Il non allineamento militare della Finlandia nell’Unione

Durante la Guerra fredda la Finlandia si dichiarò paese neutrale. Nel 1948 aveva firmato un Tratto di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con l’Unione Sovietica, contenente una clausola in base alla quale nessuno dei firmatari avrebbe aderito a una coalizione diretta contro l’altro. Negli anni Cinquanta la neutralità si cristallizzò nella dottrina finnica in materia di politica estera. La Finlandia cercò di tenersi fuori dallo scontro tra le grandi potenze. Questa politica di neutralità implicava un atteggiamento estremamente cauto nei confronti delle varie organizzazioni dell’Europa occidentale. L’adesione alla Comunità economica europea (CEE) era fuori questione a causa dell’opposizione sovietica, ma la Finlandia non aderì nemmeno all’Associazione europea di libero scambio (European free trade agreement, EFTA) come membro a pieno titolo, firmando invece nel 1961 un trattato speciale (FINEFTA) con i paesi dell’EFTA.

Si affermò l’idea che la Finlandia dovesse restare fuori da una integrazione sovranazionale, rifiutando ogni impegno politico che potesse mettere a repentaglio la sua neutralità (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La Finlandia cercò altresì di stabilire relazioni simmetriche con i due blocchi: gli accordi economici con l’Occidente erano compensati da accordi paralleli con l’Est.

Nel corso del tempo, tuttavia, le implicazioni pratiche della neutralità furono interpretate in misura sempre più ristretta, e di conseguenza un numero crescente di attività internazionali fu considerato compatibile con essa. La partecipazione alle attività in favore della pace delle Nazioni Unite, ad esempio, era molto importante per la Finlandia.

Negli anni Ottanta la Finlandia cominciò ad appoggiarsi in misura crescente all’EFTA, di cui divenne membro a pieno titolo nel 1986. Nel 1989 l’idea di un’Area economica europea (AEE) fu proposta come alternativa alla piena partecipazione alla Comunità Europea per i paesi neutrali dell’EFTA. Si trattava di un modo per combinare le “quattro libertà” (v. Libera circolazione delle persone; Libera circolazione delle merci; Libera circolazione dei capitali; Libera circolazione dei servizi) con il rifiuto di assumere impegni di politica estera. L’idea pertanto sembrò subito promettente per la Finlandia. Con la caduta del Muro di Berlino, nell’autunno del 1990 la Finlandia sottopose a revisione l’interpretazione del Trattato di Parigi e il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza fu rimpiazzato nel 1992 da un Accordo di relazioni di buon vicinato con la Russia. Così come avevano fatto gli altri paesi neutrali dell’EFTA, anche la Finlandia chiese di entrare a far parte della Comunità europea nel 1992, seguendo le orme della vicina Svezia.

All’inizio degli anni Novanta la Finlandia ridefinì la propria condizione di neutralità in termini di “non allineamento militare”, una posizione che implicava una difesa indipendente credibile, ma non comportava la partecipazione ad alcuna alleanza militare. In seguito, sarà adottata la dizione equivalente di “paese non alleato”. Elemento centrale di questa nuova concezione era l’idea che la cooperazione militare con altri paesi fosse possibile, escludendo però le garanzie di mutua difesa. La Finlandia intanto cominciava a impegnarsi nel nuovo schema di cooperazione della NATO-North Atlantic cooperation council (NACC) e Partnership for Peace (PFP) – senza peraltro perseguire l’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Solidarietà e sicurezza ebbero anch’esse un ruolo importante nella campagna referendaria sull’adesione all’Unione europea (UE) (v. Criteri di adesione). Divenne ben presto opinione diffusa che la partecipazione alla UE avrebbe rafforzato la sicurezza del paese, ritenuta più forte di quanto non fosse mai stata in passato.

Nonostante questa ridefinizione, la Commissione europea prestò speciale attenzione al principio del non allineamento militare nella sua valutazione della richiesta di adesione presentata dalla Finlandia. Secondo la Commissione, ciò avrebbe potuto costituire un ostacolo alla piena accettazione della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Si temeva che i paesi ex neutrali potessero indebolire i progetti di una politica estera e di sicurezza comune.

La Finlandia dichiarò la sua disponibilità ad attuare la PESC e a essere un membro attivo e costruttivo. Per rassicurare l’opinione pubblica interna, fu sottolineata la compatibilità tra la PESC e la politica di non allineamento militare: poiché le decisioni in seno alla PESC erano prese con Voto all’unanimità e non sarebbe stata discussa l’ipotesi di una difesa comune, le politiche dell’UE risultavano compatibili con la politica estera finlandese e sarebbero anzi state ad essa complementari.

Come membro della UE, la Finlandia cercò di mostrare il suo profilo attivo in seno alla PESC. Nella prima Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) cui prese parte (1996-7) propose assieme alla Svezia l’inclusione nel Trattato di Amsterdam di compiti di gestione di situazioni di crisi – i cosiddetti “compiti di San Pietroburgo”. Questa iniziativa non era solo un modo di dimostrare attivismo e disponibilità a compiere passi in avanti in questo campo, ma anche una mossa difensiva: molti altri paesi membri dell’UE proponevano un obiettivo assai più ambizioso di fusione tra l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e l’Unione europea. Questo era troppo per gli Stati non allineati. Poiché anche il Regno Unito si opponeva, i due paesi potevano sentirsi abbastanza sicuri, e anzi orgogliosi del traguardo conseguito.

Tuttavia, lo sviluppo della PESC e della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) andava acquistando un ritmo sempre più accelerato. Durante la prima presidenza finnica del Consiglio della UE (v. Presidenza dell’Unione europea), alla fine del 1999, fu definito il cosiddetto “Obiettivo primario di Helsinki”, in base al quale la UE al 2003 avrebbe avuto proprie truppe di intervento ai fini della gestione delle crisi. La Finlandia diede un contributo generoso, destinando infine un contingente di 2000 uomini alle operazioni dell’Unione europea – il massimo che la legislazione finlandese in materia di mantenimento della pace consentiva di inviare simultaneamente all’estero. La Finlandia prese parte alle prime operazioni di gestione delle crisi dell’UE nel 2003, ma non all’operazione nella Repubblica Democratica del Congo, a differenza della vicina Svezia.

Il primo capo del Comitato militare dell’Unione europea fu il generale finlandese Gustav Hägglund. La sua nomina fu interpretata in Finlandia come un riconoscimento dell’eguaglianza tra Stati membri allineati e non allineati all’interno dell’Unione.

Il profilo politico della Finlandia all’interno della PESC può essere caratterizzato dall’insistenza sui seguenti criteri: gestione delle crisi piuttosto che difesa, utilizzo dei mezzi civili a preferenza di quelli militari nella gestione delle crisi, mantenimento di un forte legame con le Nazioni Unite. In base alla legislazione finnica, la partecipazione a un’operazione di pace è possibile solo se vi è un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU, o dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (v. Organizzazione europea per la cooperazione economica). Inoltre, tra le varie questioni politiche i rapporti dell’Unione con la Russia hanno sempre avuto un’importanza centrale per la Finlandia, che partecipò attivamente alla stesura della Strategia comune dell’Unione europea nei confronti della Russia.

In generale, la Finlandia non sottolineava eccessivamente il proprio status di paese non allineato, al fine di non essere esclusa dalla cooperazione, appoggiando altresì il ruolo della NATO nell’Europa del Nord. Tuttavia la Finlandia si dimostrò più riluttante degli altri paesi del Nord a dare pieno appoggio all’obiettivo dell’allargamento della NATO agli Stati baltici.

Nella Convenzione europea, la Finlandia non si oppose agli ulteriori passi preannunciati dal Gruppo di lavoro sulla difesa, anche se questo arrivò a proporre innovazioni di grande portata nella PESD. Era facile per la Finlandia accettare la clausola di solidarietà e l’ampliamento dei compiti di San Pietroburgo, mentre l’idea di compiti di gestione delle crisi più impegnativi, l’inserimento di una clausola di difesa comune e la possibilità di una cooperazione strutturata limitata solo ad alcuni paesi membri risultavano più difficili da accettare. Durante la Conferenza intergovernativa del dicembre 2003 la Finlandia assunse una posizione più decisa e propose – con l’appoggio di Austria, Irlanda e Svezia – una forma emendata della clausola di difesa per il Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Essa avrebbe considerevolmente indebolito l’impegno reciproco e come tale non venne accettato dalla Presidenza. Invece, la clausola di mutua difesa fu modificata al fine di tener conto di diverse posizioni politiche in materia di sicurezza. Tale compromesso, agli occhi del governo finnico, avrebbe consentito alla Finlandia di restare un paese non allineato all’interno dell’Unione.

Nel complesso, il non allineamento della Finlandia è stato assai flessibile. Per il paese, in particolare durante i suoi primi 7-8 anni in qualità di Stato membro, l’attivismo in questo campo è stato importante, e non sono stati presi provvedimenti che avrebbero potuto apparire di ostacolo allo sviluppo di politiche comuni. Con il cambiamento di governo nel 2003 si preannunciava l’emergere un atteggiamento più restrittivo. Il Libro bianco (v. Libri bianchi) sulla difesa del 2004 continuava la linea di non allineamento militare, pur dando maggior risalto alle politiche comuni dell’UE e menzionando l’ingresso nella NATO come una possibilità.

Hanna Ojanen (2009)