Bidault, Georges

B. (Moulins 1899-Cambo Les Bains 1983) iniziò la sua carriera e come insegnante di storia nella scuola secondaria. Militò contemporaneamente in diversi movimenti democratico-cristiani vicini al movimento religioso Sillon fondato da Marc Sangnier e, in particolare, nel Partito democratico popolare. Già prima del 1939 acquistò un ruolo importante come editorialista del giornale democratico-cristiano “L’Aube”, di cui fu uno dei fondatori. I suoi brillanti editoriali fustigavano l’estrema destra, le dittature, l’antisemitismo e gli accordi di Monaco del 1938. Coerentemente con le sue posizioni entrò nella Resistenza dopo la liberazione dai campi di prigionia nel 1941 e svolse importanti incarichi all’interno del movimento Combat de Frenay (v. Frenay, Henri) (il più filoeuropeo dei movimenti della Resistenza). Nel 1943 successe a Jean Moulin a capo del Consiglio nazionale della Resistenza e quindi della Resistenza interna. Nel settembre 1944, quando si ricompose il governo provvisorio della Repubblica francese presieduto da Charles de Gaulle, in seguito alla liberazione di Parigi, B. divenne ministro degli Affari esteri, carica che manterrà, salvo una breve interruzione, fino al 1948 e che riassumerà nel 1953-1954. Cofondatore del partito democratico-cristiano Mouvement républicain populaire (MRP), ne fu presidente dal 1949 al 1952. Fu uno degli uomini politici più in vista all’epoca della liberazione e nella Quarta repubblica, sarà presidente del governo provvisorio nel 1946, Presidente del Consiglio nel 1949-1950 e ministro della Difesa nel 1951-1952.

Al ritorno del generale de Gaulle nel 1958, in un primo tempo B. lo sostenne, contando su di lui per salvare l’Union française e, in particolare, per assicurare il mantenimento dell’Algeria francese. Ma ruppe con il generale quando questi annunciò il processo di autodeterminazione dell’Algeria. Dal 1962 fu a capo dell’Organisation de l’armée secrète (OA), organizzazione segreta armata che cercò in ogni modo di impedire l’indipendenza dell’Algeria. Nello stesso anno andò in esilio fino all’amnistia del 1968. Il suo ruolo politico si era ormai esaurito.

Per quanto riguarda le questioni europee, il periodo più significativo dell’azione di B. coincise con gli anni compresi fra il 1944 e il 1954. In seguito, furono predominanti gli altri due suoi orientamenti: la difesa dell’Union française (nuova incarnazione dell’Impero francese a partire dal 1946) e la difesa dell’Occidente cristiano contro il totalitarismo comunista dopo il nazismo. Tuttavia, a differenza ad esempio di Robert Schuman, è innegabile che l’impegno europeo di B. non fu né esclusivo né prioritario. I suoi contemporanei, di fatto, lo considerarono spesso un nazionalista. Ma ricerche recenti, basate sui documenti conservati negli Archives nationales, inducono a rivedere in parte questo giudizio.

Dopo aver sostenuto in principio la politica estremamente dura del generale de Gaulle nei confronti della Germania, nonché il patto franco-sovietico del 10 dicembre 1944, B. cominciò a rivedere le sue posizioni nel 1946, quando prese gradualmente coscienza della realtà della minaccia sovietica e comprese che la politica francese di dissociazione dal vecchio Reich rischiava di permettere a Mosca di consolidare la sua influenza su tutta la Germania. Ma B. restava ancora legato a una concezione che si richiamava alla politica francese di anteguerra: al principio del 1947 pensava di stabilire una rete di alleanze bilaterali con il Regno Unito, l’Italia, la Polonia e la Cecoslovacchia. Con la Gran Bretagna si giunse al Trattato di Dunkerque del 4 marzo 1947; i negoziati con l’Italia non furono conclusi, mentre con la Polonia e la Cecoslovacchia naufragarono nell’autunno del 1947 in seguito alle pressioni di Stalin.

Ma il discorso del Presidente, in cui veniva annunciato il coinvolgimento dell’America negli affari europei, il 12 marzo 1947; il fallimento della conferenza di Mosca in marzo-aprile, durante la quale Stalin si mostrò ancora più ostile degli inglesi agli orientamenti francesi nei confronti della Germania; l’espulsione dei ministri comunisti nel mese di maggio (che considerazione poneva fine alla tolleranza reciproca fra il Partito comunista francese e B. risalente al periodo della Resistenza, indussero il ministro degli Affari esteri a rompere gli indugi, ed egli abbandonò sia le sua vecchie concezioni che il mito di un’intesa con Mosca, ammettendo ormai che l’obiettivo più urgente era la creazione di un blocco occidentale. È interessante osservare come, a partire dalla conferenza di Mosca di marzo-aprile, B. accolse la tesi americana secondo cui l’Europa occidentale non poteva essere ricostruita sul piano economico se la Germania (almeno le sue zone occidentali) non fosse stata associata a questa ricostruzione. Di conseguenza B., consigliato da Jean Monnet, svolse un ruolo importante nel giugno-luglio 1947 nell’attuazione del Piano Marshall di aiuti all’Europa e nella costituzione dell’Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE) nel 1948, malgrado la mancata partecipazione dell’URSS (B. avrebbe preferito che Mosca aderisse al Piano Marshall: la rottura Est-Ovest era difficile da accettare per i francesi). A questo punto B. si impegnò risolutamente a favore dell’unione dell’Occidente e della creazione dell’Europa economica, di cui l’OECE fu la prima organizzazione («È giunta l’ora di costruire l’Europa» – dichiarò il 12 luglio 1947 alla seduta di apertura della conferenza dei sedici paesi europei coinvolti nel Piano Marshall). Al principio del 1948 B. pensava a un’unione doganale tra Francia, Italia e Benelux, progetto che alla fine fallì a causa del liberalismo dei paesi del Benelux e del protezionismo degli ambienti economici francesi.

Tuttavia, sul piano della politica e della sicurezza, in questa fase B. aderiva a una concezione molto più atlantica, ossia fondata sul sostegno americano, che europea. Dopo il fallimento del consiglio dei ministri degli Affari esteri dei Quattro (compresa l’URSS) tenutosi a Londra nel dicembre 1947, cercò di costruire un’alleanza con gli Stati Uniti, che si realizzerà solo con la firma dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) nell’aprile 1949. B. Acconsentì a sottoscrivere il Patto di Bruxelles il 17 marzo 1948 (con Gran Bretagna e Benelux), rivolto formalmente contro la Germania ma in realtà contro l’URSS, solo perché i britannici e il Benelux avevano particolarmente a cuore tale questione, e soprattutto perché gli americani fecero sapere che consideravano un accordo di sicurezza fra europei la condizione per un loro eventuale sostegno militare.

L’impegno europeo di B. si fece all’improvviso molto più netto in seguito alla dichiarazione da lui rilasciata all’Aia, il 19 luglio 1948, con cui proponeva di sviluppare il Patto di Bruxelles sul piano politico, con un’assemblea europea eletta dai parlamenti nazionali e, sul piano economico, con un’unione doganale, iniziative che in un primo momento sarebbero state avviate fra i Cinque di Bruxelles, ma che avrebbero potuto essere estese a qualsiasi paese europeo candidato, come pure all’Europa orientale (di cui B. teneva a ricordare l’esistenza). Come si spiega questa inversione di rotta – considerando che B. non aveva fatto parte di alcun organo dirigente dei Movimenti europeistici a cui aderivano numerosi responsabili del Movimento repubblicano popolare? Si è pensato a una decisione dettata da ragioni di politica interna, essendo appena caduto il governo Schuman, il 17 luglio, e dall’entusiasmo europeo suscitato dal Congresso dell’Aia in maggio. Ma non c’è dubbio che l’orizzonte fosse molto più ampio. Infatti si nota l’approfondimento dei contatti fra partiti democratico-cristiani dell’Europa occidentale nel quadro degli “incontri di Ginevra” che permisero a B. di avere colloqui importanti, fra gli altri, con Konrad Adenauer. D’altra parte B., nel giugno 1948 (conferenza dei Sei a Londra da gennaio a giugno), aveva dovuto accettare la creazione di uno Stato della Germania Ovest, in contrasto con tutte le tesi francesi a partire dal 1944. Si era rassegnato a questa decisione perché gli americani l’avevano posta come condizione del loro impegno militare in Europa (l’emendamento Vandenberg dell’11 giugno con cui si autorizzava quest’impegno è direttamente legato ai negoziati di Londra in merito alla creazione dello Stato della Germania Ovest). Ma così Parigi perdeva repentinamente i suoi mezzi di controllo sulla Germania; da qui prese forma al Quai d’Orsay, nella primavera del 1948, l’idea di inquadrare il nuovo Stato tedesco in una struttura europea, diretta ovviamente dalla Francia. Un’idea ripresa da B., che la spiegò personalmente l’11 giugno all’Assemblea nazionale francese. In ultima analisi, fu la preoccupazione di B. di trovare un contesto per controllare la Germania a spiegare in larga misura, almeno all’inizio, la sua adesione al progetto europeo.

Tuttavia è evidente che B. si trasformò abbastanza rapidamente in un europeista più convinto. Nel 1949 fu eletto all’Assemblea consultiva del Consiglio europeo di Strasburgo, dove svolse un ruolo importante. Quale fu la sua posizione nelle due questioni europee centrali all’epoca, cioè la Comunità europea del carbone dell’acciaio (CECA) e la Comunità europea di difesa (CED)? Bisogna ricordare che B. era Presidente del Consiglio quando, il 9 maggio 1949, fu varato il Piano Schuman. Si è ritenuto a lungo, sulla scorta dei Mémoires di Jean Monnet, che B., a differenza di Robert Schuman, non si fosse interessato alla proposta di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Ma la verità è più complessa. Innanzitutto l’accordo di B., responsabile in ultima istanza della politica governativa, era indispensabile. Inoltre i suoi archivi dimostrano che B. seguì la questione da vicino, ancor prima del 9 maggio, ma anche che Jean Monnet usò con Schuman e con B. argomenti diversi: con il primo mise l’accento sull’Europa e sulla riconciliazione franco-tedesca, con il secondo sul controllo della siderurgia tedesca per mezzo della futura CECA. D’altra parte, nel 1951 B. svolse un ruolo importante nell’Assemblea nazionale per consentire la ratifica della CECA che non era scontata a priori.

Per quanto riguarda la CED, B. non era al potere nel momento in cui fu lanciato il progetto di un esercito europeo nel 1950, ma dovette esserne a conoscenza in qualità di ministro della Difesa nazionale nel 1951-1952 e di nuovo come ministro degli Affari esteri a partire dal gennaio 1953. B. non ne era senz’altro entusiasta (sono note le sue affermazioni sullo “scheletro nell’armadio”) ed era più interessato all’Alleanza atlantica e al ruolo direttivo – allo stesso livello della Gran Bretagna – che auspicava per la Francia sostenuta dall’Union française. Tuttavia riteneva che la CED fosse utile per tenere sotto controllo la Germania e impedirle di avvicinarsi a Mosca. La CED sarebbe stata un organismo sovranazionale, una formula non gradita a B.; però dal 1951 per il governo francese – con il benestare di B. – era inteso che la Francia avrebbe conservato la libertà di disporre delle forze necessarie per l’oltremare e che Parigi, al di là del frasario europeo, avrebbe diretto di fatto il nuovo organismo. In compenso B. neutralizzò efficacemente sia le pressioni ostili dello Stato maggiore diretto all’epoca da Juin, assolutamente contrario alla CED, sia, nel gennaio 1953, una fronda – fatto inaudito al Quai d’Orsay – di alcuni diplomatici tra i più importanti dell’epoca. D’altra parte, a partire dall’estate 1952 B. condusse con i gollisti negoziati segreti sulla CED, che contribuirono a permettere ai deputati del Rassemblement du peuple français (RPF) di sostenere il governo di René Mayer, costituitosi nel gennaio 1953, nel quale B. ricoprì nuovamente la carica di ministro degli Affari esteri. Queste trattative salvarono senz’altro il progetto, ma Mayer dovette impegnarsi a rinegoziare il trattato al fine di garantire, per mezzo di “protocolli addizionali”, l’unità dell’esercito francese tra i contingenti riservati all’esercito europeo e quelli che sarebbero stati inviati oltremare; a mettere in piedi una Comunità politica europea destinata a essere a capo della CED (e di fatto a snaturarne il carattere sovranazionale); ai risolvere preliminarmente il problema della Sarre (in modo da separarla dalla Germania per riconnetterla sul piano economico alla Francia, l’ultimo obiettivo che ancora sussisteva del programma del 1944). È chiaro che anche B. aderì, di fatto, a queste condizioni che aveva negoziato con i gollisti e che erano destinate a ridimensionare il carattere sovranazionale della CED e a garantire il ruolo predominante della Francia nel futuro esercito europeo.

D’altra parte, secondo B., la CED non avrebbe impedito alla Francia di svolgere un ruolo capitale in seno all’Alleanza atlantica, in un rapporto bilaterale con gli Stati Uniti. Era questa la grande differenza fra Schuman e B.: per il primo la Francia non poteva più svolgere un ruolo se non nel contesto europeo, mentre per il secondo, oltre che in Europa – dove si sarebbe assicurata la leadership – la Francia, appoggiandosi all’Union française e alla sua posizione paritaria per statuto con Gran Bretagna e Stati Uniti nell’Alleanza atlantica, avrebbe continuato a svolgere un ruolo individuale a livello mondiale.

B. pertanto non fu un fautore entusiasta della CECA e della CED. Ma è sbagliato presumere che le avversasse: accettò questi progetti e li difese contro vivaci opposizioni negli ambienti politici, militari e diplomatici. È vero che li considerava innanzitutto un mezzo per controllare la Germania e che si adoperò per smorzare il carattere sovranazionale della CED. Se B. era incontestabilmente più atlantista che europeista, tuttavia era più europeista di quanto si ritenga. È possibile rendersene conto, in particolare, alla luce della sua reazione al progetto di Comunità politica europea del 1953, stabilito da un’Assemblea ad hoc formata a partire dall’Assemblea della CECA. È indubbio che B. frenò i fervori federalisti di Alcide De Gasperi e di Konrad Adenauer, raccomandando loro prudenza, e che fece togliere a quest’assemblea il progetto che essa stessa aveva presentato il 10 marzo 1953, affinché il dibattito proseguisse nel quadro di una conferenza intergovernativa posta sotto il controllo dei ministri degli Affari esteri. Tuttavia, malgrado le forti divisioni all’interno del governo e del mondo politico fra partigiani di un’Europa sovranazionale e quelli di un’Europa confederale, e al di là delle manovre per assicurare la necessaria maggioranza parlamentare, nel settembre 1953 B. si assunse la responsabilità di firmare una serie di istruzioni di ispirazione fortemente sovranazionale in vista della conferenza intergovernativa che si sarebbe svolta alcuni giorni dopo a Roma. Queste istruzioni prevedevano un’assemblea eletta a suffragio universale, un organo esecutivo composto da un comitato dei ministri nazionali e da un comitato esecutivo sovranazionale. Malgrado le vivaci opposizioni, anche da parte del Presidente della Repubblica Vincent Auriol, che, come i gollisti, avrebbe preferito un’organizzazione confederale diretta dai primi ministri, B. tenne fede al suo progetto. Il 20 novembre 1953 pronunciò di fronte all’Assemblea nazionale un discorso che può essere considerato il suo testamento europeo (è noto che il progetto di CED sarebbe stato presentato al Parlamento solo nell’agosto 1954 da Pierre Mendès France, per essere comunque respinto; B. era deciso a farlo ratificare nella primavera del 1954, ma lo impedì la caduta di Dien Bien Phu il 7 maggio).

In questo discorso B. diede della futura Comunità politica europea una definizione rimasta classica, che si potrebbe considerare ancora valida allo stato attuale della costruzione europea: la Comunità non è uno Stato, perché sarà dotata solo di competenze specialistiche e non avrà potere costituente. Non sarà una federazione, poiché gli Stati conserveranno tutti i poteri che non avranno delegato. Ma non sarà neppure una confederazione, perché avrà un proprio potere nel suo ambito: «La comunità politica – spiegò B. – costituisce quindi un’associazione di Stati di tipo nuovo».

Georges-Henri Soutou (2010)




Bilancio dell’Unione europea

Introduzione

Il bilancio dell’Unione europea (UE) è l’atto che autorizza ogni anno il finanziamento dell’insieme delle attività e degli interventi comunitari. Esso ha come finalità essenziale quella di destinare risorse finanziarie alla realizzazione degli obiettivi fondamentali e delle priorità politiche dell’Unione.

Il sistema delle caratteristiche quantitative e qualitative delle finanze comunitarie si è da sempre evoluto in maniera parallela al processo d’integrazione (v. Integrazione, metodo della), costituendo un significativo indicatore del grado di Approfondimento e dello stato di salute del sistema europeo. Il bilancio ha rappresentato sotto questo aspetto un importante campo di negoziazione e confronto tra i paesi membri dell’UE e, contemporaneamente, tra le sue principali istituzioni (v. Istituzioni comunitarie). La determinazione del volume complessivo di risorse da destinare al livello sovranazionale e la loro suddivisione per aree d’intervento ha dovuto infatti fare i conti, da una parte, con la necessità di trovare una giusta ripartizione tra Stati dei benefici derivanti dall’appartenenza all’Unione e, dall’altra, con la tradizionale tensione tra la spinta ad attribuire maggiori responsabilità anche in termini di risorse finanziarie al governo europeo, generalmente portata avanti dal Parlamento europeo e, in misura minore, dalla Commissione europea, e la tradizionale ostilità in questa direzione manifestata dal Consiglio europeo.

Al di là della consistenza effettiva delle finanze comunitarie, appare in sostanza condivisibile l’idea di chi ritiene (v. Baldwin, Wyplosz, 2005, p. 66) che sia «necessario conoscere qualcosa del bilancio per capire bene la UE».

Le tappe fondamentali

Nel 1951 il Trattato di Parigi garantiva la totale indipendenza finanziaria alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), prevedendo che l’Alta autorità decidesse autonomamente e a maggioranza semplice dei nove membri l’ammontare delle spese e finanziasse tale ammontare tramite una risorsa propria, costituita da un prelievo sulla produzione dell’acciaio, e l’eventuale accensione di prestiti.

Nel 1957 il Trattato di Roma (v. Trattati di Roma) istitutivo della Comunità economica europea (CEE) segnava un ritorno al metodo intergovernativo rispetto al comunitarismo della CECA: si stabiliva infatti che l’autorità di bilancio responsabile dell’approvazione a posteriori della sua esecuzione fosse il Consiglio, con decisione all’unanimità (v. Voto alla unanimità), e che il ruolo del Parlamento europeo (Assemblea parlamentare europea fino al 1962) e della Commissione fosse limitato a una funzione consultiva nella fase di elaborazione del bilancio. Dal punto di vista delle modalità di finanziamento, per quanto l’articolo 201 del Trattato di Roma (ora articolo 269) prevedesse la possibilità di ricorrere a risorse proprie e attribuisse alla Commissione il compito di elaborare proposte in tale direzione, fino al 1970 il bilancio della UE continuò a essere finanziato solamente dai contributi nazionali degli Stati membri, alla stregua delle altre organizzazioni internazionali che erano sorte o stavano sorgendo in quel periodo (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, ecc.).

Nel 1962 veniva istituito il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEOGA), che avrebbe costituito, attraverso la sezione garanzia, lo strumento di finanziamento della Politica agricola comune (PAC), introdotta nel medesimo anno per rispondere alle finalità previste dal Trattato di Roma. Esso ha rappresentato fino ai giorni nostri la principale componente di spesa del bilancio europeo.

Nel 1970 il Consiglio europeo di Lussemburgo introduceva di fatto il sistema delle risorse proprie, in sostituzione dei contributi nazionali. Permaneva la possibilità di attribuire al bilancio comunitario contributi diretti provenienti dalle tesorerie nazionali, ma con carattere transitorio e decrescente. Dal punto di vista istituzionale, viene stabilito che il Parlamento europeo divenisse uno dei due rami decisionali in tema di bilancio, anche se i suoi poteri sarebbero stati ancora limitati alla condivisione di responsabilità in tema di spese obbligatorie (v. sotto).

Nel 1975 il Consiglio europeo di Bruxelles rafforzava ulteriormente i poteri del Parlamento, cambiando radicalmente la suddivisione di responsabilità introdotta dal Consiglio di Lussemburgo. Mentre il Consiglio conservava il diritto di approvare in via ultimativa le spese obbligatorie, il Parlamento otteneva l’ultima parola sull’adozione delle spese non obbligatorie. Si stabiliva anche che fosse il Parlamento a concedere lo scarico del bilancio, dotandolo di un potere sostanziale di controllo nei confronti della Commissione. Si decideva, infine, la creazione della Corte dei conti, istituzione preposta al controllo dell’esecuzione del bilancio comunitario.

Dal lato delle spese, il Consiglio di Bruxelles disponeva l’introduzione del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), che segnava l’inizio della politica di coesione economica a livello europeo con la finalità di destinare risorse a favore delle regioni più povere della Comunità.

Nel 1985 la decisione sulle risorse proprie 85/257, dando seguito agli accordi presi nel Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984, formalizzava l’introduzione di un meccanismo correttore automatico dello squilibrio di bilancio, del Regno Unito, che prevedeva una riduzione di due terzi del contributo netto britannico finanziata da tutti gli altri Stati membri (v. Accordi di Fontainebleau).

Nel 1988 veniva siglato il primo accordo interistituzionale tra Consiglio e Parlamento europeo (v. Accordi interistituzionali), al fine di garantire le condizioni di base per una relativa pace nei rapporti tra le due istituzioni e per il buon funzionamento delle procedure di bilancio. Esso sanciva il passaggio della programmazione europea al sistema delle prospettive finanziarie pluriennali con il suo insieme di massimali vincolanti per anno e per singola rubrica di spesa.

Il primo pacchetto Delors (v. Delors, Jacques), tradottosi nelle prospettive finanziarie 1988-1992, fu approvato dal Consiglio europeo di Bruxelles, sulla base di una proposta elaborata l’anno precedente dalla Commissione presieduta dal francese Jacques Delors e finalizzata a dare attuazione concreta all’Atto unico europeo del 1987. Il pacchetto segnava un importante riorientamento delle principali direttrici di spesa della UE, in particolare con il trasferimento di risorse dalla PAC alle politiche di coesione (v. Politica di coesione), introduceva una quarta risorsa di finanziamento basata sul Prodotto nazionale lordo (PNL) dei paesi membri, e fissava un massimale complessivo al totale di risorse da attribuire annualmente al bilancio comunitario.

Nel 1992 il secondo pacchetto Delors, concretizzatosi nelle prospettive finanziarie 1993-99, era approvato dal Consiglio europeo di Edimburgo di dicembre. Esso stabiliva l’incremento del massimale delle risorse destinabili al bilancio UE e rafforzava dal lato delle spese la componente redistributiva e quella destinata alle politiche allocative, quali quelle di ricerca (v. Politica della ricerca scientifica e tecnologica) e delle Reti transeuropee. Dal lato delle entrate, il pacchetto Delors II confermava nella sostanza il precedente sistema delle risorse proprie, rafforzando il peso della risorsa PNL sul totale e mantenendo il meccanismo di correzione per il Regno Unito.

Nel 1999 le prospettive finanziarie 2000-2006 (v. “Agenda 2000”) venivano adottate dal Consiglio europeo di Berlino, dopo due anni di negoziati. Il pacchetto, elaborato in un contesto di significativa criticità dal punto di vista politico, con la Commissione Santer (v. Santer, Jean Jacques) dimissionaria alla vigilia del vertice, con la necessità di destinare risorse ai paesi candidati all’imminente allargamento e con le pressanti richieste da parte di quattro Stati membri (Germania, Austria, Svezia e Paesi Bassi) al fine di ottenere una riduzione del proprio contributo netto al bilancio comunitario, si caratterizzava per un approccio prudente e conservatore. Il massimale risorse proprie veniva mantenuto invariato, la riforma della PAC risultava significativamente ridimensionata rispetto alla proposta della Commissione di un co-finanziamento nazionale, le modifiche alla regolamentazione dei fondi strutturali avrebbero avuto effetti limitati, a livello sia di bilancio che di redistribuzione tra gli Stati, e la proposta di abolizione della correzione britannica, inizialmente avanzata dalla Commissione, non troverà seguito a causa della tenace opposizione del Regno Unito. Il principale aspetto innovativo era rappresentato dalla creazione di una nuova categoria di spese (di “preadesione”) finalizzata a supportare i paesi candidati nella fase di preparazione all’entrata nell’UE e dalla predisposizione di un margine a disposizione per coprire il costo di qualsiasi allargamento in quel periodo (v. Strategia di preadesione; Criteri di adesione).

Nel 2005 le prospettive finanziarie 2007-2013 venivano adottate dal Consiglio europeo di Bruxelles di dicembre. Le quarte prospettive finanziarie della storia UE si caratterizzavano per la stabilità delle risorse e per una riorganizzazione interna delle rubriche di spesa, con un progressivo ridimensionamento delle spese agricole e una parziale valorizzazione delle spese allocative funzionali al perseguimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona (ricerca e innovazione, occupazione e sviluppo sostenibile) e delle azioni esterne. Non venivano riformati né il sistema di finanziamento, né il meccanismo di correzione britannica, anche se era prevista una parziale modificazione entro il 2009.

Principi generali e aspetti definitori

Il bilancio generale dell’UE risponde ad alcuni principi fondamentali (v. Commissione europea, 2002), illustrati di seguito.

Principio di unità. Attualmente contenuto nell’art. 268 del trattato CE, il principio di unità prevede che tutte le entrate e le spese della UE vengano riunite in un unico documento di bilancio. In realtà, nel corso del tempo questo principio è stato largamente disatteso e negli anni Sessanta si arrivò ad avere fino a cinque bilanci distinti. Progressivamente, dopo il Trattato di Lussemburgo del 1970, si è proceduto verso l’unificazione dei diversi testi fino ad arrivare a due soli documenti: il bilancio generale della UE e il bilancio operativo CECA. Con l’estinzione della CECA nel 2002, permangono ancora tre principali elementi critici rispetto alla capacità del bilancio generale di dare una rappresentazione unitaria del ruolo finanziario diretto della UE: in primo luogo, l’iscrizione a bilancio del Fondo europeo di sviluppo (FES) è solo formale, tanto che esso risponde a meccanismi di approvazione e di finanziamento diversi dal resto delle spese; in secondo luogo, le attività di assunzione ed erogazione di prestiti da parte dell’istituzione finanziaria comunitaria – la Banca europea per gli investimenti (BEI) – restano al di fuori di questa struttura, anche se l’Unione può garantire con una somma iscritta a bilancio una parte delle somme prestate dalla BEI a paesi terzi; infine, le spese inerenti la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), con implicazioni nel settore militare e della difesa e quelle relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, possono essere mantenute al di fuori del bilancio comunitario e finanziate secondo una logica intergovernativa in seguito a specifiche decisioni del Consiglio (v. Cooperazione intergovernativa).

Principio di universalità. Il principio di universalità contiene in realtà due regole: la regola di non assegnazione, in base alla quale le entrate del bilancio non devono essere vincolate ad alcuna spesa specifica (il complesso delle entrate copre quindi l’insieme delle spese senza vincoli di destinazione); e la regola di non contrazione, in base alla quale le entrate e le spese devono essere iscritte nel bilancio in base al loro importo integrale, senza compensazioni tra loro.

Principio di annualità. Tale principio implica l’attribuzione delle diverse operazioni di bilancio, sia previsionale che di esecuzione, a un esercizio annuale, in modo da facilitare i compiti di controllo, monitoraggio e valutazione. La necessità tipica di un bilancio pubblico di gestire operazioni su base pluriennale ha tuttavia attribuito importanza crescente agli stanziamenti dissociati: ovvero a quegli impegni assunti in un determinato anno finanziario che determinano spese per più di un periodo. Gli stanziamenti dissociati trovano espressione nel bilancio UE nella distinzione tra stanziamenti d’impegno (SI) e stanziamenti di pagamento (SP). Gli stanziamenti d’impegno coprono, durante l’esercizio in corso, il costo totale degli obblighi giuridici contratti per azioni la cui realizzazione si estende per più di un periodo. Gli stanziamenti di pagamento coprono le spese che derivano dall’esecuzione degli impegni contratti durante l’esercizio e/o gli esercizi precedenti. La distinzione tra SI e SP ha come conseguenza naturale la formazione di uno scarto che prende il nome di “rimanenza da liquidare” e che è l’effetto dello sfasamento tra il momento in cui la spesa è stata giuridicamente impegnata e il momento in cui vengono liquidati gli importi corrispondenti. Va infine ricordato come, in virtù dell’accordo interistituzionale del 1988, il bilancio annuale si debba inserire nel quadro della programmazione finanziaria a medio termine rappresentata dalle prospettive finanziarie.

Principio di equilibrio. Previsto dall’art. 268 del Trattato CE, il principio di equilibrio impone che le previsioni d’entrata dell’esercizio annuale siano pari agli stanziamenti di pagamento del medesimo periodo. Non è consentito il ricorso a prestiti per coprire le uscite e qualsiasi spesa supplementare non prevista deve essere oggetto di un bilancio rettificativo e/o suppletivo nel corso dell’esercizio che ne garantisca la copertura. Se il saldo di bilancio effettivo a fine anno risulta essere positivo – ovvero l’esecuzione delle entrate ha permesso di coprire i pagamenti e di ottenere un’eccedenza – tale eccedenza è riportata nell’esercizio successivo e iscritta come voce d’entrata.

Principio di specializzazione. Stabilito dall’art 271 del Trattato CE, il principio di specializzazione implica che qualsiasi stanziamento nel bilancio deve avere una destinazione di spesa ben precisa ed essere finalizzato a uno specifico obiettivo. Esso ha la funzione di garantire la massima trasparenza al documento di bilancio e di evitare confusioni e stravolgimenti della volontà dell’autorità di bilancio al momento dell’esecuzione. Il principio di specializzazione è attenuato dal meccanismo degli storni: ovvero dalla possibilità prevista dall’art. 274 del Trattato CE di trasferire gli stanziamenti di spesa da una linea all’altra con procedure semplificate rispetto a quelle di approvazione del bilancio.

Principio di unità di conto. Previsto sin dagli inizi per la CECA e successivamente per la CEE e la Comunità europea per l’energia atomica (CEEA), il principio di unità di conto implica che le spese e le entrate del bilancio siano espresse ricorrendo a un’unità di conto diversa dalle monete nazionali. Nella storia del bilancio UE, dopo un breve periodo iniziale di ricorso al franco belga, si sono succedute come unità di conto il dollaro, l’oro e l’Unità di conto europea (European currency unit, ECU). Dal primo gennaio 1999 l’unità di riferimento del bilancio generale è divenuto l’Euro.

Principio di trasparenza. Inserito nel regolamento finanziario entrato in vigore dal 1° gennaio 2003, il principio di trasparenza implica l’obbligo di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del bilancio generale, dei bilanci rettificativi e degli stati finanziari.

Principio di sana gestione finanziaria. La Commissione è tenuta a curare l’esecuzione del bilancio conformemente al principio di sana gestione finanziaria, ovvero, in base a quanto specificato nel nuovo regolamento finanziario entrato in vigore nel 2003, nel rispetto dei principi di economia, efficienza ed efficacia. La traduzione operativa di tale principio si poggia in sostanza sulla promozione di una gestione finanziaria basata sulla definizione di obiettivi verificabili e sull’utilizzo di indicatori per misurarne il grado di raggiungimento, ovvero sul passaggio da una gestione fondata sui mezzi ad una orientata verso i risultati. Un effetto importante di tale principio è rappresentato dall’introduzione progressiva del bilancio basato sulle attività (Activity based budget, ABB), redatto rielaborando e consolidando le diverse voci di spesa del bilancio generale in base alle attività e ai campi d’intervento strategici dell’Unione, al fine di verificare l’effettiva corrispondenza tra costi sostenuti e risultati raggiunti.

Un ulteriore elemento definitorio importante per la comprensione dei meccanismi di bilancio è dato dalla distinzione tra spese obbligatorie (SO) e spese non obbligatorie (SNO), che determina la ripartizione del potere di bilancio tra il Parlamento e il Consiglio. La definizione poco precisa di tale distinzione originariamente contenuta nel Trattato è stata in parte integrata da una dichiarazione congiunta delle tre istituzioni di bilancio nel 1982, in base alla quale sono identificate come “obbligatorie” quelle spese che l’autorità di bilancio è tenuta a iscrivere in bilancio per consentire all’Unione di rispettare i propri obblighi interni o esterni, derivanti dai trattati o dagli atti adottati sulla base di questi. Le altre spese invece sono “non obbligatorie” (v. Commissione europea, 2000). Orientativamente, il primo gruppo, corrispondente a poco più del 40% del bilancio, comprende le spese agricole di garanzia, le spese delle azioni esterne derivanti da accordi internazionali, le spese di partecipazione a organismi internazionali, le spese per il trattamento pensionistico dell’amministrazione europea e le riserve monetarie e di garanzia, mentre nel secondo gruppo rientrano tutte le altre (v. Nava, 2000).

Le procedure

Dopo le decisioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 1975, il Consiglio dei ministri dell’economia e finanza (ECOFIN) e il Parlamento sono divenuti i due rami dell’autorità di bilancio, con il primo che ha acquisito l’ultima parola sulle spese obbligatorie e il secondo su quelle non obbligatorie. La successione delle tappe e delle scadenze che devono essere rispettate dalle autorità di bilancio, disciplinata dall’art. 272 del Trattato CE, è stata concordata secondo un calendario pragmatico che si ripete ormai dal 1977 secondo le caratteristiche riassunte in tabella I.

Tabella I. Procedura di bilancio

COMMISSIONE–Pubblicazione progetto preliminare di bilancio (aprile/giugno)

La Commissione elabora, sulla base delle consultazioni interne ed esterne, il Progetto preliminare di bilancio (PPB) che costituisce la previsione del quadro globale delle entrate e delle spese per l’esercizio seguente. Per quanto modificabile da parte dell’autorità di bilancio, esso rappresenta un termine di riferimento essenziale per le decisioni del Parlamento e del Consiglio. Il PPB può essere successivamente rivisto dalla Commissione attraverso una “lettera rettificativa” per tenere conto di eventi ed esigenze che si siano manifestati successivamente alla sua redazione.

CONSIGLIO–Adozione del progetto di bilancio (PB) (luglio)

Il Consiglio, che ha ricevuto il PPB entro il 15 giugno, provvede alla prima lettura del PPB e adotta a maggioranza qualificata entro il 31 luglio un progetto di bilancio (PB) che trasmette al Parlamento entro il 5 ottobre.

PARLAMENTO-Prima lettura del PB (ottobre)

Il Parlamento procede alla prima lettura del testo presentato dal Consiglio. Il Parlamento può proporre emendamenti alle SNO a maggioranza assoluta dei membri e proposte di modificazione delle SO a maggioranza assoluta dei voti espressi. La possibilità per il Parlamento di aumentare attraverso gli emendamenti l’importo delle SNO è soggetta al limite di un “tasso massimo di aumento” (TMA) rispetto alle spese della stessa natura nell’esercizio precedente. Il TMA è fissato dalla Commissione sulla base di alcuni parametri macroeconomici oggettivi.

CONSIGLIO-Seconda lettura (novembre)

Il Consiglio procede nella seconda metà di novembre alla lettura degli emendamenti (per le SNO) e delle proposte di modifica (per le SO) votate dal Parlamento. Le decisioni del Consiglio a maggioranza qualificata sulle SO (sia di recepimento che di rigetto delle proposte di modifica del Parlamento) portano normalmente a fissare i loro importi definitivi, mentre quelle sulle SNO vengono rimandate al Parlamento entro il 4 dicembre.

PARLAMENTO-Seconda lettura (dicembre)

Il Parlamento delibera a maggioranza dei suoi membri e dei 3/5 dei suffragi espressi l’accettazione degli emendamenti alle SNO proposti dal Consiglio in seconda lettura. In caso di accettazione il bilancio è adottato e diviene esecutivo.

Il Parlamento, deliberando a maggioranza dei membri e dei 2/3 dei suffragi espressi, può rigettare il bilancio e chiedere che venga presentato un nuovo progetto. Il nuovo progetto viene di norma presentato dalla Commissione partendo da quello risultato dalla seconda lettura del Consiglio.

Se la procedura non ha termine entro il 31 dicembre, si ricorre all’esercizio di bilancio provvisorio: il finanziamento viene assicurato da bilanci mensili corrispondenti a 1/12 dell’ultimo bilancio approvato.

BILANCI RETTIFICATIVI E SUPPLETIVI (BRS)

In caso di eventi eccezionali e imprevedibili la Commissione può presentare nel corso dell’esercizio una modifica del bilancio approvato, sotto forma di progetto preliminare di bilancio rettificativo (ovvero che non va ad aumentare il totale previsto delle spese) e/o suppletivo (ovvero che va ad aumentare l’importo delle spese rispetto al bilancio iniziale o va a prevedere nuove spese). La procedura di approvazione dei BRS è poi la stessa del bilancio generale.

Fonte: Elaborazioni da Commissione europea, 2000 e 2002.

Il quadro politico e istituzionale definito a partire dalla metà degli anni Settanta si è dimostrato fragile e incapace di garantire un adeguato funzionamento della procedura annuale. In particolare, il decennio successivo è stato caratterizzato da continue tensioni tra i due rami dell’autorità e da una difficile applicazione dei meccanismi precedentemente introdotti: nel 1980, nel 1985, nel 1986 e nel 1988 si è dovuto ricorrere all’esercizio di bilancio provvisorio e nel 1982 il Consiglio ha presentato ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) per ottenere l’annullamento del bilancio adottato.

Tali elementi di conflittualità possono essere essenzialmente ricondotti a tre ordini di ragioni: una definizione non sufficientemente chiara dei criteri e delle competenze, la mancanza di procedure specifiche di conciliazione e dialogo al fine di prevenire le conflittualità, e infine la mancanza di un quadro di programmazione che evitasse di demandare tutto il processo decisionale al bilancio annuale. Dal primo punto di vista, ad esempio, il conflitto nasceva dalla volontà del Parlamento europeo, eletto per la prima volta a suffragio universale nel 1979 (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo), di interpretare in maniera estensiva i propri poteri di bilancio. Esso cercava di introdurre tra le spese non obbligatorie linee di bilancio non sostenute da basi legislative al fine di avviare nuove politiche, sfruttando il potere di decisore ultimo che aveva su queste stesse spese.

Le continue crisi hanno spinto le autorità a individuare forme di accordo che permettessero di migliorare la procedura di bilancio e di minimizzare i rischi di tensione.

Un primo passo fu fatto nel 1982 con una dichiarazione congiunta del Parlamento, del Consiglio e della Commissione che aveva tra gli altri obiettivi quello di chiarire la modalità di distinzione tra le SO e SNO. Essa riportava in allegato l’elenco di tutte le linee di bilancio sino ad allora esistenti, suddividendole in obbligatorie e non obbligatorie e, congiuntamente, introduceva un meccanismo per ridurre le conflittualità su possibili iniziative future. Questo prevedeva da una parte che ogni azione di bilancio “significativa” dovesse avere una base legislativa di riferimento (ad esempio un regolamento) e, dall’altra, che si evitasse che azioni legislative del Consiglio su nuove tematiche andassero a definire aspetti quantitativi – come ad esempio i massimali di spesa per le singole azioni – che avrebbero successivamente limitato il potere di bilancio del Parlamento (v. Nava, 2000).

Il vero punto di svolta dal punto di vista procedurale è stato tuttavia rappresentato dal primo accordo interistituzionale del 1988, successivamente prorogato e integrato nel 1993, nel 1999 e nel 2006, che ha ridotto le cause di conflittualità tra istituzioni e ha assicurato una maggiore efficienza del Processo decisionale. I meccanismi adottati con gli accordi interistituzionali sono andati soprattutto in due direzioni: l’introduzione nella procedura di nuovi elementi e fasi di concertazione fra i due rami dell’autorità di bilancio per renderne più consensuale lo svolgimento; l’utilizzazione di uno strumento di programmazione finanziaria pluriennale a carattere vincolante.

Il primo aspetto si è concretizzato nella previsione di riunioni a tre (“trialoghi”) e di riunioni di concertazione in occasione delle diverse tappe del bilancio (come ad esempio la fase di “trialogo” fra le tre istituzioni sulle priorità di bilancio che precede dal 1993 la redazione del PPB o la fase di concertazione ad hoc con il Parlamento sulle spese obbligatorie da introdurre a bilancio che accompagna l’adozione del PB da parte dell’ECOFIN dal 1999) al fine di prevenire e ricomporre eventuali divergenze prima dell’atto decisionale.

Il secondo si è concretizzato nello strumento delle prospettive finanziarie (PF) che ha scandito dal 1988 la definizione del quadro finanziario dell’Unione per un periodo pluriennale. Le PF, infatti, vanno a ripartire l’insieme delle spese comunitarie in grandi settori tematici, detti rubriche (v. tab. II per le rubriche contenute nel quadro finanziario 2000-2006), rappresentative delle principali priorità d’intervento dell’Unione, definendo per ogni rubrica e per ogni anno un importo massimo di stanziamenti d’impegno. Esse indicano anche l’importo massimo totale di stanziamenti di pagamento che possono essere previsti all’interno del singolo bilancio annuale, esprimendo tale massimale sia in milioni di euro che in percentuale del reddito nazionale lordo (RNL). Quest’ultima disposizione permette di stabilire un collegamento con il massimale fissato dalla decisione risorse proprie (v. sotto), che definisce il tetto invalicabile di risorse, in percentuale del RNL comunitario, che possono confluire annualmente nel bilancio comunitario. Tra il massimale risorse proprie e il massimale di stanziamenti annui contenuto nelle PF viene sempre previsto un margine per far fronte ad eventuali imprevisti, con una duplice finalità. In primo luogo, esso garantisce un margine di sicurezza nel caso in cui la crescita effettiva risulti inferiore alle previsioni e determini un’automatica riduzione delle risorse che confluiscono nel bilancio comunitario; in secondo luogo, esso rende possibile destinare, senza violare il massimale risorse proprie, dei fondi a obiettivi e finalità che si manifestino nel corso del periodo di programmazione e che non siano entrati nel quadro finanziario di partenza.

Tabella II. Prospettive finanziarie 2000-2006 riviste per l’allargamento (Europa a 25)

(milioni di euro, prezzi 2005)

RUBRICHE 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
1. Agricoltura

1a PAC

1b Sviluppo rurale

41.738

37.352

4.386

44.530

40.035

4.495

46.587

41.992

4.595

47.378

42.680

4.698

49.305

42.769

6.536

51.439

44.598

6.841

51.587

44.610

6.977

2. Azioni strutturali

Fondi strutturali

Fondo di coesione

32.678

30.019

2.659

32.720

30.005

2.715

33.638

30.849

2.789

33.968

31.129

2.839

41.035

35.353

5.682

42.441

37.247

5.194

43.701

37.768

5.933

3. Politiche interne 6.031 6.272 6.558 6.796 8.722 9.012 9.138
4. Azioni esterne 4.627 4.735 4.873 4.972 5.082 5.119 5.130
5. Amministrazione 4.638 4.776 5.012 5.211 5.983 6.185 6.356
6. Riserve

Riserva monetaria

Riserva per aiuti d’urgenza

Riserva di garanzia

906

500

203

203

916

500

208

208

676

250

213

213

434

217

217

442

221

221

446

223

223

446

223

223

7. Aiuti di pre-adesione 3.174 3.240 3.328 3.386 3.455 3.472 3.472
8. Compensazioni 1410 1305 1046
Totale stanziamenti di impegno 93.792 97.189 100.672 102.145 115.434 119.419 120.876
Totale stanziamenti di pagamento 91.322 94.730 100.078 102.767 111.380 114.060 116.555
Massimale stanziamenti

di pagamento (% RNL)

1,07% 1,07% 1,09% 1,11% 1,19% 1,09% 1,.08%
Margine per imprevisti 0,17% 0,17% 0,15% 0,13% 0,13% 0,15% 0,16%
Massimale risorse proprie 1,24% 1,24% 1,24% 1,24% 1,24% 1,24% 1,24%

Fonte: Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria (“Gazzetta ufficiale dell’Unione europea” 2006/C139, p. 10).

Il quadro finanziario 2007-2013 risulta diviso in 5 rubriche: crescita sostenibile; conservazione e gestione delle risorse; cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia; l’UE come partner globale; amministrazione. In realtà, ben tre rubriche sono divise in sottorubriche che hanno lo status di vere e proprie rubriche e quindi le linee di spesa vincolanti sono in realtà 8.

La rubrica 1.a, “competitività per la crescita e l’occupazione” prevede il finanziamento delle iniziative a livello europeo a sostegno ed in sinergia con l’azione svolta dagli Stati membri per contribuire agli obiettivi della strategia di Lisbona. Essa comprende le principali “politiche interne” della precedente programmazione finanziaria: ricerca e sviluppo, reti transeuropee, istruzione e formazione, mercato unico e agenda sociale. La rubrica 1.b, “coesione per la crescita e l’occupazione”, contiene i fondi destinati alla politica regionale, ovvero alla riduzione delle disparità tra i livelli di sviluppo dei vari Stati membri e regioni secondo le caratteristiche descritte sopra. La rubrica 2, “conservazione e gestione delle risorse”, riguarda l’agricoltura, lo sviluppo rurale, la pesca e un nuovo strumento finanziario per l’ambiente. In base agli accordi già definiti nel Consiglio europeo dell’ottobre 2002, una parte consistente di tale rubrica (80%) è vincolata al finanziamento delle spese di garanzia della PAC. La rubrica 3.a, “libertà, sicurezza e giustizia”, include una serie di azioni volte a favorire la definizione di una politica comune in tema di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere (v. Politiche dell’immigrazione e dell’asilo), terrorismo e criminalità organizzata (v. Lotta contro il terrorismo), cooperazione giudiziaria (v. Cooperazione giudiziaria in materia civile); si prevede una crescita reale di circa il 15% annuo delle risorse dirette a questa tematica rispetto al 2006. La rubrica 3b riguarda le altre politiche interne quali: cultura (v. Politica culturale europea), gioventù (v. Politica della gioventù) e tutela dei consumatori. La rubrica 4, “l’UE come partner globale”, comprende le politiche esterne dell’Unione, tra cui vengono ricomprese quelle di preadesione e le riserve; si prevede una crescita reale di circa il 4,5% annuo delle risorse dirette a questa tematica rispetto al valore 2006. La rubrica 5, “amministrazione”, contiene le spese per il funzionamento della macchina amministrativa UE, che pesano per circa il 5,7% del totale.

Le entrate

Fino al 1970 la copertura delle spese comunitarie è avvenuta con contributi nazionali ripartiti secondo quote assegnate ai singoli Stati membri in misura diversa a seconda dei tre settori di spesa in cui era ripartito il bilancio europeo (amministrativa, sociale, agricola). A partire dal Consiglio europeo di Lussemburgo del 1970 e dalla susseguente decisione del Consiglio 70/243, il bilancio europeo ha iniziato ad essere finanziato da risorse proprie, ovvero da risorse che secondo i Trattati appartengono all’Unione di diritto, senza che si renda necessaria una decisione ad hoc delle autorità nazionali per l’attribuzione al bilancio europeo, come avveniva per i contributi nazionali.

Le risorse proprie introdotte nel 1970 e tuttora presenti nel bilancio UE sono articolate come segue (v. Zatti, 2002).

Prelievi agricoli e contributi settore zucchero. I prelievi agricoli costituiscono prelievi sulle importazioni di prodotti agricoli che rientrino nell’organizzazione comune di mercato e che provengano da paesi terzi; essi permettono di compensare la differenza fra i prezzi mondiali e i prezzi d’intervento all’interno della PAC, in conformità con il principio della preferenza comunitaria. Il loro valore è altamente variabile e dipende dalle fluttuazioni dei prezzi agricoli mondiali e dal grado di sussidiazione concesso alla produzione interna: quanto più il sostegno all’agricoltura tenderà a spostarsi dai prezzi direttamente al reddito, tanto minori saranno gli importi derivati dai prelievi agricoli. I contributi zucchero e isoglucosio sono costituiti da pagamenti dei produttori per finanziare i meccanismi di sostegno dei relativi mercati. Anche in questo caso si tratta di versamenti strettamente collegati alle caratteristiche della politica d’intervento e tendenzialmente in declino con la riforma della PAC.

Dazi doganali. Sono costituiti dalle entrate ottenute applicando le tariffe doganali comuni ai prodotti importati da paesi terzi. Il loro valore complessivo dipende in maniera diretta dal volume delle importazioni e dal grado di protezione accordato alla produzione interna. Le aliquote adottate sono state modificate continuamente nel corso degli anni, con una tendenza alla riduzione in seguito ai negoziati condotti nell’ambito dell’OMC e ad accordi specifici riguardo all’applicazione di preferenze tariffarie a taluni partner commerciali.

I prelievi agricoli e i dazi doganali rappresentano le cosiddette risorse proprie tradizionali (RPT). Esse vengono accertate e riscosse dagli Stati membri, i quali trattengono una quota del totale a titolo di spese di riscossione. È interessante notare come in entrambi i casi si tratti di entrate strettamente collegate all’applicazione di due politiche comunitarie previste dai Trattati (la politica agricola e la Politica commerciale comune), indipendentemente dalle esigenze fiscali di bilancio, per le quali la componente sopranazionale è particolarmente evidente e la cui redistribuzione tra i singoli Stati non potrebbe che avvenire su basi arbitrarie e scarsamente rappresentative. Si spiega quindi il perché esse siano entrate nella nomenclatura comune come risorse proprie tradizionali o anche con la denominazione di “risorse autenticamente proprie”

Risorsa IVA. Deriva dall’applicazione di un’aliquota uniforme, inizialmente fissata all’1%, alla base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto dei singoli Stati membri, calcolata in base ad una metodologia comune, stabilita da norme comunitarie. Tale calcolo è sostanzialmente fatto in base alle entrate nette riscosse a tale titolo da ciascun paese nel corso di un anno, divise per l’aliquota media ponderata, che rappresenta per ciascun Stato membro la media ponderata delle diverse aliquote applicabili alle operazioni gravate da IVA. L’utilizzo dell’aliquota ponderata permette di non pesare eccessivamente su quegli Stati che complessivamente applicano aliquote più alte. Rimane evidente che l’onere gravante su ciascuno Stato, per ciò che riguarda il finanziamento comunitario, è direttamente collegato alla reale consistenza della base imponibile (dipendente dal valore dei consumi complessivi delle famiglie), ma anche all’efficienza delle singole amministrazioni nel reprimere le frodi ed evitare l’evasione: i paesi meno abili in questo si vedono infatti attribuire quote minori di pagamento. Le caratteristiche della risorsa IVA fanno sì che l’obiettivo iniziale della Commissione di fare della risorsa IVA una risorsa autenticamente europea, dotata di «un impatto politico e psicologico importante […] e in grado di fornire una fonte di finanziamento comunitario, stabilendo al tempo stesso un legame diretto fra i contribuenti europei e il bilancio comunitario» (COM(88)99, pp. 27 e 26) sia sostanzialmente fallito. Il metodo di calcolo adottato attribuisce alla risorsa IVA ancora le caratteristiche di un contributo nazionale, che grava direttamente sugli Stati membri, senza che vi sia un collegamento diretto con il contribuente europeo.

Mentre le prime due categorie di entrate (RPT) sono divenute parte del bilancio già nel periodo 1971-1975, la risorsa basata sull’IVA armonizzata non è stata introdotta fino al 1979, a causa di estese difficoltà nella definizione e nel calcolo della base armonizzata su cui applicare il prelievo. Le RPT hanno di conseguenza rappresentato per gli anni Settanta una quota considerevole e crescente del totale delle entrate (anche maggiore del 60%); successivamente, con l’applicazione della risorsa IVA, il loro contributo ha mostrato una tendenza a calare progressivamente (v. fig. 4).

Il sistema di finanziamento definito dalla decisione 70/243 si è mostrato incapace di garantire nel corso degli anni un adeguato equilibrio tra fonti di entrata e uscite, così come tra le posizioni nette relative ad ogni partecipante alla Comunità. Da una parte, le entrate hanno evidenziato una dinamica poco elastica rispetto alle esigenze di spesa: queste ultime hanno infatti sperimentato negli anni successivi una rapida crescita dovuta al rafforzamento delle politiche esistenti, al varo di nuove linee d’intervento (il FESR, ad esempio), all’adesione di nuovi membri meno ricchi, e alla ridotta capacità di tenere sotto controllo la spesa collegata alla PAC. Dall’altra, il Regno Unito ha mostrato nelle discussioni di bilancio un crescente malessere nei confronti della propria posizione netta, reclamando a più riprese una riduzione del proprio contributo finanziario. In conseguenza di tali esigenze, la decisione risorse proprie 85/257, facendo seguito agli accordi raggiunti l’anno prima nel Consiglio europeo di Fontainebleau, ha incrementato il tasso massimo di prelievo della risorsa IVA all’1,4% e ha formalizzato il principio di correzione degli squilibri di bilancio (v. sotto).

Anche il sistema introdotto nel 1985 si è dimostrato incapace di garantire un’adeguata copertura del bilancio: sia perché le RPT scontavano sempre più la crescente liberalizzazione del commercio internazionale, sia perché la dinamica delle basi imponibili IVA è risultata modesta e incapace di fare fronte alle esigenze complessive di spesa. Inoltre, la struttura di un finanziamento basata prevalentemente sulla risorsa IVA (che aveva raggiunto nel biennio 1986-1987 un peso attorno ai 2/3 del totale delle entrate) ha attratto crescenti critiche relativamente ad un suo presunto carattere regressivo, ovvero ad una sua maggiore incidenza relativa sugli Stati meno prosperi.

In risposta a tali problematiche, la terza decisione risorse proprie, 88/376, parallelamente all’aumento progressivo del massimale dall’1,15% nel 1988 all’1,2 nel 1992, ha introdotto una nuova risorsa basata sul PNL (altresì detta quarta risorsa), con le caratteristiche di risorsa di equilibrio: essa ha assunto il ruolo di finanziare la parte delle spese non coperta dalle RPT e dall’applicazione dell’aliquota uniforme IVA. La somma residuale così calcolata viene ridistribuita tra i diversi Stati membri in proporzione al peso del proprio PNL sul totale del PNL comunitario, da cui il nome di “risorsa PNL”. In sostanza, la risorsa PNL è un contributo nazionale a tutti gli effetti, in quanto è calcolata su un aggregato statistico (oggi l’RNL) determinato secondo una metodologia comune, al quale poi si applica un’aliquota uniforme, senza che vi sia alcun legame con i cittadini dell’UE o con una politica comunitaria. Parallelamente e congiuntamente all’introduzione della nuova risorsa, si è provveduto a limitare il peso della risorsa IVA, fissando un massimale della base imponibile da considerare pari al 55% della base imponibile PNL di ciascun paese: in altri termini il totale delle risorse ottenibili attraverso la terza risorsa era calcolato applicando un’aliquota uniforme predefinita alle basi imponibili IVA, ottenute fissando un tetto massimo pari al 55% delle rispettive basi PNL; la rimanente parte dei finanziamenti era ottenuta attraverso la quarta risorsa. Si è così cercato di ridurre i prelievi per quegli Stati membri che avevano basi IVA in proporzione molto maggiori rispetto a quelle PNL, in modo da contribuire alla mitigazione dei potenziali effetti regressivi del sistema.

Figura 4. Composizione del bilancio comunitario: entrate
Fonte: Elaborazioni su dati tratti da Commissione europea, 2005.

Effetto complessivo del nuovo quadro di finanziamento è stata la riduzione della quota finanziata dalla risorsa IVA e l’acquisizione di un ruolo sempre maggiore da parte della risorsa PNL. Tale trend ha continuato a manifestarsi fino agli anni più recenti (v. fig. 4), visto che le successive decisioni sulle risorse proprie hanno portato modificazioni solo marginali, e nella medesima direzione, al meccanismo di finanziamento. La decisione 94/728, oltre ad aumentare il massimale risorse proprie dall’1,21% del 1995 all’1,27 del 1999, ha continuato infatti il processo di ridimensionamento della risorsa IVA, limitando l’imponibile al 50% dei rispettivi PNL a partire dal 1995 per i paesi della coesione e portando quello degli altri Stati membri dal 55% al 50% in scatti uguali dell’1% nel quinquennio 1995-1999. Si è inoltre ridotto il massimale previsto per l’aliquota uniforme da applicare all’imponibile IVA di ciascuno Stato dall’1,4% all’1,0%, in scatti uguali dal 1995 al 1999. Effetto complessivo di tali decisioni è stato il calo del peso della risorsa IVA fino al 36% nel 1999 e una corrispondente crescita della risorsa residuale PNL fino al 43% nel medesimo anno. L’ultima decisione risorse proprie 2000/97, oltre a stabilizzare il massimale risorse proprie al livello del 1999, ha ulteriormente ridotto l’aliquota massima di prelievo sull’IVA allo 0,5% a partire dal 2004 e ha incrementato dal 10% al 25% la quota di RPT trattenuta dagli Stati membri a titolo di spese di riscossione.

L’effetto di tale stratificarsi di decisioni ha portato a una situazione in cui la risorsa PNL ha acquisito un ruolo decisamente predominante – essa ha coperto nel bilancio 2005 più di 2/3 del totale delle entrate – e in cui le RPT (13% circa) e la risorsa IVA (15%) mantengono un peso minore e in continuo declino. Completa il quadro una voce “varie”, con un valore molto oscillante di anno in anno, in cui è riportato l’avanzo di bilancio dell’anno precedente, nonché una serie di fonti quali: interessi sui crediti, pagamenti di Stati terzi per la partecipazione a programmi comunitari, prelievi fiscali sulle remunerazioni dello staff dell’Unione e rimborsi di aiuti finanziari comunitari non utilizzati. Un quadro che tenderà a consolidarsi nell’immediato futuro, visto che la progressiva riforma della PAC e l’apertura dei mercati mondiali continueranno a far sentire il proprio effetto sulle RPT, e che le Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 2005 hanno previsto una nuova decisione risorse proprie entro il 2009, con inserita all’interno l’ulteriore riduzione dell’aliquota del prelievo IVA allo 0,3%.

Resta da sottolineare nel complesso come, a distanza di quasi quarant’anni dall’introduzione del sistema risorse proprie, il bilancio della UE si caratterizzi per essere finanziato per quasi il 90% da forme di contribuzione nazionali e di carattere essenzialmente intergovernativo, come quelle costituite dalle risorse IVA e PNL, che riducono la trasparenza e le possibilità di controllo democratico da parte dei cittadini-contribuenti e finiscono per accentuare i problemi legati alle considerazioni in termini di juste retour da parte degli Stati, in base alle quali la propria partecipazione all’Unione è valutata in termini puramente contabili, come espressi dalle relative posizioni di bilancio (v. sotto).

La correzione britannica

La decisione risorse proprie 85/257, facendo seguito ad un periodo di discussioni politiche durate quasi un decennio e sintetizzabili nella rivendicazione “voglio indietro il mio denaro” del primo ministro inglese Margaret Thatcher al vertice di Dublino del 1979, ha introdotto un meccanismo di correzione automatica dello squilibrio di bilancio del Regno Unito (correzione britannica), finalizzato a ridurre la differenza tra i contributi versati da parte britannica al bilancio comunitario sul versante delle entrate e le somme ottenute dalle diverse politiche comunitarie da quello delle spese.

Il meccanismo di compensazione britannica si basa su tre principi essenziali. Esso prevede che il contributo del Regno Unito al bilancio comunitario sia ridotto di un importo pari al 66% del suo saldo di bilancio. Tale saldo (denominato saldo “correzione britannica”) è stato originariamente calcolato moltiplicando la differenza tra la parte in percentuale del Regno Unito nel gettito IVA e la sua parte nelle spese comunitarie ripartite per la stessa spesa ripartita. Con le modifiche introdotte nel 1988 il valore della compensazione calcolato secondo il metodo precedente viene corretto per tenere conto del risparmio per il Regno Unito legato all’introduzione della nuova forma di entrata (ovvero del «vantaggio che il Regno Unito trae dal nuovo sistema delle risorse proprie»). Tale risparmio è dato dalla differenza tra il contributo versato in base all’aliquota IVA limitata, il PNL (meccanismo post 1988) e il contributo teorico che si sarebbe versato in base all’IVA non livellata (meccanismo pre 1988); ovviamente il risparmio è dato dal fatto che la quota britannica sul totale PNL risulta minore di quella sulla base imponibile IVA. Lo stesso è stato fatto nel 2000 per il guadagno risultante per il Regno Unito dall’aumento della percentuale delle RPT trattenuta dagli Stati membri.

L’ammontare della compensazione, prima del 1988, è stato posto a carico degli altri Stati membri secondo la quota rispettiva nei versamenti IVA (a eccezione della Germania che versa solo i due terzi della parte dovuta). A partire dal 1988 il calcolo è stato modificato, ripartendo i rispettivi oneri in base alla quota sul totale del PNL comunitario e garantendo sempre una riduzione di un terzo alla Germania. A partire dalla decisione risorse proprie 2000/597, quattro Stati membri (Germania, Austria, Paesi Bassi e Svezia) hanno ottenuto che il loro livello di finanziamento sia ridotto al 25% della quota normale. L’iscrizione in bilancio dell’onere così ottenuto avviene poi attraverso la risorsa IVA, se ciò non porta a superare l’aliquota massima prevista dalla decisione risorse proprie; se viceversa il totale è superiore della base, la parte in eccedenza viene finanziata attraverso la quarta risorsa.

L’applicazione dei tre precedenti passaggi è resa ancor più complessa e articolata da tutta una serie di ipotesi e regole riguardanti il metodo di calcolo del saldo correzione britannica che possono influire in maniera decisiva sulle caratteristiche e sulla consistenza delle compensazioni iscritte in bilancio. In sintesi, nel considerare i versamenti su cui basare il calcolo, le RPT vengono imputate ad ogni singolo Stato in base alle rispettive quote sui versamenti PNL e IVA. Ciò permette di evitare che queste categorie d’entrata vengano attribuite al paese d’accesso delle merci nell’Unione, indipendentemente da quello di destinazione (ove poi concretamente i dazi e i prelievi vengono pagati dai consumatori): si tratta del cosiddetto “effetto Rotterdam-Anversa”.

Nell’ammontare delle spese su cui basare la compensazione vengono considerate solo le spese ripartite, ovvero quelle spese che possano essere attribuite in maniera logica e minimamente attendibile ai cittadini o alle imprese di uno Stato membro. Ciò implica che vengano escluse le spese che l’Unione effettua in paesi terzi ed una serie di altre spese di impossibile assegnazione (spese di missione dei funzionari, azioni esterne, spese per la politica estera e di sicurezza comune); complessivamente le spese ripartite ammontano a circa il 94-95% delle spese dell’Unione.

La necessità di basare i calcoli inerenti la quota dei diversi Stati sulle basi IVA e PNL su statistiche affidabili e note fa sì che i valori definitivi della compensazione siano iscritti a bilancio con notevole ritardo (generalmente dopo 4 anni); ogni anno quindi viene calcolato il saldo provvisorio relativamente all’anno precedente e la relativa compensazione, valori che vengono poi modificati per tener conto delle eccedenze inutilizzate e delle correzioni definitive relative all’anno t-4. Un metodo che complessivamente contribuisce a generare incertezza e a complicare ulteriormente l’intero meccanismo di bilancio.

Il metodo di calcolo presuppone inoltre che la somma di tutti i saldi di bilancio sia uguale a zero: per fare questo, come già evidenziato, il valore del bilancio viene artificiosamente ridotto di un ammontare pari alle spese non ripartite.

L’adozione del meccanismo di riequilibrio costituisce uno dei punti essenziali della prospettiva storica del bilancio europeo, avendo esso introdotto un tipo di compensazione automatica i cui effetti e le cui contraddizioni sono a tutt’oggi di grande rilevanza e attualità. Nonostante, infatti, il Consiglio di Fontainebleau avesse previsto la riduzione di due terzi del saldo negativo di ciascuno Stato membro caratterizzato da uno squilibrio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa, la decisione adottata ha espressamente concesso la compensazione solo al Regno Unito, creando una situazione di privilegio difficilmente giustificabile (la cosiddetta lex britannica). Non è stata inoltre prevista e codificata alcuna rivisitazione periodica delle ragioni alla base della concessione: una circostanza che ha reso pressoché inamovibile il privilegio, stante l’unanimità richiesta per le decisioni inerenti le risorse proprie. Come già evidenziato nel caso del finanziamento attraverso i contributi nazionali (pre 1970), si tratta di un tipo di disposizione sostanzialmente giustificabile e comprensibile in un’Europa degli Stati, in cui le spinte sopranazionali risultino ancora limitate e in cui il processo di integrazione sia strettamente limitato alle variabili economiche; da questo punto di vista la sua perpetrazione in un contesto di unione politica pone seri problemi di congruenza e opportunità. Essa inoltre, per quanto riguarda la sua iscrizione a bilancio, crea notevoli complessità tecniche, in quanto deve essere inserita in ben quattro anni diversi, e riduce ulteriormente la trasparenza del principale strumento finanziario europeo.

L’adozione della compensazione per il Regno Unito ha risposto a una serie di condizioni particolari che avevano caratterizzato a partire dagli anni Settanta le poste di bilancio e più in generale il sistema complessivo della CEE. Si era innanzitutto in una fase assolutamente preliminare del processo d’integrazione, in cui il calcolo economico dei vantaggi-svantaggi della partecipazione alla Comunità costituiva un naturale e comprensibile modello di pensiero dei diversi governi. Le azioni e iniziative maggiormente sopranazionali e solidaristiche (come il Fondo europeo di sviluppo regionale) costituivano ancora un’eccezione e potevano contare su risorse limitate. Il Regno Unito inoltre beneficiava effettivamente di una percentuale di spese comunitarie molto inferiore rispetto a quella dei propri contributi al bilancio UE: ciò era dovuto, in primo luogo, alla presenza di un settore agricolo molto ridotto che faceva sì che i finanziamenti a esso destinati fossero modesti (la spesa agricola costituiva a metà degli anni Ottanta la voce nettamente preponderante delle spese con più del 70%); in secondo luogo, dal lato delle entrate, la base imponibile IVA era proporzionalmente superiore al peso economico del paese (espresso in percentuale sul PNL comunitario), determinando quindi contribuzioni elevate al bilancio. L’effetto congiunto dei due elementi determinava saldi britannici negativi effettivamente consistenti e superiori a quelli degli altri paesi UE. Infine, la prosperità relativa del Regno Unito era al di sotto della media comunitaria e rispondeva quindi al requisito previsto dal vertice di Fontainebleau in base al quale la compensazione doveva riguardare quegli Stati membri che avessero «un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa».

Il valore del saldo negativo britannico, al di là delle fluttuazioni annuali che lo contraddistinguono, si è mantenuto negli ultimi 15 anni abbastanza costante, con un trend attorno allo 0,5% del PNL, che si è tradotto in una correzione pari in media a circa lo 0,3%. Si può quindi verosimilmente ipotizzare che nel tempo i principali fattori determinanti il saldo e la sua evoluzione, come la riduzione della risorsa IVA, la minore incidenza delle spese agricole, la crescita delle spese strutturali e la maggiore prosperità relativa del Regno Unito abbiano finito per compensarsi, mantenendo il livello relativo degli interventi più o meno inalterato.

Ciò che viceversa appare inequivocabile è il progressivo venir meno delle ragioni che ne hanno determinato l’introduzione. In particolare, si è evidenziato l’emergere di saldi netti negativi sempre più significativi anche per altre realtà nazionali (i cosiddetti “contribuenti netti”), tanto che, al di là delle già ricordate fluttuazioni annuali, il valore del saldo britannico dopo la correzione (in termini di PNL) è risultato stabilmente al di sotto di quello di Svezia, Germania, Paesi Bassi e Austria a partire dalla prima metà degli anni Novanta (v. Commissione europea, 2004), a testimonianza del fatto che il privilegio particolare concesso al Regno Unito ha finito per risultare difficilmente giustificabile nell’arco di un solo decennio. Non sorprende quindi che in sede comunitaria i rappresentanti di tali Stati abbiano continuamente richiesto di inserire nell’ambito dei negoziati sul bilancio misure adeguate per modificare la loro situazione relativa.

Ciò non si è tradotto tuttavia, come già osservato, in alcuna modifica radicale del sistema, ma solo in alcuni aggiustamenti, come quello introdotto nel 2000, volti a ridimensionarne l’impatto redistributivo. Nella medesima direzione si è mosso anche il Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 2005 che, alla luce delle ulteriori ripercussioni finanziarie del processo di allargamento e del prevedibile impatto sulla situazione finanziaria dei membri storici, ha previsto per la correzione britannica che vengano progressivamente esclusi dal calcolo delle spese ripartite, ovvero da quelle che vengono utilizzate per il calcolo della compensazione, i costi dell’allargamento (a eccezione delle spese agricole per gli interventi di mercato e gli aiuti diretti). Una previsione che permetterà, a partire dal 2013, di far partecipare pienamente alle spese per la coesione e per le politiche interne rivolte ai 10 nuovi membri anche il Regno Unito, ma che non rimette in discussione la logica di fondo della compensazione, che è destinata quindi a rimanere, almeno nel prossimo futuro.

Andrea Zatti (2007)




Bildt, Carl

Proveniente da una famiglia aristocratica i cui membri, oltre che nella politica, si sono distinti nella carriera diplomatica e militare, B. (Halmstad, Svezia 1949) è stato presidente del Partito moderato (conservatore) svedese nel 1986 e ha ricoperto la carica di primo ministro fra il 1991 e il 1994. Con sorpresa di molti, nell’ottobre del 2006 è ritornato alla politica nazionale assumendo la carica di ministro degli Affari esteri. Secondo un osservatore internazionale, B. avrebbe portato «esperienza, attenzione a livello internazionale e rappresentato una voce alquanto dissidente della vecchia guardia nel governo». (Q. Peel, “Financial Times”, 18 ottobre 2006).

La carriera politica di B. comincia nel 1973-1974, quando viene posto alla guida dell’Associazione degli studenti moderati. Nel 1973, Gösta Bohman, all’epoca segretario del partito e suo futuro suocero, conferisce a B. l’incarico (part time) di segretario politico nel Partito moderato. Nel 1976, quando i partiti non socialisti vincono le elezioni generali e formano una coalizione di governo, B. diventa consigliere con funzioni di coordinatore. La coalizione si scioglie nel 1978 a causa di tensioni interne; l’anno successivo si costituisce una nuova coalizione a tre e B. viene nominato sottosegretario di Stato nel Segretariato di coordinamento dell’Ufficio di gabinetto. Eletto deputato nel 1979, diventa membro del consiglio del partito nel 1981. Ha rappresentato il partito in diverse commissioni per la difesa, fra cui la Commissione per la difesa sottomarina nel 1982. Nel Parlamento è stato portavoce del partito per gli Affari esteri e la Sicurezza. È stato anche membro della delegazione al Consiglio nordico e nel 1988 è diventato presidente del gruppo conservatore del Consiglio. Molto attivo nel campo della cooperazione con i paesi nordici, B. ha promosso in particolare il dialogo con i politici finlandesi e altri opinion formers, e con i paesi baltici.

L’ampia rete di rapporti internazionali di B. è stata creata principalmente nel periodo in cui egli era presidente degli Studenti democratici europei, alla metà degli anni Settanta. In questa veste B. compì numerosi viaggi, in particolare in Spagna e in Portogallo, allorché i due paesi attraversavano una fase di transizione da un regime autoritario ad un governo democratico. Come presidente dell’organizzazione B. partecipò alla cosiddetta conferenza interpartitica che riuniva la maggior parte dei partiti conservatori e alcuni partiti democristiani europei (v. anche Partiti politici europei), e da cui nel 1978 nacque l’Unione democratica europea. In questa circostanza B. fece parte del gruppo di lavoro sull’eurocomunismo.

B. ha svolto un ruolo attivo anche nell’Unione democratica internazionale (UDI) fondata nel 1983, che riunisce i più importanti partiti politici di centrodestra del mondo. Membro del Comitato permanente per gli Affari esteri, prese parte anche agli incontri tra parlamentari e leader di partito, e fu nominato vicepresidente dell’Unione dalla Conferenza dei leader di partito svoltasi a Tokyo nel settembre 1989. Come ha ricordato Margaret Thatcher nelle sue memorie, B. fu la “star” di quella conferenza, pronunciando «un discorso di una impressionante solidità thatcheriana, tanto che applaudendolo mi sembrava di tributare un’ovazione a me stessa».

Nel luglio 1990 B. venne eletto presidente dei deputati, con responsabilità particolari per le relazioni fra Unione democratica europea e Unione democratica internazionale, nonché per i contatti con i partiti membri di quest’ultima organizzazione negli Stati Uniti, in Estremo Oriente e in Unione Sovietica. La politica russa fu una delle più importanti priorità di B. negli anni in cui fu presidente dell’UDI, fra l’ottobre 1992 e il settembre 1999.

Grazie al ruolo ricoperto in entrambe le organizzazioni, B. stabiliva stretti contatti con i maggiori politici europei, fra cui l’allora cancelliere tedesco Helmut Josef Michael Kohl – mentore politico di B., che considerava un suo protetto. I due continueranno ad incontrarsi nel corso degli anni per colloqui informali: fra gli argomenti trattati, l’organizzazione e gli orientamenti del Partito popolare europeo.

Già negli anni Settanta B. avuto ebbe incontri con i cristiano-democratici tedeschi, per esempio come osservatore nelle conferenze di partito. Presenziò anche a numerosi incontri, in Germania e altrove, organizzati dalla Fondazione Konrad Adenauer.

Attraverso l’UDI B. rafforzato rafforzò i suoi contatti con personaggi di spicco collegati alla politica statunitense e alla Casa Bianca. In una lettera del 10 ottobre 1992 il presidente George W. Bush senior si congratulava con B. per la sua elezione a presidente dell’organizzazione, apprezzandone la «leadership dinamica» e ringraziandolo per le attività svolte in favore dell’area baltica, in particolare in relazione al ritiro delle truppe russe.

Uno degli amici americani di B. è Karl Rove, influente capo strategico e consigliere politico di George W. Bush. Nel dicembre 1998 B. e Rove si consultavano sulla possibilità di aiutare l’allora governatore del Texas e aspirante presidente degli Stati Uniti a elevare il suo profilo internazionale e ad ampliare i suoi contatti con i leader di centrodestra europei. B. sostenne allora che in considerazione dell’«esposizione molto limitata del governatore Bush nelle questioni estere, sarebbe stato necessario dargli maggiore visibilità». Bush e B. si incontrarono nella residenza del governatore ad Austin nella primavera del 1999.

B. ha instaurato contatti con il Comitato nazionale repubblicano e, più in generale, con importanti centri di ricerca di Washington, esempio tra cui l’American enterprise institute e la Heritage foundation. Anche questi contatti hanno avuto un’influenza duratura sugli orientamenti e sul comportamento politico di B.

Dopo l’uscita dal governo, poco interessato alle beghe della politica interna, B. lasciava ad altri sia l’organizzazione del partito che quella del gruppo parlamentare. Nel novembre 1998 comunicava in una lettera a Karl Rove che avrebbe continuato ad essere presidente del Partito moderato e dell’Unione democratica internazionale, ma nel settembre 1999 si dimetteva da entrambi gli incarichi, conservando solo la carica di deputato fino al 2001.

Avvalendosi della sua estesa rete di contatti e della sua lunga esperienza politica, B. si è occupato di diversi aspetti della politica e degli affari internazionali. Nel 1995 fu nominato rappresentante speciale dell’Unione europea per l’ex Iugoslavia, l’anno successivo alto rappresentante della Comunità internazionale in Bosnia-Erzegovina e in seguito, tra il 1999 e il 2001, inviato speciale del Segretariato generale delle Nazioni Unite per i Balcani. È stato inoltre copresidente dei negoziati di pace di Dayton per l’ex Iugoslavia.

B. ha fatto parte di una serie di comitati, fra cui il Centre for European reform e il Council of the International institute for strategic studies di Londra e l’European policy centre di Bruxelles. È stato designato inoltre primo membro non statunitense del consiglio di amministrazione della RAND Corporation. Ha ricevuto importanti incarichi in numerose società, in qualità di consulente, membro del consiglio di amministrazione, direttore non esecutivo.

B., che non aveva mai concluso i suoi studi iniziati all’Università di Stoccolma, ha ricevuto una laurea ad honorem dalla St. Andrews University in Scozia. È anche membro dell’Institute for the study of terrorism and political violence di questa città. È stato inoltre insignito di numerose onorificenze, sia dalla Francia (Legione d’onore) che dalla Germania (Gran Croce al merito), dal Regno Unito (KCMG, Knight commander of St. Michael and St. George), dall’Estonia e dalla Lettonia.

B. ha ottenuto riconoscimenti internazionali per le attività svolte soprattutto nei Balcani, ed è ampiamente stimato per le sue competenze in materia di affari internazionali ed europei. Nel dibattito politico B. è stato un interlocutore polemico e combattivo. Ma come primo ministro di una coalizione a quattro ha dovuto spesso agire da mediatore ed ha assunto un atteggiamento più accondiscendente. Questo gli ha procurato rispetto anche al di fuori del suo partito. Con grande determinazione ha presentato un programma di governo di cambiamento all’insegna del motto: “Una nuova partenza per la Svezia”. Ma il programma di liberalizzazione, inclusa la privatizzazione e la deregulation, è stato considerato da molti svedesi come un tradimento del modello di welfare svedese. Lo stesso vale per l’adesione all’euro, che B. sostenne senza successo nella campagna referendaria del 2003.

Durante il periodo in cui fu primo ministro, B. partecipò attivamente ai negoziati sull’adesione della Svezia all’Unione europea, una delle priorità della sua agenda politica per la quale si è prodigato instancabilmente, in ricevendo in Svezia numerosi politici, fra cui il cancelliere Kohl.

Guardando al futuro, B. ha anche cercato di porre la Svezia all’avanguardia della tecnologia informatica. L’ interesse per le nuove tecnologie e per la globalizzazione è stato una risorsa importante per un uomo politico che ha cercato di introdurre novità e di imprimere dinamismo alla pubblica amministrazione. Egli ha messo in risalto la necessità di ripensare concetti e politiche tradizionali in un’era di europeizzazione e di globalizzazione. Il suo pensiero e il suo comportamento riflettono con chiarezza una visione della politica e della comunicazione in sintonia con l’odierno “villaggio globale” e con un processo di “globalizzazione accelerata”. In breve, B. è un buon esempio di uomo politico moderno e cosmopolita. Nel corso del 2007-2008, è stata proposta la sua candidatura per la carica di Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Karl Magnus Johansson (2009)




Bisky, Lothar

B. (Zollbrück, Pomerania orientale 1941). Cresciuto nello Schleswig-Holstein, nel 1959 si trasferisce nella Deutsche Demokratische Republik (DDR) (v. Germania) e nel 1963 aderisce al Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (SED). Nel 1966 consegue la laurea in studi culturali applicati presso la Karl Marx-Universität di Lipsia dove comincia una lunga carriera accademica. A partire dal 1967, infatti, collabora con l’Istituto centrale per gli studi sulla condizione giovanile che lascia solo nel 1980, quando gli viene offerto un incarico all’Accademia di scienze sociali presso il Comitato centrale del SED. Nel 1986 B. ricopre il doppio incarico di professore e rettore presso l’Istituto per le Arti audiovisive (Hochschule für Film und Fernsehen, HFF) di Potsdam-Babelsberg (Berlino) dove è molto stimato da professori e studenti per la sua aperta opposizione alla censura imposta dal SED alle opere audiovisive realizzate da professori e allievi. B. ne proibisce, infatti, l’applicazione all’interno dell’istituto. In un’intervista rilasciata nel novembre del 1989 al quotidiano “Der Morgen” afferma di aver imparato dai lavori e dalle discussioni dei suoi studenti molte cose sulla DDR che altrimenti non avrebbe mai conosciuto.

B., che alla fine degli anni Ottanta si dichiara favorevole a un socialismo democratico riformato, comincia la sua carriera politica appena dopo la caduta del Muro, nel dicembre del 1989, tra le fila della PDS (Partei des demokratischen Sozialismus) e insieme a Gregor Gysi, con il quale condivide a lungo lo stesso cammino politico e che sostituirà nel 1990 alla guida del partito. La PDS nasce dalle ceneri del SED e B., fatta eccezione per una pausa di tre anni (dal 2000 al 2003), ne è tutt’ora il presidente. Il risultato elettorale del 14 ottobre 1990 gli consente di ottenere il mandato di capogruppo del suo partito al Consiglio del Land del Brandeburgo. Sostiene la cosiddetta Ampelkoalition (coalizione semaforo) guidata da Manfred Stolpe (SPD, Sozialdemokratische Partei Deutschlands).

Il nome di B. viene conosciuto oltre i confini regionali del Brandeburgo nel febbraio 1992, anno in cui gli viene affidata la guida di una commissione d’inchiesta volta ad accertare un presunto coinvolgimento dell’allora cancelliere Stolpe all’interno della Stasi (Staatssicherheit). Dopo due anni di lavoro, nel 1994, la commissione accerta la totale estraneità del cancelliere alla all’attività dei servizi segreti della DDR.

Le elezioni politiche del 1998 portano il partito di B. per la prima volta oltre lo sbarramento del 5%. Ma un momento decisivo per la vita della PDS è la vittoria elettorale dell’ottobre del 2005, in cui la Linkspartei con l’8,7% raddoppia i consensi rispetto al 2002 e ottiene 54 seggi parlamentari. L’insediamento del nuovo Parlamento vede B. protagonista di un evento che suscita molto clamore: la sua mancata elezione alla vicepresidenza della Camera dei deputati. La sua candidatura viene rifiutata dall’Assemblea per ben quattro volte. B. è conosciuto come l’uomo dai toni pacati e del compromesso e stimato per la sua linea politica pragmatica da tutte le parti politiche, tuttavia questo non è bastato a dissipare i dubbi derivanti dal suo passato comunista. Nel 2003 anche B. deve confrontarsi, infatti, con il ritrovamento dell’archivio Rosenholz che lo indica a partire dal 1966 come collaboratore non ufficiale dei servizi segreti della DDR. Gregor Gysi definisce la bocciatura della candidatura del compagno di partito non solo come una punizione per un singolo uomo «che ha alle spalle un onorevole passato nella DDR», ma come l’esclusione di milioni di elettori, soprattutto della Germania dell’Est.

In ogni caso B. ha alle spalle una lunga serie di successi politici: sotto la sua guida il partito, che nel 2005 cambia nome in Die Linke, colleziona numerose vittorie elettorali, l’ultima delle quali ha il merito di aver riportato il partito in Parlamento, grazie anche all’alleanza con la WASG (Wahlalternative Arbeit und soziale Gerechtigkeit, Alternativa per il lavoro e la giustizia sociale).

La guida di B. porta inoltre la PDS in Europa e già nel 1999 il partito conta tra le file del Parlamento europeo sei dei suoi deputati. Le elezioni del 2004, invece, portano a sette il numero dei seggi ottenuti dal partito a Strasburgo. «Abbiamo di fronte un progetto entusiasmante: la costruzione di una sinistra plurale più forte, che lotta unita e cresce in Europa». Questo il suo progetto ed infatti, nell’ottobre del 2004, la PDS-Die Linke aderisce al partito della sinistra europea insieme a più di 15 formazioni politiche di sinistra, comuniste, socialiste e rosso-verdi di tutta Europa tra cui la Izquierda Unida spagnola, il Synanspismos greco, il Partito comunista francese, il Partito del socialismo democratico della Repubblica Ceca, il Partito della sinistra estone, il Munkáspárt (Partito dei lavoratori) ungherese, il Bloco de Esquerda portoghese, il Partito della rifondazione comunista italiano e tanti altri.

Agata Marchetti (2009)