Jonas, Hans

J. nacque il 10 maggio 1903 a Mönchengladbach (Nordrhein-Westfalen), secondo di tre figli. Il padre, Gustav Jonas, possedeva una fabbrica tessile; la madre, Rosa, musicista, era figlia del rabbino liberale Jakob Horowitz. Gustav Jonas non era un ebreo ortodosso, essendo, al contrario, favorevole all’assimilazione ebraica alla società civile tedesca. Per molti anni egli rimase alla guida della sezione locale dell’Associazione centrale dei cittadini tedeschi di fede ebraica.

Durante gli anni del liceo J. cominciò ad interessarsi di filosofia, accostandosi a Platone e Kant, mentre a casa lesse avidamente le opere di Schopenhauer, Goethe, Schiller e Kleist che trovava nella biblioteca paterna. Risalgono a questo periodo alcune letture determinanti per la sua formazione culturale – I discorsi sull’ebraismo di Martin Buber, la Fondazione della metafisica dei costumi di Emmanuel Kant e la Bibbia, di cui cominciò a studiare per conto proprio il Pentateuco e i Libri dei Profeti – che risvegliarono il suo interesse per lo studio della filosofia e della teologia.

Nel corso dell’ultimo anno di liceo J. maturò la propria fede sionista. Al giovane J., di carattere risoluto e dinamico e orientato al pragmatismo, fu da subito chiaro come il sionismo si imponesse come compito pratico-politico. A spingerlo in questa direzione furono l’acuta consapevolezza della propria identità ebraica, l’inasprirsi della situazione politica contemporanea e la virulenza e la diffusione generalizzata dell’antisemitismo nel periodo in cui andava crollando il secondo impero tedesco. L’adesione al sionismo e la ferma convinzione che il proprio destino sarebbe stato di trasferirsi e stabilirsi in Palestina (da lui identificata con la propria patria) per poter così collaborare alla fondazione di una nuova comunità ebraica, segnarono una frattura nei confronti delle idee moderate del padre.

Nel gennaio del 1921 J. si iscrisse all’università di Friburgo, attirato dalla fama di Edmund Husserl, di cui ebbe modo di seguire le lezioni nel semestre estivo del 1921. Egli frequentò inoltre il seminario per principianti tenuto dal giovane docente Martin Heidegger.

Desiderando approfondire i propri interessi per le scienze religiose, cosa impossibile per un ebreo in una facoltà teologica come quella di Friburgo, a partire dall’autunno del 1921 J. si trasferì a Berlino, dove frequentò tre semestri accademici alla Scuola superiore per la scienza dell’ebraismo. Frequentò contemporaneamente la Facoltà teologica evangelica dell’Università Friedrich-Wilhelm, dove ebbe occasione di seguire direttamente le lezioni di docenti di spicco, tra cui Hugo Gressmann, Ernst Troeltsch ed Eduard Spranger.

A Berlino J. strinse amicizia con Leo Strauss e con Günther Stern (che in seguito utilizzò lo pseudonimo di Günther Anders), figlio di un accademico amico di Husserl. Inoltre, in quegli anni di crescenti tensioni sociali e politiche, si impegnò nell’associazione sionista Makkabäa e nell’Unione delle associazioni ebraiche (Kartell Jüdischer Verbindungen, KJV). Tuttavia, convinto che la risoluzione della questione ebraica richiedesse la mobilitazione di competenze pratiche, tra il marzo e l’ottobre del 1923 J. lavorò, insieme ad altri ebrei, in una fattoria a Wolfenbüttel, nella Bassa Sassonia, in vista del l’emigrazione in Palestina. Per l’affermazione politica del sionismo, difatti, i mestieri pratico-manuali gli sembravano più utili degli studi filosofici, ai quali però si dedicò nuovamente alla fine di questo periodo.

Così, nell’autunno del 1923, J. fece ritorno all’università di Friburgo, trasferendosi poi all’università di Marburgo per seguire le lezioni di Heidegger, che andava lavorando all’opera che avrebbe segnato una delle principali rivoluzioni filosofiche del XX secolo, Essere e tempo (1927). Pur confrontandosi intensamente con il pensiero di Heidegger, J. prese le distanze dall’atteggiamento di venerazione incondizionata che la cerchia dei discepoli manifestava nei confronti del maestro.

A Marburgo J. conobbe il teologo protestante Rudolf Bultmann, il quale non si rivelò solo un punto di riferimento essenziale per il suo pensiero, ma anche un amico e un modello di comportamento etico nei successivi, difficili anni della guerra. Cosa inusuale per un ebreo, J. decise di frequentare il seminario tenuto da Bultmann sull’esegesi del Nuovo testamento. Qui conobbe un’ebrea diciottenne di Königsberg con la quale avrebbe stretto una delle amicizie più profonde e importanti della propria esistenza: Hannah Arendt. J. si trovò immediatamente in sintonia con l’esegesi e la lettura della Bibbia di Bultmann, che privilegiava il carattere reale e storico-esistenziale della narrazione biblica.

Il 29 febbraio 1928 J. conseguì la laurea con il massimo dei voti discutendo una tesi sul tema della conoscenza di Dio. Dopo la laurea, decise di trascorrere un periodo di studio a Heidelberg, dove collaborò con Karl Jaspers e si interessò alla sociologia grazie agli insegnamenti di Max Weber e di Karl Mannheim. Proseguiva intanto la militanza sionista di J., che prese parte al sedicesimo Congresso del sionismo, tenutosi nell’estate del 1929 a Basilea.

Nel 1930 J. portò a termine due pubblicazioni. La prima era una rielaborazione della tesi di laurea sul concetto di gnosi, per la quale J. trascorse periodi di studio alla Sorbona (inverno 1928-29), a Bonn, a Francoforte sul Meno e a Colonia, dove si trovava all’avvento al potere di Hitler. Il secondo scritto, pubblicato per interessamento di Bultmann e intitolato Agostino e il problema paolino della libertà, era l’approfondimento di un lavoro svolto nell’ambito del seminario tenuto da Heidegger nel 1927 sul concetto di volontà. A partire dal 1933 J. optò per la carriera accademica, lavorando a una dissertazione sulla problematica gnostica per conseguire il titolo di libero docente.

Con l’avvento al potere di Hitler J. si rese conto però che gli era impossibile restare in Germania. La nomina di Heidegger a rettore dell’Università di Friburgo (21 aprile 1933), la sua adesione al partito nazionalsocialista (1° maggio) e il suo discorso rettorale del 27 maggio significarono non solo l’irrimediabile allontanamento dal maestro, ma «il fallimento della filosofia intera», come lo stesso J. ebbe ad affermare. Così, con l’approvazione dei propri genitori e avvalendosi di un visto ottenuto, tra l’altro, grazie al sostegno di Bultmann, nell’estate del 1933 J. lasciò la Germania facendo la solenne promessa di non farvi ritorno se non dopo la “distruzione dell’hitlerismo” ed emigrò a Londra. Qui continuò a intrattenere fitti rapporti epistolari con il proprio paese, anche per via della propria ricerca sulla gnosi, la cui prima parte fu pubblicata nel 1934, ancora una volta per interessamento di Bultmann, con il titolo Gnosi e spirito tardo-antico. A causa dell’espatrio non poté tuttavia sostenere l’esame di abilitazione.

Nel 1935 J. realizzò il proprio sogno di trasferirsi in Palestina. Qui sperimentò direttamente la resistenza araba al programma sionistico di insediamento, cui prese parte attiva aderendo all’organizzazione difensiva Haganah e addestrandosi alle armi. Nel frattempo cercò di avere un insegnamento all’Università ebraica di Gerusalemme, ma vi riuscì solamente tra il 1938 e il 1939. In quegli anni intrattenne rapporti con Hans-Jakob Polotsky, Hans Lewy, Gershom Scholem, Shmuel Sambursky e George Lichtheim, il cui padre era stato cofondatore del sionismo tedesco.

Nel 1937 J. conobbe Eleonore (Lore) Weiner, la cui famiglia, anch’essa ebrea, era emigrata da Regensburg. I due si sarebbero sposati nel 1943. Dall’autunno del 1937 J. soggiornò nell’isola di Rodi per scrivere la seconda parte della sua ricerca sulla gnosi e lo spirito della tarda antichità. Alla morte del padre (7 gennaio 1938), la madre manifestò l’intenzione di raggiungere il figlio in Palestina. Ma per salvare il fratello minore di J., Georg, imprigionato e internato a Dachau durante la “Notte dei cristalli” (9-10 novembre 1938), Rosa rinunziò alla partenza cedendogli il proprio visto. Inutilmente J. tentò di ottenere attraverso le autorità britanniche un altro visto per la madre: nel 1942 Rosa venne internata nel ghetto di Lodz/Litzmannstadt e poi deportata ad Auschwitz, dove trovò la morte.

Allo scoppio della guerra J. si convinse che anche gli ebrei dovessero partecipare attivamente al conflitto. Egli infatti riteneva che l’intera nazione ebraica dovesse condividere la lotta contro il nazismo mediante la costituzione di un’unità combattente da destinarsi al fronte occidentale. La proposta di J. suscitò un animato dibattito, e solo nel settembre del 1944 fu costituito il Jewish brigade group grazie all’intervento della Jewish agency e poi direttamente di Winston Churchill.

Il 7 settembre 1939 J. decise di arruolarsi nell’esercito britannico, ma nessuno dei suoi amici ne condivise la scelta. Effettuò le prime missioni in Palestina, partecipando successivamente a spedizioni in diversi paesi, tra cui Italia, Belgio e Olanda (v. Paesi Bassi).

Alla fine della guerra J. si trovava a Udine, ma il suo impegno di combattente non terminò che nel novembre del 1945. Nel mese di luglio giunse in Germania al seguito della propria unità, realizzando con ciò la promessa fatta a se stesso 12 anni prima.

Tornato in Palestina nel dicembre 1945, lavorò all’Università ebraica di Gerusalemme e all’Istituto di studi superiori del consolato britannico. Il termine del mandato britannico in Palestina, unitamente alla decisione di costituire due Stati, uno arabo e l’altro ebraico, determinò però lo scoppio della guerra. Ancora una volta J. si sentì in dovere di fornire il proprio contributo alla causa israeliana prestando per un altro anno servizio nell’esercito. Nel 1949 vinse una borsa di studio offerta dalla Lady Davis Foundation e si trasferì a Montreal, insegnando alla McGill University di Montreal.

Nel 1950 passò a insegnare filosofia al Carleton College di Ottawa, dove strinse amicizia con lo scienziato e filosofo della biologia Ludwig von Bertalanffy, fondatore della teoria generale dei sistemi. Nello stesso periodo J. ebbe la possibilità di effettuare numerosi viaggi a New York, Chicago e Cincinnati e poté così rivedere vecchi amici (Arendt, Anders, Löwith).

Nel 1952 fu chiamato a insegnare presso l’università di Gerusalemme, ma decise di rifiutare, deludendo l’amico Scholem, che si era adoperato in tal senso e accusò J. di aver tradito il sionismo. Parimenti, J. rifiutò anche un’altra chiamata universitaria, questa volta a Kiel. Non se la sentiva infatti di rientrare in Germania dopo quanto qui era capitato alla madre.

La riflessione filosofica di J. si andava intanto focalizzando sulla nozione di valore, nel tentativo di darne un’interpretazione che non prescindesse dalla centralità della vita organica e del corpo vivente e che mettesse capo ad un’ontologia radicalmente nuova. A questo ambizioso tentativo era dedicata l’opera The phenomenon of life (1966), la cui prima stesura intitolata Organism and freedom veniva terminata già nel 1954.

Nel 1953 J. fu nominato docente di filosofia presso la prestigiosa Graduate faculty of political and social science della New school for social research di New York, incarico che poté però svolgere effettivamente soltanto a partire dal 1955 (e fino al 1976). Qui J. sperimentò un’autentica libertà del pensiero, avendo modo di entrare nel vivo del dibattito socio-politico-culturale statunitense ed europeo, dato il grande numero di esuli ivi confluiti dal vecchio continente. Con i sociologi Karl Mayer ed Albert Salomon, J. sarà incluso dalla generazione di studenti del dopoguerra tra i “tre grandi” della Graduate faculty. Successivamente, insieme a Hannah Arendt, approdata a New York nel 1967, si impegnò a salvaguardare la qualità della ricerca ivi condotta, oltreché il suo carattere interdisciplinare orientato alle scienze sociali. J. ebbe intensi rapporti con altri docenti della scuola, tra cui Alfred Schütz, Leo Strauss, Adolph Löwe, Aron Gurwitsch e Paul Tillich. Frequentò inoltre gli studiosi della scuola di Göttingen emigrati anch’essi negli Stati Uniti. Nel 1959, a seguito del conferimento di una borsa di studio della John Simon Guggenheim memorial foundation di New York, trascorse un anno sabbatico a Monaco e tenne una serie di conferenze in Germania.

L’amicizia di J. con Hannah Arendt entrò in crisi allorché questa pubblicò il celebre volume La banalità del male (1963) sul processo ad Adolf Eichmann a Gerusalemme, nel quale si esprimeva una posizione critica verso il comportamento di alcuni gruppi ebraici (ad esempio, dei consigli ebraici dei ghetti), che venivano addirittura ritenuti in certo modo corresponsabili della Shoah. Di parere ovviamente opposto era J., il quale ruppe pertanto i rapporti con l’amica. Solo grazie alla profondità del legame e alla mediazione di Lore Jonas i due si poterono riconciliare.

Intanto nell’aprile del 1964 J. era stato invitato a tenere la relazione inaugurale di un convegno internazionale alla Drew university del New Jersey, dedicato all’influsso della filosofia del tardo Heidegger sulla teologia protestante. La scelta era ricaduta su J. in quanto egli aveva vissuto a Marburgo, in qualità di allievo di Heidegger, l’importante stagione del rapporto tra filosofia heideggeriana e teologia protestante bultmanniana. Inaspettatamente, J. presentò una relazione particolarmente critica nei confronti del maestro, in particolare dell’ultima fase del suo pensiero. Il tardo Heidegger secondo J. aveva smarrito la fondamentale e concreta dimensione pratica dell’esistere umano, approdando a un rassegnato indifferentismo etico in cui J. identificava la radice profonda dell’adesione al nazismo del filosofo.

Proseguiva intanto l’impegno culturale pubblico di J. negli Stati Uniti. Nel 1969 fu tra i soci fondatori del centro interdisciplinare The Hastings center on Hudson (Garrison, New York). A partire dal 1967 aveva cominciato a occuparsi di questioni di bioetica, quali la morte cerebrale e i trapianti d’organi. Nel 1971, 1976 e 1977 intervenne in comitati etici del Senato americano e dello Stato della California su questioni di genetica (ad esempio la manipolazione del DNA) e sulla relazione tra sapere scientifico e interesse pubblico.

Negli anni successivi videro la luce Il principio responsabilità (1979) e Tecnica, medicina ed etica (1985), in cui partendo dal riconoscimento del rapporto di dipendenza dell’uomo dalla tecnologia, J. intendeva proporre un’etica fondata sulla responsabilità nei confronti del vivente, indicata come principio guida anche per l’azione politica. Il principio responsabilità, che ebbe vasta eco, affrontava questioni delicate, quali la sostenibilità dello sviluppo tecnologico umano, il pericolo rappresentato dalle utopie politiche, la ricerca di un fondamento per un’etica planetaria, la necessità che la politica tornasse ad assumersi la responsabilità di guidare l’umanità.

La Repubblica Federale Tedesca (RFT), all’epoca impegnata nell’Ostpolitik di avvicinamento e conciliazione con la Repubblica Democratica Tedesca, non poteva non interpretare con favore la veemenza con cui J. si scagliava contro il sistema capitalistico, esprimendo invece un giudizio meno critico nei confronti della pianificazione economica (J. successivamente ritrattò questo preciso punto). Tuttavia, il nucleo di maggior interesse dell’opera consisteva, per ammissione dello stesso Helmut Schmidt, all’epoca cancelliere della RFT, nel coraggio con cui J. andava contro tendenza a proposito di questioni quali i diritti individuali. Con ciò J. non intendeva negare la libertà dell’individuo, quanto piuttosto affermare che all’umanità nel suo complesso si pone il dovere di autolimitare il proprio potere e di adottare un principio etico precauzionale, al fine di non lasciare alle generazioni future problemi per loro letali o troppo ardui da risolvere. Alla questione, caratteristica dell’odierno mondo globalizzato, della “dispersione di sovranità”, affrontata da J. dal punto di vista ecologico-etico-politico, egli forniva una risposta che pareva non discostarsi molto dall’idea, attualmente al centro del dibattito politico-istituzionale europeo, che fosse necessario procedere in direzione dell’autolimitazione del potere degli Stati membri.

A partire dagli anni Ottanta J. ottenne il pubblico riconoscimento del proprio impegno di uomo di cultura. Tra il 1982 e il 1983 venne nominato primo Eric-Voegelin-Gastprofessur presso l’Università Ludwig-Maximilian di Monaco. Nel 1984 ottenne il Premio Leopold Lukas della Facoltà teologica evangelica dell’Università Eberhard-Karl di Tubinga. In occasione della premiazione tenne il discorso sul tema Il concetto di Dio dopo Auschwitz, in cui affermava che un evento come Auschwitz esige una profonda rivisitazione del concetto stesso di Dio.

L’11 ottobre 1987 J. ricevette il prestigioso Premio per la pace degli editori tedeschi per aver contribuito a porre la questione politica della gestione dell’allargamento del campo dell’azione umana, all’approfondimento del pensiero sulla vita e sulla sopravvivenza dell’uomo e della natura, e all’individuazione di una nuova dimensione della responsabilità.

Tra i riconoscimenti ricevuti spiccano, in questi stessi anni, la Gran croce al merito della Repubblica Federale Tedesca, la laurea honoris causa presso l’Università di Konstanz (2 luglio 1991) e la libera Università di Berlino (11 giugno 1992) e il premio Nonino (30 gennaio 1993).

J. morì il 5 febbraio a New Rochelle, e venne sepolto nel settore ebraico del cimitero ecumenico di Hastings, New York.

Sebbene J. non possa essere annoverato tra gli artefici diretti dell’integrazione europea (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), ebbe comunque il merito di apportare, soprattutto con Il principio responsabilità e Tecnica, medicina ed etica, un contributo determinante alla riflessione socio-politica e filosofico-culturale in direzione di un ripensamento del concetto di responsabilità: contributo che nell’ambito politico-istituzionale europeo per certi versi è già stato recepito, mentre per altri resta una sfida aperta e stimolante.

Roberto Franzini Tibaldeo (2010)