Fraga Iribarne, Manuel

Nato a Villalba (Lugo) in Galizia il 23 novembre 1922 da una famiglia di emigranti a Cuba, F.I. vive da bambino alcuni anni nell’isola caraibica. Compie gli studi universitari in diritto dapprima a Santiago de Compostela poi a Madrid, dove si laurea nel 1944 e dove, nel 1947, consegue anche la laurea in scienze politiche ed economiche. Dottore in diritto con una tesi su Luis de Molina e la guerra, membro dal 1945 del Cuerpos de letrados de las Cortes españolas, F.I è dal 1948 professore di diritto politico all’Università di Valencia, poi dal 1953 di teoria dello Stato e diritto costituzionale nella facoltà di Scienze politiche ed economiche dell’Università di Madrid, dove mantiene l’insegnamento fino alla messa fuori ruolo nel 1987. Iscritto fin da giovane alla Falange, il partito unico del regime, si avvicina poi al gruppo di Joaquín Ruiz-Giménez Cortés che, divenuto ministro dell’Educazione, nel 1951 lo nomina dapprima segretario generale dell’Istituto de Cultura Hispánica e poi, nel 1953, segretario generale del Consiglio nazionale del ministero dell’Educazione.Dal 1958 al 1962 F.I è segretario della Commissione degli Affari esteri delle Corti, mentre dal 1961 è anche direttore dell’Istituto di studi politici, del quale era già vicepresidente. Nel frattempo è diventato deputato alle Cortes (1958). Nel luglio del 1962 è chiamato da Franco a occupare il ministero dell’Informazione e turismo. Vi giunge animato di buone intenzioni, e si applica al nuovo incarico con grande dinamismo. In effetti dà nuovo impulso al turismo facendolo diventare la prima industria del paese, istituisce la rete dei Paradores nacionales, e riesce a varare una nuova legge sulla stampa che il 18 marzo 1966 abolisce la censura preventiva e introduce la possibilità di un limitato confronto tra opinioni diverse. Quando, nel luglio del 1969, scoppia il caso Matesa (Maquinaria Textil del Norte de España S.A.), F.I. viene destituito per aver permesso che lo scandalo arrivasse alla stampa. Fu a partire da questo episodio e momento che, secondo alcuni analisti e storici, F.I. comincia a prendere le distanze dal franchismo, distanza che sarebbe aumentata nel 1971 quando inizia a manifestare pubblicamente l’idea di un’apertura verso il centro politico, verso i ceti medi beneficiati dal regime, per incorporare nel sistema politico vigente le correnti democratico-cristiane, liberali e socialdemocratiche emerse negli ultimi anni e, in particolare, con la prodigiosa crescita economica degli anni Sessanta. Una presa di distanze, comunque, assai relativa, se si considera che dal settembre del 1973 al dicembre 1975 F.I. è a Londra come ambasciatore spagnolo presso il Regno Unito e l’Irlanda del Nord.

Nei primi mesi del 1975 F.I. rientra per qualche tempo nella capitale spagnola per lanciare, attraverso un fitto giro di incontri con vari esponenti del governo e del regime, un suo progetto di cambiamento nella continuità che. per quanto cauto, viene giudicato troppo avanzato dai suoi interlocutori. Per sostenere l’iniziativa e aggregare sostenitori promuove e utilizza il Gabinete de orientación y documentación, SA (GODSA) che pubblica una bozza del progetto che ha per titolo Llamamento para una reforma democrática e che prevede il riconoscimento di alcuni diritti civili e l’elezione a suffragio universale di una Camera. In luglio da una riunione che si tiene a Londra attorno a F.I. sorge il gruppo di Reforma democrática.

La morte di Franco, il 20 novembre 1975, modifica il quadro e accelera gli avvenimenti. F.I. è vicepresidente del governo e ministro degli Interni nel primo governo della monarchia che, come l’ultimo della dittatura, è guidato da Arias Navarro. È quindi responsabile delle forze di polizia quando queste intervengono uccidendo alcuni lavoratori in sciopero a Elda, Vitoria, Basauri nei primi mesi del 1976 o manifestanti come a Montejurra in maggio. In questo frangente, propone e riesce a far approvare dalle Cortes, il 25 maggio 1976, il progetto di legge relativo al diritto di riunione, mentre la legge sul diritto di associazione ha un cammino più tortuoso. Elaborata da F.I., tale legge viene presentata da Adolfo Suárez (v. Suárez González, Adolfo) alle Cortes, che alla fine l’approvano, ma l’11 giugno votano contro la riforma degli articoli 172 e 173 del Codice penale, senza la quale riforma la legge sulle associazioni resta priva di conseguenze sul piano democratico. In questo modo i propositi di cauta liberalizzazione del regime sul piano politico subiscono un brusco colpo d’arresto. Quando, nel luglio del 1976, Arias Navarro presenta le proprie dimissioni al re che in vario modo le ha sollecitate, contrariamente alle aspettative sue e della stragrande maggioranza degli osservatori, F.I. non viene chiamato a succedergli. A questo punto, nell’ottobre del 1976, assieme ad altri sei ex ministri di Franco F.I. fonda Alianza popular (AP) dove si raccoglie quanto di ancora presentabile resta del vecchio regime. Il partito ottiene 16 seggi nelle prime elezioni democratiche del giugno 1977, F.I. viene eletto e diventa uno dei sette incaricati di redigere il testo costituzionale tra l’agosto e il dicembre del 1977. Nelle elezioni del 1979 guida l’alleanza elettorale formata da AP e alcuni partiti minori, Coalición democrática, che ottiene soltanto 9 seggi. Un risultato che gli suggerisce le dimissioni da segretario generale di AP. Ritorna in sella l’anno dopo e nelle elezioni del 1982, questa volta alla testa di una coalizione denominata Coalición popular, riesce a calamitare una parte dei voti della disciolta Unión de centro democrático (UCD) di Adolfo Suárez, divenendo la seconda forza parlamentare, dietro al PSOE di Felipe Màrquez González.

Nel referendum sull’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) del 1986, sia per distinguersi dal PSOE che ha nel frattempo maturato la scelta filoatlantica, sia per capitalizzare il tradizionale antiamericanismo della destra spagnola, F.I. dà indicazione di voto per l’astensione, provocando lo sconforto degli ambienti conservatori europei – specie di Margaret Thatcher, che non glielo perdonerà mai. Nelle elezioni che si svolgono nello stesso anno tornano a vincere i socialisti. F.I. si dimette dalla presidenza di AP chiamando a succedergli Antonio Hernández Mancha, una sbiadita figura destinata a sparire ben presto dalla scena politica del paese. L’anno successivo F.I. viene eletto al Parlamento europeo, seggio che occuperà fino al giugno del 1989.

Nel 1989, durante il IX congresso del partito, si produce la rifondazione di AP che da questo momento prende il nome di Partido popular (PP) chiamando F.I. alla presidenza. Nel frattempo, nel dicembre 1989, F.I. si è presentato e ha vinto le elezioni autonome nella Comunità autonoma della Galizia con maggioranza assoluta – impresa che ripeterà nelle competizioni elettorali successive: 1993, 1997, 2001. Dai primi di febbraio del 1990 F.I. è dunque presidente de la Xunta de Galizia. Quasi a conferma della svolta che il nuovo incarico segna sul piano biografico non meno che su quello politico, dichiara che tutta la sua vita è stata come una lunga preparazione a quel momento. Infatti, nel X congresso del PP che si celebra a Siviglia tra il marzo e l’aprile del 1990, F.I. cede la presidenza a José María Aznar, e viene nominato presidente onorario del partito.

Partendo dalla premessa che l’Europa «è, probabilmente più di ogni altro continente, una terra di regioni, comarche, municipi», F.I. ne trae l’indicazione della necessità di regionalizzare l’Europa, nel senso di favorire il riconoscimento e l’integrazione delle regioni nelle Istituzioni comunitarie, la cooperazione interregionale e di creare una politica regionale europea (v. Politica di coesione). In un discorso del 2 dicembre 1990 F.I. precisava che per “regionalizzazione della Comunità europea” (v. Comunità economica europea) doveva intendersi il conseguimento di due obiettivi. Il primo era quello di garantire la diversità culturale, la pace, il benessere e la giustizia sociale del continente europeo in una Unione europea alla quale potessero aderire tutti gli Stati democratici. Il secondo consisteva nel fare in modo che la futura Unione europea poggiasse su una struttura istituzionale equilibrata a tre livelli – Unione, Stati e regioni – provvisti tutti di governi formati da rappresentanti del popolo regolarmente eletti. Per il raggiungimento di tali obbiettivi F.I. indicava altrettanti mezzi. In primo luogo occorreva rafforzare il ruolo delle regioni nell’ambito degli organismi comunitari chiamati a decidere sulla realizzazione dell’Unione europea, in riferimento soprattutto al desiderio di libertà e autodeterminazione dei paesi dell’Europa centrale e orientale. In secondo luogo occorreva preparare lo sviluppo futuro del quadro istituzionale della Comunità europea proponendo la modifica dei Trattati della Comunità stessa in vista di una più puntuale applicazione del principio di solidarietà e del Principio di sussidiarietà. A questo proposito, F.I. chiedeva che il principio di solidarietà e di sussidiarietà si applicasse non solo agli Stati, ma anche alle regioni, ai Länder e alle Comunità autonome (v. Fraga Iribarne, 1991)

Parallelamente, l’attività di F.I. acquista una dimensione internazionale con la fondazione, assieme a George Bush, Margaret Thatcher e Jacques Chirac, della conservatrice Unione democratica internazionale (IDU). Negli ultimi tempi F.I. si è avvicinato all’idea di una riforma del Senato e della partecipazione delle Comunità autonome al governo dell’Unione europea. Come presidente della Xunta della Galizia è stato attivamente presente nell’Assemblea delle regioni dell’Europa (ARE), nell’Associazione delle regioni di frontiera (ARPE), nella Conferenza delle regioni periferiche e marittime dell’Europa (CRPM) e del Comitato delle regioni creato dall’Unione europea per facilitare l’apporto delle regioni e degli enti locali al processo normativo comunitario.

F.I. rappresenta al meglio e al massimo livello l’itinerario dei tanti uomini politici e di governo che seppero passare dal regime franchista alla democrazia senza pagarne lo scotto, rendendo allo stesso tempo del tutto evidente la modalità del passaggio dalla Spagna di Franco a quella di Juan Carlos. Per un buon tratto degli anni Sessanta fu, all’interno del regime, uno dei politici più favorevoli a una riforma dello stesso in senso vagamente liberale, meritandosi la qualifica di “aperturista”, allo stesso modo in cui, morto Franco, fu uno dei più cauti nel prefigurare gli esiti democratici della transizione e tra i più conservatori all’interno di tale processo. Con tutto ciò sarebbe difficile negare il contributo fornito da F.I. alla democratizzazione della destra spagnola. Protagonista di gesti clamorosi e spettacolari, come quando il 10 marzo 1966 si fece fotografare assieme all’ambasciatore statunitense mentre faceva il bagno nella spiaggia di Palomares (Almería) per dimostrare che le acque non erano contaminate nonostante giacessero sui fondali gli ordigni nucleari che trasportava un B-52 statunitense precipitato il 17 gennaio precedente. Sul piano dei convincimenti e delle opinioni espresse, F.I. ha sempre ritenuto lecito e giusto il colpo di Stato militare che il 17-18 luglio 1936 scatenò la guerra civile, fu contrario, nel 1977, alla legalizzazione del PCE, si espresse contro la mozione votata dal Congresso dei deputati nel 1999 che condannava la sollevazione militare del 1936. Enorme il peso di F.I. all’interno del PP: sua la scelta di Aznar come successore, così come pare essere entrato nella scelta del successore di José María Aznar, Mariano Rajoy. La sottovalutazione da parte sua, della Xunta della Galizia e del governo centrale nonché delle conseguenze del naufragio del Prestige nel 2002, hanno inflitto un duro colpo alla sua credibilità nella regione

A. Botti (2009)




Francesco Capotorti




Francia

La Francia, come Stato, ha svolto un ruolo fondamentale nella costruzione europea dal 1945. Cofondatrice dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE) nel 1948, del Consiglio d’Europa nel 1949, della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1950, promotrice della Comunità europea di difesa (CED), poi dell’Unione dell’Europea occidentale (UEO) nel 1954, coautrice dei due Trattati di Roma del 1957, la Francia è uno degli Stati al centro dell’avventura europea contemporanea. I due regimi politici francesi successivi, la Quarta e la Quinta repubblica (1947-1958 e a partire dal 1958), hanno conferito all’integrazione europea la sua forma attuale (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Tuttavia, pur essendo prevalenti i contributi positivi, le caratteristiche della società francese e la cultura politica delle élites spiegano gli arretramenti e le esitazioni di cui la Francia si è resa responsabile.

La Federazione dell’Europa occidentale

La storia ha inizio nel 1943 quando il Comité français de la libération nationale (CFLN), guidato dal generale Charles de Gaulle, decide di riflettere sulla politica del dopoguerra Ad Algeri, sede del CFLN, i lavori sull’avvenire dell’Europa vengono portati avanti nell’estate 1943 da Jean Monnet, commissario incaricato degli armamenti e degli approvvigionamenti, da René Massigli, commissario per gli Affari esteri, dagli alti funzionari Hervé Alphand e Maurice Couve de Murville, da René Mayer, commissario per le comunicazioni e la Marina mercantile, da Laurent Blum-Picard, già direttore delle miniere, e dal generale de Gaulle, presidente del CFLN. Monnet propone l’instaurazione di un regime democratico in Europa e l’organizzazione economica e politica di un’«entità europea», o ancora la costituzione di uno «Stato europeo della metallurgia pesante in Europa». Mayer vorrebbe una «federazione dell’Europa occidentale» (Francia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, uno Stato renano che comprenda il Bacino della Ruhr, Italia e Spagna) dotata di una moneta comune. Non si trova un accordo all’interno del CFLN, perché la sorte della Germania resta un argomento controverso. Monnet raccomanda di integrare la Germania in un insieme europeo di cui faccia parte «un paese industriale europeo composto dalla Ruhr, dalla Saar, dalla Renania, dal Lussemburgo». De Gaulle scarta questo progetto che rafforzerebbe la Germania ponendo Francia e Germania all’interno di una stessa unione. La tendenza è piuttosto quella di realizzare una costruzione continentale con il futuro Benelux, una parte del Reich – la Renania – l’Italia, la Svizzera e la Spagna, oppure di organizzare un raggruppamento occidentale intorno alla Francia e al Regno Unito. De Gaulle prende in considerazione la creazione di una federazione economica occidentale limitata alla Francia e al futuro Benelux, «alla quale potrebbe aderire la Gran Bretagna», con la Renania indipendente dal Reich. Gli alleati fanno naufragare quest’unione dell’Europa occidentale incoraggiando paradossalmente il governo provvisorio della Repubblica francese (GPRF) ad assumere posizioni senza futuro sul dissolvimento del Reich.

L’OECE e il Consiglio d’Europa

Qualche anno più tardi il discorso del segretario di Stato americano George Catlett Marshall, il 5 giugno 1947, pone come condizione degli aiuti americani l’unità degli europei. Il Quai d’Orsay pensa ad un’organizzazione economica. Francesi, italiani, belgi e olandesi propongono un esecutivo forte. Ma gli svizzeri rifiutano e scandinavi e inglesi si mostrano contrari. La Francia è costretta ad accettare la partecipazione tedesca. L’Organizzazione europea di cooperazione economica si costituisce il 16 aprile 1948. Comprende 18 membri, tra cui le zone di occupazione tedesche occidentali e le dipendenze d’oltremare dei Paesi membri.

La Gran Bretagna impone la regola dell’unanimità. Gli europei riconoscono la loro interdipendenza e la necessità di cooperare in un quadro intergovernativo (v. anche Cooperazione intergovernativa). In queste condizioni l’organizzazione non può assicurare l’integrazione delle economie, né risollevare l’Europa seguendo un piano comune. Tuttavia la sua opera consente di ripartire gli aiuti americani in Europa, di facilitare i pagamenti intraeuropei creando un’Unione europea dei pagamenti (UEP) e di liberalizzare gli scambi commerciali. La Francia è molto legata all’OECE, un forum intergovernativo europeo non vincolante che ovviamente delude i fautori degli Stati Uniti economici d’Europa.

Nel 1949 il Consiglio d’Europa voluto da Georges Bidault si costituisce a Strasburgo, ma anche in questo caso l’assemblea consultiva non ha poteri decisionali e fallisce nel tentativo di fondare un’unione politica.

Il Piano Schuman

La Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 – una sorpresa – è stata preparata in segreto dal gruppo del Piano di modernizzazione di Monnet, i “congiurati” del 9 maggio. L’establishment amministrativo francese è legato alla cooperazione intergovernativa in Europa con la Gran Bretagna, sia nell’OECE che nel Consiglio d’Europa. Di conseguenza questi ambienti rimangono stupefatti dal Piano Schuman che indirizza l’Europa verso la coppia franco-tedesca e verso una piccola Europa. Non sorprende, quindi, che contro il Piano Schuman si attivi una fronda dei servizi anche a livello ministeriale. Il ministro delle Finanze Maurice Petsche prende contatto segretamente con il cancelliere dello Scacchiere Stafford Cripps per creare un fronte comune dei sostenitori della cooperazione attraverso l’OECE.

Il progetto Schuman-Monnet non rientra nelle preoccupazioni dei parlamentari francesi che fanno parte dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa. L’idea di un’autorità specifica che non faccia riferimento al Consiglio d’Europa è estranea alle loro concezioni. Il Piano Schuman, che sfocia nel Trattato CECA dell’aprile 1951 creando un’Alta autorità del carbone e dell’acciaio, rappresenta una vittoria dei franchi tiratori francesi (v. Trattato di Parigi).

Il fallimento annunciato della CED e della CPE

Qualche mese più tardi le élites politiche devono confrontarsi con i progetti per la costituzione di una Comunità europea di difesa e di un’Autorità politica europea (APE) (v. anche Comunità politica europea). La proposta di un esercito europeo proviene da Monnet, ma viene presentata all’Assemblea nazionale il 24 ottobre 1950 e i servizi prendono in mano i negoziati.

L’appello alla riconciliazione franco-tedesca era al centro della Dichiarazione Schuman, ma il passaggio da un’organizzazione tecnica europea del carbone e dell’acciaio ad una politica e militare suscita maggiori difficoltà. Pochi francesi sono disposti ad accettare il riarmo tedesco. Le immagini irreali di rapporti franco-tedeschi vanificano la buona volontà: l’ambasciatore René Massigli evoca l’avanzata tedesca del 1940. Il generale Crépin non ha alcuna fiducia in un esercito tedesco integrato in un’armata alleata. E come accettare la soppressione dell’esercito francese?

Dopo la firma del Trattato CED il 27 maggio 1952 le élites sono imbarazzate, tanto più che è necessario dare un quadro politico a quest’esercito europeo. A chi dovrà obbedire? Inoltre nel 1952 si installa l’Assemblea ad hoc dei Sei per avanzare delle proposte relative all’Autorità politica europea. Gli uffici del nuovo ministro degli Esteri Georges Bidault, nel gennaio 1953, temono gli effetti negativi della CED e dell’APE sulle responsabilità mondiali della Francia. I servizi economici si oppongono ad un progetto di mercato comune proposto dall’olandese Johan Willem Beyen. Il professor Gros, giureconsulto del Quai d’Orsay, scrive: «Se la nozione di estensione dei poteri fosse adottata ci si può chiedere se gli storici, in seguito, non indagheranno con stupore sul motivo per cui la Francia stessa abbia aperto il problema della sua successione». La burocrazia rifiuta quindi un’APE a tre piedi (CECA, CED e Mercato comune). Prudenza od ostilità verso i due progetti si spiegano in quanto gli attributi essenziali della sovranità nazionale sono messi in discussione. L’integrazione presuppone la fine della moneta francese: rischia di provocare la pastoralizzazione della Francia, il crollo economico del paese nelle sue colonie e la concorrenza fra regioni ricche e povere. Bidault respinge l’idea di un Mercato comune. Se l’Europa è il «nostro destino» – dichiara – «le patrie sono sacre».

Il dibattito politico e sociale in Francia rimette in discussione le costruzioni europee di tipo federale (v. Federalismo). Non sorprende quindi che l’Assemblea nazionale, il 30 agosto 1954, voti contro il trattato della CED.

L’Unione europea occidentale (UEO)

Il fallimento della CED non risolve il problema del riarmo tedesco. Pierre Mendès France si rende conto che gli Stati Uniti sono decisi a riarmare la Repubblica Federale Tedesca e a limitarsi a difendere solo la periferia dell’Europa in caso di attacco russo. Mendès France e Winston Churchill propongono l’allargamento alla Germania e all’Italia del Patto di Bruxelles del 1948 con la denominazione di Unione dell’Europa occidentale (UEO). Quindi la Germania entrerebbe nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) sotto il controllo dell’UEO. Gli accordi di Londra del 3 ottobre 1954 dispongono il riarmo della Germania (12 divisioni). Non avrà in dotazione armi atomiche, chimiche e batteriologiche, né un’aviazione strategica. Stipulerà un accordo con la Francia per la Saar e per 50 anni in Germania saranno di stanza truppe britanniche e americane. Gli accordi di Parigi del 23 ottobre 1954 mettono fine al regime di occupazione in Germania occidentale. L’UEO è soggetta militarmente alla NATO, lo statuto di Berlino è garantito dai tre occidentali. Questi accordi, ratificati con difficoltà dall’Assemblea nazionale francese e dal Consiglio della Repubblica, inducono i sovietici a denunciare il patto franco-sovietico del dicembre 1944 e a creare il Patto di Varsavia.

La costruzione delle Comunità europee

A causa del fallimento della CED a Parigi, la Francia non si sbilancia sulla costruzione europea. In vista di un rilancio auspicato dai belgi il Quai d’Orsay si mostra interessato solo allo sviluppo dell’energia atomica. Il Commissariato per l’energia atomica (CEA) pensa alla costruzione di un laboratorio per la separazione isotopica in cooperazione con i tedeschi. I Paesi del Benelux redigono un memorandum su iniziativa di Paul-Henri Spaak, Beyen e Monnet per la Conferenza di Messina della CECA, alla fine di maggio del 1955. La conferenza, alla quale partecipa il ministro degli Esteri Antoine Pinay, decide di creare un Comitato intergovernativo sotto la direzione di Spaak per studiare le possibilità di integrazione. Il negoziatore francese, Félix Gaillard, smontare riesce a sormontare le diffidenze, ma i servizi rifiutano qualsiasi istituzione sovranazionale. Il punto centrale è la costruzione del laboratorio per la separazione isotopica, mentre il Mercato comune continua ad allarmare i francesi.

Ma le elezioni del gennaio 1956 cambiano le carte in tavola sul fronte europeo perché sale al potere una maggioranza progressista, il Front républicain, guidata da un europeista convinto, Guy Mollet (PS-SFIO, Parti socialiste-Section française de l’internationale ouvrière), assistito da Christian Pineau (PS-SFIO) agli Esteri e da Maurice Faure (radicale) agli Affari europei. Alla conferenza di Venezia (maggio 1956) Pineau annuncia che la Francia accetta l’apertura dei negoziati sul Mercato comune e sull’Europa atomica, perché Mollet è consapevole che la Francia da sola non può più influenzare durevolmente le relazioni internazionali. I servizi dei ministeri francesi continuano a sollevare obiezioni contro il Mercato comune, a eccezione del ministro della Francia d’oltremare Gaston Defferre. Quest’ultimo vorrebbe creare un “mercato comune euroafricano”, quindi chiede e ottiene la creazione di un fondo di investimenti per i paesi e i territori d’oltremare (TOM) (v. Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea) noto come Fondo europeo di sviluppo, in cambio del libero accesso dei mercati dei TOM francesi per i paesi del Mercato comune. Defferre si rende conto che associare i TOM all’Europa occidentale agevolerà la transizione postcoloniale.

Il lavoro dei negoziati per i due trattati è guidato da Faure con l’aiuto di Robert Marjolin, Alexandre Verret ed Émile Noël. Mollet e Pineau sono categorici: la Francia tratta duramente il riconoscimento delle preferenze agricole comunitarie. Sorge una serie di difficoltà a livello di Politica sociale, che i francesi superano grazie ad una serie di clausole sospensive. Il Conseil national du patronat français (CNPF) accetta il Mercato comune, ponendo alcune condizioni, per non correre il rischio di un isolamento autarchico. I Trattati dell’Euratom e della Comunità economica europea sono firmati al Campidoglio a Roma il 25 marzo 1957. In Francia vengono ratificati rapidamente, malgrado il voto negativo di Mendès France, con 342 voti contro 239.

La politica europea di De Gaulle

Il periodo 1958-1969 è senz’altro dominato dalla personalità di Charles de Gaulle e dalle sue idee sull’Europa “europea”.

Un primo periodo favorevole per il Mercato comune è quello compreso fra il 1958 e il 1962. In effetti, dopo una brillante riforma economica e finanziaria la Francia è in grado di sostenere la concorrenza europea. Quindi de Gaulle accetta la prima tappa del Mercato: «Approvo anche il Mercato comune. È conforme agli interessi della Francia. È un trattato commerciale e niente di più, non se abbiano a male quelli che pretendono dell’altro», dichiara nel 1961. La sua politica è conforme agli interessi della Commissione europea quando si oppone alla zona di libero scambio proposta dai britannici, che non prevede politiche comuni né di solidarietà. D’altronde il ministro degli Esteri Couve de Murville interrompe i negoziati il 15 novembre 1958. De Gaulle, sostenuto da Konrad Adenauer, appare come il difensore del Trattato di Roma. I britannici reagiscono creando l’Associazione europea di libero scambio (EFTA) con i Paesi scandinavi, l’Austria, la Svizzera e il Portogallo il 4 gennaio 1960. La Politica agricola comune (PAC), lanciata il 30 giugno 1960, si fonda sulla libera circolazione dei prodotti agricoli, le organizzazioni comuni di mercato, prezzi unificati e garantiti, la preferenza comunitaria, la solidarietà finanziaria. De Gaulle è soddisfatto, mentre si oppone all’Euratom che non sceglie la filiera dell’U-238 (naturale) per le centrali atomiche, preferendo il modello americano delle centrali a U-235 (arricchito).

Il fallimento del Piano Fouchet

I rapporti si fanno tesi in seguito al fallimento del Piano Fouchet. De Gaulle propone un’unione politica a sei, il 16 giugno 1959, per «costruire l’Europa occidentale creando un raggruppamento politico, economico, culturale e umano, organizzato per l’azione, il progresso, la difesa». Monnet, Marjolin, Spaak danno la loro piena approvazione. Ma le diffidenze vengono a galla perché de Gaulle continua a essere l’uomo che ha “una certa idea della Francia” e dell’Europa. La Germania e l’Italia, pilastri dell’Alleanza atlantica, temono un allentamento dei rapporti con gli Stati Uniti. Gli olandesi vorrebbero una partecipazione immediata degli inglesi. Alcuni paesi temono la sparizione delle Istituzioni comunitarie a favore di quest’unione politica intergovernativa.

Ma i Sei, nel febbraio 1961, creano una commissione presieduta da Christian Fouchet. Il 18 luglio annunciano l’intenzione di creare un’Unione di Stati europei, costituita da un Consiglio dei capi di Stato e di governo. Tuttavia Joseph Luns, ministro olandese degli Esteri, si oppone a qualsiasi politica estera comune senza la partecipazione della Gran Bretagna e a qualsiasi politica di difesa fuori della NATO. È chiaro che il generale incute timore. E lo stesso de Gaulle rafforza queste diffidenze modificando il progetto di unione politica il 18 gennaio 1962: le istituzioni della CEE dovrebbero essere subordinate all’organo di cooperazione intergovernativo, mentre è scomparso il riferimento all’Alleanza atlantica. Il 17 aprile 1962, a Parigi, i ministri degli Esteri dei Sei constatano il fallimento del progetto di un’Unione di Stati indipendenti. Il 15 maggio 1962 de Gaulle critica pubblicamente l’Europa integrata sotto una guida straniera. Nelle intenzioni del capo dello Stato il Trattato dell’Eliseo del 22 gennaio 1963 dovrebbe compensare il fallimento del Piano Fouchet.

La crisi delle Comunità

Il 14 gennaio 1963 de Gaulle rifiuta anche l’adesione della Gran Bretagna alle Comunità europee perché è troppo dipendente dagli Stati Uniti. Avrebbe voluto che la Gran Bretagna partecipasse ad una difesa comune europea. Ma deve constatare che la Gran Bretagna si lega agli Stati Uniti acquistando da questo paese missili Polaris (accordi di Nassau del dicembre 1962), mentre il primo ministro Harold Macmillan nel giugno 1962 aveva dichiarato: «l’Inghilterra di Kipling è morta». Monnet e i suoi amici, il 25 aprile 1963, riescono a far votare al Bundestag un preambolo al Trattato dell’Eliseo in cui si ribadisce il legame dell’Europa con la NATO e la necessità di accogliere la Gran Bretagna. Inoltre de Gaulle rifiuta il partenariato atlantico che John Kennedy ha proposto nel discorso dell’Independence Day del 4 luglio 1962 a Filadelfia. Monnet e Kennedy auspicano relazioni atlantiche economiche, e poi politiche e militari, più strette. Al contrario, de Gaulle si è opposto energicamente al progetto di forza multilaterale che avrebbe concretizzato questo partenariato. Per il generale un rapporto egualitario fra Europa e Stati Uniti è possibile solo a patto che l’Europa unita definisca i suoi obiettivi e si garantisca la sicurezza con i propri mezzi alleandosi con i Paesi amici.

Ormai de Gaulle si oppone ai suoi partner del Mercato comune. Denuncia tre miraggi: la sovranazionalità, l’integrazione, l’atlantismo. Walter Hallstein, presidente della Commissione per il Mercato comune, lavora per ampliare i poteri della Comunità, mentre si prospetta il passaggio alla terza tappa del Mercato comune, quella in cui le decisioni saranno prese a Maggioranza qualificata. La Commissione auspica di disporre di risorse comunitarie proprie, quindi di aumentare i poteri di controllo finanziario del Parlamento europeo. Secondo Hallstein il voto a maggioranza deve imporsi al Consiglio dei ministri. Quindi, facendo leva su un ritardo nell’adozione dei regolamenti finanziari definitivi della PAC, fissati per il 30 giugno 1965, de Gaulle decide di lasciare vuoto il seggio della Francia nelle istituzioni comunitarie. Infatti, per bloccare Hallstein, vuole rinviare il passaggio al voto a maggioranza qualificata al Consiglio, previsto dal Trattato il 1° gennaio 1966. Per sei mesi la Francia non è più rappresentata e le istituzioni funzionano a cinque. Nel frattempo de Gaulle vince al secondo turno le elezioni presidenziali del dicembre 1965. La crisi è risolta nel gennaio 1966 grazie alle diplomazie di Lussemburgo e Belgio. Il Compromesso di Lussemburgo del 30 gennaio 1966 stabilisce che nel caso in cui l’interesse vitale di uno Stato sia messo in gioco da una proposta della Commissione, il voto a maggioranza qualificata sia sospeso il tempo necessario di accordarsi per i paesi membri, tornando al funzionamento del Voto all’unanimità. Quando deve essere nominato un nuovo presidente a capo della Commissione unica nel 1967, Jean Rey ottiene il sostegno della Francia contro Hallstein.

Questa crisi impedisce la ripresa di un dialogo sereno sull’adesione britannica. De Gaulle la respinge nuovamente nel novembre 1967 scandalizzando i suoi partner. Le relazioni con gli Stati Uniti, come nel 1962, sono la chiave di volta del conflitto. De Gaulle ha preso posizione contro la guerra in Vietnam sostenuta invece dalla Gran Bretagna. Ha ritirato la Francia dalla struttura militare integrata della NATO, mentre la Gran Bretagna prende violentemente posizione contro la Francia. Il generale ha dichiarato di aver temuto un “assorbimento atlantico” se avesse accettato l’ingresso dell’Inghilterra. I paesi piccoli «si immaginano» che de Gaulle voglia imporre una sorta di «prepotenza francese sull’Europa» (Boegner). Un tentativo di uscire dalla crisi messo in atto da Christopher Soames, genero di Churchill e ambasciatore britannico in Francia, e de Gaulle si trasforma in una trappola. Durante un colloquio segreto de Gaulle prende in considerazione la fine delle Comunità e anche una vera e propria concertazione franco-britannica a scapito degli altri paesi europei. La conversazione viene deliberatamente divulgata in seguito a discutibili manovre del Foreign Office e presentata come un progetto gollista di direttorio a quattro (Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna) dell’Europa. Il generale è accusato di slealtà. In realtà, si trattava probabilmente di restituire alle grandi potenze europee la direzione degli affari del continente a scapito della struttura fondata sull’Alleanza atlantica e le Comunità.

De Gaulle ha mancato l’appuntamento dell’unità europea, mentre gli obiettivi di unione politica che progettava erano degni di considerazione.

L’Europa pragmatica di Georges Pompidou

L’eredità del generale de Gaulle è assunta da Georges Pompidou, eletto Presidente della Repubblica il 15 giugno 1969. Pompidou condivide le concezioni del generale de Gaulle sull’identità dell’Europa e il rispetto delle sovranità nazionali. Ma a differenza del suo predecessore considera l’Europa comunitaria non tanto come uno strumento della politica francese quanto piuttosto come una condizione dello sviluppo economico della Francia. Quindi auspica un’unione economica europea e un’Europa in stile confederale.

Pompidou aveva alternative? La posizione della Francia si è indebolita dopo gli eventi del maggio 1968 e la svalutazione del franco, mentre si sta sviluppando la potenza finanziaria ed economica della Germania federale. L’ingresso della Gran Bretagna nell’Europa comunitaria sembra il mezzo adeguato per tenere in scacco la Germania. Pompidou, ben lontano dagli idealisti europei, vuole che l’Europa sia forte – se possibile, su iniziativa della Francia – per affrontare le realtà di un mondo in crisi. Tutta la sua azione europea prende le mosse dal vertice europeo dell’Aia del dicembre 1969, in cui accetta la presenza della Commissione europea.

PAC e risorse proprie: completamento, rafforzamento, allargamento

Durante questo vertice Pompidou accetta l’ingresso della Gran Bretagna nelle Comunità, a patto di completare la politica agricola comune. Un regolamento finanziario definitivo della PAC viene adottato il 21 aprile 1970. Il 22 aprile il Trattato di Lussemburgo aumenta i poteri di controllo finanziari dell’Assemblea parlamentare europea.

Il presidente ottiene dai suoi partner una cooperazione politica sulle questioni internazionali, senza che tuttavia sia presa in considerazione la difesa. Il Rapporto Davignon (v. Davignon, Étienne) propone una “Cooperazione politica europea” in politica estera. Pompidou sarebbe disposto ad accettarla a condizione che a Parigi sia installato un segretariato politico, ma la proposta viene respinta. La cooperazione politica permetterà una concertazione delle politiche estere nazionali in merito al Vicino Oriente, sulla sicurezza e cooperazione in Europa (Conferenza di Helsinki, agosto 1975), sull’“identità europea”.

Il rafforzamento istituzionale comunitario non viene attuato. Pompidou non si fida del metodo comunitario, ritenendo che la Commissione europea debba restare un esecutore più che un esecutivo. Il rilancio europeo del presidente è intergovernativo. In compenso accetta il progetto di Unione europea presentato al vertice di Parigi nell’ottobre 1972, senza che tuttavia i governi riescano ad accordarsi su un “governo europeo” (Monnet), su un Consiglio supremo (Edward Heath) o su un esecutivo europeo reale (Pompidou).

A causa delle difficoltà del sistema monetario internazionale Monnet lancia l’idea di creare un Fondo europeo di riserva per sostenere le monete del Mercato comune. Pompidou accoglie la proposta di un “piccolo FMI europeo” e di un “fondo comune di riserva”. Per capirne di più Pierre Werner, capo del governo e ministro delle Finanze del Lussemburgo, è incaricato di redigere un progetto di Unione economica e monetaria (UEM), presentato l’8 ottobre 1970, che essendo di ispirazione federalista rafforzerebbe le istituzioni europee. Pompidou accetta solo un coordinamento monetario attraverso le banche centrali (idea di un Fondo europeo di cooperazione monetaria), ma non una moneta comune. I tedeschi, al contrario, non concepiscono un’unità economica europea senza una disciplina monetaria comune.

Ma la crisi monetaria internazionale colpisce i Sei: alcuni difendono la parità della loro moneta, libera altri la lasciano fluttuare. Pompidou si aggancia al sistema mondiale di parità fisse che “riaggiusta” con Nixon alle Azzorre (13-14 dicembre 1971) e con gli accordi di Washington dello Smithsonian Institute, il 18 dicembre 1971. Ma essendo consapevoli della debolezza dell’accordo Pompidou e Willy Brandt rilanciano l’UEM. Gli accordi di Basilea del 21 marzo e del 24 aprile 1972 creano il “Serpente monetario” in cui le monete europee fluttuano congiuntamente entro i margini autorizzati dall’accordo di Washington. Il Vertice di Parigi (19-21 ottobre 1972), forte di questo circolo virtuoso, decide di portare avanti il processo dell’UEM. Ma Pompidou rifiuta di sostenere la parità della lira sterlina nel gennaio 1973. Dopo la svalutazione del 10% e la fluttuazione del dollaro, il 13 febbraio 1973, i Nove si rivelano incapaci di costruire una vera UEM. Il Serpente monetario viene mantenuto, ma ben presto questa solidarietà si spezza. L’UEM fallisce perché i Nove non hanno voluto capire che richiedeva trasferimenti di sovranità e che non c’era intesa fra tedeschi e francesi. Si mostrano altrettanto impotenti nell’elaborare posizioni comuni per affrontare l’embargo conseguente alla guerra del Kippur. In ambito industriale e scientifico la Francia vorrebbe che le Comunità fossero coinvolte nella realizzazione di prototipi di supergeneratori e nel progetto francese di laboratorio di separazione isotopica. Ma non vi saranno decisioni comuni.

Questioni delicate devono essere affrontate in merito alle condizioni dell’allargamento: l’associazione delle dipendenze britanniche d’Oltremare, l’importazione dei prodotti agricoli del Commonwealth (bacon, latte, uova, zucchero dei Carabi), il futuro dell’AELE, la quota-parte britannica nel bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea). Pompidou è impaziente, ma riesce a ripianare le difficoltà con Heath all’Eliseo nel maggio 1971. La Gran Bretagna, la Danimarca, l’Irlanda e la Norvegia sottoscrivono l’adesione alle Comunità il 22 gennaio 1972. In Francia l’allargamento è soggetto a referendum, il 23 aprile 1972. I “sì” prevalgono con il 68% dei suffragi, ma ha votato solo il 36% degli elettori iscritti.

Pompidou ha fatto uscire l’Europa dall’isolamento gollista degli anni 1965-1969 e ha riconquistato la fiducia dei partner. Ma le sue iniziative audaci del 1969 sono state insufficienti per raccogliere le sfide del 1973.

L’Europa confederata dei governi di Valéry Giscard d’Estaing

Valéry Giscard d’Estaing è eletto Presidente della Repubblica il 19 maggio 1974 per sette anni. Si definisce «liberale, centrista ed europeo». Ha fatto aderire il suo partito, i repubblicani indipendenti, al Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. È necessario liquidare le questioni del “governo europeo” e delle Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale. La Grecia, il Portogallo e la Spagna vogliono entrare a far parte delle Comunità, mentre la Gran Bretagna esita a restare. Il nuovo presidente è deciso ad attribuire alla Francia la massima influenza negli affari europei, ma senza adottare posizioni offensive per i partner. Giscard d’Estaing propone di realizzare l’Unione europea per il 1980. Pur non essendo un federalista, sente che l’interdipendenza deve prevalere sull’indipendenza degli Stati. L’opinione pubblica avverte che Giscard d’Estaing è favorevole all’Europa comunitaria.

Il Vertice di Parigi del dicembre 1974

Il Vertice di Parigi del 9-10 dicembre 1974, preparato dalla Francia, decide che i capi di Stato e di governo si riuniranno almeno tre volte all’anno nel Consiglio della Comunità e nel Consiglio della cooperazione politica. Il Consiglio europeo sarà riconosciuto dall’Atto unico europeo del 1986. In compenso la Francia approva l’aumento dei poteri finanziari dell’Assemblea parlamentare europea e la sua elezione a suffragio universale. Questa politica suscita violenti attacchi all’interno della maggioranza presidenziale. Jacques Chirac, che è stato primo ministro, l’8 dicembre 1978 lancia “l’appello di Cochin”: «Come sempre – dichiara – quando si tratta di umiliare la Francia, il partito dell’estero è all’opera con la sua voce pacata e rassicurante. Francesi, non ascoltatela». Alle elezioni europee, il 10 giugno 1979, il partito del presidente, guidato da Simone Veil, ottiene il miglior risultato con il 27,6% dei voti.

Per approfondire la cooperazione politica il primo ministro belga Léo Tindemans redige un rapporto, presentato il 29 dicembre 1975, in cui chiede di rafforzare i poteri dell’Assemblea e della Commissione. Nuove competenze dovrebbero essere trasferite progressivamente alle Comunità e per le decisioni (v. Decisione) del Consiglio dei ministri andrebbe deciso il voto maggioritario. Il rapporto, di ispirazione federalista, è accolto sfavorevolmente dalla maggior parte dei governi. Quindi Giscard assume un atteggiamento più prudente di fronte ai gollisti in vista delle nuove scadenze elettorali (legislative del 1978). Il Rapporto Tindemans viene “insabbiato”, quindi la cooperazione politica si sviluppa in modo limitato e spesso declaratorio in merito alla divisione di Cipro o del Vicino Oriente. È adottata una posizione comune in occasione dell’invasione sovietica dell’Afghanistan: sanzioni limitate contro l’URSS invece di un embargo severo. In compenso Giscard d’Estaing riceve uno “schiaffo” quando nel maggio 1980 cerca di portare “la voce dell’Europa” a Varsavia a proposito degli euromissili.

Il Sistema monetario europeo

Il nuovo Presidente della Commissione europea, il britannico Roy Jenkins, rilancia l’unione monetaria nell’ottobre 1977. Ma i tedeschi, guidati dal cancelliere Helmut Schmidt, esigono innanzitutto politiche di austerità finanziaria e la convergenza delle politiche economiche. Il Presidente della Repubblica e il primo ministro Raymond Barre varano una serie di provvedimenti di austerità approvati dalla Repubblica Federale Tedesca. L’Unione monetaria si giustifica ancora di più dopo gli accordi della Giamaica dell’8 gennaio 1976 che fanno del dollaro il parametro monetario al posto dell’oro.

Il Sistema monetario europeo (SME), entrato in vigore il 13 marzo 1979, stabilisce una serie di regole secondo le quali il tasso di cambio di ciascuna moneta deve oscillare entro una banda pari 2,25% (a eccezione dell’Italia, 6%) al di sopra o al di sotto del tasso di conversione centrale. Gli Stati mettono a disposizione del Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM) il 20% delle loro riserve di valute. La banca centrale interessata deve intervenire sul mercato, coadiuvata dalle altre banche centrali della Comunità in caso di divergenza. Giscard d’Estaing non spinge per una trasformazione dello SME in Fondo monetario europeo a causa delle critiche dei gollisti.

La PAC resta un oggetto di discordia fra Schmidt e Giscard d’Estaing, perché i due responsabili non hanno trovato un accordo sul finanziamento del budget comunitario. Non c’è più una politica atomica comune a causa dei precedenti rifiuti della Francia. In compenso viene deciso su iniziativa della Francia l’avvio di una nuova politica comune dell’energia. Malgrado la “rinegoziazione” dell’adesione della Gran Bretagna da parte del laburista Harold Wilson, sancita da referendum favorevole nel giugno 1975, il nuovo primo ministro conservatore Margaret Thatcher esige di ricevere dalle Comunità tanto quanto la Gran Bretagna versa di quota, in nome della teoria non comunitaria del giusto ritorno.

Le associazioni e i nuovi allargamenti

Gli Accordi associativi di Lomé I sono firmati per cinque anni, il 28 febbraio 1975, con 44 Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico (ACP) (v. Convenzioni di Lomé). La Francia ha svolto un ruolo trainante in questo rapporto preferenziale con il Sud. Invece le domande di adesione della Spagna e poi del Portogallo alle Comunità nel 1977 sono in conflitto con gli interessi della Francia. Entra in gioco la difesa degli interessi elettorali del presidente, perché gli agricoltori del Sudest, sostenuti da comunisti e gollisti, sono avversi a queste adesioni. Quindi Giscard d’Estaing adotta una politica dilatoria.

Invece l’adesione della Grecia alle Comunità, avanzata il 12 giugno 1975, è sostenuta solo dalla Francia che vi scorge un vantaggio politico per riequilibrare la situazione verso il Sud mediterraneo senza gli inconvenienti delle adesioni spagnola e portoghese. La Grecia entra a far parte delle Comunità il 1° gennaio 1981.

La presidenza di Giscard d’Estaing è stata feconda per l’Approfondimento dell’integrazione. Il presidente stesso ha dato l’impressione di essere un federalista. In realtà ha mantenuto la linea confederale di Pompidou, pur volendo far convergere – e in questo si è differenziato dai suoi predecessori – le politiche di cooperazione degli Stati e le politiche comunitarie delle istituzioni comunitarie.

La politica europea di François Mitterrand

François Mitterrand ha esercitato la carica suprema per quattordici anni, dal maggio 1981 al maggio 1995, quindi più a lungo del generale de Gaulle. L’originalità della situazione dipende dall’appartenenza del capo dello Stato ad una corrente politica lontana dal potere da ventitré anni, la corrente socialista umanista. L’ascesa al potere di François Mitterrand, europeista dichiarato, non si colloca sotto il segno della solidarietà europea, poiché il governo Mauroy decide un rilancio economico senza concertazione con l’Europa. Tuttavia egli propone ai Dieci, nel giugno 1981 e poi nel 1983, un grande spazio sociale europeo senza ottenere alcuna risonanza. Ben presto, nel marzo 1983, la Francia deve scegliere fra il rigore all’ombra dell’Europa o una nuova esperienza solitaria. Mitterrand accetta di mantenere la Francia nello SME (21-22 marzo 1983) e promette di ridurre il deficit della bilancia dei pagamenti. La scelta europea del governo francese ha salvato il Mercato comune. In cambio la Francia ha beneficiato della solidarietà comunitaria.

La svolta comunitaria è felicemente accompagnata dal rafforzamento dei legami franco-tedeschi quando sale al potere il cancelliere Helmut Kohl, democratico-cristiano, nell’ottobre 1982. La solidarietà fra i due responsabili europei, espressa nel discorso di Mitterrand al Bundestag nel gennaio 1983 a favore degli euromissili, svolge un ruolo essenziale nel rilancio europeo del 1984-1985. L’immagine di Kohl e Mitterrand insieme nel cimitero militare di Verdun, il 22 settembre 1984, trasmette alla coscienza collettiva quella dimensione simbolica che ancora mancava. Motore dell’unità, i rapporti franco-tedeschi conoscono anche delle tensioni in merito al bilancio europeo, all’uso delle armi prestrategiche francesi o alle relazioni con Ronald Reagan.

Il Rinascimento europeo a Fontainebleau (giugno 1984) e Milano (giugno 1985)

Il rilancio europeo di Fontainebleau (v. Accordi di Fontainebleau) e di Milano è opera del presidente, della coppia franco-tedesca e del presidente della Commissione europea Jacques Delors.

La PAC è in parte riformata a Fontainebleau con l’introduzione di quote su un terzo della produzione agricola. La questione dell’assegno britannico viene regolata consentendo alla Thatcher una diminuzione della sua quota parte del budget e ottenendo in cambio che accetti l’aumento delle risorse proprie delle Comunità. Il Consiglio affida a un comitato presieduto dall’irlandese James Dooge il compito di preparare un rapporto sulle questioni istituzionali e a Pietro Adonnino di avanzare delle proposte sull’Europa dei cittadini. Il rapporto Dooge, consegnato il 29 marzo 1985, rivela la coesistenza di due ispirazioni: da un lato, l’ostilità al rafforzamento delle istituzioni, dall’altro l’aspirazione ad un’Europa politica forte. Quindi Mitterrand adotta l’atteggiamento di chi si preoccupa di non provocare uno scontro distruttivo tra le tesi di Bonn e quelle di Londra. In un primo tempo il presidente aveva frenato il processo di adesione di Spagna e Portogallo, poi si era ammorbidito in seguito alla vittoria del PSOE di Felipe González nell’ottobre 1982. E nel 1986 la Comunità europea passa da dieci e dodici membri.

Mitterrand approva le 300 misure a favore del grande mercato interno (giugno 1985) preparate dal nuovo presidente della Commissione europea Delors. Nel giugno 1985 la Francia, la Germania e i tre Stati del Benelux firmano anche la Convenzione di Schengen, che riguarda la graduale eliminazione del controllo alle frontiere. A Milano Mitterrand intende far avallare un Programma comunitario fondato sulla «tecnologia, il mercato interno, la moneta». In compenso temporeggia sulle istituzioni e apre una grave crisi con la Gran Bretagna. Kohl e Mitterrand ottengono la convocazione di una conferenza intergovernativa per riformare i trattati, in seguito al rapporto Dooge e per la realizzazione delle 300 misure del grande mercato unico. Sei mesi più tardi, per modificare i trattati del 1957, viene redatto l’Atto unico europeo che investe sia la sfera comunitaria che la cooperazione politica. Prevede di realizzare il 1° gennaio 1993 un grande mercato interno gestito secondo le regole comunitarie e di innovare in politica estera sulla base della cooperazione. Anche in questo caso l’intesa fra Mitterrand, Kohl e Delors impone il processo alla Thatcher e ai danesi. L’Atto unico europeo, che delinea i contorni di una nuova Unione europea a vocazione politica, è firmato il 17 e il 28 febbraio 1986 a Lussemburgo.

L’Europa dell’eccellenza

Durante la campagna presidenziale nell’aprile-maggio 1988 Mitterrand afferma di voler fare dell’Europa una potenza industriale e uno dei tre poli monetari del mondo con una moneta comune. La costruzione di un’Europa dell’eccellenza, forma moderna della potenza, passa attraverso lo sviluppo di cinque politiche comuni: la moneta, l’alta tecnologia (Eureka lanciato a Parigi nel giugno 1985), l’identità culturale europea, l’Europa sociale e una difesa comune. Mitterrand fa adottare il principio della “personalità culturale” dell’Europa alle assise dell’audiovisivo che si tengono a Parigi il 30 settembre 1989. Si impegna personalmente a favore della Politica degli audiovisivi (televisione ad alta definizione, produzione cinematografica e mediatica per la televisione, creazione di ARTE il 30 aprile 1991). La Francia si batte contro l’egemonia culturale degli Stati Uniti, una battaglia che altri europei non giudicano altrettanto indispensabile. Nell’ottobre 1993 i Dodici definiscono la specificità culturale dell’audiovisivo europeo piuttosto che la peculiarità culturale.

Il progetto di Mitterrand per un’Europa dell’eccellenza passa attraverso la creazione di un’Unione europea in grado di raccogliere sotto un tetto comune le attività delle Comunità (CECA, Euratom, CEE riformata dall’Atto unico) e le iniziative di cooperazione assunte a partire dal 1974 dal Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Le congiunture internazionali (caduta del muro di Berlino, esplosione dell’ex Iugoslavia, implosione dell’URSS) favoriscono un’accelerazione della costruzione europea che passa anche attraverso uno spazio sociale europeo. Mitterrand lo costruisce facendo adottare, nel dicembre 1989, da undici paesi eccetto la Gran Bretagna la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori.

In campo monetario la Francia, appoggiata dall’Italia, chiede alla Germania la creazione di una moneta unica. La Germania potrebbe accettare di perdere il marco tedesco solo in cambio della creazione di una banca centrale europea indipendente – una proposta approvata da Mitterrand. Il “rapporto Delors” del 17 aprile 1989 propone di stabilire delle parità fisse tra le monete, poi di adottare una moneta unica gestita da un sistema europeo di banche centrali. Kohl tergiversa e Mitterrand esorta la Germania a manifestare uno spirito europeo, quando il problema delle frontiere della Germania riunificata avvelena l’atmosfera. Lo stesso Mitterrand introduce il dubbio sulle sue intenzioni annunciando, nel gennaio 1990, un progetto di confederazione europea aperta ai paesi dell’Est.

Kohl e Mitterrand nell’aprile 1990 propongono ai Dodici alcuni obiettivi per l’Unione politica: democratizzazione dell’Unione, voto di maggioranza al Consiglio, coesione economica, politica monetaria dell’Unione, definizione di una Politica estera e di sicurezza comune (PESC). L’Unione politica servirebbe a far “ingoiare” la pillola dell’accresciuta potenza della Germania riunificata. La riforma delle istituzioni è essenziale per Kohl, che per il momento rinuncia all’idea di una Costituzione europea. Due nuove Conferenze intergovernative sono aperte nel 1990, la prima per la Revisione dei Trattati comunitari, la seconda per costituire un’Unione economica e monetaria.

Il dossier della difesa comune europea mette in gioco le relazioni dei diversi paesi della Comunità con gli Stati Uniti. L’intesa franco-tedesca funziona male sulla difesa: per superare i disaccordi Mitterrand propone a Kohl l’integrazione di forze francesi e tedesche. Il 22 gennaio 1988 vengono creati un consiglio di difesa franco-tedesco, al quale sono invitati italiani e spagnoli, e una brigata franco-tedesca. Mitterrand e Kohl propongono di fare della UEO lo strumento della futura difesa europea, provocando le reazioni di Gianni De Michelis e Douglas Hurd, ministri della Difesa italiano e inglese. Ma nella sorpresa generale gli Stati Uniti accettano il testo franco-tedesco e nel novembre 1991 riconoscono il ruolo delle strutture di difesa europea. Nel maggio 1992 Mitterrand e Kohl annunciano la creazione dell’Eurocorpo a partire dalla brigata franco-tedesca (50.000 unità), destinato ad assicurare missioni di tipo Petersberg definite dalla CIG sull’Unione politica.

Il Trattato di Maastricht

Il Consiglio europeo di Maastricht del 9-10 dicembre 1991 accetta la creazione di un’Unione europea che comprenda le Comunità e le diverse politiche intergovernative dei Dodici. Propone di creare una moneta unica per il 1° gennaio 1999. Ma Mitterrand rifiuta di firmare senza l’impegno inglese a favore della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. Allora Delors riesce a far sottoscrivere un accordo a undici solo sulla carta sociale. La politica estera e di sicurezza comune entra nella sfera della cooperazione intergovernativa. L’intesa franco-tedesca è salvaguardata al prezzo del riconoscimento dell’eccezione sociale e monetaria britannica. Un’Europa a due velocità è un’Europa dell’eccellenza? Alla fine il Trattato di Maastricht viene firmato il 7 febbraio 1992.

Mitterrand aveva annunciato che il Trattato sarebbe stato ratificato tramite referendum per iscrivere la costruzione europea nelle scelte della società francese. Ormai era passato il tempo dei “despoti illuminati”. Per fronteggiare la coalizione eteroclita dei “no” il presidente non cessa di ricordare la persistenza della nazione e della patria francesi. Un voto negativo in Francia avrebbe sfasciato l’intesa franco-tedesca per lungo tempo. L’accoglienza moderatamente favorevole riservata dall’opinione pubblica francese al Trattato – ratificato con il 51,50% dei voti contro il 48,95% – il 20 settembre 1992 evita il peggio.

Kohl e Mitterrand hanno avuto il coraggio politico di tentare un’avanzata europea in ambiti nuovi, intenzionalmente trascurati dagli artefici del Trattato di Roma del marzo 1957: la cultura e l’identità europee, l’aumento dei poteri del Parlamento europeo, una politica estera e di difesa comuni. La ratifica del Trattato dell’Unione europea permette di aprire i negoziati in vista dell’adesione all’Unione dei paesi della vecchia AELE. I Dodici diventano Quindici il 1° gennaio 1995 (v. anche Paesi candidati all’adesione).

Alla fine Mitterrand ha difeso una concezione federale dei rapporti economici e monetari europei. Si è accontentato, per obbligo o per convinzione, di una cooperazione intergovernativa nelle sfere della politica estera e della difesa. Il progetto socialista iniziale del presidente si è scontrato con la diversità ideologica degli altri Stati europei e con l’ispirazione liberale delle Comunità europee. Mitterrand è comunque riuscito a far costruire concretamente delle politiche europee ambiziose: una PESC, un’Europa sociale, un’Europa degli audiovisivi e un’Europa dell’alta tecnologia, in sintonia con il programma socialista. Ha dimostrato cosa sia un’Europa dell’eccellenza.

Continuità e cambiamenti di Jacques Chirac

Il periodo 1995-2002 è contrassegnato da una novità sul piano politico: la lunga coabitazione fra un Presidente della Repubblica conservatore e neogollista, Jacques Chirac, eletto nel maggio 1995 e rieletto nel maggio 2002, e un primo ministro socialista, Lionel Jospin, a capo di una maggioranza composita: Parti communiste français (PCF), Verdi, Radicali di sinistra e Socialisti).

Chirac non è mai stato all’avanguardia nella battaglia comunitaria europea, come dimostra l’“appello di Cochin” del 6 dicembre 1978. All’opposizione o come primo ministro della coabitazione (1986-1988), sotto Mitterrand, Chirac non è un pioniere dell’unità europea. Nel 1986 è contrario all’Atto unico europeo, ma una volta diventato primo ministro lo fa ratificare. Contrasta l’ingresso della Spagna e del Portogallo nelle Comunità, ma l’accetta nel 1986. Ancora nel 1990 non crede nella moneta unica e definisce visionari i suoi artefici nel 1998.

Una volta eletto presidente Chirac pone fine alle idee di rifondazione europea ed esorta il governo di Édouard Balladur a mettere la Francia in condizione di partecipare all’UEM. L’arrivo al potere come primo ministro del socialista Jospin, nel giugno 1997, riapre il dibattito sulla politica europea della Francia, perché Jospin pone delle condizioni per il passaggio alla moneta unica e per il Patto di stabilità e crescita adottato dai Quindici nel maggio 1997. La sinistra, molto reattiva, ritiene che la crescita non sia presa in considerazione a sufficienza e Jospin reclama l’aggiunta di un capitolo sociale al patto di stabilità. L’ex presidente della Commissione europea Jacques Delors approva il tema, molto nuovo per l’epoca, del governo economico europeo. Tuttavia Jospin deve rassegnarsi al patto di stabilità, accettato in precedenza da Chirac, in nome della continuità della politica estera. Ottiene comunque un Consiglio europeo dedicato alla politica sociale a Lussemburgo, il 21-22 novembre 1997. Chirac ha imposto la sua linea, ma poiché la situazione economica europea va peggiorando, il patto di stabilità è oggetto di critiche. Il presidente le riprende nel 2002 mettendo in discussione insieme al capo del governo italiano Silvio Berlusconi la soglia del deficit massimo del budget degli Stati membri (3% del PIL).

I progetti di difesa europea

Il dossier della difesa europea acquista risalto a causa della crescita del pericolo a livello internazionale. Il governo Balladur ha proposto di organizzare un “sistema di difesa” europeo dopo la guerra del Golfo e la guerra nella ex Iugoslavia, quando gli europei hanno dovuto rivolgersi alla NATO e agli Stati Uniti. Chirac, essendosi avvicinato alla NATO nel dicembre 1995, accetta di inquadrare il dossier della difesa europea nell’ambito dell’Alleanza atlantica, ottenendo l’approvazione di Berlino nel 1996. L’impiego da parte dell’UEO di gruppi di forza interarma multinazionali (GFIM), sotto il comando europeo, dovrà dipendere dal consenso dell’Alleanza e quindi degli Stati Uniti. Ma si tratta di una difesa “europea”?

I progressi più consistenti provengono dal vertice franco-britannico di Saint-Malo del dicembre 1998, che vede Chirac, Jospin e Tony Blair condividere uno stesso approccio al problema. La dichiarazione sulla difesa europea sembra richiamarsi al quadro giuridico dell’Alleanza atlantica del 1996. Ma per la prima volta il riferimento all’Alleanza non è esclusivo: «L’Unione europea dovrà poter ricorrere ai mezzi militari adeguati (mezzi europei preidentificati all’interno del pilastro europeo della NATO, o mezzi nazionali e multinazionali esterni al quadro della NATO)». I due paesi affermano che la difesa europea è una questione che riguarda i grandi Stati dell’Unione. Saint-Malo ha rappresentato una vera politica intergovernativa al servizio dell’Unione. Ha permesso al Consiglio europeo di Helsinki, nel dicembre 1999, di decidere la creazione di una Forza di reazione rapida europea di 60.000 persone, con 400 aerei da combattimento e 100 navi, adeguata ad affrontare le missioni dette di Petersberg. Ma a questa forza manca l’autonomia per i servizi informativi, le armate guidate, i trasporti. Inoltre la creazione parallela di una forza di reazione rapida della NATO di circa 21.000 persone indebolisce lo sforzo propriamente europeo. «La forza dell’Alleanza serve per fare la guerra, quella dell’Europa per mantenere la pace», avrebbe detto un alto responsabile della NATO. In seguito, con la fine della coabitazione, francesi e tedeschi hanno proposto alla Convenzione sull’avvenire dell’Europa di creare un’Unione europea di sicurezza e di difesa con un numero limitato di paesi membri e una collaborazione in materia di armamenti. Le cooperazioni rafforzate sono inserite nel progetto di Costituzione europea. L’idea di una difesa europea autonoma è progredita? La forza di reazione rapida è limitata sul piano tecnico e operativo, in quanto i paesi europei continuano a non essere convinti dell’opportunità di creare un grande strumento militare europeo, conservando la loro fiducia nel ruolo di protezione degli Stati Uniti. Il Presidente della Repubblica ha riconosciuto, pur senza dichiararlo, che è impossibile mantenere una politica di indipendenza nazionale. Sta proponendo per caso uno scopo ambizioso all’Unione europea?

Gli Stati, motori delle istituzioni dell’Unione europea per Chirac

Una conferenza intergovernativa è incaricata di riformare le istituzioni in vista dell’allargamento. Il Presidente della Repubblica propone di prolungare la durata del mandato di Presidenza dell’Unione europea a tre anni invece di sei mesi e di aumentare le sue capacità di iniziativa di fronte alla Commissione. Inoltre la Commissione dev’essere responsabile di fronte al Consiglio dei ministri. Infine, Chirac vorrebbe associare i Parlamenti nazionali all’opera comunitaria e sottoporre la revisione del trattato a un referendum popolare. Dunque il presidente spinge affinché gli Stati dispongano di uno spazio più ampio all’interno delle istituzioni. Il Trattato di Amsterdam del 1997 è un mezzo fallimento perché la riforma delle istituzioni si rivela impossibile. Chirac se ne accontenta dichiarando che non si deve «confondere la fretta con la precipitazione». Jospin ha approvato e fatto della ratifica del Trattato una delle sue priorità politiche.

La questione delle istituzioni è sollevata nuovamente nel secondo trimestre del 2000 da una nuova conferenza intergovernativa, mentre Chirac, il 4 luglio 2000 a Strasburgo, espone il programma della presidenza francese: preparare l’allargamento, porre l’Europa al servizio della crescita, dell’occupazione e del progresso sociale, avvicinare l’Europa ai cittadini, infine affermare il ruolo dell’Europa nel mondo. Qualche giorno prima, di fronte al Bundestag, ha prospettato l’elaborazione di una Costituzione europea. Il Consiglio europeo di Nizza del 7-10 dicembre 2000, dal punto di vista del Presidente della Repubblica, è un successo: la Commissione avrà un numero di commissari inferiore a 27 e poteri rafforzati. Il suo presidente sarà designato a maggioranza qualificata dal Consiglio dei ministri. Viene esteso l’ambito del voto a maggioranza qualificata. Chirac crede anche in un’identità culturale europea. La nuova regola di Ponderazione dei voti nel Consiglio assegna un poco più di spazio ai paesi più popolati. Sono possibili Cooperazioni rafforzate. Chirac spiega che è necessaria «una federazione di Stati-nazione».

Quali istituzioni vuole Chirac per l’Europa? Si delinea una continuità: le istituzioni comunitarie devono permettere di creare delle cooperazioni rafforzate, consentire ai grandi Stati di decidere più facilmente all’interno del Consiglio. Inoltre, per le poste in gioco che a Chirac appaiono prioritarie – le misure sociali, la fiscalità, la coesione – deve prevalere la regola dell’unanimità.

 La federazione di Stati-nazione e l’avaria franco-tedesca

Jospin approva le decisioni di Nizza, ma intendere lascia trapelare la sua disparità di vedute sull’estensione del voto a maggioranza qualificata e sulla politica sociale. Si è mostrato senz’altro troppo reticente sull’Unione europea. Il 28 maggio 2002 risponde pubblicamente nel suo discorso sull’Europa: «Poiché non sono un europeista tiepido, non accetto un’Europa sbiadita». In fondo propone anche lui una federazione di Stati-nazione, rifiutando un tipo di federazione sul modello nordamericano. Vuole approdare ad un “trattato sociale europeo” per mantenere servizi pubblici forti ed efficienti e realizzare una politica industriale ambiziosa. La differenza rispetto a Chirac sembra tenue, fuorché sulla politica sociale. Ma in realtà il presidente insiste quasi esclusivamente su istituzioni europee forti a livello di presidenza dell’Unione, mentre il primo ministro cerca di dare un contenuto sociale e di cittadinanza al progetto europeo. Jospin ritiene che la politica europea debba governare la mondializzazione e battersi contro la disoccupazione. La sua è un’Europa con un contenuto ideologico keynesiano e di redistribuzione, mentre Chirac crede in un’Unione europea degli Stati.

La storia ha tramandato le coppie celebri dell’intesa franco-tedesca: ora, è impossibile annoverare tra queste coppie Chirac e Gerhard Schröder o Jospin e Schröder. Tuttavia il 1995 è un’annata favorevole per il motore franco-tedesco. Chirac e Kohl preparano insieme l’ordine del giorno del Consiglio che lancia la conferenza intergovernativa per il Trattato di Amsterdam. Nel corso del Consiglio franco-tedesco di Norimberga del dicembre 1996 viene definito il concetto di difesa europea. La vittoria di Jospin nel giugno 1997 preoccupa i tedeschi, quindi il 1997 è un anno difficile. Francesi e tedeschi dissentono sulla procedura di voto in seno al Consiglio dopo gli allargamenti. Chirac vuole un francese a capo della futura Banca centrale europea (BCE). Le prese di posizione francesi e tedesche sulla PAC sono antitetiche. Il vertice franco-inglese di Saint-Malo nel 1998 sembra sconfessare la cooperazione franco-tedesca, quello franco-tedesco del giugno 2000 a Magonza la rilancia, come testimoniano «i progressi nella costruzione di un’Europa degli armamenti, insieme alla scelta comune di Berlino e di Parigi per l’aereo di trasporto militare europeo, l’Airbus A 400 M, malgrado le reticenze molto nette dei militari tedeschi, o il rilancio di un progetto per un sistema di osservazione satellitare europeo indipendente», come spiega un giornale. Ma questi progressi non riguardano specificamente gli affari comunitari.

I rapporti franco-tedeschi a Nizza sono molto conflittuali. Chirac e Jospin si sono battuti per ottenere la parità dei voti in Consiglio con la Germania, malgrado la differenza di popolazioni. Berlino è irritata per il «degrado delle relazioni franco-tedesche prima e durante il Consiglio europeo di Nizza», spiega “Le Monde”. La cena franco-tedesca a Blaesheim (Basso Reno) il 31 gennaio 2001 rimette in carreggiata la cooperazione fra i due paesi. Il rafforzamento dell’intesa franco-tedesca è indispensabile per arrivare all’allargamento e per costruire un’Europa potenza.

Con la fine della coabitazione vengono avanzate delle proposte comuni in merito al calendario dei negoziati con la Turchia, all’agricoltura, alla difesa e alla polizia. La Germania accetta di rinviare al 2006 la diminuzione degli aiuti agli agricoltori che Parigi rifiuta a priori. Tedeschi e francesi, e anche gli inglesi, ritengono che l’Unione debba essere dotata di un presidente. La Francia e la Germania cercano di rafforzare il coordinamento economico all’interno della zona Euro. La fine del 2002 è un momento positivo dei rapporti franco-tedeschi. Chirac e Schröder non devono fare i conti con le preoccupazioni elettorali e quindi si muovono con maggior libertà.

Alla fine dei dieci anni del suo mandato quale visione dell’Europa ha trasmesso il Presidente Chirac? Alcuni temi sono ricorrenti nelle sue dichiarazioni: un’Europa dei cittadini e dei popoli, un’Europa potente nelle relazioni internazionali. Egli evoca la diversità culturale dell’Europa unita, celebra i paesi fondatori dell’unità ma vuole allargare l’Europa alla Turchia. Per mitigarne gli effetti nefasti, si batte per la creazione di un gruppo d’avanguardia e di cooperazioni rafforzate. Spiega che un’Europa unita non può esistere senza essere profondamente segnata dalla Francia. Assimila l’identità europea ad una «certa idea dell’uomo che ha dato al progetto europeo il suo orizzonte di libertà, di dignità, di tolleranza, di democrazia» Pone l’accento sulla dimensione “protettrice” dell’Europa. Propone anche un “modello sociale europeo” che fa della lotta contro il “dumping sociale” uno degli obiettivi prioritari. Tuttavia i discorsi del presidente non parlano del senso della costruzione europea, «del “progetto civilizzatore” e geopolitico che l’Europa dovrebbe incarnare», osserva Bernard Cassen. Europeista, Jacques Chirac? «Sono profondamente europeo europeista […] non un euro-realista, ma un euro-entusiasta sulle grandi questioni di fondo», afferma. In realtà il presidente ha sposato in seconde nozze il federalismo europeo di Monnet e di Mitterrand. La fede europea di Chirac è apparsa tiepida. È stato a lungo antieuropeista, per poi aderire gradatamente alla costruzione europea. Perché? Quest’uomo pragmatico, preoccupato di conquistare e di esercitare il potere, non possiede una visione pazientemente elaborata dell’Unione europea. Reagisce da nazionalista moderato che gestisce la necessità da parte della Francia di subire l’Europa. Chirac, al quale viene rinnovato il mandato presidenziale nel maggio 2002, ha comunque la possibilità di segnare la storia e di contribuire al bene dell’Europa unita. La questione irachena nel 2003 dimostra che non è riuscito a far adottare dai Quindici una linea comune. Deciso a far ratificare il progetto di trattato costituzionale tramite referendum, il Presidente della Repubblica non capisce che gli elettori sono pronti a sanzionare duramente il fallimento della politica interna del suo governo (Raffarin) e che l’Europa comunitaria non è più sentita da molti francesi come una protezione contro la mondializzazione liberale. Il 29 maggio 2005 il progetto di trattato costituzionale è respinto dal 54,68% dei votanti contro il 45,32%, facendo precipitare l’Europa dei 25 in una grave crisi di fiducia.

«Fare l’Europa senza disfare la Francia», affermava Georges Bidault nel 1953. In sessant’anni di costruzione lenta dell’unità l’Europa non ha disfatto la Francia. Ma i dirigenti politici di questo paese non hanno ancora capito che l’identità francese del XXI secolo potrà svilupparsi pienamente solo nelle proposte che la Francia farà perché l’Unione diventi un attore globale del nostro mondo. Guy Mollet, fra i capi di governo, Valéry Giscard d’Estaing e François Mitterrand fra i presidenti, l’hanno compreso meglio di altri.

Gérard Bossuat (2005)




Francis Arthur Cockfield




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Francisco Lucas Pires




Franco Bobba




Franco Maria Malfatti




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