Gruppi politici al Parlamento europeo

I gruppi politici sono organi costitutivi delle assemblee parlamentari che collegano e coordinano l’azione delle forze politiche con quella del Parlamento europeo (PE), creando un legame tra i cittadini e le Istituzioni comunitarie. In ambito comunitario, la formazione dei gruppi politici affonda le proprie radici nell’Assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) al cui interno, il 16 giugno 1953, venne ufficialmente riconosciuta la costituzione di formazioni che riunivano gli esponenti di tre tradizionali famiglie politiche europee: i cristiano-democratici, i socialdemocratici e i liberali. A differenza di quanto avveniva nei parlamenti nazionali, nell’Assemblea comune i gruppi non costituivano la “propaggine” parlamentare di un singolo partito, ma riunivano i membri di partiti nazionali che si riconoscevano in una linea ideologica comune o affine (v. Partiti politici europei). Anche rispetto alle assemblee delle organizzazioni internazionali “classiche”, nelle quali i membri erano suddivisi per delegazioni nazionali, l’articolazione in gruppi politici rappresentò un elemento distintivo che accentuava il carattere sovranazionale dell’Assemblea comune.

Con l’entrata in vigore dei Trattati di Roma (1958), l’articolazione in gruppi venne mantenuta anche all’interno dell’Assemblea parlamentare della Comunità economica europea (CEE). I regolamenti interni adottati dal Parlamento europeo (PE) confermarono il criterio dell’affinità politica come requisito sostanziale per la formazione dei gruppi. In seguito agli allargamenti (v. Allargamento) della Comunità/Unione europea (CEE/UE) e alle riforme istituzionali, è invece variato più volte il numero minimo di membri richiesto per costituire un gruppo. Mentre nell’Assemblea comune, formata da 78 parlamentari provenienti dai parlamenti nazionali, la soglia minima era di 9 membri, nell’Assemblea parlamentare della CEE, composta inizialmente da 148 deputati, il limite venne elevato a 17. Nel 1973, con il primo allargamento, il PE introdusse il principio della diversificazione, in base al quale il numero minimo di deputati variava in relazione al numero di Stati membri rappresentati nel gruppo. In presenza di formazioni multinazionali il regolamento riconosceva quindi il vantaggio di un abbassamento del requisito numerico: da una quota minima di 21 componenti per le formazioni mononazionali si scendeva a 15 nel caso di gruppi formati da parlamentari provenienti da due Stati membri, e a 10 in presenza di parlamentari di tre o più Stati. Nonostante numerosi cambiamenti, questo principio è rimasto in vigore fino al 2006; nell’ultimo regolamento, approvato dal PE nel gennaio 2007, tale regola è stata invece eliminata e l’articolo 29 richiede un numero fisso di 20 parlamentari. La stessa disposizione prevede inoltre che gli aderenti siano stati eletti in almeno un quinto degli Stati membri dell’UE: in tal modo si intende favorire il carattere multinazionale di tutti i gruppi e ribadire la scelta effettuata nel 1999, quando il PE ha ufficialmente escluso la costituzione di gruppi mononazionali e monopartitici.

Oltre ai cambiamenti dei requisiti formali, è importante ricordare l’evoluzione delle prerogative riconosciute ai soggetti del sistema partitico del PE. In molti settori, i gruppi hanno avviato una prassi che è stata poi disciplinata ex post nei regolamenti parlamentari. Sin dagli inizi, l’Assemblea di Strasburgo ha accordato ai gruppi un sostegno finanziario e ha consentito che essi si dotassero di un segretariato e di organici indipendenti. Per quanto riguarda l’organizzazione dei lavori, la partecipazione dei gruppi venne in origine garantita con la costituzione di un Ufficio di presidenza allargato, che comprendeva il presidente e i vicepresidenti del PE e i presidenti dei gruppi, con il compito di definire l’ordine del giorno delle sessioni plenarie e di coordinare l’attività delle commissioni. Questo organo è stato poi inserito a pieno titolo nella struttura del PE nel 1993, con la nascita della Conferenza dei presidenti. I gruppi inoltre hanno gradualmente rafforzato le loro prerogative, acquisendo un ruolo decisivo nella scelta dei relatori, nelle decisioni concernenti la composizione e le funzioni delle commissioni parlamentari, nonché nella nomina del presidente del PE. Anche il calendario della “tornata” mensile, durante la quale si svolgono le attività del PE, si è progressivamente modellato sulla base delle interazioni tra commissioni e gruppi e vede questi ultimi agire come “filtri”. La c.d.“settimana dei gruppi”, infatti, segue le due settimane di lavoro delle commissioni e precede la sessione plenaria: essa permette alle delegazioni partitiche nazionali di esprimersi in seno al gruppo di appartenenza e a tutti i membri del gruppo di aggiornarsi reciprocamente sui lavori delle commissioni.

Dopo la prima elezione del PE (1979) (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), i gruppi politici hanno inoltre contribuito alla graduale definizione di un sistema partitico, incentrato sulle principali famiglie politiche europee. Da un lato, il sistema proporzionale di attribuzione dei seggi, vigente nella maggior parte degli Stati membri, ha favorito la rappresentanza dei gruppi più piccoli; da un altro lato, però, il regolamento del PE ha previsto forti incentivi all’aggregazione, privilegiando le formazioni di maggiori dimensioni. A tale proposito è importante ricordare che i gruppi sono finanziati con una quota (circa il 10%) del bilancio del PE, ripartita in maniera proporzionale al numero de-gli aderenti. Anche la composizione del personale dipendente è legata alle dimensioni del gruppo e alle lingue di lavoro utilizzate al suo interno; così come la ripartizione del tempo di parola in aula, le nomine dei membri delle commissioni, le candidature alla presidenza del PE e delle singole commissioni seguono il criterio di proporzionalità rispetto alle dimensioni dei gruppi.

Di conseguenza, l’attività del PE è stata fortemente caratterizzata dalla predominanza delle due formazioni maggiori, il gruppo cristiano-democratico e quello socialista, i quali hanno raccolto anche il numero più consistente di membri in seguito agli allargamenti della CEE/UE. Se il primo allargamento vede la nascita di un nuovo gruppo, i Conservatori europei, formato originariamente da britannici e danesi, i successivi ampliamenti consolidano le compagini più numerose. L’entrata dei deputati greci rafforza sia i socialisti, che accolgono i membri del partito socialista panellenico, sia i cristiano-democratici, che si aprono al partito della Nuova democrazia greca. L’adesione di Spagna e Portogallo, invece, alimenta prevalentemente le fila dei socialisti e dei liberali. Negli anni Novanta, dopo la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale, il cleavage destra-sinistra in seno al PE diventa paradossalmente più netto: un fatto importante di questa nuova fase è la decisione del Partito dei democratici di sinistra, erede del Partito comunista italiano, di entrare nel gruppo socialista. Sul versante opposto, invece, il Partito socialdemocratico portoghese lascia i liberali per aderire al gruppo del Partito popolare europeo (PPE), ulteriormente ampliato negli anni Novanta con l’entrata dei conservatori britannici e di Forza Italia.

Nel PE della neonata Europa a 27 (gennaio 2007), la maggioranza dei 786 parlamentari è suddivisa in otto formazioni politiche, ad eccezione di 14 membri, confluiti nei “non iscritti”, una compagine esistente sin dagli albori dell’Assemblea comune che raccoglie coloro che non aderiscono a nessun gruppo. Le tre famiglie politiche tradizionali, che nel tempo hanno variato la propria denominazione, sono ancora oggi presenti nel PE e raccolgono i 2/3 dei membri. Il gruppo del Partito popolare europeo e Democratici europei (PPE/DE) ― nel quale si distingue per consistenza numerica la delegazione della Christlich-demokratische Union/Christlich-soziale Union (CDU/CSU) ― ha assunto tale denominazione dopo le elezioni del 1999, quando è diventato il più numeroso del PE. Il gruppo del Partito socialista europeo (PSE), all’interno del quale rivestono un ruolo centrale i socialdemocratici tedeschi e i socialisti spagnoli e francesi, ha raggiunto negli anni Novanta un maggior livello di coesione. L’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (ALDE) (v. Liberaldemocratici europei), che raccoglie i parlamentari dei partiti liberali e “di centro”, ha una composizione piuttosto eterogenea, accentuata dall’ingresso dei partiti nordici di centro. A partire dalle elezioni del 1989, inoltre, il PE ha visto la presenza di un autonomo gruppo “verde” (v. Partito verde europeo), che dal 1999 ha assunto il nome di Verdi/Alleanza libera europea (Verdi/ALE), comprendendo esponenti sia di formazioni ecologiste sia di partiti regionalisti (v. Alleanza libera europea – Partito democratico dei popoli d’Europa). Nell’ala destra del PE, l’Unione per l’Europa delle nazioni (UEN) è divenuta il quarto gruppo più grande per consistenza numerica dopo l’entrata dei membri polacchi; tra le formazioni minori, vi sono inoltre Indipendenza/Democrazia (ID), di tendenza eurofobica ed euroscettica (v. Euroscetticismo), il gruppo di estrema destra Identità, tradizione e sovranità (ITS), costituito nel gennaio 2007, e il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (SUE/SVN) (v. Gruppo della sinistra europea e della sinistra verde nordica), che raccoglie la tradizione del gruppo comunista, creato per la prima volta nel 1973.

L’evoluzione dell’assetto “di partito” interno al PE mostra la progressiva stabilizzazione di un sistema nel quale, intorno ai gruppi tradizionali, PPE e PSE, si collocano in posizione subalterna, ma a volte decisiva per la formazione delle maggioranze, i Liberali e i Verdi, mentre i gruppi minori, entità spesso “volatili”, occupano un posto relativamente marginale. Questa tendenza non sembra essere stata scalfita dall’ultimo allargamento dell’UE, che pure ha rafforzato le formazioni di centrodestra.

In seguito alle riforme istituzionali degli anni Novanta che hanno aumentato i poteri del PE, inoltre, i gruppi hanno cercato di favorire una maggiore coesione interna tra le delegazioni nazionali. Un altro fenomeno rilevante è stata la progressiva riduzione della convergenza tra PPE e PSE al momento delle votazioni in seduta plenaria. Tale prassi, frequente nel passato, si è attenuata in seguito all’estensione dei settori nei quali è richiesta la maggioranza semplice per deliberare. Questa modifica infatti evita che i partiti debbano ricorrere a compromessi per ottenere l’approvazione di una decisione e favorisce un dibattito politico più articolato e aperto tra destra e sinistra. Tali progressi sono stati agevolati dal riconoscimento dell’importanza dei partiti politici a livello europeo, contenuto nel Trattato di Maastricht, e dalle disposizioni del Trattato di Nizza sul ruolo delle federazioni transnazionali dei partiti.

In conclusione, i gruppi politici hanno contribuito a rafforzare il PE, ma parallelamente hanno beneficiato delle riforme istituzionali e dell’aumento dei poteri dell’Assemblea di Strasburgo. Inizialmente affermatisi come strumenti di razionalizzazione dei lavori parlamentari, nel corso del processo di integrazione europea i gruppi hanno costituito i soggetti principali delle dinamiche di competizione destra-sinistra in seno al PE, agevolando la prassi democratica nel sistema politico comunitario.

Laura Grazi (2008)