Hellwig, Fritz

H. (Saarbrücken 1912) dopo la maturità studia filosofia, economia, scienze dello Stato e storia nelle città di Marburgo, Vienna e Berlino. Nel 1933 consegue il dottorato di ricerca, discutendo una tesi sulla politica renana di Napoleone III. Tre anni dopo, nel 1936, ottiene a Heidelberg l’idoneità all’insegnamento, discutendo una ricerca sull’industriale Carl Ferdinand von Stumm-Halberg, anche lui originario del Saarland. Di H. l’economista Ludwig Bernhard dirà: «Non ho mai conosciuto uno storico che capisse così tanto di economia». Dal 1933 al 1939 H. ricopre importanti incarichi direttivi presso la Camera dell’Industria e del Commercio di Saarbrücken, nonché all’interno di alcune organizzazioni di produttori di acciaio. Nel 1943 viene chiamato sotto le armi: milita, sia pure per pochi mesi nella Wehrmacht, prima di cadere prigioniero degli alleati in Italia, presso Volturno. Sempre nel 1943 viene trasferito in un campo di prigionia negli Stati Uniti, a Oklahoma, dove resterà fino al 1947. Al suo rientro in Germania, H. aderisce alla Christlich-demokratische Union (CDU) e diventa membro della Commissione per la politica economica per il Rheinland. Viene subito incaricato di confutare, sul piano scientifico, la ratio del piano di Hervé Alphand, che prevedeva lo smantellamento e il trasferimento degli impianti carbosiderurgici della Saar in Lorena. H. è tra coloro che pensano di risolvere il problema della contesa per le risorse minerarie della Saar su base regionale, nell’ambito di una più ampia logica integrazionista. Una versione corretta e rielaborata della sua analisi del 1947 verrà pubblicata nel 1954 (v. Hellwig, 1954).

H. partecipa, dunque, sin dall’inizio all’elaborazione dei piani per l’europeizzazione dei settori del carbone e dell’acciaio, che culmineranno con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1951. In particolare, la rilevanza del contributo di H. alla determinazione della posizione del governo tedesco nei confronti del Piano Schuman emerge anche da un rapporto da lui redatto il 15 maggio 1950, che verrà sottoposto all’esame della Commissione per la politica economica e del gruppo parlamentare della CDU. Come ulteriore riconoscimento per le sue competenze scientifiche e gestionali, nel 1951 gli viene assegnata la direzione dell’Istituto delle ricerche industriali di Colonia; incarico che ricoprirà fino al 1959.

Eletto al Bundestag nel 1953, nello stesso anno viene nominato dal governo tedesco come rappresentante delegato presso il Consiglio d’Europa. Da qui H. contribuisce al dibattito sul “rilancio europeo” con uno studio sul famoso “rapporto Spaak” (v. Spaak, Paul-Henri), scritto a quattro mani assieme al collega britannico, nonché futuro presidente della Commissione europea, Roy Jenkins, che verrà discusso nel settembre 1956 a Vienna.

Tuttavia, è nel 1959 che la carriera europea di H., nel frattempo diventato membro del Parlamento europeo, segna un momento di svolta, allorché, su designazione di Konrad Adenauer, entra a far parte dell’Alta autorità della CECA. Qui rimane fino all’entrata in vigore del trattato sulla cosiddetta “fusione degli esecutivi”. Nel 1967 ottiene, infine, il posto di vicepresidente della Commissione europea. Si tratta della Commissione presieduta dal belga Jean Rey, nei confronti del quale H. nutre una profonda ammirazione. Negli ultimi tre anni della sua carriera al servizio delle Istituzioni comunitarie, H. presiede il gruppo di lavoro incaricato di preparare i negoziati di adesione del Regno Unito, della Norvegia, della Danimarca e dell’Irlanda. Nel 1970 termina il suo mandato presso la Commissione.

Privo di una spiccata fisionomia politica, H. rientra nella categoria dei cosiddetti “esperti di settore” chiamati a dare corpo e realtà ai Trattati istituivi delle Comunità europee. Allo stesso tempo, H. può essere considerato un fedele interprete del momento sovranazionale, come quando, a partire dall’aprile 1966, si farà portavoce di un’iniziativa per una ristrutturazione interna alla Commissione, allo scopo di salvaguardare il principio di collegialità dinanzi alle crescenti difficoltà dei singoli commissari di spaziare oltre l’ambito dei loro compiti specifici (v. Hellwig, 2004).

Gabriele D’Ottavio (2012)