Politica della formazione professionale

La data di nascita della politica di formazione professionale a livello comunitario coincise con la firma del Trattato CEE (v. Trattati di Roma). Oltre alla creazione di un Fondo sociale europeo (FSE) quale mezzo per aumentare e migliorare le opportunità occupazionali e i livelli di vita, il Trattato conteneva come parte delle disposizioni sociali l’articolo 128, il quale stabiliva che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto adottare «dei principî generali per realizzare una politica comune di formazione professionale capace di contribuire all’armonioso sviluppo sia delle economie nazionali sia del mercato comune» (v. Comunità economica europea).

La previsione disposta dall’articolo 128 venne effettivamente realizzata solo con la decisione del 2 aprile 1963, che indicava i dieci principî generali che avrebbero dovuto servire come cornice legislativa e politica giuridicamente vincolante per la messa in atto di una politica comune di formazione professionale.

In realtà, i progressi furono decisamente scarsi, tanto che la Commissione europea nel 1971 concluse che il lavoro intrapreso non aveva prodotto i risultati attesi.

Le ragioni, oltre che in problemi di natura tecnica, risiedevano essenzialmente nel rallentamento generale della dinamica integrazionista e nelle caratteristiche della situazione socioeconomica complessiva.

Tuttavia, nello spirito delle Linee guida del 1971 che avevano auspicato un rinnovato impegno in tema di formazione professionale, e su impulso del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale (CES), nel 1974 venne approvata un’importante Risoluzione concernente un programma d’azione nel campo della Politica sociale.

La scelta avveniva in una particolare congiuntura economica caratterizzata dall’inizio di una drammatica disoccupazione di massa e di mutamenti socioeconomici strutturali, oltre che dal delicato passaggio politico determinato dal primo Allargamento della Comunità economica europea.

La diversa situazione produsse a livello comunitario una nuova impostazione politica e un rafforzamento del ruolo delle parti sociali che, dopo essere state coinvolte nel Comitato consultivo per la formazione professionale istituito nel dicembre 1963, furono chiamate a partecipare nel Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale creato nel 1975.

I nuovi orientamenti erano diretti, più che ad assicurare la creazione e il rifornimento di qualificazioni rispondenti alla domanda, a garantire la stabilizzazione e la reintegrazione sociale delle categorie a rischio, utilizzando la formazione professionale come strumento per realizzare obiettivi sociali attraverso interventi mirati su gruppi specifici.

Gli atti adottati in questa direzione, oltre alla rimodulazione del FSE realizzata tra il 1971 e il 1977, furono l’adozione di una serie di risoluzioni rivolte in particolare ai giovani, ai disabili e alle donne e la messa in opera di progetti pilota.

In realtà la politica formativa integrativa poté conseguire solo molto parzialmente i suoi obiettivi. Perciò sia la risoluzione concernente la politica di formazione professionale adottata nel 1983, sia la seconda riforma del FSE furono improntate all’obiettivo di conciliare la politica occupazionale attiva degli anni Sessanta con l’istanza sociale espressa negli anni Settanta, integrandole con le nuove finalità produttivistiche assegnate alla formazione.

In particolare, la risoluzione rifletteva il modo profondo in cui i cambiamenti economici, politici e sociali avevano modificato il profilo e il ruolo della formazione professionale, anche se inalterata rimaneva la pratica comunitaria di sviluppare e realizzare la politica attraverso semplici strumenti legislativi non vincolanti e impegni finanziari molto modesti.

Tuttavia, proprio intorno alla metà degli anni Ottanta, due rilevanti novità legislative determinarono un radicale mutamento nelle modalità e nella portata dell’azione comunitaria in tema di formazione professionale.

Il primo passo fu un accordo intervenuto tra le Istituzioni comunitarie, secondo il quale qualsiasi stanziamento finanziario effettuato a livello comunitario avrebbe dovuto essere sanzionato da uno strumento legale basato sul Trattato (v. anche Trattati).

Al contempo, e soprattutto, la firma dell’Atto unico europeo (AUE) creò, politicamente prima ancora che giuridicamente, le premesse di una cesura nel percorso di elaborazione e realizzazione della politica di formazione professionale a livello comunitario.

L’AUE, infatti, nella prospettiva della realizzazione del mercato unico prevista per il 1992 (v. Mercato unico europeo), favorì un più deciso intervento in materia sociale, culminato nella riforma del FSE del 1988 e, in seguito, nell’adozione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, un rilancio del ruolo delle parti sociali e il varo di una serie di programmi d’azione in materia di formazione professionale.

Favorita da una situazione socioeconomica difficile, dalle esigenze connesse all’allargamento mediterraneo dello spazio comunitario, da una diversa consapevolezza delle potenzialità offerte dallo strumento della formazione professionale e dall’intervento del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e delle parti sociali, l’era dei programmi d’azione comportò un cambiamento sostanziale della politica di formazione professionale.

Con l’avallo della Corte di giustizia delle comunità europee (CGCE) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), la Commissione europea poté finalmente promuovere la realizzazione di una politica che, per la prima volta, si caratterizzava per uno sforzo finanziario significativo e dispositivi giuridici vincolanti.

La stagione dei programmi d’azione attuati a livello comunitario venne inaugurata con la decisione del 1986 relativa all’adozione del programma di cooperazione tra università e imprese in materia di formazione nel campo delle tecnologie Comett. In questo solco si collocò la decisione del 1988 riguardante un’azione esplorativa comunitaria nel settore delle tecnologie dell’insegnamento denominata “Delta”.

Queste esperienze e queste finalità furono raccolte anche nella decisione del 1989 che stabiliva un programma d’azione, Eurotecnet, volto a promuovere l’innovazione nel settore della formazione professionale in conseguenza del mutamento tecnologico.

Agli interventi mirati allo sviluppo tecnologico ed economico, si affiancarono le azioni di sostegno ai disabili, Helios, e ai giovani mediante il programma Petra.

Nel contempo si rafforzarono sia il concetto che la pratica della formazione professionale continua attraverso il programma Force del 1990. Infine, con l’istituzione del programma Tempus nel 1990, accompagnato dalla creazione della Fondazione europea per la formazione professionale, la formazione si candidava a divenire la modalità privilegiata di cooperazione con i paesi dell’Europa centrale e orientale.

Il giudizio positivo sui risultati ottenuti dall’attuazione dei programmi comunitari, accompagnato tuttavia dalle perplessità e dalle resistenze politiche registrate in seno agli Stati membri, furono all’origine del passaggio da politica comune a politica comunitaria in tema di formazione professionale prodotto dal Trattato sull’Unione europea (v. Trattato di Maastricht).

In particolare, si ritenne opportuno ribadire il Principio di sussidiarietà, modificare il sistema di adozione delle misure giuridiche ed escludere l’Armonizzazione dei sistemi e delle politiche nazionali, oltre che definire un nuovo quadro di obiettivi da assegnare alla politica di formazione professionale.

Le principali novità politiche del nuovo corso si concentrarono su una diversa accentuazione e caratterizzazione della formazione lungo tutto l’arco della vita, come cerniera tra tutti i soggetti, i momenti e i livelli di un’azione formativa complessivamente intesa, e su una mutata concezione della formazione nell’ambito della strategia generale proposta dal Libro bianco (v. Libri bianchi) su crescita, competitività e occupazione nel 1993, confermata dal Libro bianco sulla politica sociale nel 1994, e declinata dal FSE riformato nel 1993.

I nuovi assunti, prefigurati nella risoluzione sulla formazione professionale e sull’istruzione negli anni Novanta, adottata nel 1993, trovarono un’organica definizione nel Libro bianco Insegnare e apprendere – verso la società conoscitiva, elaborato nel corso del 1995. L’avvento della società dell’informazione, unita al manifestarsi degli effetti del processo di globalizzazione, imponeva, secondo la Commissione, una commistione tra politiche educative e formative capace di mettere i lavoratori in condizione di adattarsi ai nuovi strumenti tecnologici e alle mutate caratteristiche e rapporti di lavoro, di migliorare il sistema delle competenze e delle qualifiche e di contrastare il clima di insicurezza nei confronti della civiltà scientifica e tecnologica.

Venuti a scadere i precedenti programmi comunitari, lo strumento principale con cui l’Unione europea realizzò la propria politica di formazione professionale fu il programma d’azione Leonardo da Vinci, adottato nel 1994 al fine di sostenere e integrare le attività degli Stati membri attraverso l’impiego della cooperazione transnazionale per il miglioramento della qualità, la promozione dell’innovazione e il rafforzamento della dimensione europea dei sistemi e delle pratiche di formazione.

Dopo la firma del Trattato di Amsterdam, che sostanzialmente confermava le linee precedenti, l’obiettivo strategico di creare le basi per una società della conoscenza competitiva e dinamica ebbe sia nel Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 (v. Strategia di Lisbona), sia nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002 una legittimazione chiara e autorevole.

Il tentativo di realizzare questo intendimento è stato affidato, da una parte, alla programmazione 2000-2006 del FSE e dall’altra, alla seconda fase del programma d’azione Leonardo da Vinci ispirata alla comunicazione della Commissione europea “Per un’Europa della conoscenza”.

Francesco Petrini (2005)