Amaral, Diogo Freitas do

A. (Póvoa do Varzim 1941) proviene da una famiglia di cattolici conservatori. I nonni materni di A. erano amici intimi del dittatore portoghese Salazar, che governò il Portogallo dal 1932 al 1968. Il padre di A. era capo di Gabinetto di Salazar, quando quest’ultimo era ministro delle Finanze prima di passare alla guida del governo, e in seguito fu deputato all’Assemblea nazionale dal 1957 al 1974.

Nel 1958, all’età di diciassette anni, A. entrò alla facoltà di Giurisprudenza di Lisbona, laureandosi nel 1963 con ottimi voti. L’anno seguente professore divenne assistente di Marcello Caetano e successivamente responsabile del corso di Diritto amministrativo.

Profondamente influenzato, all’inizio, dai suoi genitori, A. ne condivise i valori conservatori e cattolici, nonché l’ammirazione per Salazar. Durante gli anni universitari A. cominciò ad ammirare Charles de Gaulle, Valéry Giscard d’Estaing e Raymond Aron. Dal governo di Charles de Gaulle del 1958-1969, A. apprese che era possibile curare una democrazia instabile senza dover ricorrere alla dittatura, che la decolonizzazione era inevitabile e nell’interesse della nazione colonizzatrice, evitando anni di guerra e, infine, che l’economia di mercato, regolata dallo Stato, era la politica migliore per proteggere i salariati a basso reddito. Tuttavia, A. criticava de Gaulle per il suo governo autoritario, arrogante e centralizzatore, mentre stimava Giscard d’Estaing, all’epoca ministro delle Finanze di de Gaulle, per il suo approccio aperto e moderato e per le sue idee centriste, liberali e filoeuropee. In Raymond Aron, A. trovò la giustificazione intellettuale per rifiutare il marxismo; la superiorità del capitalismo democratico sul comunismo totalitario era duplice: il capitalismo democratico non sacrificava i diritti degli individui allo sviluppo economico, era economicamente più efficiente e proteggeva meglio i diritti dei meno fortunati.

In un articolo pubblicato nel 1961 all’età di vent’anni, A. sosteneva di aver preso pubblicamente posizione a favore dell’integrazione europea in contrasto con la posizione ufficiale favorevole all’integrazione economica con le colonie (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In realtà, nell’articolo A. era solo a favore di una riforma integrale dell’economia e del sistema politico-amministrativo per permettere al Portogallo di competere in uno scenario di integrazione europea già sviluppata. Ribadiva altresì l’idea del regime di Salazar dell’unità politica ed economica fra il Portogallo e le sue colonie.

Gli stretti legami accademici e personali fra il premier Caetano e il suo assistente universitario spinsero il primo a invitare A. a diventare nel 1973 deputato al Parlamento e, più tardi, ministro della Giustizia. A. avrebbe rifiutato entrambe le cariche, affermando di dover consolidare la propria reputazione accademica prima di considerare una carriera politica. Questa scelta non gli impedì di essere membro della Camera corporativa (Câmara corporativa) del Parlamento portoghese.

La rivoluzione del 25 aprile 1974 a favore della democrazia e della decolonizzazione spinse per la prima volta A. a partecipare attivamente alla politica. Il 19 luglio 1974 fu uno dei fondatori del Centro democrático social (CDS), il secondo partito a essere legalizzato dopo il Partito comunista, e ne divenne il primo leader all’età di 32 anni. Il CDS era un partito cristiano-democratico in tutto fuorché nel nome, avendo i suoi fondatori seguito il consiglio dei vescovi cattolici di adottare un nome diverso per non mettere in dubbio l’imparzialità della Chiesa.

Nella sua dichiarazione programmatica, il CDS sosteneva gli ideali di democrazia, decolonizzazione e sviluppo che avevano ispirato la rivoluzione del 25 aprile. Secondo i suoi fondatori, il CDS era un partito di centro e democratico, che credeva in un mercato economico regolato dal governo. In pratica, come i Repubblicani indipendenti di Giscard, il partito si collocava al centrodestra dello spettro politico. Per distinguersi dalla precedente dittatura di estrema destra, il CDS riconobbe i principi democratici e affermò la sua profonda attenzione al sociale in linea con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Il CDS riconosceva che l’indipendenza delle colonie portoghesi (ciò che essenzialmente si celava dietro la rivoluzione era l’impasse politica e militare fra i movimenti di indipendenza delle colonie e la dittatura) era inevitabile. Il partito era favorevole all’adesione del Portogallo alla Comunità economica eonomica Ezato dopo il Partito Curopea. L’Unione europea dei Cristiani democratici (UECD) avrebbe riconosciuto le credenziali cristiano-democratiche del CDS nel novembre del 1975.

Nonostante il CDS fosse un partito cristiano-democratico, il periodo rivoluzionario che seguì (1974-75) portò gli estremisti di sinistra ad accusare i suoi membri di essere neofascisti, e a attaccare il quartier generale del partito e il primo congresso di partito a Porto. In realtà, secondo A. fu la presenza dei delegati stranieri (incluso il presidente dell’UECD, Van Hassel) alla conferenza del gennaio 1975, che a più riprese chiamavano le loro ambasciate e addirittura i loro governi, a spingere il governo portoghese ad interim a restaurare alla fine l’ordine pubblico. La campagna del CDS per l’Assemblea costituente (che avrebbe stilato la Costituzione) fu costantemente insidiata dagli attacchi dell’estrema sinistra e di conseguenza fu quasi inesistente nel Sud del paese. A., sua moglie e i figli furono costretti a dormire in posti sempre diversi per evitare di essere arrestati dalla milizia dell’estrema sinistra.

Alle elezioni del 25 aprile 1975, i socialisti risultarono vincitori indiscussi con il 37,87% dei consensi, seguiti dai socialdemocratici con il 26,39%, i comunisti (e i loro alleati) con il 16,6% e il CDS con un deludente 7,61%. D’altro canto, il CDS era il quarto partito politico nel paese e i partiti democratici avevano ottenuto oltre il 70% dei voti. Di fatto, alle prime elezioni parlamentari dell’aprile 1976, il CDS aveva più che raddoppiato i voti raggiungendo un discreto 16%. Fu il solo partito a votare contro la nuova Costituzione per via delle sue clausole marxiste a sostegno della nazionalizzazione di settori-chiave dell’economia. Nel 1977 il partito appoggiò la richiesta del governo socialista di entrare nella Comunità economica europea.

A dispetto dei suoi infausti inizi, il CDS acquistò rapidamente potere. Nel 1978 costituì una maggioranza, destinata a vita breve, con i socialisti per la formazione di un governo con tre ministri del CDS – con A. fuori dal governo. Divergenze sulla politica economica portarono alla caduta di questo governo. L’anno seguente, il CDS formò l’Alleanza democratica con i socialdemocratici (a dispetto del nome, situato nel centrodestra dell’arena politica) e i monarchici popolari, un piccolo partito di idee monarchiche sensibile alle questioni ecologiche. Questa coalizione di centrodestra ottenne la maggioranza nelle elezioni del 1980 e A. ricevette l’incarico di vicepremier e di ministro degli Esteri. Il primo ministro Francisco Sá Carneiro e A. ritenevano che l’appartenenza al Mercato comune (v. Comunità economica europea) fosse la priorità fondamentale del governo e visitarono le capitali aderenti al Mercato comune nel tentativo di accelerare le trattative. In termini istituzionali, questa priorità si rifletteva nella creazione di una Segreteria di Stato per l’Integrazione europea alle dipendenze del Consiglio dei ministri. Il governo portoghese ambiva a diventare membro della Comunità europea nello stesso anno della Grecia. In realtà, Atene aveva avviato le sue trattative precedentemente e la candidatura portoghese fu messa in forse dall’instabilità del governo, dalla debolezza economica e dalla decisione della Comunità di associare la richiesta portoghese a quella spagnola (la cui economia decisamente più sviluppata, e in particolare un’agricoltura competitiva, avrebbero prodotto un impatto molto maggiore). Il Portogallo e la Spagna conseguirono l’integrazione europea nel 1986, cinque anni dopo la Grecia.

Il 4 dicembre 1980, il primo ministro Francesco Sá Carneiro, il ministro della Difesa (e numero due del CDS) Adelino Amaro da Costa e altri morirono in un incidente aereo. A. lasciò il governo poco dopo, quando Francisco Pinto Balsemão subentrò come primo ministro. Tuttavia, qualche mese dopo ricevette un nuovo incarico come vicepremier e ministro della Difesa, fino al 1983 quando le elezioni locali meno favorevoli portarono A., stanco e sempre più disilluso nei confronti della politica, alle dimissioni dal governo e dalla leadership del partito. In realtà, anche le continue divergenze con il nuovo primo ministro, Francisco Pinto Balsemão, avevano contribuito a questa decisione. Le dimissioni portarono alla caduta del governo e all’accusa, mossa da Balsemão, di slealtà. In Europa, A. successe a Van Hassel e fu presidente dell’UECD dal 1982 al 1983.

Per quanto avesse sempre dichiarato di collocarsi politicamente al centro, nel 1985 A. fu il candidato presidenziale della destra in una innovativa campagna in stile americano, che avrebbe influenzato la politica portoghese successiva. Dato come favorito, perse per pochi voti (140.000, soltanto l’1,2% dei voti) contro il socialista Mario Soares.

Nel 1988, A. ritornò alla guida del partito, dopo che quest’ultimo era passato da 21 a 4 deputati nelle elezioni dell’anno precedente. In un’intervista rilasciata all’epoca, A. dichiarò che, in termini politici, il CDS era al centro, equidistante dal PS e dal PSD. Il suo ritorno non fu un successo. La fine della Guerra fredda, in particolare, aveva trasformato il CDS da partito eurofavorevole a euroscettico (v. Euroscetticismo). A. abbandonò definitivamente la guida del partito nel 1991, dopo nuovi ribaltamenti elettorali e il suo crescente disincanto nei confronti del suo partito. L’opposizione del CDS al Trattato di Maastricht del 1992 lo spinse a lasciare il partito e a votare come deputato indipendente a favore della sua ratifica.

Nel 1995-96, A. fu eletto presidente della 50° Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per quanto convinto sostenitore di forti relazioni transatlantiche, l’anno a New York rafforzò le sue convinzioni sull’opportunità di una politica multilaterale e la sua opposizione all’azione unilaterale. L’anno si rivelò, inoltre, importante in quanto A. maturò un’idea negativa della politica americana e, in particolare, di quelle che egli considerava le crudeli politiche sociali del Partito repubblicano.

Tornato a Lisbona, A. riprese la carriera universitaria. Nel 1996 fu il fondatore e primo direttore del Dipartimento della Universidade Nova di Lisbona. Nell’ambito della politica, A. manifestava una crescente delusione nei confronti della destra, democratica solo in superficie, ma in realtà autoritaria e segreta ammiratrice del dittatore Salazar. Per quanto nel 2002 A. avesse preso pubblicamente posizione a favore del centrodestra del PSD, guidato da José Manuel Durão Barroso, la politica estera americana lo avrebbe progressivamente condotto ad abbracciare le posizioni della sinistra portoghese. A. avversò l’intervento unilaterale americano in Iraq. Sorprendendo i membri del suo ex partito, partecipò alle manifestazioni antiamericane promosse dalla sinistra e dall’estrema sinistra. La sua opposizione alla coalizione di PSD e CDS, guidata dal successore di Durão Barroso, Santana Lopes, lo spinse nel febbraio 2005 a richiedere una maggioranza socialista. La posizione sempre più di sinistra di A. e la crescente simpatia per i socialisti sarebbe culminata nel suo incarico a ministro degli Esteri del nuovo governo socialista nel marzo 2005.

Il percorso politico di A. può essere giudicato incoerente: dapprima militante del centrodestra, è poi passato nelle file del centrosinistra. Tuttavia occorre tener presente che i membri del CDS erano sempre stati più a destra di A. I semi della discordia fra A. e il CDS sono da ricercare nella morte di Costa avvenuta nel 1980. Il progressivo orientamento a sinistra di A. può essere attribuito anche alla sconfitta elettorale e alla riconciliazione con Soares, con il quale emersero affinità crescenti. I rapporti del CDS con il PS, inoltre, sono sempre stati migliori di quelli con il PSD per la maggior vicinanza ideologica con quest’ultimo. Occorre considerare infine l’opposizione di A. al governo PSD/CDS del 2004/2005, guidato dal successore di Durão Barroso, Santana Lopes. Il cammino di A. dal centrodestra alla sinistra, con forti affinità con il PS, non fu affatto un caso isolato: altri due membri fondatori del CDS, Rui Pena e Luís Barbosa, lo avevano preceduto.

Sul fronte europeo, A. è stato favorevole all’integrazione europea e al federalismo in maniera coerente. Se le sue credenziali europee prima del 1974 erano dubbie, il suo successivo sostegno alla causa europea è stato inequivocabile, portandolo a sostenere il progetto della Costituzione europea. Come altri filoeuropei, A. è convinto che l’Unione europea abbia portato pace e sviluppo economico, abbia promosso la libertà e la democrazia e creato un’entità europea capace di affrontare le sfide della modernità, come la globalizzazione. In particolare, considera la sovranità illimitata dello Stato nazione come una minaccia, internamente, alla libertà individuale ed, esternamente, alla pace e alla cooperazione. Sul fronte interno, la soluzione è consiste per A. nella separazione dei poteri e il decentramento e, sul fronte esterno, nella creazione di una struttura sovranazionale. Inoltre, A. ritiene che l’integrazione europea permetterà all’identità nazionale di ciascuno Stato di acquisire la sua piena dimensione.

Nicolau Andresen-Leitão (2009)




Amato, Giuliano

A. (Torino 1938) è un giurista e uomo politico italiano. Laureato in Giurisprudenza nel 1960 presso il Collegio medico-giuridico di Pisa, muove i primi passi nel campo della ricerca giuridica, specializzandosi in Diritto costituzionale, conseguendo nel 1963 un master in Diritto costituzionale comparato presso la Columbia University di New York.

Rientrato in Italia, intraprende la carriera accademica, e, dopo aver svolto libera docenza a Roma, nel 1970 ottiene la cattedra universitaria, svolgendo attività accademica presso gli atenei di Modena, Reggio Emilia, Perugia e Firenze. Nel 1975 diviene professore ordinario di Diritto costituzionale comparato presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Nel corso di quest’anni si dedica con abnegazione e risultati alla ricerca scientifica, dando luce alle prime e significative pubblicazioni della sua copiosa produzione scientifica, che gli varrà il riconoscimento per l’attività svolta nel campo della ricerca giuridica. Alla luce dell’istituzione delle regioni ad autonomia ordinaria nell’ordinamento statuale italiano nel 1970, si occuperà degli aspetti giuridico-costituzionali di questo tema, attraverso un’intensa attività pubblicistica e lo svolgimento di un ruolo tecnico, quale membro della commissione governativa per il trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni. Negli anni 1967-1968 e 1973-1974 ricoprirà l’incarico di capo dell’Ufficio legislativo del ministero del Bilancio, sotto la guida rispettivamente dei ministri socialisti Giovani Pieraccini nel secondo governo di Aldo Moro e Antonio Giolitti, nel quarto governo di Mariano Rumor. Dal 1979 al 1981 viene chiamato a dirigere il Centro studi della CGIL Istituto ricerche economiche e sociali (IRES).

È nella metà degli anni Settanta che si intensifica la sua partecipazione attiva al Partito socialista italiano, del quale era stato iscritto fin dal 1958. La sua impostazione di chiaro stampo riformista lo porta ad assumere posizioni nette all’interno del partito a favore dell’autonomia dei socialisti all’interno della sinistra italiana, e a contribuire alla realizzazione del documento di riforme definito “Progetto socialista”.

Sarà eletto alla Camera dei Deputati per la prima volta nel 1993. Da una posizione interna al partito di opposizione al segretario Bettino Craxi, si avvicinerà gradualmente al leader del Partito socialista diventando uno dei suoi principali consiglieri e assurgendo alla carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio quando Craxi diventerà Presidente del Consiglio, carica che ricoprirà dal 1983 al 1987. In questi anni sarà particolarmente intensa la sua attività volta a sostenere il progetto di “grande riforma” portato avanti dai socialisti, in particolare animerà il dibattito sul progetto di riforma delle istituzioni centrali dalle pagine del periodico socialista “Mondoperaio”, poi raccolte nel volume Una Repubblica da riformare.

Nel biennio 1987-1989 ricoprirà la carica di ministro del Tesoro rispettivamente nel governo Goria (luglio 1987-aprile 1988) e nel governo De Mita (aprile 1988-luglio 1989). Nel governo Goria sarà anche vicepresidente del Consiglio.

Nel corso di questa esperienza, raccontata nella sua opera biografica Due anni al Tesoro, affronterà i nodi legati all’unione monetaria da un osservatorio privilegiato, partecipando ai lavori di preparazione del Trattato di Maastricht.

Nel 1992, all’indomani delle elezioni politiche tenutesi ad aprile, e nel pieno della vicenda giudiziaria denominata Tangentopoli, sarà chiamato dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a formare il primo governo dell’XI legislatura.

Il primo governo A., nato col sostegno delle forze del quadripartito (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito liberale, Partito socialdemocratico), si troverà ad affrontare un momento di profonda crisi politica, economica e morale. Nonostante l’esigua durata del governo, rimasto in carica per dieci mesi, i risultati raggiunti e le importanti riforme realizzate rappresenteranno un segno tangibile del duro e significativo lavoro svolto da A. e dai i suoi ministri.

La principale emergenza sarà rappresentata dalla profonda crisi finanziaria che l’Italia allora conoscerà, rappresentata dal crollo della lira, a cui seguiranno la conseguente svalutazione della moneta e l’uscita dal Sistema monetario europeo, avvenuta il 16 settembre 1992. A questi provvedimenti seguì il varo di una manovra economica dell’ammontare di 93 mila miliardi di lire, la più significativa mai realizzata in Italia, volta al risanamento del bilancio, e che rappresentò un importante assunzione di responsabilità che fu all’origine della ripresa che l’Italia conoscerà negli anni successivi, ma soprattutto dell’evitato dissesto finanziario. Sul versante economico, il governo A. introdusse ulteriori elementi di novità e raggiunse altri importanti risultati, in particolare, l’accordo con le parti sociali per la sospensione della “scala mobile” e il piano per la privatizzazione degli enti pubblici. A questi si aggiunge la riforma del pubblico impiego, volta a equiparare i lavoratori pubblici con quelli del settore privato. All’indomani della vittoria dei referendum per l’introduzione del sistema elettorale maggioritario in Italia, svoltisi il 18 aprile 1993, e ormai travolto in modo inesorabile dell’incessante azione svolta dalla magistratura nell’ambito della vicenda “Mani pulite”, l’esperienza del governo A. giunse alla sua conclusione.

L’anno successivo, A. viene nominato presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), incarico che ricoprirà fino al 1997. Nel 1998 ritornerà alla politica attiva, ricoprendo nel primo governo D’Alema prima il ruolo di ministro delle Riforme istituzionali, e successivamente quello di ministro del Tesoro.

In seguito alle dimissioni di D’Alema, il 25 aprile 2000 sarà chiamato per la seconda volta a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Il secondo governo A., composto da una coalizione di centrosinistra, resterà in carica fino all’11 giugno 2001, e nel corso dello stesso A. ricoprirà ad interim il ruolo di ministro per l’Università, la Ricerca scientifica e tecnologica dal 2 febbraio 2001.

Alle elezioni politiche del maggio 2001, A. si candiderà per la coalizione di centrosinistra nel collegio maggioritario di Grosseto al Senato della Repubblica, e risulterà eletto, ritornando in tal modo a ricoprire un ruolo parlamentare.

Nel gennaio 2002 viene nominato vicepresidente della Convenzione europea presieduta dall’ex Presidente della Repubblica francese Valery Giscard d’Estaing e che avrà il compito di scrivere la Costituzione europea e dal 2006 al 2007 coordinerà i lavori dell’Action committee for European democracy, ACED (), anche detto “Gruppo Amato”, sorto al fine di riscrivere la Costituzione europea dopo le bocciature subite dai referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi del 2005 e che contribuirà a definire le linee guida del Trattato di Lisbona.

Alle elezioni politiche del 2006 (XV legislatura) A. sarà candidato alla Camera nelle file dell’Ulivo nella circoscrizione Toscana, dove sarà eletto deputato. In occasione della formazione del secondo governo di Romano Prodi, sarà chiamato a ricoprire il ruolo di ministro degli Interni.

Conclusa l’esperienza ministeriale, alle elezioni politiche del 2008 rinuncerà a candidarsi, dedicandosi all’attività scientifica e pubblicistica, figurando tra l’altro nei board di prestigiosi e numerosi istituti internazionali e think tank.

Nel 2002 è eletto Honorary fellow della American Academy of arts and sciences e ricopre la carica di presidente della Commissione internazionale sui Balcani, costituita dalla Bosch Stiftung, dal German Marshal Fund, dalla King Baudouin Foundation e dalla C.S. Mott Foundation. Attualmente ricopre lo stesso incarico al Centro studi americani di Roma e, dal febbraio 2009 è presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.

Fa parte, inoltre, dell’Advisory board di InvestCorp e del Board del Center for European reform di Londra e, dal 2009, è componente del Board e del Council dell’European council on foreign relations. Dirige il quadrimestrale “Mercato, Concorrenza e Regole”, edito da il Mulino, ed è condirettore del bimestrale “ItalianiEuropei”, edito dalla omonima Fondazione.

Ricca è la sua produzione scientifica e accademica. I suoi libri principali hanno a oggetto le libertà, le forme di stato e di governo, il diritto dell’economia e la concorrenza, la cultura politica e l’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In riferimento a quest’ultima, di particolare interesse le pubblicazioni aventi ad oggetto il tema della cittadinanza europea e della costituzione europea.

Michele Affinito (2009)




Amendola, Giorgio

A. (Roma 1907-ivi 1980) era figlio di Giovanni, politico democratico-liberale (deputato dal 1919, sottosegretario alla Finanze e poi ministro delle colonie nel gabinetto di Luigi Facta) esponente di spicco nell’opposizione costituzionale a Mussolini dopo il delitto Matteotti. Oggetto di ripetute e feroci aggressioni squadriste, Giovanni fu costretto all’esilio a Cannes dove morì nel 1926 per i postumi delle bastonature subite. La madre di Giorgio, Eva Kühn, era una vitale e raffinata intellettuale mitteleuropea partecipe del vivace e anticonformista mondo intellettuale della borghesia romana cui introdusse il figlio.

All’interno di questa famiglia colta e liberale ma anche, per l’impronta materna, alquanto lontana dagli schemi ritenuti “normali” per l’epoca, A. trascorre gli anni della giovinezza, giovandosi per la sua formazione del vivere in una casa che è crocevia di incontri tra personaggi illustri della politica e della cultura; da questo osservatorio privilegiato assiste alla presa di potere di Mussolini, alle connivenze tra le aree liberal-democratiche e fascismo, alla svolta antidemocratica del regime, sino all’Aventino e alla lunga traversata lungo il ventennio sino alla guerra partigiana e alla Liberazione. Un percorso che contribuisce alla formazione di una coscienza critica in A. e che ne detterà il suo “essere politico”: lo scontro ideologico che si vive in Italia dal biennio rosso in poi diviene cioè l’universo determinante di “una scelta di vita” (come scriverà lui stesso più tardi) solo in apparenza lontana dall’eredità liberaldemocratica paterna.

Dopo la morte di Giovanni, Giorgio si trasferisce a Napoli dove svolge attività antifascista all’interno dell’Unione goliardica della libertà. In questa stagione della sua vita collabora alla diffusione del bollettino clandestino “Non mollare” promosso da Ernesto Rossi e Carlo Rosselli, ed entra in contatto con giovani intellettuali comunisti. Tra il 1927 e il 1929 matura la sua decisione di aderire al Partito comunista d’Italia (PCd’I), sola forza politica che giudica in grado di svolgere una forma attiva e organizzata di opposizione al fascismo dilagante. Abbandonato il crocianesimo partecipa, clandestinamente, al IV Congresso nazionale del partito che si tiene in Francia nel 1931. Entrato nell’apparato del partito comunista nell’emigrazione, promuove contatti e svolge attività di proselitismo tra i giovani; collabora inoltre a “Stato operaio”, rivista teorica pubblicata a Parigi. Rientrato a Milano in missione clandestina nel giugno del 1932 viene arrestato e inviato dal regime al confino di polizia di Ponza. Nel 1937 il confino viene trasformato in ammonizione e nel novembre di quell’anno espatria nuovamente diretto a Parigi dove rimane, quasi ininterrottamente, lavorando alla riorganizzazione del movimento comunista sconvolto dal patto tedesco-sovietico.

Rientrato in Italia con Agostino Novella nell’aprile del 1943, A. si impegna attivamente per organizzare a Roma e in altre parti d’Italia la lotta partigiana ed è chiamato a rappresentare il partito comunista nel nascente Comitato di liberazione nazionale (CLN). Nella primavera del 1944 è chiamato a svolgere la sua azione di dirigente al Nord ed è membro del comando generale delle brigate Garibaldi.

Al termine della guerra il suo ruolo nel partito risulta consolidato ed è, a pieno titolo, parte della nuova classe dirigente nazionale del PCI: entra nel Comitato centrale e nella direzione. A livello istituzionale viene eletto alla Costituente ed è sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel gabinetto presieduto da Ferruccio Parri e, ancora, nel primo gabinetto di Alcide De Gasperi; dal 1948 alla morte sarà poi eletto continuativamente per tutte le legislature al Parlamento italiano e, dal 1969, al Parlamento europeo.

L’ attività politica di A. prosegue anche a livello locale: dal 1947 al 1952 è segretario regionale del PCI in Campania, incarico che svolge ponendo al centro della sua azione – nel quadro delle lotte per la terra – il tema del riscatto del Mezzogiorno, muovendo dalle analisi gramsciane sulla rottura del blocco agrario e dallo studio dei problemi economici delle regioni meridionali. Nel 1954-1955 viene cooptato nella segreteria nazionale del partito e chiamato a sostituire Pietro Secchia nella carica di responsabile dell’organizzazione centrale, ruolo tra i più portanti e delicati nella struttura del PCI. Dopo il 1956 e l’VIII congresso A. si distingue come uno dei più convinti sostenitori della “via italiana al socialismo” teorizzata da Palmiro Togliatti. Negli anni Sessanta, dopo la morte del segretario, la sua autorità nel partito si rafforza divenendo il più autorevole esponente di quella “destra” fautrice di una linea riformista in costante confronto (pur in un partito che non ammette correnti) con l’ala di “sinistra” capeggiata da Pietro Ingrao. In questo ruolo, nel corso del decennio, in più occasioni si fa sostenitore della tesi della necessità dell’unità tra i partiti della sinistra, auspicando l’unificazione tra PCI e PSI.

In parallelo all’attività politica, e molto spesso come supporto teorico di questa, A. prosegue a interrogarsi sulla storia d’Italia, sulla democrazia, oltre che – con un interesse molto spiccato – sui problemi economici innescati dal fordismo e dalla modernizzazione. Centinaia sono gli articoli apparsi sulle principali testate quotidiane e periodiche del partito; molte anche le pubblicazioni in massima parte pubblicate con gli Editori Riuniti di Roma; fra gli altri vanno ricordati i volumi: La democrazia nel Mezzogiorno (1957), Classe operaia e programmazione democratica (1966), Comunismo antifascismo resistenza (1967), La classe operaia italiana (1968), La crisi italiana (1971), I comunisti e l’Europa (1971).

Dall’attenzione per i temi economici discendono conseguenze importanti per la vita intellettuale del partito: svolta particolarmente significativa è la nascita della rivista “Politica ed Economia” (pubblicata dal 1957 al 1962 e poi nuovamente dal 1970) che viene a colmare il vuoto apertosi sui temi economici nelle file comuniste dopo la scomparsa delle riviste “Notizie economiche”, “Riforma agraria” e “Critica economica”. Fortemente influenzata, ma anche garantita, dalla copertura politica di A., “Politica ed Economia” riunisce un colto comitato direttivo (Bruzio Manzocchi, Emilio Sereni, Antonio Pesenti, Luciano Conosciani, Luciano Barca) sotto la responsabilità di Eugenio Peggio, redattore capo. Un gruppo composito che, rifacendosi all’eredità di “Critica economica”, tenta di raccogliere intorno a una testata d’ispirazione marxista forze tra loro molto diverse, ospitando anche interventi di studiosi e intellettuali su posizioni molto distanti dal quelle del PCI. L’interesse del gruppo per l’Europa è evidente sin dalle discussioni politiche e parlamentari che accompagnano la nascita della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom, 1957) e che coincidono, d’altra parte, con l’uscita del primo numero della rivista.

La vivacità intellettuale con cui A. e il suo gruppo seguono le tematiche economiche e, in certa misura obbligatoriamente, europee (essendo il processo principalmente, in quegli anni, principalmente un problema d’ordine economico) si fa particolarmente importante e alta nel marzo del 1962 quando, al teatro Eliseo di Roma, si svolge il convegno sulle tendenze del capitalismo italiano. A. (con Eugenio Peggio, Antonio Pesenti, Bruno Trentin e altri) presiede l’iniziativa, a testimonianza del suo ruolo di guida della schiera di politici ed economisti comunisti che più sono impegnati, in campo economico, per disincagliare il partito dalle secche dell’ortodossia; un gruppo di innovatori che si colloca alla “destra” della linea del partito, e che si caratterizza per una sensibilità europeista scarsamente presente nell’elettorato. Al convegno, nella vastità e complessità dei temi toccati, A. destina uno spazio tutt’altro che irrilevante all’approfondimento del processo d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Se la critica formulata in più occasioni dal PCI rispetto agli organismi europei viene confermata, lo stesso non avviene per la critica “puramente negativa” che aveva ostacolato, secondo A., l’esatta interpretazione da parte del partito dei mutamenti avvenuti. Un’autocritica che sdogana posizioni sino a quel momento patrimonio di singoli intellettuali o considerate armamentario polemico dei compagni socialisti nel confronto politico. In quell’occasione A. sottolinea anche come l’opposizione ai trattati di Roma espressa dal PCI nella primavera del 1957 rappresenta un voto politico ma non implica una volontà assenteistica dalla scena europea e dagli organismi europei, dai quali il PCI è tenuto lontano in conseguenza della politica discriminatoria del governo.

Anche la costituzione del CESPE (Centro studi di politica economica), presieduto da Pesenti e A., offre un contributo positivo al partito per comprendere i mutamenti economici nazionali e internazionali. Nato nel 1966 come sezione del Comitato centrale del PCI, il Centro studi pubblica un proprio notiziario, che segna la presenza di un foglio prettamente economico in casa comunista in una fase (tra il 1962 e il 1970) di vuoto per la temporanea soppressione della rivista “Politica ed Economia”.

Sul finire degli anni Sessanta grazie anche al lavoro di A. e del suo gruppo viene raggiunto un risultato significativo: la richiesta, più volte reiterata da parte della dirigenza comunista, di avere propri rappresentanti nelle assemblee comunitarie viene accolta. Nel 1969 la prima delegazione di deputati e senatori rappresentanti del PCI entra al Parlamento europeo; il gruppo è capeggiato da A. Con lui ci sono Nilde Iotti, Mauro Scoccimarro, Silvio Leonardi, Francesco D’Angelosante, Giovanni Bertoli e Agide Samaritani. Un traguardo importante che A. sottolinea, in tutte le sue implicazioni, in una tempestiva intervista a “l’Unità”: «Noi ci apprestiamo oggi a essere presenti al Parlamento di Strasburgo essendo ben consapevoli dei limiti di fondo di questa istituzione – dovuti anche al fatto che tanta parte delle forze democratiche e socialiste dell’Europa occidentale ne è esclusa – e della crisi profonda in cui versa tutta la politica europeistica. Ci proponiamo comunque in questa sede di conseguire una più diretta conoscenza dei termini delle questioni che si pongono nella “Piccola Europa” e di utilizzare le possibilità di nuovi contatti con tutte le forze di sinistra per portare avanti in Europa la battaglia contro i monopoli, il militarismo e il revanscismo, per la pace, il superamento dei blocchi, la cooperazione economica internazionale e profonde riforme sociali e politiche» (Eletti, in “l’Unità”, 22 gennaio 1969). Poche settimane più tardi, nel primo discorso tenuto al Parlamento europeo, A. tornerà a rimarcare l’importanza di procedere a profonde trasformazioni nella Comunità, per assicurare una politica di reale cooperazione economica nel rispetto dell’autonomia di ogni paese con l’obiettivo del superamento dei blocchi militari (v. Amendola, 1969).

La frequentazione dell’ambiente comunitario favorisce l’apprendistato europeistico del PCI e porta a un mutamento della linea politica, scandito da piccoli passi, molti dei quali vedono come protagonista A., sempre più precisamente “simbolo” dell’europeismo comunista; ne è un primo esempio l’intervento del leader italiano alla conferenza economica londinese dei partiti comunisti dell’Europa occidentale (1971) in cui si sforza di evidenziare gli aspetti positivi del Mercato comune (v. Comunità economica europea), ma anche la necessità per la classe operaia europea di colmare i ritardi e porsi alla testa di tale realtà per trasformarla con l’obiettivo di «fare dell’Europa, il Continente nel quale sono scoppiate le due grandi guerre mondiali, un Continente di pace» (v. Gallico, 1971).

Negli anni Settanta il cammino del PCI verso l’europeismo è ormai compiuto come dimostrano le argomentazioni contenute in un fondamentale articolo di A. pubblicato su “l’Unità” il 29 novembre 1975 dal titolo L’Europa oggi: «Consideriamo come negativa una crisi delle istituzioni comunitarie che ritarda il processo di unificazione politica ed economica, e rinvia a tempo indeterminato la creazione di un nuovo potere multinazionale, il solo che possa risolvere problemi che gli Stati nazionali non sono più in grado, ciascuno per conto suo, di dominare. […] Alla crisi attuale della CEE bisogna opporre l’alternativa democratica della creazione di una Unione politica fondata sulla forza di un largo consenso popolare. Per questo motivo i comunisti si battono, con le altre forze democratiche europeistiche, per una trasformazione democratica della CEE, per la presenza immediata nella attività delle istituzioni comunitarie del movimento sindacale, dei movimenti organizzati delle masse lavoratrici e per la elezione di un Parlamento europeo a suffragio universale, con una legge elettorale unica, da svolgersi nella stessa giornata in tutti i paesi. Sarà questo Parlamento, eletto dai popoli, la vera Costituente della Unione politica dell’Europa occidentale».

Un articolo che Altiero Spinelli, commissario alla CEE e punto di riferimento storico del federalismo europeo (v. Federalismo; Movimento federalista europeo), non esita a giudicare federalista, quasi l’avesse scritto lui stesso. Spinelli, del resto, segue da tempo e con attenzione i progressi del PCI, sino a scegliere di dimettersi da commissario per candidarsi, come indipendente, nelle file del PCI alle elezioni politiche del 1976, con l’assicurazione di venire delegato al Parlamento europeo.

Negli ultimi anni di vita alle pubblicazioni teoriche e politiche A. accompagna libri di riflessione autobiografica: pubblica, con gli Editori Riuniti, Lettere a Milano 1939-1945: ricordi e documenti (1973), Gli anni della Repubblica (1976), Storia del Partito comunista italiano 1921-1943 (1978). Con Rizzoli i due volumi autobiografici Una scelta di vita (1976) e Un’isola (1980). Degno di essere ricordato anche per la notorietà e il dibattito che provocò al suo apparire, il libro-intervista curato da Piero Melograni per i tipi della Laterza Intervista sull’antifascismo (1976).

Mauro Maggiorani (2010)




Amintore Fanfani