Politica europea di cooperazione allo sviluppo

Definizione tematica e introduzione storica

La definizione di “Aiuto pubblico allo sviluppo” (APS, in inglese ODA, Official development assistance) è il termine adottato a livello internazionale per identificare le iniziative che rientrano nell’ambito della politica pubblica di cooperazione allo sviluppo. In particolare, il Comitato per gli aiuti allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) indica con tale espressione «quei flussi ai paesi in via di sviluppo (PVS) e alle istituzioni multilaterali forniti da organi pubblici, inclusi i governi statali e locali, o i loro organi esecutivi, ciascuna transazione dei quali soddisfa le seguenti condizioni: è amministrata con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico ed il benessere dei PVS; è a condizioni agevolate e contiene un elemento dono pari almeno al 25%». Per elemento dono si intendono i trasferimenti in moneta o in natura per i quali non è richiesto il rimborso, l’assistenza tecnica, i prestiti da rimborsare che abbiano una componente dono del 25% usando un tasso di sconto del 10%.

Tracciando un percorso storico-evolutivo delle azioni di cooperazione internazionale dell’Unione europea, si nota che soltanto negli ultimi quindici anni, con la fine della Guerra fredda, la politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo ha acquistato un ruolo e una fisionomia propri, conoscendo l’esplicita proclamazione nelle fonti primarie dei propri principi e contenuti, nonché l’istituzionalizzazione degli assetti e strumenti operativi.

Importanti politiche di aiuto furono avviate già nel corso degli anni Sessanta, ma da allora sostanziali trasformazioni sono avvenute nel contesto storico-politico.

Nessuna disposizione del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE, Roma, 1957) (v. Trattati di Roma) prevedeva espressamente una politica comune per la promozione dello sviluppo nei paesi e nelle aree arretrate. Le uniche norme ricollegabili, pur fra importanti limiti, a un’azione comunitaria nell’ambito dello sviluppo erano contenute negli articoli 3 (k) e 131-136 che, prevedendo l’associazione alla CEE dei Paesi e territori d’oltremare (PTOM), definivano un particolare regime d’aiuto per i paesi e le aree non europee che godevano di particolari relazioni con alcuni Stati membri. Si tratta, in particolare, dei paesi che si trovavano ancora sottoposti alla dominazione coloniale (colonie o aree sotto amministrazione fiduciaria) di Francia, Belgio, Italia e Olanda (v. Paesi Bassi). Con il Trattato di Roma venne creato inoltre il primo Fondo europeo di sviluppo (FES), destinato ad assicurare la realizzazione di infrastrutture e a mantenere legami politici, economici e commerciali con le colonie ed i protettorati.

Con l’avvio della decolonizzazione, intensificatasi negli anni Sessanta, si poneva l’esigenza di ricercare nuovi fondamenti per le relazioni con le ex colonie, in grado di riflettere la mutata concezione dei rapporti tra Comunità e PVS. La politica di cooperazione allo sviluppo veniva così progressivamente elaborata attraverso un’evoluzione dei tratti distintivi della politica commerciale comune e della struttura degli accordi di associazione (v. Associazione) con i paesi terzi.

Le Convenzioni di Lomé con i paesi degli Stati dell’Africa sub sahariana, Carabi e Pacifico ha rappresentato, negli anni Settanta, un passaggio epocale nell’evoluzione della politica comunitaria di aiuto allo sviluppo poiché aveva impostato l’intera rete di rapporti tra Europa e PVS in una logica di cooperazione.

L’aiuto esterno dell’Unione europea non si è limitato, però, ai soli paesi ACP. Il tema delle relazioni con i paesi terzi mediterranei (PTM), ad esempio, si è posto all’attenzione della Comunità sin dalla sua fondazione (anche se originariamente solo nella misura di una disciplina dei rapporti coloniali). Tuttavia, fattori geopolitici ed economici hanno avviato, nel breve volgere di qualche decennio, una profonda evoluzione della politica comunitaria in questo ambito. Nel 1995, per la crescente importanza strategica assunta dall’area mediterranea, la Commissione europea aveva rilevato la necessità sia di integrare il sistema degli accordi vigenti con un nuovo quadro normativo in grado di creare una zona di libero scambio, sia di estendere i contenuti della cooperazione alle questioni sociali e culturali, alla politica di sicurezza, alla valorizzazione delle risorse umane e alla tutela dei diritti fondamentali: la Dichiarazione di Barcellona (v. Processo di Barcellona), infatti, aveva sancito la nascita del Partenariato euromediterraneo e della politica di prossimità (cui ci si riferisce anche con l’espressione “Processo di Barcellona“).

I rapporti tra l’Unione europea e i paesi dell’Asia e dell’America Latina (cosiddetti ALA) (v. Programma di cooperazione con i paesi dell’America Latina e dell’Asia) sono stati definiti, negli anni, da una serie di accordi e di dialoghi di tipo politico, economico e di cooperazione allo sviluppo. Tali accordi possono riguardare sia i rapporti UE-PVS ALA in senso ampio sia, in maniera più specifica, rapporti di tipo bilaterale con i paesi dell’area e accordi tra UE e raggruppamenti di tali paesi: Association of South East Asian nations (ASEAN, Associazione delle nazioni dell’Asia Sud-Orientale), Mercado común del Sur (MERCOSUR, Mercato comune del Sud), Patto andino, ecc. In particolare, la Comunità europea aveva avviato rapporti di cooperazione finanziaria e tecnica con i PVS dell’America Latina e dell’Asia (PVS-ALA) già a partire dal 1976. L’Unione europea, poi, affiancò nel 1997 un programma specifico per fornire aiuti e assistenza ai rifugiati e a tutti coloro che, in seguito ad avvenimenti di diversa natura (guerre, carestie, disastri naturali) fossero stati costretti a lasciare le proprie case e le proprie terre. Per quanto riguarda più in particolare le politiche di cooperazione allo sviluppo dell’Asia, è importante notare come esse fossero rivolte, in gran parte, alla regione del Sudest: verso di essa si concentrarono i flussi più rilevanti di APS e di programmi di vario genere (v. anche Programmi comunitari). Per quanto riguarda invece l’America Latina, la Commissione europea, a partire dal 2000, aveva indirizzato i propri sforzi su alcuni settori ritenuti chiave al fine di consentire una crescita armoniosa in tutta l’area. In particolare, vennero identificate le seguenti sei aree prioritarie di intervento: democrazia e Diritti dell’uomo; integrazione e cooperazione regionale; sanità; istruzione; trasporti, sicurezza alimentare e sviluppo rurale sostenibile; sostegno alla capacità istituzionale e Stato di diritto.

I progressi compiuti negli ultimi quindici anni

Negli ultimi 15 anni l’aiuto esterno dell’Unione europea, inizialmente limitato ai paesi ACP, ha acquisito una dimensione globale. Oggi la Commissione finanzia progetti in oltre 140 paesi.

L’Unione europea è oggi uno dei principali attori e finanziatori nel campo della cooperazione allo sviluppo e della lotta alla povertà nel mondo. I suoi sforzi in materia di aiuti pubblici allo sviluppo si sono notevolmente accresciuti negli ultimi anni e la gamma di beneficiari degli aiuti si è allargata. Attualmente l’insieme dell’aiuto dell’Unione europea e dei suoi Stati membri rappresenta circa il 55% dell’aiuto pubblico internazionale allo sviluppo e più di due terzi degli aiuti non rimborsabili. Da sola la Commissione europea, organo esecutivo dell’Unione, fornisce il 10% dell’APS nel mondo. Ciò la rende un partner privilegiato dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, in un contesto mondiale marcato dalla notevole riduzione del volume degli aiuti, le risorse destinate dall’Unione alla cooperazione allo sviluppo rimangono apprezzabili.

Il bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) costituisce lo strumento finanziario generale per il finanziamento dei programmi di cooperazione.

Gli stanziamenti dedicati alla cooperazione seguono oggi un duplice approccio: il primo di tipo geografico, ripartito su tre zone (paesi ACP, bacino del Mediterraneo, Asia e America Latina), con aiuti in forma di prestiti a fondo perduto, essenzialmente orientati alla cooperazione finanziaria, tecnica ed economica; il secondo di tipo tematico o settoriale (attraverso linee di bilancio specifiche i cui beneficiari appartengono a tutte le regioni del mondo, compresi i paesi ACP) con interventi finalizzati all’erogazione di aiuti umanitari e alimentari d’emergenza e alla cooperazione con le organizzazioni non governative (ONG).

Oltre al bilancio comunitario, gli interventi relativi alla cooperazione allo sviluppo si basano su due strumenti finanziari: la Banca europea per gli investimenti (BEI), che concede prestiti nel quadro delle proprie attività esterne; il Fondo europeo di sviluppo (FES), che si affida ai contributi degli Stati membri calcolati secondo un particolare criterio di ripartizione – un Fondo specifico di durata quinquennale è assegnato a ciascuna Convenzione (v. anche Convenzioni) –, in relazione alla politica di partenariato con i paesi ACP.

Nel corso degli anni la gestione dell’assistenza esterna ha subito numerosi processi di modifiche finalizzate al suo miglioramento.

La creazione nel 1998 del Servizio comune delle relazioni esterne (SCR) raggiunse una prima tappa finalizzata all’unificazione dei servizi responsabili dell’esecuzione dei programmi di assistenza ai paesi terzi e al miglioramento della gestione. Su tale base il SCR si è in particolare dedicato all’eliminazione dei ritardi di pagamento, alla chiusura delle pratiche arretrate, all’armonizzazione e semplificazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti e assegnazione delle sovvenzioni e alla razionalizzazione dei sistemi informativi.

Il 16 maggio 2000, la Commissione decise di approfondire la riforma mediante un ambizioso programma volto a migliorare la qualità dei progetti e ad accelerarne l’esecuzione. Il programma comprendeva in particolare i seguenti punti: migliorare in modo significativo la qualità e l’adattabilità della gestione dei progetti; ridurre considerevolmente il tempo necessario all’attuazione dei progetti approvati; garantire procedure di gestione finanziaria, tecnica e contrattuale armonizzate e conformi alle migliori norme internazionali a livello di deontologia e responsabilità; migliorare l’impatto e la visibilità della cooperazione e dell’assistenza allo sviluppo prestate dall’Unione europea.

La creazione dell’Ufficio di cooperazione EuropeAid, che riunisce in sé tutte le fasi della programmazione, costituiva un elemento centrale del dispositivo inteso a migliorare i sistemi di gestione e a consentire alla Commissione europea di sostenere il rafforzamento della presenza e dell’influenza dell’Unione europea sulla scena mondiale.

Successivamente, la proposta delle nuove prospettive finanziarie, sulla base delle quali si sarebbe decisa la ripartizione del bilancio comunitario nel periodo dal 2007 al 2013, rappresentò l’occasione di un ripensamento complessivo della strumentazione per l’assistenza esterna e la cooperazione dell’Unione europea.

Dopo aver portato a termine l’allargamento a dieci nuovi paesi, nel maggio del 2004 l’Unione ritenne di avere accresciuto il proprio peso strategico a livello internazionale e di dovere quindi razionalizzare e rendere maggiormente efficace la propria azione esterna. La necessità di una maggiore efficacia e coerenza in questo campo emergeva sia da ragioni politiche sia da motivazioni economiche, e rispondeva, secondo la Commissione, a una domanda dei cittadini europei per una presenza maggiormente incisiva dell’Unione sulla scena internazionale.

La riforma proposta dalla Commissione partiva da una serie di considerazioni sul ruolo dell’Unione europea come attore di cooperazione internazionale e sull’opportunità di migliorarne l’azione esterna. Secondo la Commissione europea il livello comunitario era il più appropriato per fornire assistenza a paesi terzi, per la capacità della Comunità di aggregare risorse ed esperienze e per l’influenza, la visibilità, il peso economico e la massa critica e le economie di scala che l’azione della Comunità avrebbe potuto generare.

Proposte di riforma della Politica di cooperazione e sviluppo: nuovi strumenti

La proposta di riforma rappresentava una sostanziale semplificazione degli strumenti a sostegno delle relazioni esterne dell’Unione; questa era guidata in primo luogo dalla necessità di assicurare la coerenza complessiva delle diverse politiche e l’equilibrio tra strategie di medio e di lungo periodo. Questo obiettivo avrebbe dovuto essere perseguito attraverso la programmazione, attraverso la redazione dei documenti strategici per paese e per regioni (country and regional strategy papers) e mediante le procedure di attuazione. La Commissione proponeva di semplificare la struttura e le procedure per l’assistenza e di orientare l’allocazione delle risorse all’ottenimento di maggiori benefici possibili, attraverso la misurazione dei progressi e il monitoraggio. La riforma puntava inoltre a migliorare il dialogo e il coordinamento con altri donatori e istituzioni internazionali, e intendeva favorire, grazie alla maggiore efficacia e leggibilità dell’aiuto comunitario, un miglior dialogo con i paesi terzi.

Il nuovo quadro proposto dalla Commissione si basava su sei strumenti, quattro dei quali erano nuovi; tre di questi erano stati disegnati per sostenere e finanziare politiche specifiche: la politica di preadesione (v. Strategia di preadesione), la Politica europea di vicinato e la politica di cooperazione economica e allo sviluppo con quei paesi compresi tra quelli che non rientravano nella politica di preadesione e nella sfera di prossimità.

La politica di preadesione era rivolta ai paesi candidati all’ingresso nell’Unione europea (Turchia e Croazia) e ai potenziali candidati (i cosiddetti Balcani occidentali, Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Serbia e Montenegro), e si basava sui documenti strategici, i rapporti periodici, i negoziati per l’adesione, i partenariati europei e di adesione. Lo strumento di preadesione (Instrument for pre-accession, IPA) proposto avrebbe sostituito una serie di strumenti attualmente in uso, dal programma Poland, Hungary aid for the reconstruction of the economy (PHARE, Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale) a Instrument for structural policies for pre-accession (ISPA), Special accession programme for agriculture and rural development (SAPARD) e Community assistance for reconstruction, development and stabilisation (CARDS), e si sarebbe occupato del rafforzamento istituzionale, della cooperazione regionale e transfrontaliera, dello sviluppo regionale, rurale e delle risorse umane. I paesi beneficiari sarebbero stati divisi in due categorie, a seconda della loro prospettiva di adesione e del fatto che godessero o meno dello status di paese candidato. I paesi potenziali candidati avrebbero continuato a ricevere assistenza secondo le modalità individuate dal regolamento CARDS, privilegiando quindi il rafforzamento istituzionale, la democratizzazione, lo sviluppo economico e sociale, la cooperazione regionale e transfrontaliera, e un limitato adattamento alle norme comunitarie (v. anche Diritto comunitario). I paesi candidati all’adesione avrebbero ricevuto inoltre un’assistenza finanziaria finalizzata ad aiutare gli stessi a soddisfare i criteri politici ed economici legati all’adesione (v. Criteri di adesione), ad acquisire la capacità amministrativa e giudiziaria per l’attuazione dell’Acquis comunitario, e a prepararsi alla gestione dei fondi strutturali, di coesione e di sviluppo rurale (v. Fondo di coesione). La proposta del nuovo strumento prevedeva una procedura leggera per il passaggio di un paese dalla categoria di candidato potenziale a candidato vero e proprio, che sarebbe avvenuta per semplice decisione del Consiglio dell’Unione europea (v. Consiglio dei ministri), senza l’emanazione di un altro regolamento.

Il secondo nuovo strumento proposto era quello di vicinato e partenariato (European neighbourhood and parnership instrument, ENPI), rivolto ai nuovi Stati indipendenti occidentali (Ucraina, Bielorussia, Moldavia), ai paesi del Caucaso meridionale (Armenia, Azerbaigian, Georgia) e ai paesi del Mediterraneo meridionale e orientale (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Libano, Giordania, Israele, Autorità palestinese, gli attuali paesi MEDA). Lo strumento avrebbe finanziato inoltre il partenariato strategico dell’Unione europea con la Russia.

Il terzo nuovo strumento sosteneva la politica di cooperazione economica e allo sviluppo di paesi che non rientrassero nella politica di preadesione o nel raggio di azione della politica di vicinato. Lo strumento per la cooperazione economica e allo sviluppo era finalizzato ad aiutare i paesi terzi nel raggiungimento degli obiettivi del millennio e della riduzione della povertà, coprendo sia la cooperazione con paesi e regioni partner, sia le iniziative tematiche e le azioni necessarie a rispettare gli impegni internazionali della Comunità europea.

Oltre ai tre strumenti finalizzati a sostenere specifiche politiche della Comunità e quindi con una particolare copertura geografica, erano previsti tre strumenti disegnati per rispondere a situazioni di crisi, dei quali uno di nuova concezione e due già esistenti. Lo strumento di stabilità aveva l’obiettivo di rispondere in modo adeguato a condizioni di instabilità, a crisi e sfide di lungo periodo con implicazioni in termini di sicurezza e stabilità, operando in modo complementare agli altri strumenti e con lo scopo di stabilire o ristabilire le condizioni necessarie per il dispiegamento delle politiche comunitarie nei diversi contesti. Lo strumento di stabilità in primo luogo avrebbe permesso alla Comunità di fornire una risposta immediata, efficace e integrata a situazioni di crisi o di instabilità in paesi terzi, all’interno di uno strumento legale unico, fino a quando si fossero ristabilite le condizioni normali di cooperazione e per la fornitura di assistenza. Da questo punto di vista lo strumento faceva propria l’esperienza acquisita con il meccanismo di reazione rapida e sulle disposizioni in materia di emergenza contenute negli strumenti di assistenza esterna (v. anche Politica estera e di sicurezza comune; Politica europea di sicurezza e difesa). In secondo luogo, lo strumento per la stabilità avrebbe dovuto affrontare sfide di carattere globale e regionale che avessero presentato una dimensione di sicurezza o instabilità, relative sia a problemi di sicurezza nucleare e non proliferazione, sia alla lotta al traffico di esseri umani, la Lotta contro il terrorismo, la lotta alla criminalità internazionale e contro la droga e a minacce impreviste alla salute pubblica (v. anche Politica della salute pubblica). Infine, lo strumento avrebbe dovuto fornire una risposta tempestiva a necessità non previste, pilotando misure specifiche fino a quando queste non fossero state incorporate nei tre strumenti.

Gli altri due strumenti finalizzati a rispondere a crisi specifiche che completano il quadro, già esistenti, erano lo strumento di aiuto umanitario e l’assistenza macrofinanziaria.

Infine, in sede di Consiglio europeo (Barcellona, 14 marzo 2002), l’Unione europea tradusse in otto espliciti impegni il Monterrey consensus, emerso dalla Conferenza mondiale tenutasi in Messico nel febbraio 2002. I cosiddetti Obiettivi di Barcellona erano: aumentare il volume di APS medio allo 0,39% del PNL per il 2006, in vista dell’obiettivo dello 0,7%; assicurare maggiore coordinamento e armonizzazione degli aiuti; “slegare” gli aiuti; fornire assistenza relativa al commercio internazionale; fornire beni pubblici globali; promuovere fonti innovative di finanziamento; riformare il sistema finanziario internazionale; impegnarsi per misure di alleggerimento del debito estero dei PVS. Più recentemente, l’Unione si è sforzata di elaborare, attraverso la Commissione, una serie di proposte, che vanno sotto il nome di “Pacchetto della Commissione europea per gli obiettivi di sviluppo del Millennio”, pubblicate nell’aprile 2005. Si tratta di tre comunicazioni della Commissione sul contributo dell’Unione al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, sulle strategie per aumentare le risorse finanziarie e l’efficacia degli aiuti e sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo. Facendo proprio l’obiettivo sottoscritto dalla comunità internazionale di aumentare la quantità di risorse destinate all’APS e in vista del raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7% del PNL, il 12 aprile 2005 la Commissione europea aveva proposto che i 15 paesi si impegnassero a raggiungere almeno lo 0,51% entro il 2010 e che, per la stessa data, i 10 nuovi membri arrivassero a destinare lo 0,17%. La media dell’Unione europea dovrebbe così raggiungere lo 0,56% del PNL entro il 2010, per poi salire allo 0,7% entro il 2015.

Marco Zupi (2007)