Polonia

La Polonia è stato lo Stato satellite dell’Europa centrale ad aprire la strada alla democrazia e all’integrazione nelle istituzioni occidentali. Nel 1988, quando il clima di maggiore libertà prodotto dalla perestrojka portò a rilegalizzare il sindacato Solidarność, la riunificazione dell’Europa divenne per più di 50 anni una possibilità concreta. A dispetto della sua indebolita capacità di mobilitazione, Solidarność fu allora in grado di organizzare un’ondata di scioperi che portò i comunisti al tavolo dei negoziati. I negoziati della Tavola rotonda tra i comunisti e i leader di Solidarność mirarono a una liberalizzazione progressiva del regime e segnarono l’inizio della transizione verso la democrazia. La ratifica dei documenti della Tavola rotonda determinò la legalizzazione di Solidarność ed elezioni alla Camera bassa del Parlamento, dove un terzo dei seggi potesse contendersi liberamente. Quando i Comitati cittadini di Solidarność vinsero tutti i seggi a cui si poteva concorrere, il partito comunista si rese conto che il regime era diventato insostenibile. Fu formato un governo di compromesso guidato da Tadeusz Mazowiecki che promise elezioni pienamente libere.

La sete di democrazia e di libertà nazionale alla base del progetto di creazione dello Stato, del processo di formazione della nazione e dello sviluppo economico che nel 1918 aveva mosso gli attori politici nel periodo della restaurazione dell’indipendenza, animò allo stesso modo l’élite politica di Solidarność nel 1989. La politica postcomunista avrebbe dovuto affrontare queste sfide presentando la triplice transizione come un “ritorno in Europa”. Il programma elettorale di Solidarność del 1989 affermava: «Queste elezioni dovranno essere un ritorno. È giunto il momento che la Polonia diventi un paese dove tutti si sentano a casa. È ora che la Polonia ritorni in Europa». Il “ritorno in Europa” costituì la prima espressione di liberalismo politico in Polonia. La libertà per la Polonia e gli Stati postsovietici si tradusse nell’immediato riconoscimento dell’indipendenza della Lituania e della Bielorussia nel 1991, nonostante la presenza delle truppe dell’Armata rossa. Contrariamente alla tradizione di politica internazionale stabilita durante la Seconda repubblica polacca, fu garantito il rispetto dei confini del 1945. La Polonia rinunciò ai territori persi nella Conferenza di Yalta, quali Vilnius e Lwów. Le frontiere stabilite durante tale Conferenza nel febbraio 1945, sotto la pressione delle richieste sovietiche di considerare la linea Curzon come il nuovo confine polacco-sovietico, furono riconosciute dal primo governo Mazowiecki. Col senno di poi, il riconoscimento da parte degli inglesi e degli americani del governo di Lublino che era stato stabilito dall’Unione Sovietica quando le sue truppe invasero la Polonia e il crollo del governo di Londra segnarono il destino della Polonia multietnica e la nascita di uno Stato etnicamente omogeneo (v. Prazmowska, 1995).

Il “ritorno in Europa” esprimeva anche il carattere dell’identità polacca. Lo Stato polacco, creato alla metà del X secolo come Stato slavo ai confini del Sacro romano impero delle nazioni tedesche, fu istituito con la benedizione del Papa e rese la Polonia il regno della Cristianità latina. Da allora l’idea dello Stato polacco come il “baluardo più orientale della Cristianità” si radicò nell’identità polacca.

Le elezioni del 1989 segnarono la prima fase delle relazioni polacche con l’Unione europea (UE) e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). I leader occidentali, colti di sorpresa dal crollo del comunismo negli Stati satellite sovietici, reagirono con un misto di alta retorica e di notevole cautela riguardo al futuro assetto dell’Europa. Per quattro anni la Polonia e gli altri Stati dell’Europa centrale fecero di tutto per ottenere garanzie di sicurezza da parte dell’Occidente, ma le istituzioni europee e gli Stati membri non erano pronti a promettere l’adesione futura alle istituzioni occidentali.

Il 19 settembre 1989, la Polonia firmò l’accordo di cooperazione commerciale con l’allora Comunità economica europea (CEE). L’accordo non gettava solo le basi per le relazioni future ma costituiva anche un punto di partenza per i futuri negoziati in materia di Associazione. Tale intenzione fu espressa dal Primo ministro polacco Tadeusz Mazowiecki nel suo discorso al Parlamento europeo nel febbraio 1990. Il 19 maggio 1990, la Polonia presentò ufficialmente domanda per iniziare i negoziati per un accordo di associazione.

Box 1 → Banca Nazionale Polacca

Lo scioglimento di Solidarność, causato dalla “guerra ai vertici” intrapresa da Lech Wałesa e dai suoi compagni, determinò non solo un parlamento ultra frammentato, ma anche un sistema partitico ideologicamente polarizzato. In buona parte, la destra era composta da partiti che portavano avanti le stesse battaglie ideologiche condotte durante la Seconda repubblica polacca istituita nel 1921 (v. Okey, 1992; Rothschild, 1974). Diversi partiti post Solidarność fecero propria l’ideologia dei due artefici dell’indipendenza polacca del 1918, Josef Pilsudski e Roman Dmowski, e queste eredità hanno sin da allora strutturato in larga misura la scena politica polacca di destra e le posizioni dei partiti sull’integrazione europea (v. anche Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della).

Box 2 → Ufficio del comitato per l’integrazione europea

L’instabilità ai vertici che durò fino al 1993 non intaccò la politica estera polacca europeista. La permanenza di Krzysztof Skubiszewski come ministro degli Affari esteri per tutti i tre governi in carica tra il 1991 e il 1993 e la sua nomina a plenipotenziario per l’Integrazione europea e l’assistenza estera durante il governo di Jan Krzysztof Bielecki, carica che rivestì fino al 1996, garantirono la determinazione della Polonia a diventare membro della Comunità europea. Per sostenere la sua attività di plenipotenziario, il governo istituì anche l’ufficio per gli Affari europei come cellula dell’ufficio del Consiglio dei ministri.

Sia Jacek Saryusz-Wolski che Skubiszewski svolsero un ruolo chiave nel garantire la politica polacca verso l’Unione europea e nel negoziare gli Accordi europei che istituivano un’associazione tra la Polonia e l’Unione europea. Tali accordi furono firmati nel dicembre 1991, e le parti commerciali furono ratificate nel marzo 1992. Nonostante le disposizioni politiche (c’è anche un titolo riguardante il dialogo politico nonché la cooperazione culturale, economica e finanziaria) contenute in tali accordi, il loro obiettivo principale era la graduale istituzione di una zona di libero scambio. Prevedevano, inoltre, misure antidumping, disposizioni sugli Aiuti di Stato e stabilivano la creazione di Consigli di associazione per controllare l’implementazione della legislazione europea negli Stati candidati (v. anche Paesi candidati all’adesione). Con sgomento da parte dell’élite politica polacca, gli accordi limitarono sostanzialmente il libero scambio di prodotti industriali e imposero forti restrizioni allo scambio nel settore dei servizi e in quello agricolo. Furono soprattutto le restrizioni agli scambi nel settore agricolo a non essere ben accolte dall’élite polacca. Diversamente da altri Stati dell’Europa centrale, nei primi anni ’90 il settore agricolo in Polonia impiegava ancora circa il 40% della popolazione. La mancata attuazione della riforma agricola si spiega con l’inversione della collettivizzazione comunista dell’agricoltura nel 1956 dopo aver incontrato la straordinaria resistenza del popolo polacco (v. Rothschild, 1974) e l’inizio da parte della Polonia del cosiddetto “approccio polacco al comunismo” (v. Okey, 1992). Allorché il settore agricolo fu colpito dalla crisi economica a seguito della terapia shock, la speranza delle élites polacche di ricevere aiuto dall’Occidente per far fronte al crollo dei prezzi furono deluse dalla chiusura dei mercati UE (v. Sharman, 2003). L’élite polacca accusò l’Unione di protezionismo e di agire in funzione esclusivamente dei propri interessi. Gli accordi europei furono deludenti anche perché, nonostante il preambolo dell’accordo che stabiliva l’associazione della Polonia all’Unione europea non come fine ultimo, ma come strumento per ottenere un’adesione a pieno titolo all’Unione, tale dichiarazione non venne accettata immediatamente poiché ritenuta vincolante per le Istituzioni comunitarie.

L’impegno ancora esitante da parte delle istituzioni europee a integrare la Polonia si rifletté in una forma di assistenza finanziaria piuttosto vaga fornita dal Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE). Tale programma fu elaborato in linea di massima per aiutare i due paesi nella transizione verso l’economia di mercato. A seguito della crisi economica, le elezioni parlamentari del 1993 mutarono profondamente lo scenario politico. L’ex partito comunista SLD, paria tra gli altri componenti dell’élite politica polacca, vinse le elezioni e formando una coalizione con il partito contadino salì al potere. Lo stesso anno il Consiglio europeo di Copenaghen accettò l’adesione come fine ultimo del processo di integrazione. Ciò segnò l’inizio di una nuova fase nelle relazioni tra la Polonia e l’UE. Il Consiglio di Copenaghen stabilì i criteri fondamentali per aderire all’UE, i cosiddetti Criteri di adesione o di Copenaghen (v. Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Copenaghen, 1993).

Nel 1994, quando la Polonia divenne un candidato ufficiale all’adesione europea, le sue relazioni con l’UE mutarono significativamente. L’UE divenne al contempo arbitro e attore nel processo di adesione e durante questa fase la Commissione fu l’interlocutore istituzionale centrale per la Polonia e per gli altri Stati candidati. L’UE definì i criteri mentre la Commissione diede corpo e forma determinandone più precisamente i contenuti (v. Grabbe, 2002). Al Consiglio europeo di Cannes del 1995 fu adottato il “Libro bianco sull’integrazione dei PECO nel mercato interno” (v. Libri bianchi) e nel 1997 la Commissione di Jacques Santer presentò l’“Agenda 2000”. Questi documenti stabilirono priorità per gli innumerevoli compiti che l’adozione dell’Acquis comunitario da parte dei candidati all’Unione europea comportava.

In qualità di arbitro sui criteri di Copenaghen, la Commissione acquisì anche maggiori poteri nelle relazioni con gli Stati candidati. Ciò significò per l’élite politica polacca trovarsi in un rapporto subordinato a un organo tecnico e burocratico che aveva il potere di determinare gli esiti politici (v. Grabbe, 2002). Durante questa fase, il sostegno pubblico all’integrazione europea rimase sostanzialmente alto, con il 77% della popolazione a favore dell’adesione nel giugno 1994, anno in cui la Polonia si candidò formalmente all’adesione all’UE, raggiungendo il picco massimo dell’80% nel maggio 1995.

Nel 1996, in risposta alla crescente complessità delle richieste dell’Unione europea e all’interno di un rimpasto governativo, il governo di coalizione tra SLD e PSL sostituì l’ufficio per gli Affari europei con il Comitato per l’Integrazione europea (KIE) e il suo segretariato permanente, l’UKIE. Il KIE divenne la massima autorità di coordinamento delle politiche europee della Polonia. A metà tra un comitato di gabinetto e un ente collettivo supremo, l’UKIE fu istituito allo scopo di istituzionalizzare e coordinare maggiormente le attività governative verso l’integrazione europea.

La terza fase delle relazioni della Polonia con l’UE iniziò con il Consiglio europeo di Lussemburgo nel dicembre 1997, allorché l’UE accettò il parere della Commissione di invitare la Polonia e altri Stati dell’Europa centrale ad avviare i negoziati per la loro adesione europea (v. Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Lussemburgo, 1997). La prima fase negoziale, che durò fino al 1999, consistette nel cosiddetto screening, volto a verificare la compatibilità della legislazione polacca con la normativa europea. I negoziati capitolo per capitolo iniziarono ufficialmente il 31 marzo 1998. La Polonia allora firmò un partenariato per l’adesione con l’UE, un accordo che implicava che tutti gli Stati candidati elaborassero su base annuale un Programma nazionale per l’adozione dell’acquis, in cui si richiedeva ai paesi di colmare le lacune individuate nei pareri della Commissione. Il Primo ministro Jerzy Buzek nominò una squadra di negoziatori diretta da Jan Kulakowski e la pose sotto il suo diretto controllo e i negoziati furono condotti attraverso conferenze per l’adesione bilaterali tra i paesi candidati e l’Unione europea. Kulakowski divenne segretario di Stato alla cancelleria del primo ministro e quindi plenipotenziario del governo per i negoziati di adesione della Polonia all’Unione europea. In qualità di negoziatore principale, Jan Kulakowski gestì anche i rapporti tra la Polonia e l’UE da un lato e tra i partner della coalizione governativa tra AWS e UW dall’altro.

Nel 1998, il processo di integrazione polacca nella NATO giunse al termine, ottenendo cioè la promessa di integrare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nell’Alleanza l’anno successivo. Durante il vertice NATO di Madrid del novembre 1998, tali promesse espresse dai leader occidentali in merito all’allargamento della NATO ai tre paesi sopramenzionati divennero più concrete e furono discussi i dettagli finali dell’adesione della Polonia alla NATO. Il 26 febbraio 1999, durante il vertice di Praga, il presidente Kwasniewski, un sostenitore impegnato e determinato dell’integrazione polacca nella NATO firmò i documenti per ratificare l’adesione della Polonia all’Alleanza.

L’avvio dei negoziati coincise casualmente con le elezioni parlamentari dell’autunno del 1997 e con il conseguente cambio di governo. L’Azione elettorale Solidarność (AWS), che riuniva più di 30 raggruppamenti politici di destra, salì al potere alleandosi con l’Unione per la Libertà (UW). L’AWS cercò di crearsi un’identità di partito democratico cristiano attingendo all’ideologia economica e politica democristiana dei sindacati. Il fatto che la coalizione dell’AWS comprendesse diversi partiti nazionalisti, molti dei quali ostili all’integrazione europea, rese i negoziati tra la Polonia e l’UE ancora più complessi.

L’influenza dei partiti nazionalisti all’interno della coalizione, come l’Alleanza Cristiano-Nazionale (ZChN), sul processo d’integrazione aumentò quando il leader di ZChN, Rychard Czarnecki, divenne sottosegretario di Stato dell’UKIE, incarico assegnatogli nel tentativo di convertire il partito all’eurofilia. A causa dei suoi contrasti con il sottosegretario di Stato dell’UW, Piotr Nomina-Konopka, si dimise nel 1998. Tuttavia, anche dopo le sue dimissioni, il conflitto tra le componenti liberali e nazionaliste della coalizione proseguì determinando conseguenze di vasta portata sui progressi nei preparativi all’adesione. Dopo le dimissioni di Czarnecki nel giugno 1998, la posizione del KIE venne indebolita da un lungo periodo di instabilità istituzionale e la situazione di stallo della coalizione impedì al primo ministro di nominare un segretario permanente del KIE. Il nodo della questione era l’insistenza da parte dell’Unione per la Libertà nel proporre un suo candidato come segretario del KIE e l’opposizione della ZChN. A causa dell’incapacità del governo di guidare il processo di integrazione, la Polonia iniziò a rimanere indietro rispetto ad altri candidati non essendo riuscita a trasporre l’acquis comunitario.

Quando al Consiglio europeo di Helsinki fu introdotto il principio di differenziazione tra gli Stati candidati, le conseguenze derivanti dalla loro non conformità divennero più pesanti (v. Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Helsinki, 1999). I candidati che non rispettavano la tabella di marcia proposta per la trasposizione legislativa rimanevano indietro nel processo di adesione. L’apertura dei negoziati determinò anche il riorientamento del programma PHARE che si concentrò sulle priorità di preadesione, avendo come obiettivo principale quello di preparare le amministrazioni degli Stati candidati ad assorbire i fondi strutturali dopo l’adesione e ad adattare e applicare l’acquis (v. Bailey, de Propis, 2004). In questo contesto, il programma fu completato da altri due strumenti: lo Strumento per le politiche strutturali di preadesione (ISPA) e il Programma speciale di adesione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (SAPARD).

La politica di differenziazione tra i candidati in base ai risultati raggiunti nella trasposizione della legislazione europea ebbe un impatto notevole sulle relazioni tra Polonia e l’UE. A seguito della relazione sfavorevole della Commissione europea pubblicata nell’autunno del 1999, dove si dichiarava che l’adesione della Polonia avrebbe potuto ritardare rispetto al primo gruppo di Stati aderenti all’Unione europea, la responsabilità della mancata trasposizione della legislazione nei tempi prestabiliti ricadde principalmente sul governo dell’AWS. Quando la possibilità che la Polonia rimanesse indietro rispetto alla prima ondata di Stati candidati divenne una realtà, solo allora l’élite polacca iniziò a mobilitarsi per rendere più efficiente il processo di trasposizione legislativa rafforzando le capacità di coordinamento del governo centrale (v. Zubek, 2001).

Il governo di Buzek incontrò allo stesso modo difficoltà nel trovare un terreno comune all’interno dell’AWS e tra AWS e UW in merito alle posizioni negoziali. Da una parte i liberali all’interno della coalizione dell’AWS erano preoccupati per il ritardo nel consentire ai polacchi di trovare lavoro all’interno dell’UE e quindi erano favorevoli a una posizione ferma sul periodo di transizione in materia di libertà di circolazione dei lavoratori, e dall’altra l’UW era disposta a trovare un compromesso su tale questione favorendo un lungo periodo di transizione per la disposizione che consentiva agli stranieri di acquistare terreni polacchi. Il risultato fu un compromesso che accordava un periodo di transizione di cinque anni per i terreni per investimento e uno di diciotto anni per l’acquisto sia di terreni agricoli che di lotti edificabili. Questi conflitti colpirono anche altri aree di interesse dei negoziati, causando spesso posizioni negoziali inflessibili. Dopo la relazione sostanzialmente negativa della Commissione europea pubblicata nell’autunno del 1999, e malgrado il difficile contesto interno, il governo di Buzek si convinse della necessità di modificare le proprie posizioni su svariati e difficili capitoli, quali occupazione e politica sociale, tassazione, trasporti, energia e ambiente (v. Kulakowski, 2001).

Le elezioni svoltesi nell’autunno del 2001 videro vincitore l’SLD, l’ex partito comunista che alleandosi con il Partito contadino (PSL) salì ancora una volta al potere. Come nel precedente governo, le posizioni divergenti sui negoziati di adesione dei due alleati della nuova coalizione di governo intralciarono l’avanzamento dei negoziati. Tuttavia, diversamente dalla coalizione tra AWS e UW, il partito europeista, l’SLD, fu il protagonista compatto e dominante nel governo, e ciò permise a quest’ultimo di modificare le sue posizioni negoziali nonostante l’opposizione del Partito contadino (PSL). Poco dopo il suo insediamento, il nuovo governo guidato da SLD-UP annunciò una strategia negoziale rinnovata che prevedeva diverse concessioni al fine di velocizzare i negoziati di adesione. Nonostante l’opposizione dell’alleato di governo, il PSL, il nuovo ministro degli Esteri dell’SLD, Wlodzimierz Cimoszewicz, annunciò ulteriori concessioni al momento di presentare la nuova strategia negoziale della Polonia a Bruxelles. L’SLD propose di ridurre il periodo di transizione per la vendita di terreni polacchi agli stranieri da diciotto a dodici anni senza alcuna restrizione sull’acquisto di terreni per investimento, quello sulla vendita di terreni a destinazione ricreativa a sette anni, un periodo di transizione di tre anni per la vendita di terreni coltivabili a locatari stranieri e nessun periodo di transizione per la vendita di abitazioni residenziali. Il governo annunciò inoltre che avrebbe in linea di massima accettato che i periodi di transizione proposti per l’accesso ai mercati del lavoro occidentali non fossero negoziabili.

Il conflitto fu scatenato dal PSL e dalla sua reazione di fronte alle condizioni dell’integrazione polacca in merito alla Politica agricola comune (PAC), soprattutto riguardo al livello di sussidi agli agricoltori offerti alla Polonia e al lungo periodo di transizione per la vendita dei terreni agli stranieri. Il partito di sinistra, l’SLD, pur consapevole dei limiti alle posizioni negoziali imposti dall’opinione pubblica e della loro percezione degli interessi polacchi in settori quali l’agricoltura o la libera circolazione dei lavoratori, era anche determinato a risolvere l’impasse causata dall’inflessibilità del precedente governo dell’AWS nel suo ruolo di negoziatore. Al centro di questa situazione di stallo vi erano le condizioni relative all’integrazione dell’agricoltura polacca nella PAC, la cui negoziazione, dato il livello di difficoltà, fu lasciata per ultima. Il dramma si acuì nel gennaio 2002, quando la Commissione annunciò che gli agricoltori degli Stati candidati non avrebbero ricevuto per intero i sussidi durante i primi nove anni di adesione ma solo un quarto di quanto gli agricoltori degli Stati membri ricevevano in pagamenti diretti nel primo anno, con un aumento progressivo negli anni successivi.

L’SLD dovette anche affrontare un parlamento ostile all’integrazione europea. Dopo le elezioni del 2001, i partiti euroscettici erano in entrambi gli schieramenti di destra e sinistra. A sinistra il sindacato radicale degli agricoltori Samoobrona ottenne circa il 9% dei voti, mentre la Lega delle famiglie polacche, di recente formazione, si accaparrò i cattolici nazionalisti. Il frammentato centrodestra mantenne una posizione piuttosto vaga rispetto all’integrazione europea, quando né il partito nazional-conservatore Legge e giustizia né il liberal-conservatore Piattaforma civica appoggiarono incondizionatamente gli sforzi del governo per garantire un referendum a favore dell’integrazione coniando lo slogan “Nizza o morte” per opporsi a un atteggiamento di compromesso riguardo alla revisione della formula di voto stabilita a Nizza durante la Convenzione europea.

Il governo di coalizione tra PSL e SLD nominò Jan Truszynski, l’ex ambasciatore polacco UE, negoziatore principale della Polonia affidando, tuttavia, al leader dei contadini nonché ministro dell’Agricoltura Jaroslaw Kalinowski l’incarico di negoziare il capitolo dell’agricoltura. In questo ruolo, Kalinowski dovette gestire le tensioni provocate dalle posizioni divergenti tra i due partiti di governo in merito ai negoziati sull’agricoltura. La chiusura di tale capitolo di negoziato si realizzò soltanto al Consiglio di Copenaghen nel dicembre 2002. L’accordo sui sussidi agricoli stabilì un sistema di sostegno misto in cui le sovvenzioni basate su una maggiore produzione sarebbero state concesse solo agli agricoltori i cui prodotti godessero di sussidi all’interno dell’UE. Oltre a ottenere il periodo di transizione più lungo tra tutti i paesi candidati relativamente all’acquisto di terreni coltivabili da parte di stranieri, la Polonia si assicurò periodi di transizione in altri 42 settori.

Il governo dell’SLD nominò Danuta Hübner viceministro degli Esteri, segretario del KIE e direttore dell’UKIE. La sua triplice nomina fu concepita al fine di risolvere le difficoltà di coordinamento che avevano impedito il precedente governo di compiere progressi nella trasposizione legislativa e nei negoziati. La Hübner adottò misure efficaci per coordinare i preparativi dell’UKIE e del ministero degli Esteri in materia di affari europei, rendendo quindi il governo più incisivo e in grado di giungere a una conclusione positiva dei negoziati. Il 20 febbraio 2004, Leszek Miller la candidò a primo Commissario polacco e alla fine dello stesso anno quando si insediò la nuova Commissione presieduta da José Manuel Durão Barroso, la Hübner divenne responsabile della Direzione della politica regionale.

Durante i negoziati, alcuni sondaggi d’opinione rilevarono che il sostegno dei polacchi all’integrazione era diminuito attestandosi al 55% nel marzo 2002. L’opinione antieuropeista crebbe e la percentuale dei contrari passò da solo il 6% nel 1994 al 29% nel 2002. L’opinione pubblica polacca sembrò aver interpretato la condizionalità inerente ai negoziati come indice di una relazione impari tra la Polonia e l’UE. Da diverse indagini, ad esempio, risultò che il 60% dei polacchi (compresi il 50% dei sostenitori dell’adesione polacca all’UE) riteneva che una volta aderito all’UE il paese sarebbe stato un membro di seconda classe e solo il 30% era convinto che il paese avrebbe aderito acquisendo i diritti derivanti da un’adesione a pieno titolo (vedi CBOS, 1997, 2002). Inoltre, alla fine degli anni ’90, quando il governo esercitò forti pressioni sull’UE riguardo alla data di adesione, il sostegno pubblico a un’adesione “il prima possibile” diminuì (v. CBOS, 2001).

Una nuova fase delle relazioni tra la Polonia e l’UE fu segnata dalla conclusione dei negoziati di adesione al summit di Copenaghen nel dicembre 2002. Il 16 aprile 2003 ad Atene fu firmato il Trattato di adesione da Danuta Hübner, dal primo ministro Miller e dal ministro degli Affari esteri Wlodzimierz Cimoszewicz. Nel maggio 2004, quindici anni dopo essersi liberata del regime comunista, la Polonia divenne un membro a pieno titolo dell’UE. L’adesione all’UE, i dibattiti sulla Costituzione europea, il referendum sull’adesione e le elezioni per il Parlamento europeo non incisero sul sostegno pubblico all’adesione. Sondaggi d’opinione mostrarono che tale sostegno rimase stabile a circa il 55-60% mentre il livello di opposizione si attestò a circa il 25% (vedi CBOS, 2004). L’aperto sostegno all’adesione polacca all’UE mostrato dal papa Giovanni Paolo II in diverse occasioni fu determinante per l’elevato supporto all’integrazione europea della Polonia. Il 19 maggio 2004, egli ribadì tale sostegno nel modo più inequivocabile. Coniando lo slogan “Dall’Unione di Lublino [che sancì nel XVI secolo la fusione della Polonia e del granducato di Lituania] all’Unione europea” egli rafforzò quindi il messaggio dell’adesione polacca all’UE come una scelta civilizzatrice di proporzioni storiche da considerare nell’ottica di una Polonia intesa come la pedina fondamentale di un impero multinazionale. L’intervento del Papa fu l’evento più significativo durante la campagna referendaria anche perché rese estremamente difficile per i partiti con una posizione antieuropeista basata su un programma cattolico-nazionalista convincere gli elettori che le loro posizioni contrarie all’adesione europea si basassero su principi cattolici. Sebbene i vescovi polacchi non sostennero apertamente il voto a favore, dichiararono che la partecipazione al referendum era un obbligo morale e chiesero ai fedeli di farsi guidare dagli insegnamenti del papa a questo riguardo.

L’adattamento all’Allargamento a est mutò notevolmente l’UE, al punto che quando la Polonia divenne membro, l’Unione era un’organizzazione diversa rispetto a quando il paese aveva presentato la sua candidatura. La Polonia e gli altri paesi in transizione furono in seguito coinvolti nella ricerca delle risposte alle sfide poste da un’Unione con 25 membri. La Polonia cominciò a sperimentare il processo di decision-making dell’Unione quando le fu chiesto di prendere parte alla Convenzione europea per elaborare il Trattato costituzionale nel 2002 e nel 2003 e anche di accettare il cambiamento del sistema di voto deciso a Nizza che aveva fornito alla Polonia accordi di voto favorevoli nel Consiglio. Tale sistema rappresentava per la Polonia la garanzia che avrebbe mantenuto una notevole influenza sulle decisioni prese in seno al Consiglio. In accordo con il governo conservatore spagnolo, il governo polacco bloccò un accordo sul trattato costituzionale europeo al summit di Bruxelles del dicembre 2002. L’élite politica polacca elogiò il primo ministro per non essersi piegato alle pressioni dei “pesi massimi” dell’UE durante il summit di Bruxelles. Sei mesi dopo, in seguito alle dimissioni del primo ministro Leszek Miller e nonostante il dissenso pubblico e la resistenza dei partiti dell’opposizione, il governo dell’SLD in fase di cambiamento accettò la revisione dei diritti di voto precedentemente acquisiti alla Conferenza intergovernativa (CIG) (v. Conferenze intergovernative) di Nizza nel 2000 a favore di un sistema di voto basato su una Duplice maggioranza che sembrava concedere alla Polonia un controllo minore sui risultati legislativi in seno al Consiglio dei Ministri.

Le norme europee, formali e informali, e le condizioni per l’adesione espresse dai Criteri di Copenaghen costituirono un pacchetto che delimitò il percorso di trasformazione perseguito durante la triplice transizione polacca. La forma delle istituzioni statali, le scelte economiche e la gestione della competizione politica sono stati pertanto fortemente determinati dal processo di integrazione europea. Per lo stesso motivo, anche l’Unione europea sta subendo un processo di profonda trasformazione per accogliere i dieci nuovi membri, di cui la Polonia con i suoi quasi 40 milioni di abitanti è lo Stato più vasto e uno dei più risoluti.

Madalena Pontes Meyer Resende (2008)