Piano Genscher-Colombo

Il Piano Genscher-Colombo emerse come la strada per il rafforzamento del processo d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) proposta dai ministri degli Esteri tedesco e italiano nel gennaio 1981. Più precisamente, il 6 gennaio 1981, a Stoccarda, il ministro degli Esteri della Repubblica Federale Tedesca (v. Germania) Hans-Dietrich Genscher fece un significativo discorso nel quale si auspicava un consistente rafforzamento della cooperazione all’interno della Comunità economica europea. Tale intervento divenne noto come “discorso dell’Epifania”. Nello stesso mese, nel corso di un discorso tenuto a Firenze nell’ambito del congresso delle Associazioni europee delle autorità locali, il ministro degli Esteri italiano Emilio Colombo riprese le proposte avanzate dal suo collega tedesco. Il 3 febbraio venne pubblicato il testo integrale dell’intervento del ministro italiano sul rafforzamento della cooperazione europea, che ottenne dunque forte risalto presso gli ambienti europeisti (v. anche Movimenti europeistici). Nelle aspettative di Colombo l’Europa avrebbe dovuto essere un fattore di esaltazione delle diversità, armonizzandole all’interno di una struttura comunitaria, che fosse al tempo stesso capace di risolvere problemi concreti. L’unica via per raggiungere simili obbiettivi veniva individuata nel potenziamento del processo di integrazione.

I governi dei due paesi diedero il via a uno studio congiunto che si concluse con un progetto, il Piano Genscher-Colombo, finalizzato a un netto rafforzamento della Cooperazione politica europea tra i Dieci: il Piano venne presentato agli altri Stati membri il 6 novembre 1981 e al Parlamento europeo la settimana successiva. Esso mirava a «creare un’Europa capace di assumersi la propria responsabilità nel mondo e di fornire il contributo internazionale corrispondente alla propria tradizione e alla sua missione». Si faceva qui puntuale riferimento alle decisioni prese a Parigi nel 1972 dai capi di Stato e di governo, al Documento sull’identità europea pubblicato nel dicembre del 1973 dai ministri degli Esteri e alla Dichiarazione del Consiglio europeo dell’Aia del novembre 1976, relativi alla progressiva costruzione dell’Unione europea. Si auspicava una maggiore concertazione nelle questioni di politica di sicurezza e il raggiungimento di una posizione comune europea sulle questioni d’interesse vitale, permettendo all’Europa di agire con un’unica voce sul piano internazionale, anche nei settori della Lotta contro il terrorismo e della Lotta contro la criminalità internazionale e contro la droga. Accento particolare veniva posto sulla necessità di uniformare la legislazione degli Stati membri, rafforzando al tempo stesso la comune coscienza europea dei cittadini. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi sarebbe stato necessario elaborare una posizione comune su tutte le questioni fondamentali di politica internazionale, fissando le posizioni definitive della Comunità solamente attraverso consultazioni congiunte di tutti gli Stati membri. Non venivano proposte sostanziali modifiche alle strutture decisionali comunitarie (v. anche Processo decisionale): si lasciava, infatti, al Consiglio dei ministri un ruolo centrale in ambito programmatico e decisionale mentre il Parlamento avrebbe avuto il compito di deliberare sulle questioni di rilevante carattere comunitario e relative alla cooperazione politica europea. Inoltre, il Parlamento avrebbe avuto facoltà di inviare raccomandazioni al Consiglio e alla Commissione europea, mantenendo al tempo stesso una fondamentale funzione di controllo sulle attività delle altre Istituzioni comunitarie. In questa struttura, il Consiglio dei ministri era il detentore di tutti i poteri decisionali, essendo responsabile della reale gestione di tutte le tipologie d’intervento politico della futura Unione. La questione del diritto di veto in materia decisionale veniva affrontata richiamandosi alla natura eccezionale di un simile provvedimento, giustificata dalla difesa dei soli interessi vitali di uno Stato. Veniva fatto riferimento alla volontà di favorire decisioni comuni, cercando di incoraggiare in questo senso gli Stati membri, evidenziando il ruolo essenziale dell’assunzione di posizioni condivise a livello comunitario. La Commissione europea sarebbe stata investita della responsabilità primaria del proseguimento e dell’Armonizzazione del processo d’integrazione, compito in cui sarebbe stata assistita dal quotidiano lavoro della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), responsabile delle questioni relative all’applicazione del Diritto comunitario e di conseguenza della fattiva integrazione legislativa. Aspirazione ultima del Piano era la presentazione di un “Atto europeo” al fine di istituire un effettivo processo di unificazione. Lo schema del futuro Atto sarebbe stato sottoposto al Consiglio europeo, responsabile tramite il Consiglio dei ministri degli Esteri della sua fattiva preparazione. Il Piano Genscher-Colombo teneva poi in considerazione le prospettive d’unificazione monetaria e di ampliamento della zona del Sistema monetario europeo (SME), che avrebbe dovuto condurre alla creazione di una più ampia area di scambio e stabilità monetaria (v. anche Unione economica e monetaria).

La bozza di “Atto europeo” venne presentata alla sessione di Londra del Consiglio europeo del 26 e 27 novembre. I governi italiano e tedesco, tramite i rispettivi ministri degli Esteri, si facevano così promotori della proposta di rilancio e accelerazione del processo d’integrazione europea. Si trattava di un piano puramente politico, articolato in una dichiarazione d’intenti adottata dai membri del Consiglio, che affermavano il proprio impegno verso un’effettiva unione europea. Nel progetto figurava una serie di riferimenti d’ampio respiro alle prospettive future dell’Unione, mirando a perfezionarne i meccanismi istituzionali. Il primo obiettivo veniva individuato nella costruzione di una politica estera comune, auspicando l’adozione di un sistema decisionale basato sul voto con maggioranza all’interno del Consiglio dei ministri (v. anche Maggioranza qualificata), cui si sarebbe dovuto affiancare un potenziamento delle capacità decisionali del Parlamento europeo.

Nel corso delle riunioni londinesi il Consiglio decise la formazione, tramite il Consiglio dei ministri degli Esteri, di un gruppo di lavoro intergovernativo, incaricato di studiare a fondo le prospettive di realizzazione del progetto italo-tedesco che, solo in un secondo tempo, sarebbe stato sottoposto al vaglio del Parlamento europeo. Dopo accurata analisi della proposta si decise tuttavia di «limitare il progetto di Atto europeo ai soli punti suscettibili d’essere accettati unanimemente da tutti gli Stati membri».

Nel Consiglio europeo di Stoccarda del giugno 1983, i capi di Stato e di governo e i ministri degli Affari esteri sottoscrissero la dichiarazione solenne sull’Unione europea sulla base della proposta Genscher-Colombo, nella speranza di dare nuovo impeto al processo d’integrazione e di uscire dalla fase di stallo in cui esso si trovava. Si faceva espresso riferimento ad una maggiore coerenza e coordinazione a tutti i livelli delle diverse strutture comunitarie. La Dichiarazione di Stoccarda definiva quattro campi d’attività per l’Unione europea, dividendoli in politica estera, Comunità europea, cooperazione culturale e integrazione dei sistemi legislativi nazionali. Tuttavia la Dichiarazione sull’integrazione europea non costituiva un vincolo legale, derivandone così una scarsa spinta propositiva.

Il Piano Genscher-Colombo costituisce senza dubbio uno dei più importanti tentativi di potenziamento del processo d’integrazione. Il momento in cui esso venne presentato è dunque particolarmente significativo e segna l’inizio di una fase di rilancio sul piano ideale e progettuale. Tuttavia vanno tenute in adeguata considerazione le molte difficoltà pratiche legate allo sviluppo del Piano e al suo successivo trasformarsi in un concreto progetto di “Atto europeo”. Il Consiglio sembrerebbe aver accolto inizialmente con favore la proposta italo-tedesca, ma la successiva evoluzione del progetto lascia intravedere le forti resistenze poste a una sua effettiva realizzazione. Difficile valutare positivamente la scelta dell’istituzione del comitato intergovernativo, composto da funzionari ed esperti nazionali privi di qualsiasi responsabilità politica, il cui unico compito consisteva nella individuazione delle condizioni esistenti al tempo della proposta. Va, inoltre, considerato come i suoi detrattori contestassero la futura posizione del Parlamento, che sarebbe comunque rimasto privo di reale potere decisionale, mentre tutti i poteri avrebbero continuato a essere affidati al Consiglio dei ministri, cosa che avrebbe reso evidentemente difficile la formazione di un’unica politica europea di fronte al sicuro manifestarsi di interessi nazionali.

Andrea Carteny (2008)