Jospin, Lionel

J. (Meudon, Hauts-de-Seine 1937), secondogenito di quattro fratelli, trascorse l’infanzia nella regione parigina, a eccezione di una parentesi durante l’occupazione tedesca. Anche il padre Robert, nato nel 1889 e morto nel 1990, si era occupato di politica; membro della Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO) dal 1924, si era presentato alle elezioni legislative del 1936 nell’Indre. Durante l’occupazione tedesca, aveva aderito alla Ligue de la pensée française, un movimento pétainista di sinistra. Nel 1944 Robert aveva accettato di essere nominato consigliere municipale di Meudon e per questa ragione, dopo il 1945, era stato escluso per dieci anni dalla SFIO. Ma in seguito era rientrato nell’organizzazione per occupare la carica di segretario generale in Seine-et-Marne. Pacifista convinto, amico di René Dumont, il pioniere dell’ecologia politica, Robert proveniva da una famiglia protestante e aveva ricevuto un’educazione “rigorista”, come sua moglie Mireille Dandieu, ostetrica, poi infermiera e infine assistente sociale nell’Educazione nazionale.

Nel 1956 J. si presenta al concorso di ammissione all’Institut d’études politiques, dove si diplomerà nel 1959. I fatti di Suez e di Budapest influenzeranno profondamente il corso della sua vita. Comincia a militare nell’Union nationale des étudiants de France (UNEF) e si impegna contro la guerra di Algeria; nel 1960, aderisce al Parti socialiste unifié (PSU). Nel novembre 1961 supera il concorso per l’ammissione all’École nationale d’administration (ENA). Fa quindi il servizio militare a Treviri e frequenta la Scuola ufficiali di riserva a Saumur; raggiunge poi la Germania come sottotenente in un reggimento di blindati.

Dopo l’ENA, dove uno dei suoi compagni di corso è Ernest-Antoine Sellières, entra, nel 1963, al Quai d’Orsay come segretario agli Affari esteri. Due anni più tardi è assegnato alla Direzione degli Affari economici, nel servizio per la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo. Quest’incarico lo porta a viaggiare in tutto il mondo.

Alla fine degli anni Sessanta il fratello Olivier lo mette in contatto con l’Organizzazione comunista internazionale (OCI), struttura clandestina nata da una scissione della IV Internazionale socialista che ricalca per tipo di organizzazione e funzionamento una struttura tipica della Resistenza (segretezza permanente, sorveglianza dei militanti, controllo della purezza del pensiero, finanziamento in liquidi, nome di battaglia per ogni membro, addestramento di diversi mesi). Alla testa del gruppo di matrice trockijsta, i cui membri sono per la maggior parte insegnanti, c’è Pierre Bossel, detto Pierre Lambert, con cui J. afferma di aver rotto politicamente nel 1982, e sul piano dell’amicizia personale quattro anni dopo. A contatto con Bossel J. perfeziona la sua formazione politica, intellettuale e personale tanto che, secondo Elisabeth Dannenmuller, «il trozkismo è la sua scuola domenicale». Fino al 1999, questo passato trockijsta viene taciuto e, quando emergono le prime testimonianze, J., all’epoca primo ministro, nega tutto, adducendo a pretesto una supposta confusione con il fratello Olivier, ma più tardi riconosce i suoi legami con l’OCI. A posteriori, alcuni hanno voluto trovare in questa esperienza la spiegazione per lo scarso interesse dimostrato da J. verso la costruzione europea.

Nel 1969, qualche mese dopo i movimenti di protesta del maggio 1968, J. rinuncia alla carriera di alto funzionario e diplomatico che gli si apre davanti e per undici anni è docente di Economia all’Università Parigi-XI a Sceaux, dove dirige l’Institut de technologie. Nel 1971, sotto l’influenza di Pierre Joxe, aderisce al Partito socialista (PS), rifondato da François Mitterrand a Epinay. Entra a far parte, come responsabile delle relazioni Est-Ovest, del gruppo di esperti che lavora a fianco del primo segretario. È il momento in cui i socialisti francesi elaborano il nuovo messaggio europeo del partito nel quadro del programma “Changer la vie”, in cui affermano il loro attaccamento a un’Europa democratica e sociale. L’attuazione di questo tipo di Europa presuppone, ai loro occhi, l’armonizzazione delle legislazioni nazionali. Secondo il Partito socialista francese, la Comunità deve essere per l’Europa il mezzo per affermarsi sulla scena internazionale, in particolare nei confronti dell’egemonia economica degli Stati Uniti, e tale concezione subirà solo alcune modifiche congiunturali nei tre decenni successivi. Si può affermare che J. aderisca ufficialmente alle posizioni del Partito socialista sulla questione europea, ma che, in fondo, essa non gli stia particolarmente a cuore.

Numero due del Partito socialista, nel 1975, diventa segretario nazionale per il Terzo mondo e nel 1979, l’ex funzionario del Quai d’Orsay è responsabile per il partito delle relazioni estere e frequenta Willy Brandt, Olof Palme e Bruno Kreisky.

Militante nel XV arrondissement, membro del “gruppo del XVIII”, al quale appartengono anche Daniel Vaillant e Bertrand Delanoë, J. approfitta, nel 1977, dell’“onda rosa” delle elezioni municipali. La fedeltà di J. a Mitterrand, con il quale condivide anche la visione di un’Europa costituita da Stati nazione, viene ripagata, il 24 gennaio 1981, con l’elezione di J., durante il Congresso straordinario di Metz che designa Mitterrand candidato alle elezioni presidenziali, primo segretario del Partito socialista. Alle successive elezioni legislative è eletto deputato, nel XVIII arrondissement parigino e, ben presto, guida la lista socialista alle elezioni europee. In questa occasione, il giovane dirigente elabora la sua prima autentica analisi della questione europea. Da candidato socialista auspica una campagna sul campo e opta per l’organizzazione di quindici meeting interregionali da svolgersi fra il 15 maggio e il 15 giugno.

Il manifesto del Partito socialista, pubblicato nell’aprile 1984, si richiama all’attaccamento del partito alla Comunità europea (v. anche Comunità economica europea) e traccia il quadro di una crisi che richiede un rilancio. «Esso passa innanzitutto attraverso la lotta per l’occupazione e, più precisamente, un rilancio economico europeo concertato, l’attuazione di una politica industriale e della ricerca, di una strategia energetica, di una reale politica regionale […], una protezione rafforzata del Mercato comune e un’accresciuta cooperazione monetaria […]. Bisogna lanciare l’Europa delle libertà, della cultura e dell’istruzione». I socialisti rifiutano qualsiasi evoluzione istituzionale che sia sinonimo di prospettive a lungo termine e si limitano a ribadire la necessità di applicare il Trattato di Roma (v. Trattati di Roma). Il 17 giugno 1984, il risultato del Partito socialista alle elezioni europee è inferiore a quello del 1979 (v. anche Elezioni dirette del Parlamento europeo).

Due anni dopo, nel marzo 1986, le elezioni legislative segnano il ritorno della destra. Eletto a Parigi, a settembre J. è sollecitato dalla federazione della Haute-Garonne a candidarsi per un’elezione legislativa parziale che si preannuncia difficile. È eletto deputato della VII circoscrizione e due anni più tardi consigliere generale del cantone di Cintegabelle, nello stesso dipartimento. Rinuncia quindi ai suoi mandati parigini e si radica nella provincia, una tappa quasi obbligata nella carriera degli uomini politici francesi che abbiano vocazioni presidenziali.

L’uomo forte di Cintegabelle resta primo segretario del PS fino alla nomina a ministro dell’Educazione nazionale, della gioventù e dello sport, nel maggio 1988, all’interno del governo Michel Rocard. Per quattro anni porta avanti un’ambiziosa politica di riforme che investe tutti i livelli dell’insegnamento. Per rivalorizzare la condizione degli insegnanti e la loro formazione, il ministro modifica i programmi, istituisce nella scuola materna e primaria i cicli di tirocinio, rilancia la politica delle “zone di educazione prioritaria” e quella del decentramento, che si esprime nella concessione di maggiori poteri ai consigli scolastici. Avvia la riforma dei licei e promuove il piano “Université 2000”. In un paese con due milioni di giovani scolarizzati, in cui ogni ministro dell’Educazione vuole legare il proprio nome a una riforma “decisiva”, l’azione di J. appare un successo. Per quanto riguarda le misure a favore della diffusione della conoscenza dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) tra i giovani, esse sono limitate all’avviamento alle lingue straniere nell’insegnamento primario e allo sviluppo degli scambi universitari.

J. si dimette dal suo ministero nel 1992. Le elezioni del 1993 segnano il regresso della sinistra francese, confermato l’anno seguente dalle consultazioni europee. J. abbandona il comitato direttivo e l’esecutivo del PS e per due anni si adopera per animare e promuovere le Assises de la transformation sociale lanciate da Michel Rocard. Questi forum forniscono agli uomini politici, ai sindacalisti e ai movimenti associativi di sinistra di diverse sensibilità, l’opportunità di discutere i problemi di base della società francese.

Il 4 gennaio 1995, l’ex primo segretario riprende servizio nel partito e annuncia, di fronte al direttivo nazionale, la sua candidatura alle elezioni presidenziali e, un mese dopo, viene ufficialmente designato dal Congresso straordinario. Nelle sue dichiarazioni, il candidato J. ribadisce la propria adesione a un’Europa sociale. «La moneta unica non diverrà un ostacolo a politiche sociali avanzate. Ritengo che, al contrario, ci darà nuovi margini di manovra. In questo contesto c’è anche un costo della non-Europa […]. L’instabilità monetaria è sempre un rischio per i più deboli. Fra Stati e anche all’interno di ciascuno Stato». Queste considerazioni pubblicate nella rivista “Politics”, il 23 marzo 1995, sono sintomatiche delle convinzioni di J. e del suo modo di esprimersi in quel periodo. La sua visione è universalista e umanistica, il suo approccio è tecnico, spesso difensivo. A proposito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, J., divenuto primo ministro, si oppone all’eventuale menzione dell’“eredità religiosa”: «Il riferimento all’ispirazione religiosa dell’Unione […] solleverebbe per la Francia difficoltà di ordine costituzionale e metterebbe in discussione il carattere universale dei valori e dei diritti». Il politico, di cui la stampa ricorda regolarmente l’educazione protestante per fustigare il suo orgoglio o ammirarne il rigore, si professa «laico ma allo stesso tempo sensibile al fattore religioso».

Seppur in testa al primo turno delle elezioni presidenziali con il 23,3% dei voti, alla fine, il 7 maggio 1995, ottiene solo il 47,3% dei suffragi; si tratta comunque di una sconfitta onorevole.

Tornato alla direzione del PS, lo porta alla vittoria alle elezioni comunali e comincia a rinnovarlo dall’interno, concedendo ai militanti maggiori strumenti di partecipazione. Nell’autunno seguente un movimento sociale mobilita i francesi contro i provvedimenti del governo di Alain Juppé. Le manifestazioni di novembre e dicembre preludono a un’opposizione che sfocerà, nell’aprile 1997, nello scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte del Presidente della Repubblica Jacques Chirac. Le elezioni legislative anticipate segnano il trionfo della sinistra e, il 2 giugno, J. è chiamato a formare il nuovo governo. Inaugura un nuovo modo di governare: il suo metodo dà grande spazio al discorso sull’etica e alle relazioni contrattuali fra i concittadini e il governo del quale è capo. Impone lo stile di un uomo che lavora per riformare il paese in modo duraturo. Il bilancio riportato dal periodico “Challenges”, il 2 maggio 2003, è eloquente: il governo J. è riuscito a conciliare progresso economico (ripresa della crescita) e progresso sociale (copertura malattie universale, 35 ore lavorative, ecc.), 900.000 disoccupati hanno ricominciato a lavorare, 4,8 milioni di persone hanno accesso alla copertura malattie, 650.000 al sussidio personalizzato di autonomia, 390.000 al sussidio di solidarietà specifico, per non parlare della creazione degli emplois-jeunes (occupazione per i giovani). Quanto alle riforme della società, la Francia deve a questo governo il cosiddetto PACS (Pacte civil de solidarité) e il congedo per paternità.

Il 20 febbraio 2002 – la data non è casuale – J. annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali, pensando di prendersi una rivincita su Chirac. Nel corso della campagna elettorale torna sul suo “desiderio d’Europa”, proponendo l’adozione di una carta d’identità comunitaria che presenti una facciata nazionale e una europea, sul modello delle monete dell’Euro. Avanza anche la proposta di collegare direttamente il ministro degli Affari europei al primo ministro, in modo da potenziarne il ruolo.

Il 21 aprile 2002 le sue ambizioni presidenziali muoiono definitivamente. Il leader dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen lo scalza per il secondo turno. Dopo aver conosciuto i risultati (ottiene il 16,18% dei suffragi, Le Pen il 16, 86%), Jospin, ancora primo ministro in carica, annuncia il suo ritiro definitivo dalla vita politica. Questo gesto suscita l’ammirazione di coloro che vi scorgono un segnale di dignità e di maturità, mentre altri lo considerano un tradimento, ritenendo che un leader debba condividere fino all’ultimo le prove difficili con il proprio campo politico. Nell’autunno 2002, il militante J. fa ritorno alla sezione parigina del PS nel XVIII arrondissement. Ormai si propone solo di “essere utile”, dando sostegno sul campo ai candidati socialisti durante le campagne e usando la propria autorità morale in una serie di lunghi articoli pubblicati da “Le Monde”, in particolare sull’avvenire delle relazioni franco-americane.

Il contributo più autentico di J. nel campo dell’europeismo è esposto in un discorso, pronunciato il 28 maggio 2001, in cui il primo ministro invita i francesi a discutere dell’avvenire dell’Unione europea, in conformità con la decisione presa dai capi di Stato e di governo riuniti a Nizza nel 2000: «L’Europa è innanzitutto un progetto politico, un “contenuto” prima di essere un “contenitore”. L’Europa non è fatta solo di regolamenti, direttive e contenziosi. È innanzitutto un’opera dello spirito, un modello di società, una visione del mondo. L’idea europea iscritta nella realtà: ecco quel che conta per me. L’Europa che amo, quella che voglio costruire con tanti altri, ha un progetto di società, una visione del mondo, un’architettura politica». Se le parole di questa sintesi esprimono maggior convinzione rispetto al passato, nondimeno non si può negare che J. abbia rifiutato l’idea di un vero Stato federale europeo (v. anche Federalismo). Senza dubbio perché nella sua mentalità un simile esito avrebbe consacrato la vittoria della concezione tedesca nell’organizzazione comunitaria. Diviso fra le sue ascendenze nazionaliste e pacifiste, da un lato, e la sua visione internazionale e umanistica, dall’altro, J., come uomo di Stato, ha fondamentalmente trascurato il progetto europeo.

Fabrice D’Almeida (2006)