea una sorta di “serpente” (v. Serpente monetario).

Di fronte allo shock petrolifero conseguente alla guerra del Kippur, il segretario di Stato americano Henry Alfred Kissinger tenta di opporre ai produttori un fronte dei consumatori e promuove nel febbraio 1974 la creazione di un’Agenzia internazionale per l’energia, alla quale la Francia rifiuta di aderire, per convocare a sua volta una grande Conferenza di produttori e consumatori, nel dicembre 1975. Ma anche essa è senza risultati ed è questa, probabilmente l’ultima grande manifestazione gollista della politica estera francese, dopo il rifiuto dell’integrazione militare e l’epica battaglia del generale contro il dollaro nella seconda metà degli anni sessanta. Ma l’impulso di G. d’E. non è senza seguiti. Contribuisce ad una revisione della politica comunitaria verso gli Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico. La Convenzione di Lomé (v. Convenzioni di Lomé), del 31 ottobre 1979, non è una semplice riconduzione di quella precedente: per la qualità ed il numero degli strumenti previsti, per l’entità dei mezzi finanziari inaugura una nuova presenza della Comunità nel mondo.

Dopo la sua elezione alla presidenza, nel maggio 1974, G. d’E. affida al suo primo ministro, Jacques Chirac, una politica di austerità, preordinata ad un rientro nel serpente monetario. Chirac riduce i crediti ed aumenta le imposte, e tuttavia non riesce a mettere in movimento il rilancio dell’economia afflitta da una notevole inflazione. La Francia è costretta nel 1976 a uscire nuovamente dal meccanismo di cambio. Del resto le condotte dei governi della Comunità non avrebbero potuto essere più contrastanti l’una dall’altra, anche perché solo i tedeschi ritengono che la politica monetaria debba assolvere al compito di garantire la stabilità dei prezzi. Nell’agosto del 1976 G. d’E. sostituisce Jacques Chirac con Raymond Barre («il migliore economista di Francia» a giudizio del Presidente), un tecnocrate con esperienza europea, che si incarica di pilotare il ritorno verso il rigore finanziario. Barre era stato, nell’ottobre 1970, uno dei compilatori del piano del primo ministro lussemburghese Pierre Werner, che avrebbe dovuto portare, nel giro di un decennio, ad una progressiva Armonizzazione delle politiche nazionali ed ad una convergenza altrettanto graduale delle varie divise su tassi di cambio fissi. Il progetto non aveva fatto strada anche perché i tedeschi ritenevano che una unione monetaria avrebbe potuto realizzarsi solo dopo che i governi della Comunità economica europea (CEE) avessero ricondotto entro determinati parametri il debito e l’inflazione. I francesi, al contrario, avevano sempre sostenuto che l’istituzione di vincoli comuni alle politiche monetarie avrebbe agito sui comportamenti dei paesi a moneta debole, non senza l’assistenza di quelli a moneta forte.

Nella seconda metà del 1976 è necessaria alla politica di austerità di Barre anche una sponda esterna. Barre, fra l’altro, pur essendo un convinto europeista, deve tener conto degli umori del gruppo gollista guidato da Jacques Chirac, all’interno di un esecutivo di centrodestra incalzato dalla avanzata delle sinistre. Il sostegno alla proposta di un Sistema monetario europeo (SME) è quindi essenzialmente volto a creare un puntello alla politica economica nazionale. G. d’E. spinge per il rilancio della integrazione monetaria soprattutto dopo i buoni risultati nelle elezioni parlamentari del febbraio 1978. Poiché non sono previste altre consultazioni elettorali fino al 1981, il momento sembra propizio per affrontare un piano di riforme.

Il sistema di fluttuazioni controllate fino ad allora seguito stabilizza i cambi ma funziona in modo asimmetrico facendo gravare i costi degli aggiornamenti sui paesi a moneta debole, come la Francia, piuttosto che sulla Germania. Lo shock petrolifero interviene in piena ristrutturazione delle economie dei paesi membri, accentua le difficoltà nel coordinamento delle politiche economiche e mette ripetutamente alla prova il Sistema monetario europeo. La politica espansiva di Jimmy Carter alimenta l’inflazione, con ricadute fortemente negative per i paesi europei. Se in passato l’economia aveva funzionato da principale fattore di convergenza, ora si muove in senso contrario. Il serpente è una trincea che si sgretola per le ricorrenti uscite delle monete partecipanti da un meccanismo che avrebbe dovuto invece stabilizzare i rapporti di cambio.

La Germania appoggia i processi di stabilizzazione monetaria nei periodi di debolezza del dollaro che spinge verso l’alto il marco. Il governo cerca di arginarne la rivalutazione e di creare spazi per il rilancio della crescita. Il cancelliere Schmidt, a misura che aumenta la sua distanza dal presidente Carter, dal quale lo dividono anche le questioni della sicurezza, inclusa, nell’aprile 1978, la rinuncia americana alla bomba al neutrone, tende ad avvicinarsi a G. d’E. Un G. d’E. che nella seconda parte del suo mandato inaugura appunto una politica del franco forte che sarà perseguita anche dai suoi successori. G. d’E. stesso non ha un rapporto molto cordiale con Carter, i dissensi raggiungeranno il punto più alto in occasione della crisi iraniana.

L’iniziativa G. d’E.-Schmidt per la creazione del Sistema monetario europeo è la quarta grande svolta nelle relazioni franco-tedesche che avevano contrassegnato fino ad allora l’integrazione continentale. Con il Piano Pleven (v. Pleven, René) la Germania aveva fornito una rassicurazione alla Francia contro il rinascente piano tedesco di riarmo e si era liberata dalla tutela economica degli alleati. I Trattati di Roma avevano realizzato un forte interscambio tra i due paesi in campo sia agricolo che industriale. Ma la spinta decisiva era venuta dalla crisi di Suez, la telefonata con la quale Anthony Eden aveva annunciato la cancellazione della azione militare sul Canale era giunta a Parigi nel mezzo dei colloqui tra Konrad Adenauer e Guy Alcide Mollet. La pausa di stupore e silenzio era stata rotta dal vecchio cancelliere, che aveva indicato alla Francia l’alternativa europea come unica via per sottrarsi alla sua inferiorità rispetto alle due grandi potenze. La terza fase è segnata dal generale de Gaulle e dal Trattato dell’Eliseo, con il difficile equilibrio, per la Germania, tra Francia e Stati Uniti. Infine G. d’E. e Schmidt reagiscono al collasso di Bretton Woods e fanno approvare il sistema monetario nonostante le riserve di molti, comprese quelle della Commissione.

Il compromesso finale nei successivi Consigli europei di Copenaghen, Brema, Bruxelles, dall’aprile al dicembre 1978, nasce da uno scambio tra paesi a moneta forte e a moneta debole. Le regole del sistema monetario sono minime, minimi i poteri sovranazionali, modesti gli obblighi nazionali, anche se il consenso di tutti è necessario per la modifica delle parità. I paesi a moneta forte ricevono una protezione contro le rivalutazioni e quelli a moneta debole un sostegno per la deflazione, operando in ogni caso contro la instabilità dei cambi che pesa sui produttori e rende più difficile la gestione macroeconomica. L’Italia, con una banda di oscillazione più larga, entra nello SME anche perché Ugo La Malfa minaccia di uscire dal governo di Giulio Andreotti. In un passaggio cruciale G. d’E. telefona al Presidente del Consiglio italiano, per convincerlo ad aderire (v. Andreotti, 1981, p. 287). Per la costituzione del sistema monetario si segue la via di una risoluzione del Consiglio europeo piuttosto che di una formale Revisione dei Trattati, anche per non correre rischi nelle ratifiche. I commenti delle forze politiche francesi sono, comunque, tutt’altro che benevoli. Dall’opposizione François Mitterrand parla di «fallimenti», «imprudenze», mentre Chirac dichiara pubblicamente che «l’ECU può evocare il nome di San Luigi ma in realtà somiglia molto al marco tedesco e la disciplina accettata a Brema è più tedesca che europea» (v. Abadie, Corcelette, 1997, p. 334)

  1. d’E. è uno dei fautori dell’ingresso della Grecia nella Comunità, mentre ritarda quelli di Spagna e Portogallo, più costosi per l’agricoltura francese. G. d’E. è anche molto sensibile a ciò che la Grecia rappresenta per l’identità culturale dell’Europa («non si può dire no a Platone»). Non a caso molti anni dopo la prima bozza di Costituzione europea approvata da una Convenzione europea da lui presieduta si aprirà con una citazione di Tucidide. Ma i rapporti della Grecia con la Comunità non sono agevoli. È forte una certa separatezza, forse dovuta anche alla mancanza di una comunanza di continuità geografica, mentre naturale è la convergenza di interessi con la zona sudorientale del continente, alla quale essa appartiene. La caduta del regime militare ad Atene, nel 1974, coincide con l’anno di elezione di G. d’E. alla presidenza. I negoziati di adesione iniziano nel 1976 e si concludono il 28 maggio 1979. Alla Grecia viene concesso un periodo transitorio di cinque anni per l’applicazione completa delle regole attinenti alla Libera circolazione delle merci e di sette anni per la messa in atto della politica agricola comune.

La fine degli anni Settanta vede la confluenza di varie crisi attinenti alla sicurezza. La più grave è lo schieramento di missili intermedi a testata multipla, mobili, che possono colpire l’Europa dal cuore dell’Unione Sovietica. È Schmidt a denunciare la nuova minaccia, in un discorso tenuto a Londra nell’ottobre 1977. La risposta occidentale, decisa ad un incontro alla Guadalupe il 9 gennaio 1979, innesca una crisi nei rapporti Est-Ovest che, soprattutto Schmidt ma anche G. d’E., cercano di ricondurre entro limiti che non alterino eccessivamente il quadro internazionale. Al culmine della tensione G. d’E. si reca a Mosca il 19 maggio 1980 per un inatteso incontro con Brežnev. Il primo contatto tra i due era avvenuto all’Eliseo il 7 dicembre 1974. Il momento prescelto non è particolarmente propizio, segue l’annuncio del boicottaggio delle Olimpiadi sovietiche da parte degli Stati Uniti, come rappresaglia alla invasione militare dell’Afghanistan del dicembre 1979. Le ambizioni di G. d’E. sono grandi e molteplici. Egli ha sempre auspicato l’unità politica degli europei e vorrebbe che al colmo della crisi si levasse anche la voce del vecchio continente né essa, secondo il pensiero gollista, potrebbe essere diversa da quella della Francia. G. d’E. cerca un successo personale significativo, utile ai fini di una imminente campagna elettorale. Negli armamenti nucleari, in cui si profila una chiara asimmetria a danno dell’Europa occidentale, la Francia vuole anche rendere palese la propria indipendenza. La visita non ha successo nemmeno sul piano del riconoscimento formale. G. d’E. non riceve soddisfazione alcuna. Il che, oltre che nuocere alla sua statura politica, riconferma a tutti che nel confronto sulle questioni strategiche gli unici interlocutori dei sovietici sono gli americani e gli europei possono essere solo oggetto della minaccia. Il mandato di G. volge comunque al termine. Il 10 maggio 1981 François Mitterrand vince le elezioni presidenziali che riportano al governo i socialisti.

Negli anni di appartenenza al Parlamento europeo, dal 1989 al 1993, G. d’E., il quale ama ricordare che Monnet aveva giudicato la creazione del Consiglio europeo come la maggiore decisione in materia di integrazione dalla firma dei Trattati di Roma, mantiene un vivo interesse per i problemi istituzionali. È autore, fra l’altro di un rapporto sulla sussidiarietà (v. Principio di sussidiarietà) per conto della competente Commissione dell’Assemblea di Strasburgo. È lui a presiedere la Convenzione che, a partire dal 28 febbraio 2002, si incarica di elaborare un progetto di Costituzione dell’Unione europea da trasmettere ai governi per la successiva adozione attraverso una loro Conferenza. La Francia ne ha imposto la candidatura facendo riferimento alla sua «intelligenza ed esperienza». Governo e opposizione hanno fatto quadrato preferendo G. d’E. allo stesso Jacques Delors, giudicato fautore di un modello troppo comunitario per le tradizioni del paese. Nonostante le riserve espresse da gran parte della sinistra europea, da coloro che definiscono G. d’E. «un uomo non di ieri ma dell’altro ieri», alla fine prevale la candidatura francese, anche perché il cancelliere Gerhard Schröder ritiene che con il suo appoggio possa dare maggiore consistenza all’asse tra Berlino e Parigi (v. Castronovo, 2004, p. 220)

La autorevolezza di G. d’E., una qualche distanza dai lavori (Margaret Thatcher lo aveva una volta definito «olimpico») gli consentono di portare a termine la più straordinaria delle esperienze costituenti, per la vastità e la diversità dei membri partecipanti. G. d’E. punta sin dall’inizio sulla approvazione di un documento unico, privo di opzioni. Questo per rendere più produttivi i lavori della Convenzione, della quale peraltro interpreta estensivamente il mandato conferitole dal Consiglio europeo di Laeken. Il mandato contiene 56 domande che sintetizzano i diversi problemi istituzionali ai quali occorre dare una risposta. Il testo unico patrocinato da G. d’E. vorrebbe evitare il rinvio ad una ulteriore fase di mercanteggiamento sotterraneo ed obbligare i governi a fare le loro scelte senza alibi. G. d’E. è favorevole ad un’Europa con una forte soggettività politica ed integrata in un Occidente non a sola guida americana. Invoca, a partire dall’unione economica e monetaria, una istituzione che sta pericolosamente in mezzo al guado, un governo europeo dell’economia che consenta all’Europa di riprendere la via della crescita, impedita da una politica tutta incentrata sui vincoli. È invece il principale avversario della menzione nella Costituzione delle radici cristiane, in nome di una concezione laica dello Stato.

L’ex presidente francese, nel ricevere il premio “Carlo Magno” ad Aquisgrana, il 29 maggio 2003, non nasconde le difficoltà dell’esercizio che si concluderà nel luglio successivo, inteso a riuscire, nella storia europea, «con la penna dove è sempre fallita la spada». Ricorda che la Costituzione americana comprendeva agli inizi l’1% dei cittadini retti da quella europea. Sostiene il concetto dell’Europa delle nazioni, un compromesso nel quale molti si riconoscono, fra gli altri Jacques Delors. Indica subito la sicurezza interna, la politica estera e di difesa (v. anche Politica estera e di sicurezza comune; Politica europea di sicurezza e difesa), l’efficienza istituzionale, i diritti il terreno privilegiato dell’esercizio da lui presieduto.

A G. d’E. si rimprovera, peraltro, oltre che una conduzione verticistica della Convenzione, di averne anche fatta una specie di superconferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), la sede in cui già si negoziano i compromessi tra governi. Non c’è dubbio che tra le file della Convenzione ci sia una maggioranza di tipo federalista e che il testo avrebbe potuto essere più rappresentativo di una istanza democratica. Proprio la consapevolezza che il metodo delle conferenze intergovernative stesse diventando sempre meno efficace aveva convinto ad intraprendere un percorso diverso, già risultato valido per la messa a punto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La composizione parlamentare della Convenzione mette ancora più in risalto la maggioranza europeista al suo interno. Ma G. d’E. è persuaso che probabilmente solo un progetto non eccessivamente ambizioso avrebbe potuto passare il vaglio della successiva Conferenza intergovernativa. Forse le sue convinzioni personali sono contrarie ad un disegno più audace e la sua cultura di governo lo rende non particolarmente sensibile ad una dinamica parlamentare. Tuttavia in alcune questioni cruciali la conduzione di G. d’E. si rivela decisiva e consente a un timoniere abile e determinato di fare arrivare in porto un testo tutt’altro che privo di significato.

Non si può infatti ignorare che la bozza della Costituzione contiene la prima Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del nuovo millennio e crea istituzioni in grado di concorrere ad un assetto pluralistico nel mondo, ad integrazione di forze impersonali come quelle di mercato e di una potenza inarrivabile come quella degli Stati Uniti. Il testo della Convenzione si pone in antitesi all’unilateralismo, che minaccia la trama sottile di accordi e convenzioni internazionali; trasferisce poteri che sino a ieri si ritenevano tali da non poter essere esercitati che dagli Stati nazionali; porta ad ulteriore pur se parziale compimento il disegno dell’Europa politica; fissa in maniera chiara gli strumenti delle politiche comuni. Vi è da aggiungere che i lavori della Convenzione si svolgono in un clima di apertura verso le opinioni pubbliche, che possono esercitare una qualche funzione almeno di controllo, sfruttando le audizioni promosse periodicamente da G. d’E. La Convenzione, nonostante tutti i suoi limiti, riesce a disfarsi di molte angustie del passato per una opera costituente rivolta al futuro. Il suo prodotto finale conosce un inevitabile ridimensionamento nel Trattato convenuto poi dai governi nel Consiglio europeo di Dublino del giugno 2004. Ma rappresenta pur sempre la premessa indispensabile per un avanzamento sostanziale sulla via dell’integrazione indissolubilmente legato anche al nome di G. d’E., un personaggio nel quale, come aveva detto una volta Mitterrand, l’«esprit de géométrie» ha sempre prevalso sull’«esprit de finesse».

Silvio Fagiolo (2009)