Personalità giuridica dell’unione europea

Posizione del problema relativo alla personalità giuridica internazionale

Vi sono aspetti cruciali della stessa nozione di personalità (o soggettività) giuridica internazionale che non mancano di manifestarsi come significativi e problematici in relazione a un loro riscontro in riferimento all’Unione europea.

Prescindendo dalla amplissima e ormai risalente elaborazione dottrinaria del concetto di personalità giuridica internazionale, volta in prevalenza a dimostrare l’inapplicabilità di tale nozione, concepita come riservata a soggetti di piena sovranità e indipendenza, ossia ai soggetti primari del diritto internazionale, e negata invece agli enti derivati, quali le organizzazioni internazionali, è sufficiente rammentare alcuni principi cardine consolidatisi nella dottrina più recente e ampiamente maggioritaria.

La tendenza è quella di riconoscere una personalità giuridica “funzionale” alle organizzazioni internazionali, alla stregua di quanto riconosciuto nel celebre parere della Corte internazionale di giustizia del 1949 nel caso Reparation des dommages subis aux services des Nations Unies (in “Recueil des cours”, 1949, p. 174 e ss.). Si tratta, dunque, di una nozione differenziale rispetto a quella propria della soggettività internazionale dello Stato, che è connotabile più a tutto tondo, dal momento che essa inerisce a un soggetto dotato di competenza originaria e generale. Una nozione in certo senso modulare, ossia capace di evolvere con l’incremento (o decremento) delle competenze attribuite.

Ciò che peraltro resta al contempo come postulato e come metro di ogni valutazione in merito alla soggettività internazionale è poi il principio di effettività, il rispetto del quale non può che verificarsi nel concreto atteggiarsi, sul piano internazionale, delle relazioni e dei poteri posti in essere dalla organizzazione: si tratta in particolare della conclusione di trattati, dell’operatività delle immunità, dell’Adesione ad altre organizzazioni internazionali, dell’imputazione di responsabilità internazionale. Occorre infatti rammentare il valore meramente relativo di qualsivoglia previsione pattizia orientata ad affermare la sussistenza della soggettività. Una simile previsione, avendo valore esclusivamente inter partes, non potrebbe determinare, essa sola, il sorgere di uno status, quale è quello della soggettività internazionale, che è per sua natura di valore assoluto, ossia erga omnes, ma può tutt’al più esprimere un valore indiziario.

Venendo con ciò alla problematica del riscontro della soggettività giuridica internazionale in capo all’Unione, si possono preliminarmente enumerare le opzioni teoriche, che sono riconducibili a tre fondamentali filoni: quello orientato a escludere la sussistenza di una soggettività dell’Unione diversa e autonoma rispetto a quella delle Comunità europee (v. Comunità europea del carbone e dell’acciaio; Comunità economica europea; Comunità europea dell’energia atomica); quello orientato a ravvisare la personalità dell’Unione come aggiuntiva rispetto a quelle delle Comunità europee (c.d. teoria della quarta personalità); quello infine orientato ad affermare la sussistenza di una unica soggettività giuridica direttamente in capo all’Unione e a ricondurre a questa le preesistenti soggettività delle Comunità. L’adesione a una opzione, dipendendo dall’esito del riscontro del principio di effettività in relazione al concreto atteggiarsi della dimensione internazionalistica espressa in un dato momento storico dall’Unione, si confronta in maniera decisiva con la natura profondamente evolutiva della medesima. È pertanto inevitabile muovere dall’analisi delle caratteristiche originarie per occuparsi poi degli assetti attuali ed aprirsi infine al vaglio delle prospettive future.

Gli assetti precedenti e contemporanei alla nascita dell’Unione europea

In epoca anteriore alla nascita formale dell’Unione europea, avvenuta con il Trattato di Maastricht del 1992, risultava pacificamente sussistere la personalità giuridica internazionale in capo alle tre Comunità. In un simile quadro, la dottrina fu confrontata con l’esigenza, pratica e sistematica, di inquadrare le emergenti forme di cooperazione che gli Stati membri ponevano in essere al di fuori del quadro comunitario, incontrando peraltro non poche difficoltà a ritrovare per esse una cornice adeguata (v. anche Cooperazione intergovernativa). Non a caso, già prima dell’Atto unico europeo (AUE) del 1986, e poi definitivamente con l’adozione di questo, le disparate manifestazione di quella che si può definire una embrionale Cooperazione politica europea trovavano riconduzione all’alveo del Consiglio europeo, ben prima che esso stesso completasse la propria parabola evolutiva da prassi diplomatica di vertice a vero e proprio organo, cosa che avverrà appunto solo con la nascita della Unione europea.

Con l’entrata in vigore del Trattato sull’Unione europea (TUE) del 1992 prese corpo l’ambizione di ricondurre a una cornice unica, l’Unione europea appunto, tanto il filone comunitario quanto le altre forme di cooperazione istituzionalizzata fra Stati membri, già esistenti o di nuova creazione. Tuttavia deve subito evidenziarsi come il TUE abbia scelto il silenzio in tema di personalità internazionale della neonata Unione. Tale scelta è stata inizialmente interpretata dai più come conferma della tesi della negazione, tanto più alla luce del fatto che disposizioni affermative della personalità erano invece contenute nei Trattati CE (art. 210), Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA, art. 6) e Comunità europea dell’energia atomica (Euratom, art. 184). È pur vero che il negoziato del Trattato di Maastricht reca tracce dell’obiettivo di riduzione del sistema a unità, anche sotto il profilo soggettivo, ma tale idea risulta in esso assai presto accantonata. Decisivo a tale fine fu il combinato operare del timore degli Stati membri per una eccessiva “comunitarizzazione”, ossia per il rischio di pervasività del metodo comunitario, suscettibile di tradursi in una eccessiva compressione delle sfere di sovranità statuale, e dell’inverso timore, nutrito dalla Commissione europea, per un eccessivo spostamento del baricentro del nuovo soggetto al di fuori delle Comunità, con inevitabile affievolimento della centralità degli organi comunitari (v. anche Istituzioni comunitarie).

Dall’operare di questi timori, per così dire opposti e complementari, scaturì pertanto la scelta di non innovare formalmente sotto il profilo della soggettività internazionale. In tale fase si ritrovano al contrario frequenti precisazioni ad opera degli Stati membri, contenute in documenti ufficiali, circa l’assenza di personalità della neonata Unione – si vedano fra l’altro le Dichiarazioni che accompagnano la decisione di denominare il Consiglio dei ministri “Consiglio dell’Unione europea” o, dal punto di vista del diritto interno (v. anche Diritto comunitario), la sentenza della Corte costituzionale tedesca del 12 ottobre 1993, in Bundesverfassunggericht, 89, p. 155.

Il naturale esito di una simile impostazione, imperniata da un lato sulla scelta di non comunitarizzare le nuove competenze e al contempo di non personificare compiutamente il nuovo soggetto, e dall’altro sulla cura di conservare la soggettività internazionale delle Comunità europee, fu il venir meno di ogni riferimento alla competenza della Unione europea a stipulare accordi nell’ambito delle nuove Competenze incorporate nel secondo e nel terzo pilastro (v. Pilastri dell’Unione europea). Il che si tradusse in non irrilevanti problemi connessi non solo alla estetica del nuovo edificio normativo, che solo benignamente poté essere descritto come ispirato alla forma di tempietto greco a tre colonne, ma anche e soprattutto alla profonda ibridazione e incoerenza delle categorie, che presentavano un metodo comunitario dotato di soggettività incorporato all’interno di un metodo intergovernativo formalmente sprovvistone.

La revisione operata dal Trattato di Amsterdam

Una significativa evoluzione si ebbe peraltro in seguito, e, sulla spinta della dottrina e della stessa prassi riscontrabile, si addivenne a un significativo mutamento degli assetti con la Conferenza di revisione del TUE apertasi nel 1996. In essa si segnalarono anche varie proposte orientate al riconoscimento di una personalità per la Unione europea, quasi sempre costruita come sostitutiva e non come aggiuntiva rispetto alle Comunità. Peraltro, l’esito della revisione, incorporato nel Trattato di Amsterdam del 1997, non condusse ad alcun riconoscimento formale di soggettività giuridica, ma sancì l’assai importante inserimento di due disposizioni relative alla competenza dell’Unione a stipulare nell’ambito del secondo e terzo pilastro (si vedano gli artt. 24 e 38 TUE), con previsione della conduzione dei negoziati ad opera della presidenza, eventualmente assistita dalla Commissione, su autorizzazione unanime del Consiglio, e della conclusione dell’accordo da parte del Consiglio con Voto all’unanimità, con possibilità di esenzione per lo Stato membro che dichiari che l’impegno può essere assunto solo in conformità alle proprie procedure costituzionali.

A fronte di tali novità testuali la dottrina maggioritaria si orientò a ravvisare concretamente elementi e indizi per confortare la tesi di una personalità giuridica internazionale dell’Unione, da contrapporre come prevalenti agli ormai esili elementi in senso negativo o dubitativo. Questo nella convinzione circa la scarsa capacità di tenuta nel tempo della ricostruzione volta a negare la personalità giuridica della UE e nella certezza che, al di là delle prese di posizione formali, dotate di scarso valore in relazione al tema in questione, tutto pervaso, come detto, dalla logica dell’effettività, fossero per contro da valorizzare i concreti assetti di fatto.

Il perdurante silenzio del Trattato in merito alla personalità e il fatto che la neoistituita competenza a stipulare, non originariamente prevista, trovasse temperamento nella c.d. clausola di esenzione, apparirono destinati a cedere ad una messe di elementi testuali e sostanziali atti a comprovare la tesi della soggettività. Fra questi, sul fronte testuale, vi è il fatto che il TUE si esprima per l’istituzione dell’Unione in termini del tutto analoghi a quanto fatto dai Trattati di Roma per l’istituzione della Comunità economica europea, dotandola di mezzi e fini autonomi, e prevedendone l’affermazione sulla scena internazionale come spazio di pace, libertà e giustizia (v. Spazio di libertà, sicurezza e giustizia); il fatto che tanto l’adesione di nuovi Stati quanto la cittadinanza siano costruite in riferimento esclusivo all’Unione; il fatto che il Consiglio europeo sia concepito come componente organica specifica ed originaria della UE.

Ancora più decisivi apparvero gli elementi di unicità di sistema, che contemplano l’Unione come struttura unica capace di accorpare le Comunità ad altre forme di cooperazione, con unicità di principi ispiratori, di quadro istituzionale, di norme finali. E con ciò divenne naturale e quasi inevitabile affermare che il complessivo edificio, e gli articolati rapporti ad esso inerenti, assai difficilmente si sarebbero potuti reggere in assenza di una soggettività dell’Unione cui ricondurre, con unicità, il quadro istituzionale e normativo.

La dimensione attuale della personalità

Tali considerazioni valgono anche, in chiave attuale, come argomenti di confutazione della tesi della quarta personalità. A ben vedere, si può infatti ritenere che certe resistenze a una piena affermazione della personalità dell’Unione andassero lette anche come volontà di evitare potenziali ricadute in termini di estinzione delle personalità preesistenti delle tre Comunità. In linea di continuità con simili argomentazioni si è sviluppata la teoria della quarta personalità, o personalità aggiuntiva, dell’Unione: essa si rivela pertanto un compromesso volto a far salve esigenze pratiche, soprattutto di continuità, ma ispirato a scarsa razionalità e capace di svuotare di reale contenuto la stessa nozione di personalità giuridica internazionale, comportando conseguenze irragionevoli in tema di imputazione non unitaria degli effetti di una azione invece concepita come unitaria. Il tutto con ineludibili ricadute problematiche in tema di rappresentanza esterna, di responsabilità internazionale, di competenza a stipulare accordi internazionali, e, in definitiva, di credibilità della complessiva dimensione internazionale dell’Unione.

In realtà la persistenza delle norme dei trattati comunitari dedicate alla personalità giuridica, più che a legittimare la teoria della quarta personalità serve alla logica di conservare, anche sotto il profilo testuale, un elevato grado di autonomia all’azione delle Comunità, il che è peraltro perfettamente compatibile con l’unicità della soggettività internazionale. Tale dato, infatti, non deve, ancora una volta, essere sopravvalutato. In questo come in altri casi (si pensi alla proliferazione di soggettività giuridiche anche in capo alle istituzioni monetarie) la affermata personalità giuridica pare orientata a sancire la separatezza e l’autonomia funzionale e organizzativa piuttosto che la soggettività internazionale. In una simile impostazione, il panorama è piuttosto quello di una moltitudine di strutture organiche che trovano copertura e sistemazione in un soggetto unico, l’Unione europea, che ricomprende sotto di sé anche forme di cooperazione nate come meno strutturate e organizzate rispetto a quelle comunitarie. A questo punto anche gli accordi della CE, pur stipulati secondo le regole proprie della componente “comunitaria”, finiscono per dover essere imputati alla UE. Se dall’esterno l’approccio unitario alla personalità è il solo praticabile, è piuttosto dal punto di vista delle ripartizioni interne di competenze e poteri che si risolve la determinazione delle regole relative a negoziazione e conclusione degli accordi.

In una simile impostazione di soggettività unica, l’Unione europea diviene il bacino di raccolta delle molteplici voci dell’azione esterna sviluppata fin dagli anni Cinquanta a opera della CEE, attraverso la Politica commerciale comune (tanto nella dimensione collegata all’Organizzazione mondiale del commercio quanto nella dimensione degli accordi commerciali bilaterali) e attraverso la Politica europea di cooperazione allo sviluppo, fino alla creazione della Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e al suo arricchimento con la componente relativa alla Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) e, più in generale, all’azione di promozione dei Diritti dell’uomo, vuoi attraverso clausole inserite in accordi di scambio o cooperazione, vuoi attraverso le clausola di adesione, vuoi infine attraverso azioni in settori specifici, quali, ad esempio, le mine antiuomo.

Tale ricostruzione appare confortata da alcuni dati recenti che sembrano denotare come crescente la dimensione politica internazionale dell’Unione, e dunque la sua capacità di agire, in ossequio al principio di effettività, come soggetto pieno ed unico. Si segnala infatti un ampliamento della sfera di applicazione della competenza a stipulare di cui all’art. 24 TUE, con passaggio da un alveo strettamente tecnico a un alveo comportante una ben precisa valutazione, e discrezionalità, politica. In particolare, la firma, in data 10 aprile 2006, dell’Accordo di cooperazione e assistenza tra la Corte penale internazionale e l’Unione europea (si veda la decisione del Consiglio 2006/313/PESC del 10 aprile 2006, in “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea” L 115 del 28 aprile 2006) è inequivocabilmente concluso a nome della UE al fine di impegnare direttamente quest’ultima: esso non è, insomma, accordo collettivo degli Stati membri, i quali peraltro già sono parte dello Statuto di Roma uti singuli. Il che ben si riflette nel fatto che non è dovuta intervenire, né è intervenuta, alcuna ratifica dell’accordo da parte degli stati secondo le normative nazionali.

La dottrina più attenta ha riscontrato da subito come tale accordo non nasca per semplici finalità di politica di sicurezza, tipiche finora dell’utilizzo dell’art. 24 TUE, avvenuto, tra l’altro, in chiave prevalentemente se non esclusivamente “esecutiva” (si vedano gli oltre settanta accordi conclusi nel quadro delle c.d. Missioni di tipo “Petersberg”). In esso vi è chi ha ravvisato il primo accordo internazionale di politica estera dell’Unione, cui ha, per inciso, fatto seguito altro accordo, che potremmo definire di dimensione “diplomatica”, relativo allo status internazionale del Rappresentante speciale dell’Unione europea (RSUE) per il Caucaso meridionale e del suo supporto in Georgia (GUUE L 135 del 23 maggio 2006). Ciò rivela in generale una tendenza al potenziamento della dimensione di politica estera dell’Unione, particolarmente rilevante perché avvenuto in relazione ad un ambito, quello della Corte penale internazionale, che appare al contempo delicato e significativo. L’istituzione di tale giurisdizione è, come ben noto, controversa e quella compiuta dall’Unione è scelta di politica estera che travalica nettamente le posizioni singolarmente espresse dagli Stati membri.

Le prospettive alla luce del testo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa

Al problema del rafforzamento della dimensione internazionale unitaria dell’Unione, ben chiaramente posto dalla stessa Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione europea, del 14-15 dicembre 2001, nei termini di un preciso monito a ricercare soluzioni che permettessero all’Unione europea di presentarsi sulla scena internazionale come attore dotato di piena soggettività, ha tentato di fornire adeguata risposta il Trattato che adotta una Costituzione europea, sottoscritto il 29 ottobre 2004 – Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative), CIG 87/2/04, rev. 2, Bruxelles, 29 ottobre 2004. Tale testo, per il quale, come ben noto, sono tramontate le prospettive di entrata in vigore, contiene un’ampia rielaborazione del ruolo internazionale dell’UE volta al suo potenziamento e alla riconduzione a unità delle diverse politiche europee di dimensione esterna. Una pur breve rassegna delle principali innovazioni profilate appare imprescindibile in chiave di prospettiva, dal momento che il valore e la portata di tale elaborazione costituirà comunque la base di riflessione per qualunque evoluzione futura, segnando in certa misura fin d’ora i binari dello sviluppo. L’intento del trattato “costituzionale” è stato di ricondurre ad unità, o per lo meno a maggiore coerenza, le svariate competenze della UE e della CE in materia di relazioni esterne. Per questo il testo, pur formalmente unico, lascia necessariamente coesistere, con la duplicità di indole che è propria della stessa UE, metodi e procedure differenti, riconducibili alle logiche comunitaria e intergovernativa.

Il dato di partenza è l’espresso riconoscimento della personalità giuridica dell’Unione (art. I-7). Le prerogative di tale personalità unica, concepita come capace di coprire tanto le competenze comunitarie quanto quelle intergovernative, sono ricalcate sull’elaborazione del rapporto finale del Gruppo di riflessione “Personalità giuridica”, (Convenzione europea, 1 ottobre 2002, CONV 305/02, par. 19) e sono sintetizzabili nella conclusione di accordi internazionali, nel diritto di legazione, nella possibilità di presentare reclami a istanze giurisdizionali internazionali, nel beneficio di immunità e privilegi propri dello status internazionale.

Accanto a tale riconoscimento, si ritrova la reductio ad unum del potere di conclusione dei trattati nei tre pilastri, con previsione di una procedura sostanzialmente unica che vede il Consiglio autorizzare l’avvio dei negoziati, definirne le direttive, autorizzare la firma e concludere gli accordi. Vi è poi la significativa creazione del ministro per gli Affari esteri dell’Unione (art. I-27), affiancato da un corpo diplomatico europeo (il Servizio europeo per l’azione esterna, SEAE). La creazione di tale figura, capace di dare maggiore unitarietà all’azione esterna dell’Unione compendiando le prerogative del Commissario alle relazioni esterne e dell’Alto rappresentante della PESC, pone peraltro non pochi problemi in tema di bilanciamento dei poteri fra Commissione e Consiglio: il ministro è infatti anche vicepresidente della Commissione e costituisce, in seno a essa, una sorta di contropotere con regia consiliare, e dunque di ispirazione sostanzialmente intergovernativa.

Altre novità degne di nota sono poi la migliore distinzione fra PESC e PESD, con netto rafforzamento della dimensione di difesa, soprattutto in termini di finanziamento; la sistemazione in unico titolo (il V della parte III, intitolato appunto “Azione esterna dell’Unione”) di tutte le politiche europee di dimensione internazionale; il rafforzamento del ruolo del Consiglio europeo.

Conclusioni

In definitiva, la parabola storico-sistematica che si è tratteggiata rivela tutta la perdurante delicatezza della questione relativa alla personalità internazionale: certo, fra le tre opzioni teoriche prospettate è quella della personalità unica ad apparire preferibile e quasi obbligata, tanto sotto il profilo logico quanto sotto il profilo sistematico, anche se una sua affermazione non manca di sollevare comunque problemi di raccordo con la dimensione comunitaria. In questo senso appaiono significativamente ibride le stesse soluzioni, pur votate alla unificazione, contenute nel testo del trattato “costituzionale”.

In verità, le difficoltà di inquadramento della soggettività internazionale dell’Unione non fanno che rispecchiare la natura sfuggente della medesima, confermando la necessità di considerarla perennemente in evoluzione e sostanzialmente incommensurabile, senza che vi sia possibilità di forzare assimilazioni rispetto alle realtà statali o ad altre realtà internazionali.

In questo senso, il tema della personalità internazionale dell’Unione, raggiunta ormai la maturità e la consistenza minima per evitare di essere posto radicalmente in dubbio, si apre a enormi potenzialità evolutive, che dovranno essere misurate costantemente con gli assetti di fatto, sempre mutevoli, in pieno ossequio a una lettura “modulare” e non certo granitica e immutabile dell’istituto. Ciò dovrà avvenire senza dogmatismi e con la elasticità necessaria ad affrontare circostanze all’apparenza paradossali, come quella che vuole la dimensione esterna capace di svilupparsi più agevolmente sulla base di una più marcata conduzione intergovernativa dell’Unione, e dunque in certa misura a danno della stessa logica di integrazione comunitaria: il che, in fondo, non fa che confermare la convinzione che ravvisa la vera forza della costruzione europea nella capacità di volgere a proprio favore lo scacco subito, arretrando laddove necessario per rilanciare, con ritrovata lena e su basi rinnovate, il proprio cammino.

Alberto Oddenino (2007)