Giacchero, Enzo

Di famiglia cattolica di origine astigiana, G. (Torino 1912-ivi 2000) frequentò a Torino il liceo classico Massimo D’Azeglio, dove ebbe per insegnante Augusto Monti. Dopo la maturità si iscrisse al Politecnico di Torino, dove nel 1934 si laureò in ingegneria civile. Fu assistente di Gustavo Colonnetti alla cattedra di Scienza delle costruzioni fino al 1940, quando fu chiamato alle armi nel Genio ferrovieri e inviato in Albania e in Iugoslavia. Nel 1942 seguì un corso alla scuola di paracadutismo militare di Tarquinia e fu inserito nella divisione Folgore. Inviato in Africa settentrionale nella zona di El Alamein come comandante di compagnia, rimase ferito nel corso di una azione bellica e dovette subire l’amputazione di una gamba.

Risvegliatosi dall’anestesia in una tenda ospedale del deserto africano, si trovò a fianco un prigioniero inglese cui erano stati amputati i piedi. Per farsi coraggio l’un l’altro si presero per mano, confortandosi a vicenda. «Quel giorno», disse G. rievocando l’episodio alla Camera dei Deputati, «in cui ebbi una grande disgrazia, ringraziai il cielo che mi aveva dato questa grande luce di verità di comprendere che quell’uomo, che poche ore prima credevo un nemico, ora lo ritrovavo fratello per sempre» (“Atti parlamentari”, Camera dei deputati, seduta del 4 dicembre 1948, pp. 5109-5110). Fu allora che G. comprese appieno che gli europei, «nati e cresciuti nello spirito cristiano», potevano unirsi e si ripromise di fare quanto poteva per contribuire a raggiungere questo risultato.

Decorato di medaglia d’argento al valor militare, rimpatriato e congedato, dopo l’8 settembre G. prese parte attiva alla Resistenza nella VI divisione alpina “Asti”, che operò sulla riva sinistra del Tanaro. All’indomani della liberazione fu nominato prefetto di Asti, carica che detenne fino al 28 febbraio 1946, quando fu sostituito da un prefetto di carriera. La buona prova data in qualità di prefetto favorì sua elezione all’Assemblea costituente nelle file della Democrazia cristiana per il collegio Cuneo II con 21.687 preferenze.

All’Assemblea costituente l’attività di G. fu volta prevalentemente alla diffusione dell’ideale europeista. Entrato in contatto con Richard Coudenhove-Kalergi, costituì il Comitato parlamentare italiano per l’Unione europea (29 maggio 1947), di cui fu nominato presidente provvisorio. Al Comitato aderirono più di duecento parlamentari italiani di tutti i partiti rappresentati all’Assemblea costituente, ad eccezione di quello comunista. Dei socialisti nenniani aderì un solo parlamentare, Gino Pieri, che però si ritirò ben presto. G., cha aveva aderito poco prima al Movimento federalista europeo, partecipò al convegno di Gstaad (4-5 luglio 1947) durante il quale fu fondata per impulso di Coudenhove-Kalergi l’Unione parlamentare europea (UPE), di cui il Comitato parlamentare divenne la sezione italiana.

Socialisti e comunisti non avevano aderito all’iniziativa di Coudenhove-Kalergi perché la consideravano antirussa e funzionale alla politica degli Stati Uniti. In realtà, diceva G., Coudenhove-Kalergi si era rivolto esclusivamente ai parlamentari dell’Europa occidentale, in quanto l’adesione era riservata alle assemblee liberamente elette. I paesi che avevano assemblee espressione di un partito unico erano quindi automaticamente escluse. Tra questi paesi G. citava l’Unione Sovietica e i suoi satelliti, ma anche la Spagna franchista.

Dall’8 al 10 settembre 1947 G. fu ancora a Gstaad per il primo congresso dell’UPE, durante il quale fu nominato tra i vicepresidenti. Nell’occasione sostenne che proprio in Italia erano sorte le uniche due esperienze di unione europea, l’impero romano e il cristianesimo «che ancora oggi è l’unico cemento spirituale dell’Europa» (Discorso d’apertura, 8-10 settembre 1947).

Il 14 novembre 1947 G. presentò all’Assemblea costituente una interpellanza (che non venne però discussa in aula), firmata da altri 32 parlamentari di tutti i gruppi, sempre con la eccezione dei comunisti, con la quale si invitava il governo a dare rapida attuazione ai voti formulati dal Congresso di Gstaad, auspicando la rapida costituzione di una forma federale di unione europea (v. anche Federalismo). In seguito fece mettere all’ordine del giorno della Commissione esteri dell’Assemblea costituente la questione dell’Unione europea (25 gennaio 1948), sostenendo l’opportunità di procedere nella via parlamentare suggerita dall’UPE. Presentò anche una proposta al ministro delle poste per l’emissione congiunta in diversi paesi di un francobollo a favore dell’unione dell’Europa. L’iniziativa, che sarebbe stata poi attuata a partire dal 1956, non ebbe allora seguito.

Tra le altre iniziative prese da G. all’Assemblea costituente si possono ricordare la proposta di proibire agli ufficiali e ai sottufficiali dell’esercito di iscriversi a partiti politici (22 maggio 1947) e il voto contrario all’articolo che prevedeva l’intangibilità della forma repubblicana.

Alle elezioni del 1948 G. fu eletto deputato ancora per il Collegio di Cuneo II, con un numero maggiore di preferenze (39.395). Prima delle elezioni aveva sottoscritto l’impegno richiesto dal Movimento federalista europeo ad adoperarsi perché il Piano Marshall facilitasse l’unificazione politica ed economica dell’Europa e venisse convocata in tempi rapidi una Assemblea costituente europea.

Grazie alla sua intensa attività europeistica fu eletto vicepresidente del gruppo parlamentare della Democrazia cristiana e nominato segretario della Commissione esteri della Camera (11 giugno 1948). Poco dopo fu eletto presidente della sezione della Camera del Gruppo parlamentare per l’Unione europea, a cui aderivano 169 deputati.

Il 30 novembre 1948 G. presentò una mozione (che fu approvata il 4 dicembre) con la quale si invitava il governo italiano a dare applicazione all’art. 11 della Costituzione, rinunciando a una parte della propria sovranità – che doveva essere conferita ad un organismo politico europeo – e favorendo la costituzione di una Europa democratica e federale

G. fu cooptato nel Comitato esecutivo del Consiglio italiano del Movimento europeo (CIME), assieme, tra gli altri, a Francesco Carandini e Giovani Benvenuti. Fu poi eletto tra i rappresentanti italiani all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa. Nella sua attività parlamentare incitò spesso il governo a perseguire finalità federalistiche nella politica estera. Nel giugno 1952 fu designato come rappresentante italiano presso l’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), dove rimase fino al 1959, e dovette dimettersi da deputato.

Ricoprì la carica di presidente onorario (1955-1957) e poi effettivo (1957-1960) del Comitato centrale dell’Unione europea dei federalisti. Al suo ritorno in Italia dopo l’esperienza alla CECA preferì, anche a seguito di divergenze sulla linea politica della Democrazia cristiana, dedicarsi alla professione di ingegnere. Fu direttore generale della SATAP, che costruì, tra l’altro, l’autostrada Torino-Piacenza. Negli anni Sessanta fu anche presidente dell’Institut européen des hautes études internationales di Nizza.

Anticomunista convinto, a metà degli anni Settanta G. si avvicinò agli ambienti monarchici e neofascisti, divenendo presidente della Costituente di destra con Mario Tedeschi e Armando Plebe e poi presidente d’onore della Destra nazionale, venendo espulso dal Movimento federalista.

Alfredo Canavero (2010)




Giacinto Bosco




Gianfranco Fini




Gianni de Michelis




Gil-Robles y Gil-Delgado, José María

G.-R. (Madrid 1935) è stato deputato, e poi presidente del Parlamento europeo, nonché presidente del Movimento europeo internazionale. Figlio dell’ex segretario della Confederación española de derechas autónomas (CEDA), sostenitore del colpo di Stato del 1936 ma in seguito oppositore del franchismo, a causa dell’esilio del padre, G.-R. visse per diciassette anni in Portogallo, poi studiò due anni nell’Università dei Gesuiti a Deusto (Biscaglia), partecipò al seminario di studi europei organizzato a Madrid da José Miguel de Azaola e si laureò in legge nell’Università di Salamanca nel 1957. L’anno seguente divenne il responsabile editoriale del “Boletín de Legislación Extranjera”, nel 1959 vinse il concorso come avvocato nelle Cortes e si iscrisse al relativo Ordine professionale. Inoltre, fra il 1964 e il 1968, insegnò Diritto politico presso l’Università Complutense di Madrid. La forte personalità del padre fu senz’altro determinante per le sue prime attività politiche all’interno della Asociación española de cooperación europea (AECE), dal 1957, e del partito clandestino Democracia social cristiana (DSC), dal 1962, del cui Comitato esecutivo entrò a far parte nel 1972. Nel 1964 presenziò come delegato al Congresso mondiale della Democrazia cristiana, tenutosi a Lima, in Perù, e fra il 1977 e il 1979 fu membro del Consiglio direttivo della Unión europea demócrata cristiana (UEDC).

Nel 1968 entrò a far parte del comitato di redazione della rivista d’opposizione “Quadernos para el Diálogo”, alla quale collaborò come editorialista e con articoli sulla politica nazionale e internazionale, fra cui Expedientes disciplinarios a los funcionarios (1969); Ley sindical: principios básicos y regulación efectiva; 1971, año elctoral: análisis de una legislación ed Elecciones a procuradores (1971); Adiós a las armas; Europa: ¿cultura de cristiandad?; Elecciones USA ’72: la molicie americana e Los cimientos de Europa (1972), El movimiento europeo (1973), Democracia cristiana y clases medias e Proyecto de ley del régimen local (1974); Los sucesos de Oporto; Consejo Nacional: la cámara de la fidelidad e Fútbol y derechos humanos (1975). In questi articoli criticò la legislazione e i meccanismi corporativi di rappresentanza del regime franchista, e approfondì due temi abituali trattati dalla rivista: l’eredità culturale cristiana del movimento europeo e l’importanza di quest’ultimo nel garantire i Diritti dell’uomo e la democrazia, soprattutto in rapporto al futuro della Spagna. Come G.-R. stesso avrebbe poi dichiarato, «per noi spagnoli di allora costruire la libertà europea significava conquistare la libertà della Spagna».

In particolare, preparò un numero della serie speciale “Los Suplementos” dal titolo Paz y fueros. El problema del regionalismo en Europa (1974), in gran parte dedicato alla Spagna, in cui sosteneva la necessità di realizzare una politica comunitaria regionale a favore delle regioni meno favorite. G.-R. si avvaleva nelle sue argomentazioni di ragioni morali, ambientali, economiche e politiche per caldeggiare una ridistribuzione regionale della ricchezza e delle risorse attraverso un fondo per lo sviluppo, come quello accordato due anni prima dalla Conferenza di Parigi, e un avanzamento del processo europeo di “regionalizzazione”. L’efficacia tecnocratica del decentramento amministrativo, la democratizzazione politica che avrebbe dovuto avvicinare il governo ai cittadini e il riconoscimento culturale degli antichi particolarismi regionali si combinavano in un «Federalismo integrale, che rivendica l’articolazione dello spazio politico europeo in una molteplicità di livelli (comune, provincia, regione, Stato nazionale, comunità sovranazionale)», perché «risulta difficile, in effetti, difendere la personalità giuridica degli Stati nazionali e i loro valori culturali in un’Europa unita e non rispettare questa stessa personalità e cultura a livello regionale». Come era consueto fra gli europeisti dell’opposizione antifranchista, anche G.-R. criticava le resistenze della Francia verso un’integrazione sovranazionale europea, mettendola in relazione con il suo marcato centralismo interno, e caldeggiava nel caso spagnolo un maggior rispetto per le differenze regionali come unico mezzo per ottenere in futuro la pace e per «poter esigere questo stesso rispetto per i nostri valori il giorno in cui l’Europa sarà politicamente unita» (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Arrestato durante una riunione clandestina nel 1975, nella fase di transizione democratica dopo la dittatura G.-R. partecipò ai negoziati fra opposizione e governo e, alla fine del 1976, fece parte della commissione d’opposizione che elaborò il documento contenente le varie condizioni per accettare il referendum sulla Legge di riforma politica. Nel 1977 fu eletto segretario generale della Federación popular democrática (FPD), nuovo nome della DSC, che confluì nell’Equipo democráta cristiano del Estado español, grande sconfitto alle elezioni legislative del giugno di quello stesso anno. In seguito aderì al Partido popular (PP), del cui Consiglio direttivo nazionale entrò a far parte dal 1990. Nelle sue liste fu eletto deputato europeo nel 1989 e nel 1994, poi vicepresidente del Parlamento europeo dal 1994. Durante questo periodo fece parte delle Commissioni per le petizioni, controllo del bilancio, occupazione e affari sociali, fu presidente della Commissione parlamentare istituzionale e membro della delegazione Unione europea (UE)-Federazione russa, in cui difese la necessità di arrivare a un’associazione economica, commerciale, culturale, di sicurezza e addirittura politica con la Russia prima dell’Allargamento delle frontiere orientali della UE.

Dal 1997 al 1999 fu presidente del Parlamento europeo. Negli anni della sua presidenza si tenne la Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative)del gennaio 1997 in cui si decise di rivedere i Trattati dell’Unione, migliorare la trasparenza, semplificare i documenti, dare maggiore flessibilità alle procedure e approfondire il Diritto comunitario con l’obiettivo avvicinare le Istituzioni comunitarie ai cittadini, e inoltre rafforzare la cooperazione e l’integrazione, abolire la norma del Voto all’unanimità ed estendere quindi il principio di Codecisione. Come dichiarò durante una conferenza stampa nel Club Siglo XXI di Madrid, nel maggio 1997, i suoi obiettivi consistevano nel migliorare l’informazione dei cittadini sul Parlamento europeo, dare maggior visibilità ai suoi dibattiti rivedendo il regolamento degli interventi nelle riunioni plenarie e accrescere la sua capacità legislativa, ponendola allo stesso livello del Consiglio dei ministri in ambiti legislativi di speciale interesse per gli europei, come la salute pubblica, l’ambiente o la protezione dei consumatori. G.-R. voleva inoltre che fosse stabilito un codice di condotta per le lobby e le organizzazioni non governative (ONG) presenti a Bruxelles, e rendere più diretto il rapporto fra gli eurodeputati e i loro elettori mediante un sistema elettorale misto, «formule che permettano cioè di combinare al tempo stesso la rappresentanza intesa come riflesso – ossia il suffragio proporzionale con liste di candidati – e la rappresentanza come identificazione, vale a dire l’elezione di una parte dei deputati in circoscrizioni uninominali». Una volta approvato il Trattato di Amsterdam, G.-R. ottenne che il Parlamento avesse facoltà di dare o di negare la sua fiducia al presidente e a tutti i membri della Commissione europea, secondo un sistema di doppia fiducia, e di porre una mozione di censura all’esecutivo.

Alla luce di quest’impegno per democratizzare le istituzioni europee G.-R., nel corso del primo vertice europeo (v. Vertici) delle regioni e delle città organizzato ad Amsterdam nel maggio 1997, sostenne non solo l’avanzamento in direzione di un’unità “verso l’alto”, con organi sovranazionali, ma anche “verso il basso”, nel senso di un crescente decentramento politico o amministrativo, senza rinunciare al principio di solidarietà che avrebbe potuto concretizzarsi in un Comitato delle regioni. Molto critico nei confronti delle progressive restrizioni alla libera circolazione delle persone contenute nell’Atto unico europeo, determinate da motivi di sicurezza e realizzate mediante procedure intergovernative, difese il trasferimento di questa e di altre sfere di decisione all’ambito comunitario rappresentato dal Trattato di Maastricht. Nello stesso senso, caldeggiò una maggior autonomia del Tribunale europeo di giustizia (v. Tribunale di primo grado) contro qualsiasi limitazione giurisdizionale dei diritti fondamentali dei cittadini. Indicò come riforme improrogabili l’avvicinamento delle differenti procedure elettorali vigenti per le Elezioni dirette del Parlamento europeo, un dialogo più fluido tra il Parlamento e i rispettivi parlamenti nazionali, la rappresentanza delle regioni e degli enti locali, l’elaborazione di uno statuto dell’eurodeputato e la soluzione del conflitto interistituzionale tra Parlamento e Consiglio. La sua gestione fu segnata da altre importanti sfide: il finanziamento della Politica estera e di sicurezza comune (PESC), il controllo parlamentare degli orientamenti economici cruciali attraverso ECOFIN, lo sviluppo del diritto comunitario e il potenziamento del Tribunale di giustizia e, infine, l’Unione economica e monetaria, l’allargamento della UE verso Est e l’elaborazione della Costituzione europea. Per quanto concerne quest’ultimo punto, ha sostenuto che «deve essere un testo breve, anzi il più breve possibile, che qualsiasi cittadino possa prendere, leggere e capire», secondo il modello della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

La gestione di G.-R. si è sempre ispirata all’ideologia democratico-cristiana, a suo giudizio fondamento del principio di solidarietà, di un’“Europa coesa” che «ha fra le sue mani quello che potrà essere il grande patto della pace mondiale». Quindi egli ritiene che la Costituzione europea debba menzionare l’importanza della tradizione giudaico-cristiana nella formazione del sostrato della “civiltà occidentale”, dei diritti umani, e della democrazia come organizzazione della vita politica. In numerose occasioni ha sottolineato inoltre l’importanza della famiglia come “scuola di questi valori” e ha invitato a «rafforzare questo strumento, a facilitare il suo lavoro, in modo da favorire la fioritura e la proliferazione di questi valori».

Presidente del Consiglio federale spagnolo del Movimento europeo dal 1996, nel 1999 ha rinnovato il suo mandato di eurodeputato. Nel Parlamento europeo è stato membro del direttivo del Gruppo del Partito popolare europeo e democratici europei (v. anche Gruppi politici al Parlamento europeo), dell’ufficio di presidenza del Parlamento europeo, membro titolare delle commissioni per gli Affari giuridici e per il Mercato interno, supplente della commissione per gli Affari costituzionali e, dal 2002, presidente della delegazione parlamentare mista UE-Bulgaria. Ha inoltre fatto parte della Conferenza dei presidenti di delegazione e della Commissione provvisoria sulla genetica umana e altre nuove tecnologie della medicina moderna, è presidente dell’Intergruppo per la Protezione degli animali e membro degli Intergruppi Quarto mondo, Persone disabili e Costituzione europea. Presidente del Movimento europeo internazionale, nonché presidente onorario del Consiglio federale spagnolo del ME. Nel 2001 è stato eletto presidente del Consiglio universitario europeo per l’Azione Jean Monnet e in qualità di avvocato è membro dell’Associazione indipendente degli avvocati europei (AIEL).

G.-R. è fondatore (1980) e vicepresidente (1984) del Centro de estudios comunitarios e della Fundación humanismo y democracia (1985). È stato insignito della Cruz del Mérito Agrícola dal governo spagnolo (1981), della medaglia Robert Schuman dal Parlamento europeo (1995), della Gran Cruz de la Orden de Francisco Morazán dai Parlamenti centroamericani (1997), della Gran Cruz de la Orden de Mérito de Chile (1998), della Gran Cruz de la Orden del Libertador San Martín de Argentina (1998), della Medalla de la República Oriental de Uruguay (1998), della Gran Cruz de la Orden de Antonio José Irizarri de Guatemala (1998), della Gran Medalla de Oro de Isabel la Católica (2000), della medaglia d’oro del Parlamento europeo (2000) e della Legione d’onore francese (2000). Ha ricevuto inoltre la laurea honoris causa dall’Istituto nazionale di relazioni internazionali di Mosca (1998) e dall’Università di Sofia (Bulgaria) nel 1999. È autore di numerosi lavori giuridici sul diritto parlamentare, la legislazione agraria, il regionalismo e il pensiero cristiano, come pure sulla costruzione e il futuro dell’Unione europea. Tra le sue opere: Derecho de huelga (1961), Los parlamentos de Europa y el Parlamento europeo: leyes electorales (1969), Comentarios a la Ley deArrendamientos Rústicos (1981 e 1982), El parlamento y la vida politica (1982), Unidad jurisdiccional y atribución de facultades arbitrales a órganos de la administración (1983), El derecho parlamentario y el funcionamiento de los órganos deliberantes de las entidades locales (1985), El profesional de la agricultura y el cultivador personal en la Ley de Arrendamientos Rústicos (1985), Legislación agraria básica (1986), Control y autonomías (1986), La familia y el Concilio Vaticano II (1987), Los reglamentos de las cámaras (1987), Los reglamentos parlamentarios de las Comunidades Autónomas (1987), El Senado en la Constitución española (1988), Control de la actividad de las Comunidades Autónomas por órganos del Estado (1988), El control extraordinario de las Comunidades Autónomas (1988), Familia y sociedad (1992), Los derechos del europeo (1993), La protección del medio ambiente en las regiones, un ejercicio de subsidiaridad (1995), La evolución de poderes en la UE (1996).

Javier Muñoz Soro (2012)




Gil-Robles Y Quiñones, José María

G.R. (Salamanca 1898-Madrid 1980), laureatosi in giurisprudenza nel 1922, vinse per concorso la cattedra di Diritto costituzionale presso l’Università de La Laguna.

Sotto la dittatura di Primo de Riveira esercitò la funzione di segretario e consigliere giuridico della Confederazione nazionale cattolica agraria, un organismo all’interno del quale, durante la seconda Repubblica, confluivano tanto imprenditori che contadini. In questi anni fu membro anche del consiglio di redazione del giornale cattolico “El Debate”, fondato da Angel Herrera membro della Asociación católica nacional de propagandistas (ACNP).

Poco dopo la proclamazione della Repubblica fondò insieme ad Angel Herrera il partito Acción nacional, che modificò in seguito il suo nome in Acción popular che svolgerà l’azione di collante della coalizione delle destre conosciuta sotto la sigla Confederación española de derechas autónomas (CEDA).

Durante le elezioni per l’Assemblea Costituente del giugno 1931 G.R. fu eletto deputato ed entrò nel Gruppo agrario. Durante il biennio repubblicano-socialista si oppose alle misure laiche e alla Legge delle Congregazioni religiose prevista dalla Costituzione del 1931. Fu anche un attivo oppositore del gruppo parlamentare “agrario” contro la riforma agraria.

Alla guida della CEDA alle elezioni del novembre 1933 ottenne la maggioranza relativa. Ciò nonostante il Presidente della Repubblica Niceto Alcalá Zamora, diede l’incarico di formare il governo al centrista Alessandro Lerroux, del Partito repubblicano radicale.

Nell’ottobre 1934 l’ingresso di tre ministri della CEDA nel governo, percepita dalla sinistra come una minaccia fascista per la continuità del regime, provocò una insurrezione rivoluzionaria del PSOE (Partido socialista obrero español) e dei sindacati con il sostegno di altri partiti politici minori.

Nel maggio del 1935 G.R. fu nominato ministro della Guerra. Alla fine del 1935 guidò la coalizione controrivoluzionaria. Tuttavia, nelle elezioni del febbraio del 1936 vinse la coalizione elettorale del Fronte popolare. A causa di una serie di minacce ricevute da alcuni attivisti rivoluzionari, si rifugiò all’estero, dove sostenne la sollevazione militare che, nel luglio del 1936, avrebbe dato luogo all’inizio della guerra civile.

La maggior parte dei membri della CEDA e soprattutto le Gioventù di azione popolare, confluirono nella coalizione controrivoluzionaria la cui vittoria della guerra civile diede luogo all’istituzione della dittatura franchista. La CEDA sostenne il suo stesso scioglimento e fusione nel partito della Falange española tradicionalista (FET) y de las juntas de ofensiva nacional sindicalista (JONS) nell’aprile del 1937. Non tutti gli antichi membri della CEDA sostennero tale posizione infatti ci fu una minoranza democristiana che, rimanendo esclusa dal gioco delle appartenenze partitiche, fu avversata da entrambi i fronti. Sebbene G.R. sostenesse economicamente la cospirazione guidata dal generale Mola, il suo ritorno in Spagna durante la guerra civile non fu ben accolto e ancor di più fu avversato tanto dalla famiglia politica falangista quanto da quella carlista.

Durante gli anni Trenta e Quaranta, il pensiero di G.R. può essere inquadrato all’interno della corrente del pensiero sociale cristiano e della difesa del modello corporativo.

Nel 1941 dopo la guerra civile G.R. entrò a far parte del consiglio privato dell’erede al trono, Don Juan di Borbone figlio del re Alfonso XIII.

I legami che i monarchici spagnoli mantennero con i britannici favorirono una serie di attacchi della stampa franchista contro G.R. La stampa non esitò nel soprannominarlo «punzecchiatore della Repubblica». Alcuni dei generali monarchici che avevano contribuito alla nomina di Franco come “capo dello Stato” nell’ottobre del 1936, sette anni dopo, in concomitanza della caduta di Mussolini, chiesero la restaurazione della monarchia.

Nell’aprile del 1944 G.R. insieme all’ex ministro dell’istruzione franchista Pedro Sainz Rodríguez fu nominato il più alto rappresentante di questa corrente restauratrice.

Poco prima della conclusione della Seconda guerra mondiale, don Juan di Borbone rilasciava le “Dichiarazioni di Losanna” con le quali dimostrava solidarietà con la causa degli alleati e chiedeva a Franco di abbandonare il potere.

L’ingresso nel governo nel luglio 1945 di Alberto Martín Artajo, uno dei principali membri dell’ACNP e presidente della giunta centrale de Acción cattolica creò una frattura all’interno della famiglia politica cattolica. Il cosiddetto “nazional-cattolicesimo” fu quella corrente in cui confluirono quanti tra la fine della Seconda guerra mondiale e il 1957 decisero di sostenere a viso aperto il regime. G.R. si oppose all’evoluzione prettamente cosmetica messa in atto dal regime, interpretata come una mera strategia del franchismo per fare credere a una sua omologazione al mondo occidentale delle Nazioni Unite. Più volte inoltre sottolineò quanto il “collaborazionismo” cattolico con Franco avrebbe causato un forte danno alla Chiesa cattolica.

L’ACNP soffrì una grave crisi in seguito alla scissione interna. G.R. ruppe con il suo mentore, il vescovo Ángel Herrera Oria, e con Martin Artajo, a causa della sua aperta opposizione alla sopravvivenza della dittatura di Franco nel mondo postbellico.

L’impegno di G.R. nella causa monarchica, da un’ottica antifranchista ma non ancora democristiana, lo portò a dialogare con le forze politiche e sindacali dell’opposizione come i socialisti del PSOE e i membri del sindacato Unión general trabajadores (UGT) e gli anarcosindacalisti della Confederación nacional del trabajo (CNT).

I contatti tra i monarchici e la sinistra moderata non comunista furono incentivati dalla diplomazia britannica come tattica per fare pressioni sull’esercito e fare in modo che Franco, una volta approvata la Legge di successione del 1947, secondo cui la Spagna era una monarchia tradizionale, abbandonasse il potere.

Nell’ottobre del 1947, grazie alla mediazione del laburista Ernest Bevin, all’epoca ministro degli Affari esteri, G.R. incontrò il leader socialista Indalecio Prieto. Entrambi concordarono sulla necessità di destituire Franco dal potere. Il programma di transizione che i due leader avrebbero voluto mettere in campo, al di là dell’assunto centrale, ovvero la fine della dittatura, non trovava altri punti di contatto. G.R. non voleva rinunciare alla forma di Stato monarchica, mentre Prieto demandava tale decisione alla convocazione di un referendum da parte di un governo provvisorio di carattere istituzionale indefinito.

La notizia dell’incontro tra G.R. e Prieto, due acerrimi nemici, rappresentanti dei due fronti in lotta durante la guerra civile, causò l’avvio di una campagna di stampa denigratoria da parte del regime. G.R. cercò di giustificarsi, scostandosi dalla nota Tripartita del marzo 1946 redatta da Stati Uniti, Regno Unito e Francia e negò di aver incontrato il presidente del PSOE.

I contatti tra monarchici e socialisti culminarono con la firma di una dichiarazione comune nell’agosto 1948 conosciuta come Patto di San Juan de Luz. Questa dichiarazione comune diede luogo alla creazione di un Comitato di coordinamento, che sopravvisse fino al 1951, ma che soffrì una grave battuta d’arresto quando fu resa pubblica la notizia dell’incontro tra Franco e don Juan di Borbone durante il quale fu deciso che il principe Juan Carlos sarebbe stato educato in Spagna.

Una volta firmati i patti bilaterali tra la Spagna e gli Stati Uniti e il Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1953, G.R. ritornò dall’esilio. Alla fine degli anni Cinquanta fondò un partito politico chiamato Democracia social cristiana (DSC), che cercava un accordo con la sinistra democristiana di Manuel Giménez Fernández, gruppo politico creato nel 1957. La prima assemblea della DSC si svolse nel 1960, e G.R. ne fu eletto presidente.

Poco dopo G.R. fu anche nominato presidente della Asociación española de cooperación europea (AECE) che, sotto il suo mandato, incluse in seno alla giunta direttiva, non solo molti democristiani, ma anche alcuni liberali e socialisti. Quest’associazione europeista organizzò una serie di seminari incentrati intorno al tema dei rapporti tra la Spagna e l’Europa. Molti di questi incontri furono proibiti dal governo franchista.

Nel 1962 il Movimento europeo organizzò a Monaco di Baviera un congresso dedicato alla “Spagna di fronte alla CEE”. G.R. che aveva richiesto l’ingresso della DSC nella Nouvelles équipes internationales, presiedette la numerosa delegazione di europeisti arrivati dalla Spagna.

Anche in quest’occasione la stampa organizzò una campagna di stampa denigratoria, controllata dal ministero dell’Informazione spagnolo, che come aveva fatto nel 1948, accusò G.R. di essere un traditore e demagogo.

Il pretendente al trono prese le distanze dal Congresso per mezzo di una dichiarazione rilasciata dal suo Consiglio privato, guidato da José María Pemá e Alfonso García Valdecasas. Da allora in poi G.R. iniziò un processo di avvicinamento alla sinistra antifranchista, soprattutto il PSOE, e poi all’Union de fuerzas democraticas che legava socialisti, repubblicani, democristiani di sinistra e nazionalisti baschi.

G.R. delegò a Mariano Aguilar Navarro la presidenza della AECE. Questi dovette affrontare molti problemi dovuti alle posizioni assunte dalla Unión de estudiantes democristianos. Nonostante le differenze interne la Democracia social cristiana sostenne la partecipazione di G.R. alla Conferenza di Monaco di Baviera.

La rettifica di don Juan di Borbone che invitava i membri del partito a formare parte del suo Consiglio privato fu sentita da G.R. come un tradimento personale. Nel 1967 il partito di G.R. così come il gruppo di Dionisio Ridruejo stipulò un accordo con la Unión de fuerzas democráticas nonostante le resistenze al riconoscimento del diritto di autodeterminazione difeso dai nazionalisti baschi.

Nel corso di quello stesso anno la DSC assistette al congresso della Democrazia cristiana italiana svoltosi a Milano, insieme ai nazionalisti baschi e catalani, membri del gruppo spagnolo della Democrazia cristiana.

G.R. partecipò al congresso europeo dei partiti democristiani nel dicembre 1965 a Taormina che diede luogo alla creazione dell’Unione europea della Democrazia cristiana. Uno dei frutti del Congresso di Taormina fu la nascita del Gruppo democratico cristiano dello Stato spagnolo che sopravvisse fino al 1977.

Nel libro manifesto politico coordinato da G.R., Lettere al popolo spagnolo, pubblicato nel 1967, una parte è dedicata alla questione delle relazioni della Spagna con l’Europa. Il testo difende il superamento dell’isolamento spagnolo e riconosce l’inserimento della Spagna in Occidente «fino a quando non otterrà la piena integrazione nelle imprese comuni continentali che possano permettere un giorno creare la federazione dell’Europa». All’interno dell’Europa alla Spagna corrisponderebbe il ruolo di ponte con i paesi del Terzo mondo e soprattutto con l’America latina. La federazione europea costituirebbe una comunità sovranazionale caratterizzata «dall’ omogeneità politica dei popoli che la integrano» (v. Federalismo). La Spagna di Franco avrebbe dovuto adeguare le sue strutture alle richieste della Carta europea dei diritti umani (v. Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e alla Carta sociale europea (v. anche Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori). Non mancava la consapevolezza che esistesse il pericolo che il Mercato comune «invece di agire come strumento d’integrazione», potesse convertirsi in un «colpo di mano del capitalismo contro la tendenza sociale degli Stati e il progressivo aumento di influenza dei sindacati». Per evitare questa deviazione dagli obiettivi dell’integrazione politica bisognava «lottare all’interno dell’Europa unita affinché le istituzioni comunitarie fossero sottoposte ad un autentico controllo popolare» (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Sin dal 1970 il Gruppo democratico cristiano dello Stato spagnolo cominciò a rivestire una certa rilevanza soprattutto nell’ambito internazionale. All’interno di questo gruppo la posizione di G.R. era minoritaria, i nazionalisti baschi e catalani tendevano a trovare maggiori punti di contatto con i principi di Izquierda democratica di Joaquín Ruiz-Giménez.

Nel 1973 i partiti politici del Gruppo democratico cristiano organizzarono un incontro nel Monastero di Monserrat, nel corso del quale la DSC si oppose alla concezione federalista dell’organizzazione territoriale dello Stato difesa dal resto dei partecipanti. G.R. riuscì a imporre una risoluzione che riservava la soluzione federalista più per l’Europa che per la Spagna. Oltre a ciò la DSC rifiutò la proposta che difendeva la nazionalizzazione delle banche poiché temeva potesse pregiudicare una futura integrazione della Spagna nella Comunità economica europea (CEE).

Come risposta alle associazioni politiche difese dal governo di Arias Navarro, il dirigente democristiano costituì la Federazione popolare democristiana (FDP) nel marzo 1975. Per quanto avesse partecipato nelle conversazioni politiche con il PSOE nel 1967, 1971 e 1974 per creare una coalizione antifranchista, la FPD di G.R. non prese parte alla Plataforma de convergencia democrática del luglio 1975 poiché non accettava che ne facessero parte anche gruppi di estrema sinistra.

In questo stesso torno di tempo si celebrarono anche le seconde giornate della Democrazia cristiana a Valencia, cui assistettero rappresentanti di questa famiglia politica provenienti da altri paesi europei e americani. G.R. si oppose all’ingresso del Gruppo democratico cristiano entrasse nella Junta democratica promossa dal PCE (Partido comunista de España).

Alla fine G.R. rimase isolato, visto che il resto dei partiti che facevano parte del Gruppo della democrazia cristiana aderirono alla Plataforma de convergencia democrática.

Nel dicembre del 1975 G.R. propose al Partido nacionalista vasco (PNV) di rivitalizzare il CFEME intendendo quell’organizzazione come un luogo d’incontro di tutti i democratici a esclusione dei comunisti.

Nel febbraio del 1976, si celebrarono a Madrid per la terza volta le giornate del gruppo democristiano, che includevano un intervento su “federalismo ed Europa”. L’intervento approvato difendeva il modello di sviluppo dell’Europa dei popoli capace di salvaguardare i diritti delle persone e delle comunità. Le giornate ebbero il sostegno di diversi politici europei tra i quali anche quello del presidente dell’Unione europea democristiana.

Nell’aprile del 1976 la Federazione popolare democratica organizzò il suo primo congresso a Segovia. G.R. lasciò la presidenza perché non condivideva il desiderio della maggioranza del partito di fare parte di un coordinamento democratico con i comunisti. Le sue divergenze con Ruiz-Giménez con cui aveva approvato la fusione dei due partiti nazionali democristiani, lo spingeranno ad abbandonare le redini del partito, di cui lasciò definitivamente la presidenza nel febbraio del 1977.

Sconfitto alle elezioni del giugno 1977, come le altre componenti del Gruppo democratico cristiano dello Stato spagnolo, G.R. abbandonò l’attività politica. Tra le sue opere ricordiamo: No fue posible la paz, Ariel, Barcelona 1968; La Monarquía por la yo luché. Páginas de un diario, 1941-1954, Madrid, Taurus 1976; e Por un estado de Derecho, Ariel, Barcelona 1968.

Abdón Mateos López (2012)




Giménez Fernández, Manuel




Giolitti Antonio




Giordano, Renato

G. (Napoli, 1926-ivi 1960) si laureò a Napoli con Giuseppe Tesauro nel 1946, avviandosi agli studi di diritto pubblico. Allievo dell’Istituto di studi storici, fondato nel dopoguerra da Benedetto Croce, si legò al gruppo di giovani democratici e liberali che negli anni Cinquanta avrebbe fondato la rivista “Nord e Sud”, tra cui Francesco Compagna e Vittorio De Caprariis. La rivista aveva per tema lo sviluppo civile ed economico e il rapporto con il nord del paese, con una visuale più ampia verso l’Europa. Così in effetti fu vissuta da quei giovani intellettuali meridionali l’avvio della politica europeistica dei governi di Alcide De Gasperi, che precisavano in meditata adesione all’idea di un’Europa federale, con una relazione sempre più stretta con Altiero Spinelli (v. anche Federalismo).

La caduta del miraggio federalista, che la Comunità europea di difesa (CED) aveva per un breve tratto fatto emergere, l’attenuazione del fervore riformatore dell’epoca di De Gasperi, conduceva necessariamente verso un approccio più pragmatico. Fu Altiero Spinelli a suggerire a Jean Monnet il nome di G. come suo collaboratore per l’Italia. Ed egli svolse poi quella funzione per un decennio con grande intelligenza, tanto da meritarsi il soprannome di “occhio di Monnet” a Roma. La sua buona formazione culturale e la sua giovanile passione politica ne facevano un attento osservatore delle cose italiane, consapevole degli ostacoli che un processo di integrazione europea trovava nell’arena politica italiana (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). De Gasperi aveva reso maggioritario un indirizzo che non era tale nemmeno nella coalizione di governo che lo sorreggeva, incominciando dal suo partito, la Democrazia cristiana, in cui si riflettevano molte delle resistenze conservatrici, contrarie alla liberalizzazione degli scambi e a vincoli alla sovranità nazionale. Di contro i comunisti rappresentavano allora un muro ostile a qualsivoglia politica europea e i socialisti, a cui G. guardava con interesse, attraversavano un processo di assai lenta maturazione.

Le analisi acute di G. (assai pochi erano coloro, in quello scorcio degli anni Cinquanta, che si occupavano di questioni europee) trovano riscontro nell’intenso carteggio che egli intrattenne con Jean Monnet, che se ne fidava e lo utilizzava come tramite per le sue iniziative, a livello politico e governativo. Ne fanno fede anche i numerosi articoli che G. scrisse su riviste come “Nord e Sud” e “il Mulino” e sulla stampa italiana, segnatamente sul giornale del padronato “24 Ore”. Ma la testimonianza maggiore è data dal suo libro, La nuova frontiera (1959), il cui titolo era la metafora del suo meridionalismo e nel quale analizzava le tradizioni culturali e le forze politiche dei diversi paesi europei, tra vecchie remore e nuovi impulsi sulla strada dell’Europa.

Piero Craveri (2012)




Giorgio Amendola