Bulgaria

La tradizionale immagine della Bulgaria comunista presso l’opinione pubblica occidentale ha rappresentato un paese sempre rigidamente allineato sulle direttive sovietiche, monolitico nella sua struttura politica (al punto che nel gergo politico italiano la parola “bulgaro” indica il forzato unanimismo) e impiegato dai servizi di sicurezza sovietici per compiere missioni “sporche”, come l’esecuzione di dissidenti esuli in Occidente o persino l’attentato al pontefice del 1981. Al di là degli stereotipi, la lunga vicenda della Bulgaria durante il socialismo reale appare molto più complessa e articolata. La Bulgaria ha ricevuto, anche dalla più recente storiografia sul comunismo, minore attenzione rispetto ad altri casi nazionali come quello dell’Ungheria, della Polonia, della Cecoslovacchia (v. Repubblica Ceca; Slovacchia), della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) (v. Germania; Riunificazione tedesca), della Romania, per non parlare delle eresie iugoslava e albanese. Questo perché, a differenza di tutti questi casi, il comunismo bulgaro non ha mai sofferto una profonda crisi interna di consenso (Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, RDT) né si è particolarmente distinto come caso di “comunismo nazionale” in polemica con Mosca (Romania) o addirittura eterodosso (Iugoslavia, Albania). Il caso bulgaro mostra tuttavia alcune caratteristiche peculiari che occorre ricordare per comprendere il successivo processo che ha portato il paese, a circa un ventennio dalla caduta del regime monopartitico, alla piena integrazione nell’Unione europea (v. anche Integrazione, metodo della). Dopo il periodo di Gheorghj Dimitrov, che fu un dirigente del comunismo internazionale e costruttore della Bulgaria stalinista a partire dal 1944, la leadership del partito comunista e quindi del paese venne mantenuta da Todor Živkov ininterrottamente dal 1956 al 1989. Egli fu un tipico prodotto del processo di destalinizzazione voluto da Chruščëv in Europa orientale dopo la morte di Stalin e con il XX congresso del PCUS. Živkov fu capace di condurre per decenni una linea politica moderata, pragmaticamente allineata ai voleri di Mosca. È ancora oggetto di controversia storiografica se la breve stagione ai vertici della politica culturale del paese della figlia del segretario generale, Ljudmila Živkova (scomparsa prematuramente nel 1981), avrebbe potuto o meno trasformarsi in una stagione di liberalizzazione. Caduto l’anziano leader per una sollevazione all’interno dello stesso partito comunista, l’eredità di Živkov aveva consegnato al paese un partito post-comunista profondamente radicato e pragmatico: già dal settembre del 1990 veniva rinominato Partito socialista bulgaro sebbene l’adesione all’Internazionale socialista sarebbe arrivata solo nel 2003. Dopo il 1989 si formò un sistema politico che compì in tempi più rapidi rispetto ad altri paesi (come la Romania) una decisa scelta europeista. Sin dal formarsi del multipartitismo (l’emendamento costituzionale che aboliva il ruolo guida del partito comunista venne adottato all’inizio del 1990), tutte le principali forze politiche convergevano sulla necessità di integrare la Bulgaria nelle strutture di sicurezza, politiche ed economiche occidentali in modo da garantire al paese il “ritorno in Europa”.

Le relazioni ufficiali con la Comunità europea si stabilivano in Bulgaria al crepuscolo del regime comunista, a partire dall’agosto del 1988. Già dal maggio del 1990, alla vigilia delle prime elezioni multipartitiche che avrebbero visto a giugno l’imprevista vittoria del partito comunista, il governo Lukanov concludeva un accordo commerciale con la Comunità economica europea (CEE). Nella crisi del Comecon la dirigenza postcomunista ritenne opportuno orientare il commercio bulgaro verso l’Occidente. L’accordo di associazione con la Comunità del marzo 1993 apparteneva alla seconda generazione degli accordi associativi, che contenevano nella loro strutturazione un esplicito quadro politico-istituzionale indirizzato al processo di integrazione europea. Nell’accordo si definiva una prima impalcatura del dialogo politico tra la Bulgaria e l’Unione europea, nonché dell’assistenza tecnica e finanziaria al processo di integrazione, ad esempio con il Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE), poi Special accession program for agriculture and rural development (SAPARD) e ISPA (Instrument for structural policies for pre-accession); si estendevano inoltre le aree del libero scambio tra l’Unione e la giovane democrazia. Il 14 dicembre del 1995 la Bulgaria presentava una formale richiesta di adesione all’Unione europea. Il bilancio degli anni Novanta mostra da un lato la crescita esponenziale dei rapporti economici bulgaro-europei, dall’altro la delusione del paese per l’esclusione, al Consiglio europeo di Lussemburgo del dicembre del 1997, dal primo round di negoziati per il pieno ingresso nell’Unione. Nel gennaio del 1995, in forza dell’accordo di associazione, venivano a cadere le barriere alle esportazioni industriali bulgare nell’Unione; analogamente, all’inizio del 1997 cadevano le restrizioni sulle esportazioni di metalli. Da un punto di vista generale vi fu un aumento deciso delle esportazioni, incluse quelle agricole, nonostante non facessero parte dell’accordo di libero scambio. Il ritorno al potere nell’aprile del 1997 dell’Unione delle forze democratiche (all’epoca il principale cartello di forze politiche di opposizione al governo socialista) produsse, secondo molti osservatori, un effetto estremamente positivo sulle opzioni di integrazione del paese. Arrivato al potere dopo una profonda crisi economica e monetaria negli anni 1995-1997, il nuovo governo attuò quelle riforme strutturali che l’Unione europea riteneva indispensabili per iniziare le trattative per il recepimento dell’Acquis comunitario. Il governo di centrodestra guidato da Ivan Kostov adottò politiche estremamente impopolari che ridussero e appianarono il consistente deficit statale, stabilizzarono il quadro macroeconomico (sviluppo delle infrastrutture e privatizzazioni delle aziende di Stato) e semplificarono il contesto politico e amministrativo (fu ad esempio adottata una drastica riduzione dei ministeri). Occorre aggiungere che, nella valutazione della decisione dell’Unione europea (dicembre 1999) di aprire ufficialmente all’inizio dell’anno successivo i negoziati con la Bulgaria, alcuni analisti scorsero una conseguenza degli assetti scaturiti dalla crisi internazionale del Kosovo.

La necessità di includere velocemente la Bulgaria nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), anche di fronte a una ripresa del ruolo internazionale della Russia di Vladimir Putin, spinse i governi occidentali ad “incentivare” il governo bulgaro attraverso l’offerta dell’inizio dei negoziati per l’adesione all’UE. Come in altri casi si saldava una relazione tra l’appartenenza europea e quella alla NATO. La metà degli anni Novanta era stata infatti segnata in Bulgaria da un complesso dibattito sulle scelte strategiche del paese in cui, anche all’interno dei socialisti allora al potere, non mancavano voci decisamente neutraliste se non filorusse. Si era fatta strada la convinzione, diffusa anche in Romania, che una doppia esclusione, tanto dall’Unione europea quanto dalla NATO, avrebbe relegato i due paesi in una “zona grigia” geopolitica tra l’Europa occidentale e la Russia. In pratica un “doppio fallimento” avrebbe definitivamente allontanato i due paesi balcanici dal contesto euro-atlantico e quindi dall’Occidente. Durante il ritorno dei socialisti al potere (1994-1997) le tendenze neutraliste erano forti nella coalizione di governo: l’opzione di una nuova “alleanza orientale” con la Russia non era più completamente fuori dall’agenda politica. Fu anche in questo caso il governo dell’Unione delle forze democratiche ad imprimere una decisa svolta filo-atlantica alla politica estera bulgara nel corso del 1997. La piena adesione alla NATO sarebbe tuttavia giunta soltanto successivamente. Le oscillazioni della politica bulgara nel corso degli anni Novanta e l’approccio selettivo e gradualista dell’Alleanza atlantica e dell’amministrazione di Bill Clinton esclusero Bulgaria e Romania dal primo allargamento a Est, concretizzatosi subito dopo la guerra del Kosovo nel vertice NATO di Washington nell’aprile del 1999. Il cambio di amministrazione negli Stati Uniti e gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 interruppero brevemente il processo; con il Vertice di Praga del novembre 2002 (v. anche Vertici) sarebbe giunto l’invito ufficiale all’adesione, che si sarebbe realizzata per la Bulgaria nel corso del 2004.

Dal punto di vista del vero e proprio processo di integrazione definitosi attraverso le trattative tra l’Unione europea e la Bulgaria sul complesso recepimento dei criteri di Copenaghen (v. Criteri di adesione), e in particolare dei capitoli dell’acquis comunitario, il cammino bulgaro è stato difficile e accidentato. Se nei primi rapporti della Commissione europea, prima e dopo l’avvio ufficiale dei negoziati per l’adesione, l’attenzione si focalizzava sulle debolezze strutturali dell’economia bulgara, nei rapporti successivi le maggiori preoccupazioni riguardavano gli affari interni e la giustizia. Nel primo rapporto della Commissione dopo la presentazione ufficiale della candidatura bulgara, rilasciato il 15 luglio 1997, si descriveva la sostanziale stabilità delle istituzioni democratiche bulgare nonché il pieno rispetto dei diritti della minoranza turca e delle altre minoranze nazionali. Molto più preoccupante era la situazione economica anche, e soprattutto, a causa della crisi monetaria che aveva prodotto nel 1996 una recessione percentuale di 10 punti. Le politiche economiche del primo quinquennio di democrazia post-comunista venivano definite nel rapporto della Commissione come fortemente limitate e incapaci di realizzare la costruzione dell’economia di mercato. Si esprimevano tuttavia apprezzamenti per gli intendimenti riformatori del nuovo governo. In sintesi, la Commissione europea riteneva che la Bulgaria soddisfacesse i criteri politici, ma fosse profondamente carente nelle politiche economiche e non avesse sostanzialmente recepito i capitoli dell’acquis in alcuni settori (soprattutto ambiente, agricoltura, giustizia e trasporti) dove apparivano gravi ritardi strutturali. Nonostante il linguaggio burocratico («La Commissione dovrebbe aprire i negoziati con la Bulgaria nel momento in cui essa abbia compiuto sufficienti progressi nel soddisfare i criteri di adesione definiti dal Consiglio europeo di Copenaghen») il rapporto rappresentava una decisa bocciatura per le speranze di Sofia.

Il rapporto dell’8 novembre del 2000, tre anni dopo l’inizio del processo riformatore apertosi con le elezioni del 1997, mostrava un quadro nettamente differente e migliore. Le strutture della cooperazione bulgaro-europea si erano ulteriormente rafforzate. il Consiglio di associazione, i comitati tecnici ed economici, le relazioni interparlamentari avevano compiuto una intensa attività in un quadro di integrazione economica e cooperazione ulteriormente rafforzato (oltre la metà del commercio estero bulgaro era ormai diretto verso l’UE). Dal punto di vista politico e della qualità democratica, si esprimeva soddisfazione per le riforme intraprese, ma anche preoccupazione per la popolazione rom. Si dedicava molta attenzione nel rapporto alla questione della complessiva debolezza strutturale del potere giudiziario nel sistema bulgaro. La valutazione sulla costruzione dell’economia di mercato era marcatamente positiva per i processi di stabilizzazione compiuti. Il recepimento dei capitoli dell’acquis mostrava una forte accelerazione da parte dello Stato balcanico. Nello specifico delle politiche pubbliche, il sistema giudiziario emergeva come il punto più critico. La forte corruzione, la penetrazione della criminalità organizzata nonché la forte instabilità politica gettavano, all’inizio del decennio, molte ombre sulla possibilità di integrazione del paese. L’instabilità sconvolgeva il panorama politico bulgaro con la vittoria elettorale, nel 2001, dell’ex monarca Simeone II con un movimento politico “personale” che sconfiggeva i partiti tradizionali. Il rapporto della Commissione del 6 ottobre 2004 da un lato dichiarava come l’ordinamento giudiziario avesse cominciato a rafforzarsi nel budget e nella capacità operativa, dall’altro lamentava la grande penetrazione della corruzione nella sfera pubblica. L’economia, dopo il disastro degli anni 1996-1997, mostrava indici positivi con una crescita annua tra i 4 e i 5 punti percentuale: la Bulgaria presentava, nelle parole del rapporto, una economia di mercato funzionante. I capitoli dell’acquis venivano provvisoriamente a essere chiusi con una buona valutazione, sottolineando la richiesta di un maggiore impegno nella lotta anti-corruzione. L’obiettivo dell’accesso nel 2007 si concretizzava definitivamente con il rapporto del 26 settembre 2006. l’Unione europea, nonostante il rapporto 2004 avesse chiuso i negoziati e i trattati di adesione fossero stati firmati nel corso del 2005, aveva posposto fino agli ultimi mesi dell’anno la decisione finale sull’ingresso di Bulgaria e Romania. L’Unione aveva infatti sospeso il via libera per poter verificare che i due paesi realizzassero entro la data dell’adesione (1° gennaio 2007) alcune misure urgenti. In caso contrario il Consiglio europeo avrebbe ritardato di un anno l’ingresso dei due nuovi Stati membri. I punti più critici per i bulgari erano la debolezza del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione, la cooperazione di polizia e la lotta al crimine organizzato, la lotta al riciclaggio di denaro, il controllo amministrativo in agricoltura e la prevenzione dell’encefalite spongiforme bovina. Il rapporto sugli sforzi compiuti dalla Bulgaria nel breve intervallo di tempo tra il maggio e l’ottobre del 2006 mostrava che il paese aveva intrapreso passi positivi in ciascuna di queste politiche pubbliche. Il sistema giudiziario era stato riformato con regole certe sulle nomine dei giudici e miglioramenti delle procedure penale e civile; nella lotta alla corruzione erano stati adottati provvedimenti per la trasparenza dell’attività dei partiti e delle proprietà degli uomini politici, così come un deciso impulso era stato dato alle inchieste giudiziarie sulla corruzione e il crimine organizzato; per quanto riguarda le funzioni amministrative nelle politiche agricole, la Bulgaria aveva pressoché completato i sistemi di controllo dei fondi e il sistema di identificazione fondiario. Nonostante la necessità di ulteriori progressi, l’Unione europea accoglieva così la Bulgaria al suo interno all’inizio del 2007, utilizzando le clausole di salvaguardia consentite dal trattato di accesso (come la possibilità demandata agli Stati membri di sospensione della libera circolazione dei lavoratori). Tra gli ambiti dove l’Unione richiedeva un ulteriore sforzo e si impegnava a esercitare un’attività di monitoraggio vi era quello delle riforme istituzionali, affinché risultasse rafforzata l’indipendenza del potere giudiziario.

La riforma costituzionale è stata in Bulgaria un processo molto complesso. Come tutte le costituzioni dell’Europa orientale, fortemente basate sull’intangibilità della sovranità nazionale, si è resa necessaria un’opera emendativa per consentire la compatibilità con il diritto comunitario e le istituzioni comunitarie. Tuttavia è prevedibile che le riforme costituzionali continueranno per garantire la necessaria quota di cessione di sovranità all’Europa.

In conclusione, la vicenda della Bulgaria è quella di un paese che, seppure tra forti ritardi strutturali e fasi di instabilità politica ed economica, ha perseguito con determinazione e pragmatismo l’obiettivo dell’integrazione europea. Oggi il paese è governato da una “grande coalizione” tra i socialisti, il partito della minoranza turca e i monarchici di Simeone II, e la permanenza in Europa sembra essere un obiettivo condiviso dalle classi dirigenti bulgare. Ha prodotto tuttavia una forte inquietudine in Europa il fatto che alle ultime elezioni presidenziali abbia raggiunto il turno di ballottaggio un candidato ultranazionalista.

Daniel Pommier Vincelli (2009)




Busek, Erhard

B. (Vienna 1941) è considerato uno dei maggiori esperti austriaci di politica europea. Senza dubbio, le sue varie cariche politiche e le sue iniziative per un’Europa unita risalenti agli inizi degli anni Sessanta consentono di collocarlo tra la schiera dei padri fondatori dello spirito comunitario europeo, avendo egli svolto un ruolo di primissimo piano nell’avvio del processo d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) e nella continuazione del dialogo europeo, soprattutto in veste di presidente del Forum europeo Alpbach in Austria.

Secondo B., l’Europa non è più solo Bruxelles, Berlino, Parigi o Roma, ma soprattutto Belgrado, Skopje, Sarajevo e Zagabria. Il concetto di “europeità” è molto vasto e la varietà territoriale, politica e culturale europea necessita di un nuovo approccio basato sul dialogo e la convivenza partecipativa e interessata. Ex vicepremier austriaco ed ex coordinatore straordinario del patto di stabilità per l’Europa sudorientale, B. è un esperto internazionale di politica europea e ha scritto numerosi contributi sia sul nuovo concetto di Europa in rapporto agli Stati nazionali sia sulle questioni sociali, economiche e politiche sollevate dall’adesione dei nuovi paesi dell’est europeo e dai processi d’avvicinamento verso l’Unione europea dell’Europa sudorientale.

B. ha studiato presso la facoltà di giurisprudenza di Vienna, laureandosi nel 1963. La sua carriera politica ha inizio nel 1964, quando ricopre la carica di secondo segretario del gruppo parlamentare del partito popolare austriaco Österreichische Volkspartei (ÖVP), conservandola sino al 1968. Nel 1969 è nominato vicesegretario generale e nel 1972 segretario generale dell’associazione federale economica Österreichischer Wirtschaftsbund, affiliata al partito ÖVP (incarico ricoperto fino al 1976). Negli anni 1975 e 1976 è segretario generale del partito popolare ÖVP e dal 1976 al 1989 è Landesparteiobmann (segretario generale regionale) dell’ÖVP viennese.

Negli anni Settanta e Ottanta, B. si dedica soprattutto alla vita politica comunale viennese, contribuendo con idee innovative allo sviluppo della politica culturale in veste di portavoce alla cultura dell’ÖVP, di membro del governo viennese (dal 1976 al 1978 e dal 1987 al 1989), di membro del consiglio comunale viennese e del consiglio provinciale viennese (dal 1978 al 1983), di vicesindaco e vicepresidente della provincia (dal 1978 al 1987).

Con la sua elezione come parlamentare presso il consiglio nazionale nel 1975 e la sua nomina a ministro per la Scienza e la ricerca (carica ricoperta dal 1989 al 1994) sotto il governo di Franz Vranitzky (Sozialdemokratische Partei Österreichs, SPÖ), B. intensifica l’attività politica, dando impulso a un cambio di rotta decisivo nel contesto politico austriaco. Tuttavia, a seguito di attriti interni al partito, nell’ottobre 1989, B. viene destituito con la maggioranza semplice al congresso del partito a Oberlaa. Decide quindi di dedicarsi a tempo pieno alla politica a livello federale e internazionale. Nel 1991 viene nominato Bundesparteiobmann dell’ÖVP (leader del partito ÖVP a livello federale; carica ricoperta fino al 1995). Dal 1991 al 1995 è vicecancelliere della grande coalizione con la SPÖ e contemporaneamente ministro per la Scienza e la ricerca (dal 1989 al 1994) e ministro per l’Educazione e la cultura (dal 1994 al 1995).

Inoltre, B. è considerato il padre fondatore della cooperazione pentagonale creata nel 1989, una cooperazione di cinque Stati (Italia, Austria, Iugoslavia, Ungheria e l’allora Cecoslovacchia) avviata su iniziativa austriaca per favorire progetti comuni soprattutto nel ramo della cultura e della scienza; purtroppo i fondi necessari per lo sviluppo di tale cooperazione si sono rivelati scarsi o, meglio, non sono stati neppure concessi dalle amministrazioni statali coinvolte a differenza di quanto inizialmente promesso. Perciò, dopo un periodo abbastanza deludente e la richiesta di partecipazione alla cooperazione da parte della Polonia accolta nel 1991, nel 1992 nasce l’Iniziativa centro europea (Central european iniziative), che attualmente comprende 18 Stati e persegue diversi obiettivi, tra cui la facilitazione e l’assistenza ai paesi dell’Europa centro orientale nel processo d’integrazione europea.

Dopo la sostituzione al vertice del partito ÖVP con Wolfgang Schüssel avvenuta nell’anno 1995, B. torna a dedicarsi più intensamente ai suoi interessi per la cultura e le tematiche dell’Europa centrale. Nel 1995 assume la carica di presidente dell’Istituto per il territorio del Danubio e l’Europa centrale e, nel 1996, è nominato coordinatore dell’Iniziativa di cooperazione dell’Europa sudorientale. Dal 2000 fino al 2001 ricopre il ruolo di delegato di governo per le questioni legate all’Allargamento europeo e nel 2002 inizia la sua attività di coordinatore straordinario del Patto di stabilità per l’Europa sudorientale dopo la nomina da parte dell’Unione europea avvenuta nel 2001. Il Patto di stabilità per l’Europa sudorientale (trasformato nel 2008 in Consiglio regionale di cooperazione) è un quadro politico regionale istituito dalla comunità internazionale nel 1999 per sostenere gli sforzi dei paesi della regione verso la pace, la democrazia, il rispetto dei Diritti dell’uomo e la prosperità economica al fine di conseguire la stabilità per l’intera regione.

Sin dall’inizio, l’approfondimento delle relazioni culturali e scientifiche con i paesi adiacenti l’Austria (Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia, Polonia e Croazia) e con tutti gli altri paesi in Europa è stato l’obiettivo principale dello spirito europeista di B., impegnato nella creazione e nello sviluppo di dialoghi transfrontalieri ed europei. Con questo spirito egli ha posto anche la prima pietra per la rinascita del Forum europeo Alpbach come luogo d’incontro e di scambio tra europei e non, del quale B. è stato nominato presidente nell’anno 2000.

Il Forum europeo Alpbach, nato nel 1945, è un’associazione senza fini di lucro e indipendente da specifiche ideologie, correnti religiose o affiliazioni partitiche. È un luogo d’incontro e di scambio di idee dove ogni anno si incontrano all’incirca 2800 accademici, politici, economisti, giuristi, professionisti di vari settori, studenti e persone interessate a discutere e dialogare su tematiche di attualità europea in maniera interdisciplinare. Oltrepassare confini, vivere diversi punti di vista e pensare l’Europa di domani insieme, sono solo alcuni punti che caratterizzano gli incontri nel paesino tirolese di nome Alpbach in Austria.

Nelle sue attività ad Alpbach e nelle sue numerose pubblicazioni e relazioni tenutesi in varie occasioni, B. analizza il ruolo internazionale dell’Austria (specialmente per l’Europa centrale e sudorientale), la politica culturale e la cooperazione con i paesi confinanti a Est. B. sottolinea che bisogna imparare a diventare europei dal punto di vista culturale e spirituale per poter continuare a vivere l’Europa e per fronteggiare le difficoltà e sfide dell’integrazione europea in modo positivo. Insignito della laurea honoris causa da varie università tra cui l’università di Brasov, Krakow e Bratislava, nel 2004 B. è nominato rettore dell’istituto parauniversitario di Salisburgo in Austria. Dal 2001 al 2008 è coordinatore straordinario del Patto di stabilità per l’Europa sud orientale. Il 27 febbraio 2008 B. ha passato il testimone a Hido Biscevic, che ha acquisito la qualifica di segretario generale del Consiglio regionale di cooperazione (Regional cooperation council, RCC), in precedenza Patto di stabilità per l’Europa sudorientale. A partire dal mese di marzo 2008, il Consiglio regionale di cooperazione svolge un ruolo chiave nel consolidare gli obiettivi raggiunti dal Patto di stabilità e nel promuovere ulteriori iniziative di cooperazione al fine di conseguire la stabilità e prosperità economica per i paesi della regione.

Elisabeth Alber (2009)




Busquin, Philippe

B. nasce il 6 gennaio 1941 a Feluy, nell’Hainaut belga. Figlio unico di padre ingegnere, responsabile del personale, ha sempre ammesso senza imbarazzo di essere stato ragazzo scavezzacollo. Frequenta le scuole prima a Morlanwelz, poi a Nivelles nel Brabante vallone. Dopo la laurea in fisica nucleare conseguita a 21 anni all’Université libre di Bruxelles (ULB), la sua strada sembra già tracciata nel settore della fisica nucleare teorica con l’obiettivo di entrare al Centro di ricerca nucleare (CERN) di Ginevra. Ma la situazione familiare, in seguito alla morte del padre, lo costringe a cambiare programmi per indirizzarsi all’insegnamento. Quindi nel 1962 è docente all’École normale di Nivelles, prima di diventare ben presto delegato sindacale del Centre générale des services publiques (CGSP). Questa attività professionale è di breve durata. Infatti, un anno più tardi, dopo aver seguito corsi di matematica attuariale alla ULB, diventa assistente di fisica in questa università, nella facoltà di Medicina, svolgendo una brillante carriera parallela come giocatore di bridge.

Nel 1964 B. accetta il suo primo incarico politico come segretario del Mouvement populaire wallon (MPW) a Nivelles. Collocandosi a sinistra del Partito socialista belga (PSB), la sua presa di coscienza di vallone è legata al declino della regione, in particolare dell’area centrale, in cui risiede, e alle sue ripercussioni sulla storia professionale del padre: quest’ultimo infatti, licenziato in seguito alla chiusura delle imprese Baume-Marpent nel 1953, è costretto in seguito a cambiare più volte lavoro. Ma è soprattutto nel suo comune di Feluy, dove nel 1968 crea la Maison des jeunes, che B. si dedica anima e corpo alla politica. Quindi si iscrive al Partito socialista e contemporaneamente, dando prova dei suoi molteplici talenti, segue con successo corsi di filosofia (1968-1970).

Il 1968 è l’anno del suo impegno come militante politico all’interno di una struttura, cioè la sezione locale di Feluy, che all’epoca si confronta con l’installazione di una raffineria, approvata dai lavoratori per le prospettive di lavoro che offrirebbe ma avversata dalla struttura locale del Partito socialista.

Nel 1970, in seguito alle elezioni comunali che rappresentano una disfatta per il partito locale, B., divenuto un anno dopo presidente della sezione socialista, si impone come capofila di una nuova generazione. Un anno più tardi è eletto per la prima volta nella lista del consiglio provinciale. Quest’affermazione segna l’inizio di una carriera politica durante la quale scoprirà i diversi livelli del potere. Professore, assistente all’università, consigliere provinciale, B. si entusiasma per i temi dell’ambiente, che gli appare come la sintesi appassionante tra la sua formazione scientifica e il suo impegno politico. Una volta ottenuta la specializzazione in discipline ambientali – con indirizzo ecologia, ambiente naturale, inquinamento ambientale – nel 1976 realizza, come tesi finale della sua formazione, uno studio di impatto ecologico su un impianto industriale in ambito rurale nelle vicinanze di Feluy.

Nel gennaio 1977 B. assume le sue prime responsabilità politiche come assessore ai lavori a Feluy-Seneffe, prima di diventare, qualche mese più tardi, deputato della provincia di Hainaut fra lo stupore generale. Ormai si impegna a tempo pieno nella politica attiva lanciando un’iniziativa cittadina innovativa, il “telefono verde”. Nel 1979, con il sostegno del presidente André Cools, fa il suo ingresso nell’esecutivo del Partito socialista sostituendo Jacques Hoyaux che è diventato ministro. La sua carriera ministeriale comincia a definirsi: ha inizio nel 1980 con il portafoglio dell’Educazione nazionale, e prosegue con la carica di ministro degli Interni nel febbraio 1981. Dal 1978 B. è deputato di Charleroi. A metà degli anni Ottanta è autore di un progetto di legge il cui obiettivo è quello di prevenire e combattere la povertà, un campo nel quale si mostra molto attivo. Nel 1988, dato che il suo partito è appena tornato al potere dopo le elezioni, occupa per qualche mese la carica di ministro dell’Economia, delle Piccole e medie imprese e dell’Occupazione nella regione vallona prima di passare al governo federale come ministro degli Affari sociali. In questa nuova funzione difende il progetto di solidarietà responsabile che vuole realizzare un socialismo fondato sul cuore e la ragione.

Nel 1992, ormai ministro di Stato, B. sostituisce Guy Spitaels a capo del Partito socialista francofono con un autentico plebiscito. Il momento è delicato a causa dell’affare Agusta-Dassault e dei finanziamenti occulti al Partito socialista. Durante gli otto anni della sua presidenza B. si mostra favorevole a un ritorno alle fonti del socialismo in dissenso con il socialismo del possibile sostenuto dal predecessore Spitaels, ma si sforza anche di adattare il partito alle realtà sociali dell’epoca lanciando una serie di iniziative di rinnovamento. L’educazione, la formazione intellettuale e una vera informazione sono i grandi temi che difende dalla fine degli anni Ottanta affinché la società sia sollecitata in senso creativo. Come presidente del partito e vicepresidente dell’Internazionale socialista (dal 1992 al 1999) contribuisce all’apertura del suo partito verso l’Europa in una visione internazionalista. Europeo convinto, definisce il senso del suo impegno alla luce della giustizia sociale, di un grande disegno politico, della prospettiva europea e dell’etica individuale.

Nel gennaio 1995 B. è eletto borgomastro di Seneffe, nuova tappa di una carriera politica che lo vede attivo anche come vicepresidente del Partito socialista europeo fra il 1995 e il 1997. Eletto al Parlamento europeo nel giugno 1999, lascia la politica belga per entrare nella Commissione europea come commissario alla Ricerca (1999-2004). Può quindi dedicarsi a due delle sue priorità: la scienza e l’azione politica. Una tappa fondamentale è raggiunta nel marzo 2000 (v. Agenda 2000), quando il Consiglio europeo di Lisbona fissa l’obiettivo di fare della UE, da qui al 2010, «l’economia della conoscenza più dinamica e più competitiva del mondo». (v. Strategia di Lisbona)

In assenza di una vera politica europea della ricerca e della scienza B. cerca di dare un contributo determinante alla realizzazione di uno spazio europeo della ricerca, grazie ad un maggiore riconoscimento accordato alla ricerca scientifica concretizzato da un raddoppiamento dei finanziamenti assegnati nell’arco di cinque anni in Europa. Nel giugno 2005 dichiara al giornale “Le Soir”: «Non bisogna solo spendere di più, ma anche meglio; è l’idea dello spazio europeo della ricerca avviato nel 2000: lottare contro la frammentazione, ottimizzare gli sforzi di ricerca con la collaborazione delle migliori équipe europee al di là delle frontiere, rivalorizzare le professioni dei ricercatori, suscitare interesse per le scienze, creare partenariati pubblico-privato all’interno di piattaforme tecnologiche nell’aeronautica (Airbus), nel campo spaziale (Ariane), nella microelettronica, nella chimica, nell’acciaio». Per conseguire questi obiettivi che giudica fondamentali, B. sostiene l’idea di creare un Consiglio europeo della ricerca per dare una dimensione europea alle migliori équipe (fra l’altro ai giovani), assegnando delle borse attribuite secondo il solo criterio dell’eccellenza, per conferire loro maggiore visibilità e restare all’avanguardia di una scienza che si universalizza sempre più. «Abbiamo bisogno di 600.000 ricercatori in più nei prossimi anni», dichiara nel giugno 2005. «Si tratta di una necessità assoluta affinché l’Europa possa mantenere la sua posizione nel mondo».

Nel giugno 2004 B. è nuovamente eletto deputato europeo e porta avanti la sua battaglia politica.

Pierre Tilly (2009)