Mečiar, Vladimir

M. (Zvolen 1942) ha dominato la scena politica slovacca negli anni Novanta. Per tre volte primo ministro e per due volte candidato presidenziale sconfitto, M. è una figura controversa, che suscita polemiche e preoccupazioni in patria e all’estero anche a cinque anni e mezzo di distanza dalla fine del suo terzo mandato come primo ministro slovacco. Quando M. vinse il primo turno delle elezioni presidenziali nell’aprile 2004 e sembrò pronto a vincere anche il secondo, la stampa internazionale parlò di “figura dittatoriale”, ricordando i numerosi e imbarazzanti episodi avvenuti durante il suo mandato come primo ministro slovacco, soprattutto il sequestro del figlio dell’ex presidente Michal Kováč (v. Anderson, 2004).

Nel 1989 M. era relativamente sconosciuto. Praticante avvocato e per breve tempo (1967-1968) presidente del comitato locale dell’Unione cecoslovacca dei giovani comunisti, venne espulso dal comitato dopo l’invasione delle forze del Patto di Varsavia a causa delle sue critiche per la repressione della “primavera di Praga”, e fu estromesso dal Partito comunista nel 1970. Grazie alla sua esperienza di avvocato, alla sua attività a favore del nascente partito social-democratico e ai legami con Vladimir Krajči, che era in stretto contatto con Alexander Dubček, M. divenne ministro degli Interni nel gennaio 1990 (v. Leško, 1996, pp. 24-25).

M. giunse alla alta politica slovacca negli anni Novanta grazie a una serie di mosse scaltre e di errori strategici commessi dai suoi avversari. Oratore carismatico, usò la propria posizione di ministro degli Interni per costruire la sua base di sostegno.

Si è anche insinuato che il suo accesso in qualità di ministro degli Interni ai documenti della polizia segreta lo abbia aiutato a rafforzare la propria posizione nei confronti dei potenziali rivali (v. Williams, 2001). Candidato come primo ministro slovacco dall’organizzazione “ombrello” contro il regime comunista Verejnosť proti násiliu (VPN), M. mantenne il suo premierato dal giugno 1990 all’aprile 1991. Le tensioni interne al VPN e le critiche sempre più numerose nei confronti del suo presunto stile autocratico, portarono a una votazione interna al VPN, che determinò le dimissioni di M. da primo ministro e la formazione di un nuovo raggruppamento politico, il Movimento per la Slovacchia democratica (Hnutie za demokratické Slovensko, HZDS).

L’HZDS si rivelò la macchina elettorale vincente degli anni Novanta e un prezioso strumento delle ambizioni di M. per tutto il decennio. Nel 1989 esistevano, nella politica slovacca, quattro schieramenti con una chiara definizione ideologico-politica: i nazionalisti, gli ungheresi etnici, la sinistra (sia quella dei postcomunisti che quella socialdemocratica) e il centrodestra cristiano democratico. Tuttavia, paradossalmente, fu una quinta forza a diventare il maggiore partito. Il successo dell’HDZS si deve alla sua abilità nell’ottenere il sostegno di tre di quegli schieramenti sopraccitati (i nazionalisti, la sinistra e i cristiano-democratici), a una pluralità di politiche e a un popolare e carismatico uomo politico alla guida (v. Haughton, Rybář, 2004). M. e il suo partito trassero vantaggio dalla sua destituzione dal potere e dalle politiche di un governo sempre più impopolare, vincendo nelle elezioni del 1992 che portarono direttamente alla scissione dello stato federale e, considerato il ruolo di protagonista di M. nella vicenda, gli permisero di dipingersi come il “padre della nazione” e di far apparire i suoi avversari come nemici della Slovacchia (v. Mečiar, 2000).

È difficile disgiungere M. dal partito da lui fondato. Sin dalla sua creazione, l’HDZS diventò lo strumento delle sue ambizioni. Coloro che dissentivano dal leader del partito, come i sostenitori dei ministri degli esteri Milan Kňažko nel 1993 e Jozef Moravčík nel 1994 reagirono abbandonando il partito. Inoltre, M. è stato spesso accusato di aver deciso praticamente tutto quando era primo ministro, specialmente durante il suo terzo mandato (1994-1998; v. Fish, 1999), ma un’osservazione più attenta sembra indicare che egli non fosse così onnipotente come alcuni hanno suggerito (v. Haughton, 2002).

M. fu sempre a favore dell’adesione della Slovacchia all’Unione europea (UE), sia quando era al potere (negli anni 1992-1994 e 1994-1998), sia all’opposizione (durante l’amministrazione di breve durata di Moravčík del 1994 e dopo aver perso il potere nel 1998). Egli era molto orgoglioso del fatto che fosse stato il suo governo a presentare la candidatura ufficiale della Slovacchia per l’adesione all’UE, al Consiglio europeo di Cannes nel giugno 1995 (v. anche Paesi candidati all’adesione). Il partito e il suo leader ribadirono le proprie credenziali europee su manifesti e dichiarazioni del partito stesso (v. HZDS, 1994 e 2002). M. e il suo partito, tuttavia, per gran parte degli anni Novanta erano apparsi “euroconfusi” (v. Haughton, 2004). L’adesione all’UE era un obiettivo da perseguire, ma non rappresentò mai una priorità del partito. Di fronte alla scelta tra soddisfare i “criteri di Copenaghen” (v. Criteri di adesione) riguardo all’adeguatezza costituzionale, ai diritti delle minoranze e via dicendo, e curare gli interessi della gerarchia di partito e dei suoi sostenitori, il partito optò per la seconda, pur volendo perseguire entrambe. La posizione di M. negli anni Novanta (perlomeno se si prendono per vere le dichiarazioni espresse in quegli anni da lui e dal suo partito) può essere classificata come euro-entusiasta. Sia M. che il partito erano favorevoli ai principi fondamentali dell’integrazione e allo sviluppo attuale dell’UE (v. Integrazione, teorie della), e tuttavia la gerarchia del partito non comprese mai le condizioni poste dall’UE e non volle mai rendere prioritari i requisiti per l’adesione all’UE rispetto ai problemi interni.

M. svolse un ruolo centrale controversie nei quattro episodi che causarono il rifiuto dell’UE alla Slovacchia nel 1997 (v. Henderson, 1999), e misero in evidenza la sua incapacità di apprezzare il dare e avere della politica democratica. Il primo si verificò quando M. e i suoi alleati contestarono al nuovo partito, l’Unione democratica, formato in parte da transfughi dell’HZDS (che aveva ottenuto l’8,6% alle elezioni di quell’anno), il diritto di sedere in parlamento, mettendo in discussione la validità delle firme raccolte per partecipare alle elezioni. Il secondo riguardò un altro ex alleato, il presidente Kováč, che divenne il bersaglio di una campagna denigratoria sui media a favore dell’HZDS e al quale nel 1995 fu sequestrato il figlio a quanto pare da persone vicine a M. e ai suoi alleati. Il terzo episodio si ebbe quando M. e i suoi alleati, violando la decisione della Corte costituzionale, rifiutarono a František Gaulieder, un altro deputato transfuga dell’HZDS che voleva sedere in parlamento come indipendente, di prendere il proprio posto. Infine, l’irregolare referendum sull’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e sull’elezione diretta del presidente nel 1997, sembrò mostrare un totale disprezzo verso la correttezza della politica democratica. È difficile stabilire il ruolo che lo stesso M. svolse in ognuna di queste vicende. Anche se non è dimostrabile la sua responsabilità diretta nel sequestro del figlio di Kováč, la sua reazione quasi compiaciuta alla notizia, la concessione di amnistie a quanti furono accusati di aver partecipato al sequestro e agli avvenimenti successivi, non fecero altro che evidenziare un suo forte coinvolgimento.

Il possibile ritorno di M. al potere nel 2002 provocò preoccupazioni nelle capitali degli Stati membri dell’UE e della NATO, e la maggioranza degli slovacchi si rese conto che la presenza di M. era inaccettabile per le due organizzazioni. Il timore di un ritorno di M. e le sue probabili conseguenze incisero molto sui risultati delle elezioni del 2002, che condussero alla formazione di un secondo governo guidato da Mikuláš Dzurinda, con il quale la Slovacchia aderì all’Unione europea (v. Henderson, 2002; Haughton, 2002).

Tim Haughton (2012)