Kohnstamm, Max

K. (Amsterdam 1914), storico e diplomatico olandese, segretario generale dell’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e attivo collaboratore di Jean Monnet nell’ambito del Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa, è considerato uno dei padri fondatori dell’Unione europea.

Penultimo dei sei figli di Philip Abraham – professore di termodinamica all’Università di Amsterdam nonché filosofo, teologo e pedagogo – e di Johanna Hermana Kessler, K. trascorse la sua infanzia in un contesto estremamente stimolante sotto il profilo intellettuale, la casa paterna essendo cenacolo illustre, variamente frequentato da studiosi del calibro di Paul Ehrenfest e Albert Einstein.

Dopo il diploma, nel 1933, si iscrisse al corso di laurea in storia moderna all’Università di Amsterdam. Tra l’ottobre del 1938 e l’agosto del 1939, con una borsa di studio annuale – cosa eccezionale per l’epoca – si trasferì in America, all’American University di Washington, per approfondire gli studi sulle dinamiche del New Deal. Il soggiorno oltreoceano fu un periodo di importante evoluzione personale e intellettuale per K. Non solo perché il giovane studioso ebbe l’opportunità di osservare da vicino la realtà americana negli anni della depressione, nonché di essere testimone delle grandi trasformazioni dell’epoca di Franklin Delano Roosevelt, ma anche e soprattutto perché quell’esperienza veicolò l’interesse del futuro segretario dell’Alta autorità della CECA per il sistema federale statunitense, con conseguenze significative per la maturazione del suo pensiero politico (v. anche Federalismo).

Tornato in Europa, nel 1940, e sostenuto l’ultimo esame all’Università di Amsterdam, il neodottore in storia moderna assisteva all’invasione del territorio nazionale da parte delle truppe tedesche. Profondamente scosso e amareggiato, reagì fondando la Nederlandse Studenten Federatie (NSF), movimento studentesco espressamente finalizzato a coordinare l’opposizione all’occupazione nazista. In tale contesto, nel novembre del 1940, K. organizzava una violenta azione di protesta contro la sospensione dei professori ebrei titolari di cattedre presso gli atenei olandesi. Una manifestazione clamorosa di insubordinazione di fronte alla quale le autorità occupanti non potevano certo restare impassibili. Lo stesso leader del NSF comprese che il suo destino era già scritto, considerate altresì le origini ebraiche del padre. Difatti, all’inizio del 1942, veniva arrestato e deportato nel campo di concentramento di Amersfoort. Si trattò, in realtà, di un primo monito delle forze del Reich nei confronti dell’intellettuale olandese, diretto a frenarne rapidamente le intemperanze. Non si spiegherebbe altrimenti, del resto, la sua tempestiva liberazione, avvenuta il 20 aprile dello stesso anno, in occasione del compleanno di Adolf Hitler. Tuttavia, l’aggravarsi delle tensioni interne, nonché l’inasprimento delle misure di repressione adottate nei confronti degli oppositori dall’amministrazione civile nazionalsocialista, determinarono un secondo arresto di K., cui fecero seguito due anni di detenzione, consumati successivamente nei campi di prigionia di Haaren e di Sint-Michielsgestel. Fu un momento essenziale per la formazione della coscienza europeista del giovane storico, giacché egli si ritrovò a condividere il peso della reclusione con l’élite del pensiero federalista olandese, cioè con personalità del calibro di Hendrik Brugmans e Johannes Linthorst Homan, per citare soltanto i nomi più noti. In tale contesto, K. iniziò una riflessione sistematica sulla prevenzione dei conflitti e sul riassetto dei rapporti intereuropei, plasmando, in sostanza, quel sostrato concettuale sul quale avrebbe fondato, di lì a qualche anno, la sua adesione al progetto monnetiano.

Nel settembre del 1944, la liberazione del Brabante settentrionale da parte degli eserciti alleati pose fine alla prigionia di K. e contestualmente aprì la parentesi più significativa della sua vicenda professionale e intellettuale, tra partecipazione attiva alla vita politica postbellica dei Paesi Bassi e impegno nella causa dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Nominato dalla regina Wihelmina, nel maggio del 1945 suo segretario particolare, funzione che avrebbe ricoperto fino al 1948, il vivace storico di Amsterdam si avvicinò progressivamente all’ambiente diplomatico nazionale, imparando a destreggiarsi con crescente disinvoltura nelle stanze della concertazione sulla politica estera dell’Aia. In particolare, intraprese una duratura e proficua collaborazione con Hans M. Hirschfeld – commissario del governo olandese per il Piano Marshall e per i rapporti con la Germania – cui fece seguito la nomina a direttore del Bureau Duitsland (sezione “Germania”), presso il ministero degli Esteri.

Persuaso, già dai tempi di Haaren e Sint-Michielsgestel, che l’assetto dell’Europa postbellica si dovesse ricostruire sulla garanzia della partecipazione tedesca al nuovo ordine interstatale – convinzione che aveva avuto modo di rafforzare nel 1947, nel corso di un viaggio attraverso le città della Germania devastate dalla guerra – nel 1948 K. sostenne a gran voce la membership tedesca nell’ambito dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Relativamente ai rapporti tra Bonn e l’Aia, altresì, incaricato da Hirschfeld di stendere una relazione per il ministero degli Esteri (la cosiddetta “Nota Hirschfeld”) sulla ridefinizione del dialogo commerciale tra Olanda e Germania, il direttore del Bureau Duitsland ribadì a più riprese la necessità di ricostituire uno Stato tedesco economicamente forte e dotato di un apparato politico e militare autonomo. Al fondo di tali asserzioni stavano ragioni concrete e ponderate. In primo luogo, sotto il profilo economico-commerciale, la consapevolezza dell’interdipendenza oggettiva tra la ricostruzione economica olandese e il ripristino della funzionalità del mercato tedesco. In secondo luogo, sul piano più prettamente politico-strategico, la convinzione che la presenza di un vicino orientale smilitarizzato e soggetto al controllo di potenze esterne avrebbe prodotto, giocoforza, effetti destabilizzanti anche nei Paesi Bassi.

Nonostante le decise rimostranze dell’Aia alla Nota Hirschfeld, la lungimiranza del messaggio conclusivo, ivi contenuto, non poteva certo essere ignorata, se non altro dalla frangia più lucida della dirigenza olandese. In effetti, a seguito di un’attenta analisi della situazione continentale – dalla quale emergeva un’Europa imbrigliata in un circolo vizioso, stretta tra la necessità di favorire la vitalità dell’economia tedesca e altresì timorosa dei possibili eccessi del “gigante” risorto – K., peraltro in sintonia con l’invito del generale Marshall (v. Marshall, George Catlett), indicava esplicitamente la via della cooperazione quale tappa obbligata per uscire dall’impasse.

Non a caso, all’indomani della pubblicazione della Nota Hirschfeld, anche al di fuori degli uffici del Ministerie van Buitenlandse Zaken (il ministero degli Esteri olandese) si cominciò a prestare attenzione alla perspicacia e all’originalità della riflessione del giovane direttore della direzione “Europa”, incarico che K. aveva assunto a partire dal 1949. Soprattutto al ministero dell’Economia, il direttore della sezione “Commercio estero”, il preclaro diplomatico Dirk Spierenburg, nonché Joseph M.C. Teppema, eccellente economista, avviarono una consuetudine di rapporti sempre più amichevole con K. La comunione di interessi si fondava essenzialmente sul problema europeo, in particolare sulla condivisa percezione dell’inevitabilità della soluzione cooperativa. L’abitazione di K., a Wassenaar, divenne pertanto salotto privilegiato per un vivace confronto intellettuale, che gradualmente coinvolse altre personalità di indiscusso rilievo, da Ernst H. Van der Beugel, funzionario degli Esteri, a Frans A.G. Keesing, dirigente al ministero delle Finanze, al futuro premio Nobel per l’economia Jan Tinbergen, allo stesso ministro dell’Agricoltura Sicco Mansholt.

Allorché, il 9 maggio del 1950, la Dichiarazione Schuman (v. anche Piano Schuman) irruppe al centro della scena europea, potente catalizzatore dell’attenzione dei governi continentali, K. si trovava a Londra per assistere, in qualità di osservatore del Benelux, ad un incontro tra Ernest Bevin, Robert Schuman e Dean Acheson sul futuro della Repubblica Federale Tedesca (RFT). Nell’ottica del diplomatico dei Paesi Bassi la proposta del ministro degli Esteri francese sembrava recepire e precisare tutti i contenuti della Nota Hirschfeld, giacché prospettava la configurazione di un nuovo sistema economico europeo, comprensivo della Germania e fondato sul principio della cooperazione interstatale nei settori portanti dell’economia dell’epoca, il carbone e l’acciaio. Senza contare, inoltre, l’inedita fisionomia istituzionale delineata nella Dichiarazione, con un’Alta autorità sovranazionale e garante dell’interesse collettivo. K. realizzò immediatamente che nelle affermazioni di Schuman era iscritta la risposta “rivoluzionaria” all’annosa questione della conflittualità intereuropea, nonché la via da percorrere per uscire dal circolo vizioso creatosi attorno al problema della rinascita economica e politica tedesca.

K. decise pertanto di partecipare in prima persona alle trattative a Sei sul piano del Quai d’Orsay. Ottenuto l’incarico dall’Aia, si recò quindi a Parigi, al seguito della delegazione guidata dall’amico Dirk Spierenburg, apprestandosi all’evento che avrebbe cambiato radicalmente la sua vicenda umana, intellettuale e professionale: l’incontro con Jean Monnet. Personalità affatto dissimili, K. e Monnet condividevano l’approccio pragmatico alle grandi problematiche europee e internazionali, nonché la consapevolezza di essere interpreti e testimoni della costruzione di un nuovo ciclo della storia continentale. Dall’intesa immediata, evidenziatasi già al tavolo negoziale della capitale francese, derivò un’amicizia profonda e una collaborazione durevole e feconda.

Già nel 1952, infatti, istituita l’Alta autorità, la cui presidenza veniva significativamente affidata al padre spirituale del Piano Schuman, Monnet chiamava il funzionario olandese a ricoprire il ruolo di segretario generale dell’organo sovranazionale. In tale contesto, il presidente transalpino ebbe l’opportunità di constatare ulteriormente e più da vicino la validità dell’operato di K., sempre indirizzato a sostenere e a rafforzare la costruzione dell’edificio comune europeo. Un apporto tanto più prezioso per l’uomo di Cognac allorché, naufragato nel 1954 il progetto della Comunità europea di difesa (CED), si trattò di intraprendere una nuova battaglia per il rilancio dell’integrazione europea. E di fatto, istituito il 13 ottobre 1955 il Comité d’action pour les États-unis d’Europe (v. Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa) – composto da leader politici e sindacali impegnati nella promozione ad ampio raggio del progetto comunitario – Monnet designava prontamente K. alla vicepresidenza dell’organizzazione. Dotato di eccezionale talento politico, nonché di spiccate qualità diplomatiche, l’intellettuale olandese – che rimase in carica fino alla dissoluzione del Comitato, nel 1975 – fungeva essenzialmente da collante tra i componenti dell’eterogenea compagine, anche e soprattutto nei periodi di assenza del presidente, incoraggiando alla coerenza negli obiettivi e alla fedeltà all’indirizzo monnetiano. E certo fu anche in virtù dell’efficace e sistematico impegno dello storico di Amsterdam se, in breve tempo, l’organizzazione si configurò come eccellente canale di comunicazione tra l’opinione pubblica europea e le Istituzioni comunitarie, riuscendo altresì a influenzare il corso dell’integrazione.

Nell’ottobre del 1956, l’ex segretario generale dell’Alta autorità, il quale, pur essendosi formalmente congedato dal suo ruolo, continuava a mantenere importanti contatti con i membri dell’istituzione lussemburghese, si vedeva attribuire il segretariato generale del “Comitato dei tre saggi” (Franz Etzel, Louis Armand e Francesco Giordani), cioè di quel gruppo di esperti, istituito dal segretariato della Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) per il Mercato comune (MEC) (v. Comunità economica europea) e la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), incaricato di individuare le potenzialità e i metodi di produzione dell’energia atomica nei paesi membri della CECA. L’esperienza maturata all’interno di tale corpo collettivo schiuse a K. le porte di un nuovo, delicatissimo, ambito di interesse e di azione. Dal 1957 al 1960, difatti, nel quadro dell’accordo di cooperazione tra i Sei e gli Stati Uniti nel campo dell’energia nucleare – del quale il rapporto pubblicato dai “tre saggi”, nel maggio del 1957, aveva costituito il documento fondativo – il braccio destro di Monnet si ritrovò successivamente a partecipare, come delegato sia dell’Alta autorità, sia della Commissione Euratom (v. anche Commissione europea), a trattative ufficiali e gruppi di studio per l’approfondimento e il perfezionamento della collaborazione euro-statunitense nel terreno dell’energia atomica. In tale contesto, l’attivissimo funzionario olandese, che condivideva ampiamente l’aspirazione monnetiana a rinsaldare i legami del vecchio continente con il grande fratello americano, non esitò a ricorrere alla propria perizia diplomatica, non meno che allo zelo propositivo, per conseguire risultati importanti in direzione di una progressiva equal partnership Europa-USA.

Nel gennaio del 1959, dopo aver trascorso diverso tempo lontano dal territorio continentale a causa il fitto giro di incontri diplomatici e riunioni di esperti cui fu chiamato a partecipare in qualità di rappresentante dell’Euratom, K. si trasferì a Bruxelles, insieme alla famiglia, tornando a dedicarsi con maggiore regolarità alle attività del Comitato d’azione. Approdato nella capitale belga, fu nominato presidente dell’Istituto della Comunità europea per gli studi universitari – polo di formazione che lo stesso storico olandese, insieme a Jean Monnet e ad altre personalità di elevatissimo spessore sulla scena comunitaria, quali Walter Hallstein e Étienne Hirsch – aveva contribuito a creare nel 1958. Di là dalle aspettative dei cofondatori, i quali miravano a suscitare l’interesse del mondo accademico per le tematiche dell’integrazione europea, l’Istituto non registrò risultati apprezzabili, limitandosi prevalentemente a fungere da interfaccia tra le istituzioni di Bruxelles e il Comitato d’azione.

Il ventennio 1960-1980 vide K. impegnato su più fronti, sia pure con l’intento univoco di rafforzare la coesione interna ed estendere i confini della Comunità. Nel 1961, infatti, allorché la Regno Unito di Harold Macmillan presentò la prima candidatura alla Comunità economica europea (CEE), agiva da interprete delle istanze comunitarie presso il governo di Londra, con l’obiettivo di persuadere i britannici ad adottare una linea di flessibilità nei confronti delle condizioni imposte dai partner continentali. Nello stesso anno, e fino al 1998, veniva ufficialmente attestata la sua partecipazione alle cosiddette conferenze “Bilderberg” (per quanto sia presumibile un coinvolgimento di K. nella stessa fondazione del gruppo, nel 1954), nell’ambito delle quali esponenti del mondo degli affari, leader politici ed élites intellettuali si riunivano per discutere attorno alle principali problematiche sullo scenario europeo e internazionale, dai rapporti euro-americani, alle tensioni bipolari, all’integrazione continentale. Dall’hotel Bilderberg – da cui il nome dell’associazione – di Oosterbeek, in Austria, al tavolo della Commissione trilaterale – l’organizzazione fondata nel 1973 da privati cittadini giapponesi, europei, statunitensi e canadesi e volta a creare una più stretta collaborazione, nonché una leadership internazionale condivisa, tra le tre aree più industrializzate su scala planetaria – il passaggio fu relativamente breve per l’illustre diplomatico olandese, il quale, tra il 1973 e il 1976, fu successivamente nominato rappresentante europeo e membro del Comitato esecutivo. E altrettanto certa, anche in virtù dell’esperienza maturata nella concertazione collettiva di multilivello e dei molteplici contatti acquisiti, sarebbe stata, nel 1977, la sua presenza, sia in quanto cofondatore, sia in veste di presidente onorario, allo European policy center di Bruxelles, importante anello di congiunzione tra l’ambiente affaristico e le dirigenze nazionali nell’ambito del dibattito sull’integrazione europea.

Nel 1976 un incarico a carattere culturale, ma comunque di altissimo profilo, allontanava temporaneamente K. dalle diverse sedi di policy-making per tradurlo nel panorama ameno della collina fiesolana, sede dell’Istituto universitario europeo, del quale lo storico dei Paesi Bassi veniva designato primo presidente. Seguirono cinque anni di intensa attività dell’alter ego di Monnet per la realizzazione di uno tra i principali obiettivi del suo mentore francese, vale a dire la costruzione di un centro di raccolta di studiosi e docenti dediti all’approfondimento delle tematiche dell’integrazione europea.

La morte di Jean Monnet, nel marzo del 1979, di là dal forte impatto che registrò sulla vicenda umana di K., al quale venne improvvisamente a mancare l’amico, non meno che il sostegno intellettuale e morale, sollecitò il fervente europeista olandese a rivitalizzare l’iniziativa del Comitato d’azione, dapprima ricucendo la fitta rete di relazioni interne e poi adoperandosi per riguadagnare all’organizzazione quel ruolo di influente interlocutore delle istituzioni comunitarie, non meno che dei governi nazionali, che aveva svolto nella seconda metà degli anni Cinquanta. Un’azione energica e puntuale, in sintonia con il processo di riforma della struttura comunitaria contestualmente avviato da Jacques Delors, Helmut Josef Michael Kohl e François Mitterrand, che consentì al Comitato di avere parte attiva nella realizzazione dei grandi traguardi della Comunità degli anni Ottanta, il perfezionamento del mercato interno in primis.

Ritiratosi a Fenffe, in Belgio, già dal 1988, a tutt’oggi Max K. conserva inalterato il proprio entusiasmo europeista, capace di associare al rigore pragmatico una straordinaria forza creativa. A più di novant’anni partecipa attivamente, anche in qualità di presidente onorario dello European policy center di Bruxelles, al dibattito sugli sviluppi più recenti del processo di integrazione europea, informando i suoi interventi di lucida originalità propositiva, non meno che di qualche accento polemico.

Custode pressoché esclusivo del messaggio monnetiano, K. è illustre superstite della generazione che, con inedita passione e pregevoli ideali, ha di fatto costruito l’Europa attuale.

Giulia Vassallo (2010)