Chaban-Delmas, Jacques

C.-D. (Parigi 1915-ivi 2000), dopo il diploma all’École libre des sciences politiques, la laurea in diritto e il diploma di studi superiori in Economia politica e diritto pubblico, nel 1933 muove i suoi primi passi professionali nel giornalismo. La Resistenza orienta profondamente e in modo duraturo la sua vita. Gli procura un nuovo nome – con l’aggiunta del suo pseudonimo di combattente “Chaban” – e soprattutto la gloria di entrare nella storia a ventinove anni, fregiandosi del grado di “generale Chaban”, delegato militare nazionale nel maggio 1944, protagonista della liberazione di Parigi e combattente della Liberazione.

Dal 1943 C.-D. è ispettore delle Finanze, nel 1946 entra in politica ed è eletto deputato della Gironda il 10 novembre 1946, guidando una lista presentata dal Rassemblement des gauches républicaines (RGR), dove rappresenta il Partito radical-socialista.

A trentun anni C.-D. comincia una carriera eccezionalmente lunga nella storia della Repubblica francese, dato che è rieletto deputato della Gironda sotto la IV e la V Repubblica fino al ritiro nel 1997. Membro del gruppo del partito radicale all’Assemblea dal 1946 al 1951, pur aderendo anche al Rassemblement du peuple français (RPF) fondato da Charles de Gaulle nel 1947, C.-D. sceglie il partito gollista quando la doppia appartenenza non è più autorizzata da Herriot nel 1951. Quindi si iscrive ai vari partiti gollisti succedutisi nel tempo, dal RPF al RPR, passando per il Centre national des républicains sociaux di cui è presidente dal 1954 al 1958.

Al mandato di deputato C.-D. aggiunge nel 1947 quello di sindaco di Bordeaux e, come nel caso dell’Assemblea nazionale, i bordolesi si dimostrano fedeli rieleggendolo fino al 1995, data in cui non si ripresenta più, dopo aver esercitato il potere municipale per quasi mezzo secolo.

L’“incontro” di C.-D. con l’Europa è precoce. Il deputato sindaco di Bordeaux fa parte della folta delegazione francese al Congresso dell’Aia, nel maggio 1948. Fin dalle prime iniziative europee C.D. entra in contatto con le nuove istituzioni: è designato come rappresentante della Francia all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa (1951-1956), poi rappresentante supplente (1956-1958). Dal principio degli anni Cinquanta, si fa una reputazione di europeista e appare come il più favorevole all’Europa tra i deputati gollisti. Questa circostanza spiega come sia in prima linea, nella prima metà degli anni Sessanta, sulle questioni europee, sia all’Assemblea nazionale che all’Assemblea di Strasburgo e nel governo. La sua azione, tuttavia, può apparire contraddittoria, essendo al tempo stesso quella di un militante che si adopera per istituzionalizzare la rappresentanza delle collettività locali e, dall’altro lato, quella di un gollista che rifiuta con fermezza le grandi realizzazioni europee come la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e la Comunità europea di difesa CED).

Al Consiglio d’Europa, il deputato-sindaco di Bordeaux presiede dal 1951 la commissione Affari comunali e regionali, dopo essersi adoperato per creare il Consiglio dei Comuni d’Europa. Nel settembre 1954, come ministro dei Lavori pubblici del governo di Pierre Mendès France, C.-D., favorevole alla “Grande Europa”, si pronuncia a favore della costruzione di un tunnel sotto la Manica. A Bordeaux, fonda nel 1956 una Maison de l’Europe, destinata a sviluppare l’ideale europeo. Nel 1957 la Conferenza europea dei poteri locali, presieduta da C.-D. (fino al 1961) tiene la sua prima seduta a Strasburgo nell’emiciclo del Consiglio d’Europa.

Al Palais-Bourbon, C.-D. si oppone, il 13 dicembre 1951, a nome del gruppo gollista, alla ratifica del Trattato di Parigi che istituisce la CECA, dichiarando: «L’Europa che sogniamo non può essere costruita su uno squilibrio iniziale». Ritiene che il Piano Schuman rischi di rafforzare la Germania e che la comunità del carbone e dell’acciaio non si fondi su nessuna base politica. Nel 1953 diventa membro del Comité d’action pour l’indépendance nationale (CAIN), a fianco del socialista Lacoste, del gollista Michel Debré, del democratico-cristiano Buron e dell’Union démocratique et socialiste de la Résistance (UDSR) di François Mitterrand. Questo comitato è definito un «piccolo gruppo anti-CED» dallo stesso C.-D., che diventa uno dei maggiori artefici del fallimento della CED in Francia. Nel gennaio 1953 negozia i voti gollisti con René Mayer, perché quest’ultimo, nel caso diventasse Presidente del Consiglio, non faccia ratificare il trattato che istituisce la CED. Poi, il 14 agosto 1954, si dimette con altri due gollisti abbandonando l’incarico di ministro del governo Mendès France. Infine, grazie al CAIN, riesce a persuadere i deputati a votare contro la CED e soprattutto a mobilitare Herriot per farlo decidere a intervenire contro la CED, un’iniziativa che secondo Debré è stata «uno degli elementi del successo ottenuto». Come la stragrande maggioranza degli eletti gollisti – 67 su 73 – C.-D. vota contro la CED il 30 agosto 1954. In Mémoires pour demain, spiega di nuovo le ragioni della sua battaglia contro la CED: «Non ho mai dubitato che l’Europa sia una necessità, sull’esempio del generale de Gaulle che fu uno dei primi ad esporne il concetto. Ma non quell’Europa, dove i suoi fautori professavano la costruzione di una difesa comune prima di mettersi d’accordo su che cosa si dovesse difendere. Non questo mostro freddo. Non queste tecnostrutture applicate su un tessuto di vecchie nazioni. E soprattutto non quest’esercito costituito da una fusione dalla quale non poteva che scaturire confusione».

L’atteggiamento complesso di C.-D. nei confronti dell’Europa in costruzione continua a emergere anche nel 1956-1957. Il presidente dei repubblicani sociali, divenuto ministro nel governo di Guy Alcide Mollet, non approva il trattato che fonda la Comunità europea dell’energia atomica, di cui critica il carattere troppo sovranazionale, tuttavia lo vota. È molto reticente anche a proposito del principio del Mercato comune (v. Comunità economica europea), ma si astiene al momento della ratifica dei Trattati di Roma il 10 luglio 1957.

Nel 1958, quando torna al potere il generale de Gaulle, C.-D. è incaricato dal generale di rassicurare i partner europei della Francia. Nel 1969 la nomina di C.-D. a Matignon contribuisce a tranquillizzare gli europei. Il primo ministro e molti membri del suo governo – Maurice Schumann agli Esteri, Valéry Giscard d’Estaing all’Economia e alle Finanze, Jacques Duhamel alla Cultura, Joseph Fontanet al Lavoro e René Pleven alla Giustizia – aderiscono alla causa europea. C.-D. si mostra risoluto sul completamento del mercato comune agricolo (v. Politica agricola comune), premessa indispensabile per qualsiasi Allargamento. Appare favorevole anche all’approfondimento, approvando il progetto di Unione economica e monetaria, di cui sono state già poste le basi. È più scettico sull’uso del referendum per ratificare l’ingresso del Regno Unito, dell’Irlanda, della Danimarca e della Norvegia nella CEE, ma si allinea. Il mezzo fallimento del referendum del 23 aprile 1972 (67,7% di sì, ma il 39,5% d’astensioni e il 32,3% di no) contribuisce a deteriorare i suoi rapporti con il Presidente della Repubblica Georges Pompidou, circostanza che lo costringe a lasciare Matignon il 5 luglio.

Da allora le posizioni di C.-D. non smettono di avvicinarlo agli europeisti più convinti. L’ex primo ministro si mostra favorevole alle Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale, a un “esecutivo europeo”, a una “difesa autonoma” su scala europea. Nel 1987 diventa presidente del Comitato d’azione per l’Europa (Comité d’action pour l’Europe), creato dieci anni dopo lo scioglimento del Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa di Jean Monnet. Accetta l’incarico, ma solo dopo aver ottenuto la modifica del nome del comitato, perché la locuzione “Stati Uniti d’Europa” evocavano un Federalismo che non gli pareva auspicabile.

Infine, si impegna molto attivamente a favore della ratifica del Trattato di Maastricht mediante referendum il 20 settembre 1992. All’interno della famiglia gollista, molto divisa ma largamente ostile, si adopera per la creazione dell’Unione europea. Il risultato del referendum lo rallegra, e negli anni Novanta continua a pronunciarsi a favore di un’“Europa potenza”, che non sia solo economica ma politica, diplomatica e militare.

Bernard Lachaise (2013)




Charilaos Florakis




Charles De Gaulle




Chatenet, Pierre

C. (Parigi 1917-Tavers 1997) compie gli studi a Parigi presso la facoltà di giurisprudenza e l’École libre des sciences politiques. Nel 1941 sceglie di entrare come auditeur al Consiglio di Stato, organo presso il quale dal 1946 è maître des requêtes e tra il 1963 e il 1970 consigliere. Nell’ottobre del 1944 diventa capo di gabinetto del ministro del Lavoro, Alexandre Parodi, nel governo provvisorio della Repubblica francese. Nel dopoguerra ricopre numerosi incarichi nell’amministrazione pubblica, in particolare nel ministero degli Affari esteri: nel 1945 è delegato alla conferenza delle Nazioni Unite; nel 1946, come consigliere d’ambasciata, è consigliere della delegazione francese permanente presso le Nazioni Unite; tra il 1947 e il 1950 è direttore del gabinetto del Residente generale di Francia a Tunisi; infine, dal 1950 al 1954 è consigliere della delegazione francese permanente all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

Nel 1954 C. diventa direttore della funzione pubblica presso la presidenza del Consiglio, incarico che ricopre per cinque anni. È consigliere del Presidente del Consiglio Pierre Mendès France nel momento della decisione finale sulla ratifica del Trattato istituente la Comunità europea di difesa (CED); in seguito, partecipa alla redazione dei Protocolli firmati a Parigi nell’ottobre di quell’anno e istituenti l’Unione dell’Europa occidentale (UEO).

C. intrattiene da tempo rapporti regolari con alcuni gollisti, in particolare con Michel Debré, che egli frequenta in seno al Consiglio d’amministrazione dell’École nationale d’administration, creata dallo stesso Debré nel 1945. Probabilmente, tra il 1947 e il 1953 C. si incontra anche con Georges Pompidou, all’epoca capo di gabinetto di Charles de Gaulle, presidente del Rassemblement du peuple français (RPF). Tuttavia, è difficile dedurre da questi indizi una sicura fede gollista del giovane funzionario; più probabilmente egli nutre vaghe simpatie nei confronti del gollismo della IV Repubblica, pur prendendo le distanze dalle posizioni del RPF in materia coloniale.

Nel gennaio 1959, divenuto primo ministro dell’appena istituita V Repubblica, Debré sceglie C. prima come segretario di Stato, poi, già nel maggio di quell’anno, come ministro dell’Interno. In questa veste egli collabora alla politica algerina messa in atto dal Presidente della Repubblica de Gaulle, esperienza che più tardi narra nel suo libro Décolonisation. Souvenirs et reflexions (1988). Nel 1961 abbandona il ministero per motivi di salute.

Alla fine di quell’anno Debré contatta C. per proporgli l’incarico di presidente della Commissione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Il governo francese non vuole rinnovare il mandato a Étienne Hirsch e intende sostituirlo con una personalità autorevole, ma che non condivida la stessa visione europeista di Hirsch. Infatti, l’esecutivo si è trovato in contrasto con le posizioni di Hirsch, il quale, basandosi sul Trattato Euratom, sostiene che i paesi membri debbano presentare alla Commissione europea il bilancio delle loro disponibilità in materie fissili e rendere conto dei loro progetti e delle loro realizzazioni in ambito atomico. Davanti a queste richieste il governo francese preferisce mantenere alcuni segreti sulla force de frappe e incorrere nei richiami comunitari.

La candidatura di C. è inizialmente osteggiata dai governi degli altri cinque paesi, poiché l’ex ministro dell’Interno è considerato allineato alle posizioni golliste dell’Europa degli Stati. Tuttavia, la Francia difende a spada tratta la nomina di C., che si insedia alla testa della Commissione Euratom il 10 gennaio 1962. La scelta di C., che certamente si attesta su posizioni molto meno integrazioniste di quelle di Hirsch è generalmente letta come parte della più ampia ricerca di autonomia nel campo della difesa da parte della Francia. Poiché in quegli anni gli sforzi francesi sono concentrati sull’acquisizione della padronanza del ciclo industriale dell’atomo sia militare sia civile (v. Pirotte et al., 1988, p. 26), il governo francese è portato a una crescente diffidenza verso la ricerca nucleare e lo scambio di informazioni a livello comunitario – per di più inseriti in un accordo di cooperazione Euratom-Stati Uniti – e ricerca una crescente autonomia nei confronti della CEEA. In particolare, nel 1964 il governo francese fa pervenire alla Commissione un memorandum nel quale afferma la complementarità del programma di ricerca condotto dall’rispetto a quelli degli stati membri e sostiene la necessità del sostegno da parte della comunità alla realizzazione di centrali del tipo “gas-grafite”, sviluppata in maniera significativa solo dalla Francia.

Le critiche verso l’operato della Commissione Euratom si fanno più forti negli anni 1964-1967, quando alcune voci all’Assemblea parlamentare delle tre Comunità (v. anche Parlamento europeo) e sulla stampa parlano di guerre des filières (ossia di guerra tra i paesi che intendono sviluppare centrali basate sull’uranio arricchito e quelli che privilegiano l’uranio naturale) e di crisi della CEEA. Nel 1964 la Commissione Euratom deve affrontare le dimissioni del suo membro italiano, Enrico Medi, che contesta i limiti dell’azione dell’istituzione e le ristrettezze degli obiettivi del suo programma. In risposta al dibattito che all’Assemblea parlamentare segue tali dimissioni, C. stabilisce la distinzione tra responsabilità collegiale e responsabilità individuale e circoscrive le dimissioni di Medi a una decisione individuale. L’Euratom lavora al rallentatore fino alla fusione degli esecutivi delle tre Comunità nel 1967.

La storiografia ha trascurato l’analisi dell’operato di C. come presidente della Commissione Euratom; i giudizi espressi sulla sua presidenza nel complesso sono contrastanti. Vi è chi ha sottolineato l’utilità della moderazione delle sue idee europeiste, grazie alla quale egli riuscì a «resistere meglio dei suoi predecessori alle pressioni provenienti da più parti. Raccomandando un approccio pragmatico all’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), e senza insistere su obiettivi sovranazionali, riuscì a evitare il crollo dell’Euratom. Grazie al suo atteggiamento, prezioso nel mezzo di una congiuntura politica negativa, impedì la rottura con la Francia» (v. Condorelli Braun, 1972, p. 159). Al contrario, nel 1968 il Libro bianco della stessa Commissione europea, formulando un rapporto d’insieme sulla politica nucleare della Comunità, constata che, dieci anni dopo la creazione dell’Euratom, l’obiettivo del Trattato di creare le condizioni di sviluppo di una potente industria nucleare è stato raggiunto solo in minima parte. Su tale risultato hanno influito i cambiamenti del mercato delle fonti dell’energia nucleare, nonché la dispersione degli sforzi perseguiti in ambiti e secondo fini nazionali.

Nel 1967 C. rifiuta un posto in seno alla Commissione unica delle tre Comunità e preferisce tornare a coprire incarichi nazionali. Dal 1967 al 1972 è presidente della Commissione delle operazioni di Borsa, di recente creazione. Nel 1968 è nominato membro del Consiglio costituzionale, incarico che ricopre fino al 1977. Allo stesso tempo, dal 1973 al 1984 è presidente delle società Créditel e Cofiroute. Tra il 1986 e il 1988 presiede la Commissione della privatizzazione. Dal 1982 fino alla scomparsa è uno degli amministratori del quotidiano di Orléans, “La République du Centre”.

Lucia Bonfreschi (2013)




Chevènement, Jean-Pierre

Uomo politico singolare persino nel variegato panorama della sinistra francese; difensore delle prerogative sovrane dello Stato nazione, da lui considerato «il quadro privilegiato della democrazia» e, pertanto, diffidente nei confronti dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della); critico verso gli Stati Uniti d’America; contrario alla devolution interna; assertore dell’intervento dello Stato nell’economia; deputato all’Assemblea nazionale dal 1973 al 2002 (escludendo le interruzioni tra il 1981 e il 2000 dovute agli incarichi ministeriali); candidato alle elezioni presidenziali del 2002 e dal 2000 sindaco di Belfort dopo esserlo stato senza interruzioni dal 1983 al 1993, C. nasce a Belfort, in Franca-Contea, il 9 marzo 1939. Figlio di insegnanti, frequenta a Besançon il liceo Victor Hugo e a Parigi i corsi dell’Institut d’études politiques prima di laurearsi in diritto. Entra poi all’École nationale d’administration (ENA) e fino al 1969 svolge le funzioni di consigliere commerciale al ministero dell’Economia e delle finanze.

La carriera politica di C. comincia nel 1964. allorché si iscrive alla Section française de l’Internationale socialiste (SFIO). Fonda poco dopo, assieme a Georges Sarre, a Didier Motchane e ad Alain Gomez, il Centre d’ètudes, de recherches et d’education socialistes (CERES), che diventerà, all’epoca del Congresso di Epinay-sur Seine (giugno 1971), una corrente del nuovo partito socialista. Alleatosi a François Mitterrand ne appoggia la candidatura a primo segretario del partito e, diventato segretario nazionale, ispira l’elaborazione del programma “Changer la vie’’ che propugna la pianificazione economica e le nazionalizzazioni. Convinto che soltanto l’unione delle componenti della sinistra (socialisti, comunisti e radicali) consentirà la sconfitta della destra, C. partecipa, nella prospettiva delle elezioni presidenziali del 1974, alla stesura del programma comune di governo con i comunisti firmato il 27 giugno 1972. Dopo la vittoria di Valéry Giscard d’Estaing e la sconfitta di François Mitterrand, C. si adopera per l’aggiornamento del programma comune, aggiornamento che fallirà nel 1977 a causa delle crescenti diffidenze dei comunisti di Georges Marchais. In questa cornice si colloca la presa di distanza di Mitterrand da C., la cui visione di un socialismo alla francese che rappresenti il superamento dello stalinismo e della socialdemocrazia preoccupa il primo segretario: nella prospettiva di diventare forza di governo Mitterrand, infatti, dà prova di moderazione, mettendo l’accento anziché sul socialismo sull’ammodernamento della Francia. Il CERES passa all’opposizione al Congresso di Pau del 1975 e C. accentua la singolarità della sua posizione lanciando un appello ai gollisti perché si uniscano alla sinistra per combattere il filoamericanismo imperante e sostengano la forza di dissuasione. Tuttavia, al Congresso di Metz dell’aprile 1979, pur di battere le correnti riformiste di Pierre Mauroy e di Michel Rocard, egli appoggia Mitterrand e, tornato alla direzione del partito, si adopera per imporre un’ortodossia caratterizzata, oltre che dalla riaffermazione del programma comune, dal ruolo dello Stato, dal volontarismo economico e dall’indipendenza nazionale.

Dopo la duplice vittoria dei socialisti alle elezioni legislative e presidenziali della primavera 1981, C. entra a fare parte del governo Mauroy, prima come ministro della Ricerca e della tecnologia e, poi, nel 1982, come ministro dell’Industria. Il disegno di creare un dicastero interventista non viene però apprezzato da Mitterrand che, dopo due anni di governo della sinistra e di fronte al dissesto finanziario causato dalle nazionalizzazioni, imprime, sotto l’influenza di Jacques Delors, ministro dell’Economia e delle finanze, un’impronta liberista ed europea alla politica generale del governo. C. dichiara di non riconoscersi più nella nuova linea e dà le dimissioni, che vengono accettate nel 1983. Nel 1984 entra a fare parte del governo Fabius come ministro dell’Educazione nazionale in un periodo particolarmente delicato a seguito del ritiro, su impulso dello stesso Mitterrand, del progetto Savary, istitutivo di un servizio pubblico unificato considerato dai sostenitori della scuola privata un attentato alla libertà dell’insegnamento. Nell’aprile 1986 il CERES si trasforma in “Socialismo e repubblica” e nel suo programma accentua il tema della difesa dell’indipendenza nazionale. Quando, poi, Mitterrand viene rieletto nel 1988, C. diventa ministro della Difesa nel governo Rocard, incarico che abbandonerà nel 1991 perché contrario, all’epoca della guerra del Golfo, al coinvolgimento militare diretto dei francesi sul territorio iracheno accanto agli americani.

Durante la campagna referendaria del 1992 sul Trattato di Mastricht C. si dichiara contrario alla ratifica del Trattato (v. anche Trattati) stesso e critica aspramente il Patto di stabilità e crescita. Entrato in collisione con gli orientamenti proeuropei dei socialisti, esce dal partito e fonda nel 1993 il Movimento dei cittadini (MDC). Nel 1994 si presenta alle elezioni europee con una lista, “L’altra politica”, composta di comunisti, socialisti, radicali e gollisti, che raccoglie il 2,54 per cento devoti. Nel 1997 la sua nomina a ministro dell’Interno nel governo Jospin (v. Jospin, Lionel) rappresenta una sorpresa (alle elezioni legislative di quell’anno il suo movimento raccoglie soltanto l’1,07 per cento dei suffragi espressi). Presto, però, C. entra in conflitto con il primo ministro fautore dello statuto che dovrà dare nel 2004 un’autonomia parziale alla Corsica. Nell’agosto 2000 si dimette. Nel settembre 2001 annuncia di voler “correre” per le presidenziali della primavera 2002 e interpreta i sentimenti e le paure di quel ceto medio che, credendo nelle virtù dello Stato nazione, male sopporta, in un momento critico per l’economia, sia la globalizzazione sia l’integrazione europea. Si tratta di un movimento trasversale che unisce nel “Polo repubblicano”, oltre al MDC, radicali, repubblicani di sinistra, gollisti e partigiani della sovranità nazionale. La campagna di C. è centrata sull’antiamericanismo e sull’idea di un’Europa estesa alla Russia, in grado di risolvere da sola i suoi problemi, segnatamente quelli della sicurezza e del rafforzamento dell’euro quale contrappeso allo strapotere del dollaro.

Nella lotta che oppone Jacques Chirac a Lionel Jospin per la conquista dell’Eliseo, C. è considerato – almeno per un momento – l’uomo del destino entro un quadro politico caratterizzato, a destra, da vicende di corruzione e, a sinistra, da malumori diffusi presso l’elettorato verso la politica socialista di rigore finanziario. Al primo turno in aprile delle elezioni presidenziali egli ottiene il 5,33% dei voti, quanto basta, secondo i suoi critici, per impedire che Jospin rimanga in corsa al secondo turno e per far sì che nel duello finale del maggio successivo Chirac si confronti con Jean-Marie Le Pen, presidente del Front national. Alle elezioni legislative del giugno dello stesso anno nessuno dei candidati della lista del Polo repubblicano, compreso C., viene eletto. Il Congresso di Saint-Pol sur Mer del gennaio 2003 segna la fondazione del Movimento repubblicano e cittadino, del quale C. diventa presidente onorario. Il movimento, in cui confluiscono, oltre al MDC, anche i comitati che avevano sostenuto la sua candidatura a Presidente della Repubblica, ha tra i suoi fini quello di un’evoluzione in senso democratico della costruzione europea, essenzialmente verso una confederazione, attraverso la rivalutazione del ruolo delle nazioni che ne fanno parte e l’attuazione di progetti comuni suscettibili di capovolgere la tendenza attuale verso politiche liberiste improntate al monetarismo e alla “dittatura della finanza” a scapito del mondo del lavoro.

Guidobono Cavalchini Garofoli (2008)




Cheysson, Claude

C. (Parigi 1920 2012) studia al collège Stanislas a Parigi, prima di entrare all’École polytechnique. Dal 1946 al 1948 completa la sua formazione all’École d’administration. Intervistato sulla costruzione europea, di cui è stato un testimone privilegiato fin dagli esordi della sua carriera, ha sempre insistito sulla sua ascendenza materna di origine tedesca, che nel 1943 lo porta a lasciare la Francia per aderire alla lotta armata. Torna in Francia alla testa di un plotone di carri armati con le truppe del generale Leclerc e partecipa alla vittoria. Inizia rapidamente la sua formazione amministrativa. Nel 1948, quando conclude gli studi in quella che diventerà l’ENA (Écle nationale d’administration), gli inglesi e gli americani hanno appena creato in Germania la Bizona e autorizzato i tedeschi a lavorare a un progetto di costituzione per un futuro Stato federale della Germania ovest. Parigi, secondo C., «è reticente, ma vivamente interessata». Robert Schuman, che da poco si è insediato al Quai d’Orsay, dà istruzioni perché sia inviato un giovane agente come osservatore. C. si trova a essere l’unico francese a Bonn, dove lavora l’assemblea costituente tedesca, il Consiglio parlamentare. Qui incontra un lontano cugino, Heinrich von Brentano, futuro ministro degli Esteri della Germania federale. Brentano lo presenta a Konrad Adenauer, che presiede il Consiglio parlamentare. Per un anno Adenauer lo segue, «per insegnargli la Germania». Di questi anni trascorsi in Renania – vi resta fino al 1952, perché l’alto commissario André François-Poncet l’ha assegnato a Bonn con il titolo piuttosto stravagante di ufficiale di collegamento presso le autorità federali – C. conserva la profonda convinzione che la coppia franco-tedesca sia il perno attorno al quale potranno aggregarsi tutti i paesi europei.

Nel 1952 è inviato in Indocina, dove diventa un «esploratore di civiltà, di culture differenti». Il suo interesse per le questioni extrafrancesi non cesserà più. È vice e poi capo di gabinetto del Presidente del Consiglio Pierre Mendès France (1954-1955), poi l’anno seguente consigliere tecnico nel gabinetto di Alain Savary, all’epoca segretario di Stato per gli affari marocchini e tunisini. Il suo terzomondismo talvolta è stato definito confuso, ma non per questo è stato meno sincero, e l’Africa, in particolare, svolge un ruolo formativo nella sua carriera e nella sua visione del mondo. Dal 1957 al 1962, è segretario generale della Commissione di cooperazione tecnica in Africa, poi fino al 1965 è direttore generale dell’Ufficio sahariano e, l’anno seguente, direttore generale dell’Organizzazione di cooperazione industriale. Riprende la strada dell’Asia nel 1966, come ambasciatore della Francia in Indonesia per tre anni.

Al principio degli anni Settanta C. presiede il consiglio direttivo della Entreprise minière et chimique, poi è nominato presidente-direttore generale della Compagnie des potasses du Congo.

Si riavvicina alle questioni europee nel 1973, quando diventa membro della commissione delle Comunità europee incaricato delle relazioni con i paesi in via di sviluppo. Il 1973 è l’anno dell’Allargamento della Comunità, che passa da 6 a 9 membri con l’ingresso del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca. Fra i tre nuovi venuti l’Inghilterra adotta metodi che colpiscono C. Osserva la scelta di funzionari di qualità, la levatura degli eletti britannici, più alta di quella degli altri paesi membri, il modo in cui gli inglesi preparano le loro posizioni. Nei negoziati preliminari all’adesione, il Regno Unito ha ottenuto la promessa che le sue colonie ed ex colonie in Africa beneficeranno delle stesse condizioni delle colonie ed ex colonie di francesi, belgi e italiani. Le relazioni fra i paesi africani e la Comunità all’epoca sono rette dalla Convenzione di Yaoundé, che garantisce ai paesi membri un sostegno finanziario e il libero accesso al mercato europeo per i loro prodotti. Quanto ai paesi non legati alla Comunità economica europea dalla Convenzione, nel 1971 si vedono proporre un “sistema di preferenze generalizzate”, che accorda tariffe doganali più favorevoli di quelle destinate ai paesi ricchi. La questione degli antichi possedimenti britannici e quella dei legami con i paesi in via di sviluppo all’interno del Commonwealth si complica per il fatto che le promesse fatte agli inglesi includono la zona dei Caraibi e del Pacifico. L’opinione di C. si concretizza rapidamente: è opportuno elaborare una politica globale con il gruppo di paesi che verranno chiamati Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico (ACP). Da 6 e poi 18 partner africani e malgasci, nel quadro della Convenzione di Yaoundé, si passa a 46 paesi del Sud che rappresentano 240 milioni di persone. La Convenzione di Lomé, firmata nel 1975, rinnovabile ogni cinque anni, stabilisce relazioni uniche al mondo con questi Stati. C. è uno dei suoi artefici.

Accordi commerciali meno approfonditi sono sottoscritti nello stesso periodo con i paesi del Maghreb (1970), Israele (1975), gli Stati del Mashreq (1977).

Quando nel 1981 François Mitterrand vince le elezioni presidenziali e incarica Pierre Mauroy di formare il governo, a C. sono affidati gli Esteri, che preferisce ribattezzare Relazioni esterne, richiamandosi a Talleyrand: ritiene che un affare non ci è estraneo solo perché è esterno. Non ignora il potere delle parole ed elogia la genialità degli autori dei Trattati di Roma, che hanno preferito chiamare Comunità l’unione nascente dei paesi europei piuttosto che Stato o Federazione. Dal 1981 al 1984 partecipa a quattro governi socialisti, sempre nello stesso ministero. In questa posizione C. sviluppa un ampio programma di visite all’estero, fra cui il vertice Nord-Sud di Cancun in Messico.

Nel 1985 ritorna alla Commissione europea: è incaricato della politica mediterranea e delle relazioni Nord-Sud fino al 1988. Nel 1989 è eletto al Parlamento europeo nella lista Majorité de progrès pour l’Europe.

Negli anni Novanta vede di buon occhio l’adozione della moneta unica, che considera il solo progresso «significativo e promettente». In compenso, nei confronti dell’allargamento dell’Unione europea, ineluttabile perché voluto dalla Germania, C. nutre molte riserve. Il basso livello del PIL nei paesi candidati preannuncia, a suo avviso, una riduzione delle capacità finanziarie di integrazione. Per descrivere la complessità e l’eterogeneità delle situazioni che coesistono nei paesi dell’Unione, inventa l’espressione «Europe-gigogne». Mostra un identico scettiscismo verso le istituzioni politiche europee (v. Istituzioni comunitarie): che ne sarà della «interessante capacità di provocazione» della Commissione, si chiede l’ex commissario, che vede profilarsi un organo che abdica al suo diritto esclusivo di iniziativa.

La lunga carriera di C. testimonia la sua convinzione e la sua tenacia nell’agire per l’avvicinamento dei popoli. La sua concezione delle relazioni esterne della Comunità europea presuppone un’integrazione sempre più forte tra Francia e Germania e comporta la diffusione più ampia possibile dei principi della pace europea successiva al 1945. La cooperazione fra le due rive del Mediterraneo, fra il Nord e il Sud, è un’altra condizione necessaria alla pace collettiva. Ben lungi dall’essere il semplice gaffeur denunciato dalla stampa degli anni Ottanta, C. ha contribuito a difendere un ideale tollerante e generoso per l’Europa.

Fabrice d’Almeida (2012)




Chirac, Jacques

C. (Parigi 1932) compie gli studi al liceo Louis-le-Grand e all’école libre des sciences politiques, e nel 1956 viene richiamato in Algeria, all’epoca in stato insurrezionale. Ardente sostenitore dell’Algeria francese, C. dà prova di coraggio e intraprendenza. Poi entra all’école nationale d’administration e alla fine dei corsi diventa uditore alla Corte dei conti nel 1960, ma ben presto si orienta verso la carriera politica.

Nel 1947, quando ancora frequenta il quarto anno del liceo, aderisce al Rassemblement du peuple français creato dal generale Charles de Gaulle. Poi si avvicina alla sinistra, diffondendo l’“Humanité Dimanche” e firmando l’appello di Stoccolma per la proibizione delle armi nucleari. Nel 1962 entra a far parte della Segreteria generale del governo, poi del gabinetto di Georges Pompidou, primo ministro del generale de Gaulle, e ne diventa il “pupillo”. Lavora per costruirsi una base elettorale in Corrèze, diventa deputato nel 1967 e mantiene questa carica fino al 1995. Molto rapidamente assume funzioni ministeriali: segretario di Stato per l’Occupazione nel 1967-68, all’Economia e alle Finanze nel 1968-71, ministro dei Rapporti con il Parlamento nel 1971-72, dell’Agricoltura nel 1972-74 e infine ministro dell’Interno nel marzo 1974.

Quando il presidente Pompidou muore prematuramente il 2 aprile 1974, C. svolge un ruolo essenziale nell’elezione presidenziale ispirando il Manifesto dei 43 parlamentari ostili alla candidatura dell’ex primo ministro Jacques Chaban-Delmas, malgrado anche lui sia membro del partito gollista. Il 19 maggio 1974 viene eletto Valéry Giscard d’Estaing, leader dei Républicains indépendants, contro il candidato della sinistra François Mitterrand. Giscard sceglie C. come primo ministro, ma forma un governo in cui i gollisti dell’Union de défense de la République sono in minoranza rispetto ai centristi. Giscard interpreta in senso “presidenzialista” le istituzioni e governa al centro, dando pubblicamente direttive semestrali al suo primo ministro. C., incaricato di coordinare la maggioranza che riunisce gollisti e centristi, divisi sulla politica presidenziale, ritiene di non disporre dei mezzi necessari (aveva suggerito lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e nuove elezioni, rifiutate dal presidente) per governare e si dimette il 25 agosto 1976. Giscard lo sostituisce subito con l’economista Raymond Barre, che non è un parlamentare.

Quindi per C. ha inizio un periodo di opposizione a Giscard e al suo governo, malgrado faccia parte della maggioranza parlamentare. Il 5 dicembre 1976 trasforma l’Union de défense de la République in un partito strutturato, il Rassemblement pour la République (RPR), di cui è presidente. Alle elezioni municipali del marzo 1977 si presenta contro il candidato del Presidente della Repubblica ed è eletto sindaco di Parigi. L’Hôtel de Ville – dove resterà fino al 1995 – sotto C. diventa una vera e propria roccaforte al servizio delle sue ambizioni.

Alle presidenziali del 1981 C. si presenta contro Giscard, che si propone per un nuovo mandato, e così facendo favorisce l’elezione di Mitterrand, candidato dell’Union de la gauche. Al primo turno, il 21 aprile, Giscard ottiene il 27,8% dei voti, Mitterrand il 26% e C. il 18%. Al secondo turno, il 10 maggio, Mitterrand sconfigge Giscard con il 52% contro il 48%. C. è obbligato a ritirarsi perché ha invitato a votare Giscard “a titolo personale” pur essendo nella posizione di arbitro. Il presidente Mitterrand scioglie l’Assemblea e le elezioni legislative del 14-21 giugno assegnano al Partito socialista la maggioranza assoluta. Il governo dell’Union de la gauche è formato da Pierre Mauroy. C. promuove un accordo fra il RPR e i centristi dell’Union pour la democratie française (UDF), proponendosi come leader dell’opposizione di destra fino alla vittoria di quest’ultima alle elezioni legislative del 1986.

Durante questa prima parte della sua carriera politica C., in ambito europeo, si situa in una posizione di continuità con la politica dell’“Europa degli Stati” di de Gaulle e Pompidou, nel rispetto delle sovranità nazionali, in opposizione agli europeisti ferventi che aspirano all’integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) e alla sovranazionalità (v. anche Federalismo). Quando il presidente Giscard, nel settembre 1976, accetta al contrario del suo predecessore le Elezioni dirette del Parlamento europeo, C. e il RPR non sono favorevoli, malgrado le competenze di quest’assemblea siano limitate. Dall’ospedale in cui è stato ricoverato in seguito ad un incidente stradale C. il 6 dicembre 1978 lancia “l’appello di Cochin” in cui qualifica i filoeuropei come il «partito degli stranieri» che si adopera per «sminuire la Francia». Poi, per le elezioni europee del 10 giugno 1979, forma la lista Défense des intérêts de la France en Europe, una formula che esprime la sua concezione dell’Europa, contraria alla sovranazionalità come il Partito comunista. La lista dell’Union pour la démocratie française (UDF) guidata da Simone Veil è in testa con il 27,4% dei suffragi, la lista socialista di Mitterrand segue con il 23,7%, la lista comunista di Georges Marchais ottiene il 20,6% e quella del RPR di C. solo il 16,1%. Sotto la presidenza Mitterrand, C. si mostra contrario all’Adesione della Spagna e del Portogallo – il 1° gennaio 1986 – perché i prodotti dei due paesi minaccerebbero le agricolture del Sudovest della Francia.

C. torna ad essere primo ministro, questa volta del presidente Mitterrand, che ha perso le elezioni legislative del 1986 in cui RPR e UDF ottengono la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. È la prima coabitazione della V Repubblica. Mitterrand nomina capo del governo il leader del RPR, il gruppo più importante della nuova maggioranza. C., che ha conservato un cattivo ricordo del suo ruolo subordinato come primo ministro del presidente Giscard, si adopera per apparire in tutti i settori come l’unico detentore del potere, non solo in politica interna ma anche nell’ambito riservato al Presidente della Repubblica, cioè la politica estera e la difesa. Ma è un comportamento che Mitterrand non è disposto ad accettare. C. pretende di partecipare con il presidente agli incontri del vertice del G8 (v. Partecipazione dell’Unione europea a organizzazioni e conferenze internazionali) e ai Consigli europei (v. Consiglio europeo). Si trova un accordo: il Presidente parla in nome della Francia, il primo ministro ha facoltà di intervenire se lo desidera. C., che non ha un buon rapporto con il cancelliere Helmut Schmidt fin dai tempi di Giscard, cerca di intervenire nel dialogo franco-tedesco durante la presidenza Mitterrand, in particolare nel campo della difesa.

Sulla politica europea, decisa da un presidente fortemente europeista e sostenuta da una parte della coalizione di governo (UDF e centristi), il primo ministro C. è costretto a mutare le sue posizioni. Si definisce “pragmatico”, comprendendo i vantaggi della Comunità economica europea per la Francia, in particolare per l’agricoltura. Alla presidenza si dice che si sia convertito all’Europa. Non parla più di rinegoziare il trattato di adesione della Spagna. Finisce per accettare l’Atto unico europeo del 17-28 febbraio 1986 che crea il grande mercato interno e lo fa ratificare in dicembre dal Parlamento, malgrado le critiche di una parte del RPR. Di fatto Mitterrand e C. collaborano, il primo intervenendo sull’insieme dei problemi, il secondo sulle questioni specifiche. Per esempio, nel febbraio 1988 il presidente insiste, in merito ai Fondi strutturali, sulla necessità di aiutare i nuovi paesi membri del Sud e il primo ministro sulla protezione della Politica agricola comune.

Alle presidenziali del 1988 Mitterrand è rieletto per altri sette anni. Al primo turno ottiene il 34,1% dei voti, C. il 19,9% e Raymond Barre il 16,5%. Al secondo turno Mitterrand raggiunge il 54%, C. il 46%. Il socialista Michel Rocard diventa primo ministro il 10 maggio. C., che continua ad essere sindaco di Parigi e presidente del RPR, è di nuovo a capo dell’opposizione di destra. Critica il progetto di moneta unica ritenendo che sarebbe troppo favorevole alla Germania e afferma che «l’Europa non è la soluzione a tutti i problemi della Francia». Sul Trattato di Maastricht, che sancisce l’Unione europea e prevede la creazione dell’Euro, il RPR è diviso. Philippe Séguin esalta la sovranità nazionale. Ma C. decide per il “sì” al referendum del 20 settembre 1995 (dove la vittoria è risicata, con il 51,04% dei voti a favore), ritenendo che una posizione contraria potrebbe ostacolare le sue ambizioni presidenziali. Ha dichiarato che voterà a favore «senza entusiasmo ma senza fastidio, perché si tratta della Francia e del suo posto in Europa» e lascia libertà di voto ai compagni di partito.

Le elezioni legislative del 21-24 marzo 1993 riportano all’Assemblea nazionale una maggioranza di destra, e si rende così necessaria una nuova coabitazione. C., che ha fatto campagna per il ritiro del presidente, non vuole più tornare a Palais Matignon. Mitterrand, che deve scegliere un primo ministro nelle file del RPR, nomina Édouard Balladur, che non aveva chiesto le sue dimissioni e che – essendo stato segretario generale dell’Eliseo sotto Pompidou – rispetta la funzione presidenziale. Mitterrand desidera che mantenga le conquiste sociali e che dia attuazione al Trattato di Maastricht. Balladur si impegna a non competere con il presidente sulla scena internazionale, come invece aveva fatto C. Sceglie come ministro degli Affari esteri Alain Juppé, segretario generale del RPR, che ha votato “sì” al referendum per il Trattato di Maastricht. È una “coabitazione di valori” che C. critica, rincarando la dose per spingere alla crisi con il Presidente della Repubblica.

Alle presidenziali del 1995 C. si candida per la terza volta, pur non essendo favorito nei sondaggi che danno in testa il suo amico trentennale Édouard Balladur. A quest’ultimo tuttavia manca il contatto con la popolazione, mentre C. organizza, come di consueto, una campagna calorosa e bonaria centrata sul tema della “frattura sociale” che è necessario ricomporre e sul suo impegno nella lotta alla disoccupazione. Al primo turno, il 23 aprile, prevale il candidato socialista Lionel Jospin con il 23% dei voti, mentre la destra è divisa, ma C. con il 20,8% è in seconda posizione davanti a Balladur che ottiene il 18,6%. Quindi può affrontare il secondo turno. Balladur invita a votare C., che il 7 maggio è eletto Presidente della Repubblica con il 52,6% dei voti contro il 47,4% di Jospin.

Ormai Presidente, C. sceglie come suo primo ministro il fidato Juppé, che dà attuazione ad una politica di rigore per consentire alla Francia di entrare nella zona euro il 1° gennaio 1999. Ma questa politica provoca un’ondata di malcontento e di scioperi. La disoccupazione cresce, la maggioranza presidenziale è preoccupata. C. allora ritiene strategico arrivare alle elezioni legislative anticipate in modo da ricompattare il suo campo. Tuttavia i risultati delle elezioni (25 maggio-1° giugno) vedono la vittoria della sinistra, che ottiene 320 seggi all’Assemblea nazionale contro i 139 del RPR e i 109 dell’UDF. C. nomina primo ministro Jospin, trovandosi nuovamente costretto ad una coabitazione, questa volta come presidente. Deve consentire ai socialisti di governare, pur senza risparmiare le critiche alla loro politica interna. Ma in politica economica convince Jospin a corrispondere ai criteri di Maastricht per l’euro e ad accettare il patto di stabilità e di crescita al quale il primo ministro è ostile. Jospin lavora per rendere l’economia francese competitiva, pur mantenendo ferma la necessità di progresso sociale con le 35 ore lavorative.

Le condizioni per l’euro sono soddisfatte il 1° gennaio 1999 e la nuova moneta comincia a circolare il 1° gennaio 2002. Per quanto riguarda la politica internazionale e la partecipazione all’Unione europea, la coabitazione non provoca conflitti: entrambi, C. e Jospin, sono “eurorealisti” più che “euroentusiasti” e parlano unanimemente nei Consigli europei.

Il Presidente auspica un’Europa attiva sul fronte internazionale. Quando arriva al potere pensa alla creazione di una forza di reazione rapida dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in Bosnia (giugno 1995) e vorrebbe che intervenisse per liberare Srebrenica assediata dai serbi. Ma si scontra con le esitazioni di inglesi e americani. Quindi si prefigge l’obiettivo di dotare l’unione europea di una capacità militare modernizzando al tempo stesso quella francese. Rimane fedele al principio gollista della dissuasione nucleare. Mentre Mitterrand aveva deciso, dopo gli Stati Uniti, una moratoria degli esperimenti nucleari, C. li fa riprendere nel 1995 in Oceania, suscitando aspre critiche in tutto il mondo e in particolare in Germania. Quindi dichiara che saranno gli ultimi. Al tempo stesso ritiene che con la scomparsa del pericolo sovietico sia importante disporre di forze in grado di spostarsi rapidamente verso i luoghi di crisi. A questo scopo decide di professionalizzare l’esercito e di abolire il servizio militare obbligatorio. Ma non consulta la Germania, rimasta fedele alla coscrizione. Inoltre bisogna fare i conti con la NATO. Al Consiglio atlantico di Berlino (4 giugno 1996) ottiene il riconoscimento del principio di un’Identità europea di Difesa interna all’Alleanza che consenta all’Unione dell’Europa occidentale (UEO) di usare i mezzi della NATO. Quindi vorrebbe che la Francia riprendesse il suo posto nei Consigli militari della NATO da cui de Gaulle nel 1966 l’aveva ritirata. E chiede che Francia, Spagna e Italia esercitino a rotazione il comando Sud delle forze NATO. Ma gli americani oppongono un netto rifiuto a causa della loro flotta nel Mediterraneo. Del resto Parigi non è appoggiata dalla Germania, che crede soltanto nella NATO, né dai britannici, secondo i quali l’Europa può assicurare unicamente le missioni umanitarie. Al vertice atlantico di Madrid (8-9 luglio 1997) C. rinuncia a tornare sull’argomento.

In seguito la situazione si evolve. C. e il cancelliere Helmut Josef Michael Kohl si accordano per rafforzare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea e per collegare a quest’ultima l’Unione dell’Europa occidentale, malgrado le reticenze del Regno Unito e dei paesi neutrali dell’Unione. Il Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997) prevede questa possibilità, che si realizza quando il primo ministro britannico Tony Blair decide di unirsi alla coppia franco-tedesca e di svolgere un ruolo attivo nella formazione di una forza militare europea, pur rassicurando gli americani sui limiti della sua autonomia in rapporto alla NATO. Blair incontra C. a Saint-Malo (3-4 dicembre 1998). I due uomini politici rilasciano una dichiarazione comune in cui invitano alla creazione di forze militari credibili, che siano compatibili con gli obblighi nei confronti della NATO. C. incontra a Tolosa (28-29 maggio 1999) il cancelliere Gerhard Schröder, successore di Kohl. La Germania appoggia la posizione franco-britannica. Il Consiglio europeo di Colonia (3 giugno 1999) delinea la creazione di una Politica europea di sicurezza e di difesa che integri l’UEO nell’Unione europea e che costituisca dei raggruppamenti di forze nazionali per missioni finalizzate al mantenimento della pace (è quel che avverrà in Bosnia, in Macedonia e nella Repubblica democratica del Congo). Un’Agenzia europea di difesa sarà costituita nel settembre 2004, con il compito di sviluppare le capacità militari degli Stati membri, di migliorare l’efficacia delle spese militari coordinando i programmi industriali e la ricerca. Per quanto riguarda i rapporti di questa forza europea con la NATO, di cui impiega i mezzi, emergono tensioni quando la Francia, la Germania, il Belgio e il Lussemburgo chiedono la creazione di un quartier generale europeo, che gli Stati Uniti considerano un inaccettabile duplicato del quartier generale della NATO. Blair interviene per raggiungere un compromesso il 12 dicembre 2003, creando una semplice cellula di pianificazione autonoma.

Tuttavia per il presidente francese la potenza militare europea, indispensabile per intervenire nelle crisi locali, deve anche affermare il ruolo del polo europeo – secondo la concezione gollista – in un mondo multipolare in cui però le Nazioni Unite sono garanti del diritto internazionale. Quindi C. si oppone all’unilateralismo americano. Ma questa posizione presuppone una politica estera europea, che in realtà non esiste, nei confronti degli Stati Uniti, come ha dimostrato la crisi irachena (v. anche Politica estera e di sicurezza comune). Mentre il primo ministro Blair si allinea alle decisioni americane per l’intervento militare in Iraq, C. se ne dissocia subordinando qualsiasi iniziativa al mandato delle Nazioni Unite. Conta sull’appoggio del cancelliere Schröder, che esprime sentimenti pacifisti. I due uomini politici, nel quarantesimo anniversario del Trattato franco-tedesco dell’Eliseo (22-23 gennaio 2003 a Parigi) si dichiarano contrari a qualsiasi intervento militare e si dichiarano sostenitori dell’Europa. Ma gli altri governi europei non seguono il loro esempio, preoccupati di salvaguardare i rapporti transatlantici e pronti, ad eccezione dei paesi neutrali, a partecipare alla spedizione inglese e americana. Anche i paesi dell’Europa centrale e orientale, candidati all’Unione europea, si allineano. C. li tratta da «maleducati, perché hanno perso un’occasione per stare zitti», una dichiarazione che non sarà priva di strascichi. L’Europa si divide ancora di più, in quanto il presidente russo Vladimir Putin si unisce alla coppia franco-tedesca. C., sostenuto da Putin, minaccia di ricorrere al diritto di veto della Francia al Consiglio di sicurezza nei confronti di qualsiasi mozione che preveda un intervento contro l’Iraq. Questa decisione peraltro sarà del tutto inefficace, in quanto il presidente americano Bush interverrà senza un mandato dell’ONU. Dopo la caduta di Saddam Hussein il “campo della pace” si disgrega: Putin e poi Schröder danno la priorità ad un riavvicinamento agli Stati Uniti. C. invece è più reticente, ma alla fine deve accettare il voto della mozione del Consiglio di sicurezza del 16 ottobre 2003, secondo cui gli Stati Uniti sono i soli giudici del calendario relativo al ritorno dell’Iraq alla sovranità e al ritiro delle truppe della coalizione.

Per quanto riguarda la gestione dell’Unione europea, il Presidente C. si preoccupa soprattutto di salvaguardare i vantaggi acquisiti: difesa della Politica agricola comune, freno all’apertura dei servizi pubblici alla concorrenza, mantenimento della parità con la Germania malgrado la riunificazione del paese, il che determina una serie di difficoltà nella coppia franco-tedesca.

In merito alla politica agricola, di cui il cancelliere Schröder sostiene la riforma per alleggerire il contributo tedesco al budget comunitario, C. si oppone a qualsiasi rinazionalizzazione degli aiuti al Consiglio europeo di Berlino (24-25 marzo 1999).

Quanto alla riforma delle Istituzioni comunitarie necessaria all’Allargamento dell’Unione da 15 a 27, a C. preme mantenere la parità del numero dei voti tra Francia e Germania quando nel dicembre 2000 si negozia il Trattato di Nizza: il risultato è un testo complesso che rende molto difficile prendere decisioni nell’Unione allargata. Parigi e Berlino capiscono alla fine di doversi riavvicinare: alla Convenzione per il futuro dell’Europa (v. Convenzione europea) i francesi vogliono rafforzare la presidenza del Consiglio europeo (v. Presidenza dell’Unione europea) e i tedeschi le prerogative del Presidente della Commissione europea. I due provvedimenti sono adottati entrambi, malgrado il pericolo di una direzione bicefala. C. rinuncia alla parità con la Germania e accetta per le decisioni del Consiglio la Duplice maggioranza Stati-popolazioni. Appoggia la proposta dei tedeschi di un ministro degli Affari esteri dell’Unione. L’impulso franco-tedesco allo sviluppo della politica europea di sicurezza e di difesa è forte, ma la Gran Bretagna si oppone a qualsiasi voto di maggioranza in politica estera (v. anche Maggioranza qualificata; Voto all’unanimità).

Per la politica agricola si giunge ad un accordo al Consiglio di Bruxelles (24-25 ottobre 2002). C. ottiene il mantenimento degli aiuti diretti fino al 2013, ma Schröder riesce a farli restare al livello del 2006 per 25 paesi e non più 15. Nel 2003 C. ottiene che gli aiuti e la produzione agricola siano disaccoppiati solo in modo parziale.

Sul piano economico la Francia e la Germania hanno difficoltà a rilanciare la crescita, in presenza di una forte disoccupazione, e tardano ad adottare le riforme strutturali indispensabili. I deficit di bilancio aumentano malgrado gli avvertimenti della Commissione. I due paesi si accordano per decidere al Consiglio ECOFIN del 23 novembre 2003 la sospensione del Patto di stabilità e di crescita, suscitando la forte contrarietà dei paesi che si sono sforzati di rispettare le regole. Un “ammorbidimento” del patto viene adottato il 10 settembre 2004.

Alla ratifica della Costituzione europea del 29 maggio 2005, dopo una campagna referendaria lunga e appassionata, prevale il “no” con il 54,87% e un’alta partecipazione – il 70% degli elettori – mentre il referendum del 20 settembre 1992 sul Trattato di Maastricht dell’Unione europea aveva registrato il successo risicato dei “sì”, con il 51,04% e un’analoga percentuale dei votati. In rapporto a Maastricht il “no” avanza con l’80% tra gli operai (contro il 60,2% del 1992), il 70% tra gli agricoltori (contro il 62,2%), il 64% tra i dipendenti del servizio pubblico (contro il 51,3%), il 56% tra i giovani fra i 18 e i 24 anni (contro il 50,7%). Le professioni intermedie – artigiani, commercianti, professioni liberali – sono passate dal “sì” nel 1992 al “no” nel 2005, esprimendo innanzitutto il timore della disoccupazione a causa della concorrenza dei nuovi paesi membri e delle delocalizzazioni; inoltre, l’“esasperazione” per la situazione economica e sociale caratterizzata dal persistere della disoccupazione, le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro, la stagnazione del potere d’acquisto, sono tutti elementi su cui hanno fatto leva i fautori del “no” per indurre a rifiutare – al di là della Costituzione – il concetto stesso di un’Europa “liberale”.

Il fallimento è ancora più amaro per C., che disponeva di tutte le leve del comando. Alle presidenziali del 2002 al primo turno, il 21 aprile, raccoglie solo il 19,98% dei voti, ma a causa delle divisioni della sinistra Lionel Jospin, candidato socialista, ottiene solo il 16,18% ed è distanziato da Jean-Marie Le Pen, leader del Front national e unico concorrente di C. al secondo turno del 5 maggio. Per evitare il successo – peraltro problematico – dell’estrema destra, i socialisti fanno votare C. in nome della difesa della Repubblica, permettendogli di essere rieletto con l’82,2% dei voti contro il 17,8% di Le Pen. Autentico “miracolato del suffragio universale” C. dichiara di «aver capito il messaggio». Alle elezioni legislative del 9-16 giugno C., che non voleva un’altra coabitazione e aveva chiesto «una vera maggioranza parlamentare», ottiene all’Assemblea nazionale la maggioranza assoluta dell’Union pour une majorité présidentielle (UMP). Per tre anni mantiene nel ruolo di primo ministro Jean-Pierre Raffarin, suo fedele collaboratore ma politico impopolare e inefficace, mentre la sinistra vince alle elezioni regionali del 21-28 marzo e alle europee del 13 giugno successivo. Solo dopo il “no” alla Costituzione europea C. – dopo aver rifiutato sia di dimettersi che di sciogliere l’Assemblea per indire nuove elezioni – nomina un nuovo primo ministro. Dominique de Villepin, per procedere all’indispensabile risanamento della situazione, comincia dalla lotta contro la disoccupazione.

Indebolito sul piano interno, C. lo è altrettanto a livello europeo. La coppia franco-tedesca vacilla perché il 12 maggio il Bundestag ha approvato con una massiccia maggioranza, pari al 95% dei suffragi, il Trattato costituzionale. Ma dopo il “no” dei Paesi Bassi del 1° giugno, al Consiglio europeo del 16 giugno i Venticinque decidono di prolungare i tempi previsti per la ratifica del progetto costituzionale.

Pierre Gerbet (2007)




Chris Patten




Christian Pineau




Christophersen, Henning

Nato nel 1939 a Copenaghen, Henning Christophersen si laurea in economia nel 1965 all’Università di Copenaghen e subito dopo gli viene affidata la guida della sezione economica della Federazione danese della piccola e media impresa, un incarico che conserverà fino al 1971. Membro del Parlamento per il Partito liberale (Venstre) nel 1971-1984 e presidente del Partito liberale nel 1977-1984, lavora intensamente per formare una coalizione tra il suo partito e i socialdemocratici. Viene nominato ministro degli Affari esteri nel governo del 1978-1979, una coalizione poco riuscita che ha vita breve. Nel 1982 si costituisce un’altra coalizione governativa con quattro partiti non socialisti, in cui C. assume la carica di ministro delle Finanze e contemporaneamente di vice primo ministro, una carica nuova nella politica danese. Nel 1985 è nominato commissario della Comunità economica europea e diventa uno dei cinque vicepresidenti della Commissione europea, intrattenendo fin dal principio rapporti molto stretti con il presidente Jacques Delors. Durante il suo primo mandato è responsabile del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), del controllo del bilancio e del personale della Comunità. In questo periodo il bilancio pone particolari problemi, in quanto il Consiglio europeo nel 1984 aveva accettato la richiesta della Gran Bretagna (v. Regno Unito) di una sostanziale riduzione del suo contributo finanziario.

Tra i principi politici fissati da Jacques Delors vi era quello secondo cui a un commissario non poteva essere affidato lo stesso portafoglio amministrativo per più di un mandato, e di conseguenza nel suo secondo mandato C. viene nominato responsabile per gli affari economici, finanziari e monetari – un incarico importante e un’evidente promozione. In questo ruolo gli è affidato il compito di preparare l’Unione economica e monetaria, una delle priorità del programma della fine degli anni Ottanta, di coordinare i tre fondi strutturali (Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo di coesione) e, infine, di supervisionare il lavoro della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. C. svolge anche un ruolo importante nei negoziati che porteranno alla firma del Trattato di Maastricht, contribuendo in particolare alla formulazione del capitolo sull’unione economica e monetaria. Tuttavia, la responsabilità finale all’interno della Commissione resta del presidente Delors.

Nel 1990 viene creata la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo con l’obiettivo di incentivare gli investimenti nell’Europa orientale. Ne è eletto presidente il francese Jacques Attali, che però è costretto a dimettersi a causa delle spese eccessive del quartier generale della Banca a Londra e delle ingenti somme destinate ai suoi viaggi. C. cerca di succedere ad Attali, ma i suoi sforzi si dimostrano inutili e come nuovo presidente viene eletto il francese Jacques Larosière.

Nel 1993 il mandato per l’intera Commissione è esteso per altri due anni, e di conseguenza l’incarico di C. come commissario si conclude solo nel 1995. Poiché in questo periodo nel governo danese si forma una nuova coalizione capeggiata dai socialdemocratici, C. non ha alcun incarico. Abbandonata la vita politica danese, C. stabilisce la sua residenza a Bruxelles, dove crea una società di consulenza. Fra i suoi i clienti si annovera il governo ceco, al quale presta la sua consulenza prima della richiesta di Adesione all’Unione europea. È inoltre presidente di numerosi consigli semipubblici, il più importante dei quali è la rete metropolitana di Copenaghen.

Nel 2002 C. accetta di rappresentare il governo danese alla Convenzione europea dell’Unione preparatoria della Costituzione europea. Poiché è rappresentante di un governo destinato ad assumere la presidenza della Unione europea mentre la Convenzione è riunita in seduta, C., con assieme ai rappresentanti della Spagna e della Grecia, viene nominato membro della presidenza della Convenzione. In questo ruolo si pronuncia a favore di una Commissione dotata di poteri più forti. A suo parere solo in questo modo la Commissione sarebbe in grado di controbilanciare l’influenza di poteri più forti all’interno della Comunità. C. è inoltre fermamente convinto che istituzioni forti possano lavorare a beneficio di paesi piccoli come la Danimarca. Tuttavia si oppone risolutamente alle deroghe che in seguito agli accordi di Edimburgo del 1992 permettono alla Danimarca di non partecipare alla terza fase dell’Unione economica e monetaria, alle questioni attinenti alla politica di difesa e alle parti sovranazionali della regolamentazione della giustizia e degli affari interni.

C. è autore di diversi libri sulla Danimarca, sulla Comunità e sull’Unione europea, tra cui Tanker om Danmark i det nye Europa (“Considerazioni sulla Danimarca nella nuova Europa”), apparso nel 1989, e Regeringskonferencen 1996: EU ved et vendepunkt (“La Conferenza intergovernativa del 1996. L’Unione Europea a una svolta”), pubblicato nel 1995.

Niels Amstrup (2005)