I Movimenti a favore del ”no”

I Movimenti a favore del “no” in Danimarca si costituirono dopo la prima candidatura danese per l’adesione alla Comunità economica europea (CEE) nel 1961. Tra i partiti rappresentati in Parlamento soltanto il Partito socialista popolare (Socialistisk Folkeparti), frangia politica di minoranza, si oppose all’adesione. Malgrado tutti gli altri partiti fossero favorevoli all’adesione, a condizione che anche il Regno Unito ne divenisse membro, manifestavano un certo scetticismo nei confronti della CEE. Inoltre, l’adesione era osteggiata da numerosi piccoli partiti di sinistra e di destra, come pure da rappresentanti sindacali, dal Movimento pacifista di allora e dal Movimento della Resistenza della Seconda guerra mondiale. Comune a tutti i gruppi era il timore che la nazione danese corresse il rischio di trovarsi intrappolata in una comunità sovranazionale, il che da un lato avrebbe nuovamente potuto esporre il paese (come nella era accaduta nel caso della Seconda guerra mondiale) al controllo e al dominio tedesco, e dall’altro avrebbe potuto separare la Danimarca dalle nazioni sorelle del Nord.

La prima vera e propria organizzazione per il “no” venne costituita nel gennaio 1962 da persone affiliate al partito di estrema destra Unificazione danese (Dansk Samling) insieme ad alcuni noti socialdemocratici e liberali, in questo caso schieratisi a titolo personale. Un mese più tardi alcuni membri del partito social-liberale costituirono un’organizzazione concorrente che nell’estate del 1962 fu seguita da un’altra organizzazione, sostenuta dal più importante uomo d’affari danese, il magnate del commercio marittimo A.P. Møller (nato nel 1876). Nel contempo il Partito comunista danese fondava a Copenaghen vari comitati locali per il “no”. Malgrado convergessero verso identici obiettivi, le organizzazioni a favore del “no” si osteggiavano tra loro, tanto quanto osteggiavano l’adesione della Danimarca alla CEE, un aspetto da allora caratteristico della storia dei movimenti per il “no”.

In seguito al veto più volte posto all’allargamento da parte del presidente Charles De Gaulle durante gli anni ’60, l’interesse pubblico alla questione dell’adesione era piuttosto limitato e adombrato da altri temi dell’agenda nazionale e internazionale. Malgrado ciò e nonostante le fragili strutture dei movimenti per il “no”, questi furono comunque in grado di elaborare un minimo di argomentazioni a sostegno delle loro tesi e a creare una vaga rete organizzativa comprendente la maggior parte dei sostenitori del “no”. L’importanza di tale fatto divenne chiara quando, nell’autunno del 1970, la Danimarca, in seguito alla conferenza dell’Aja che apriva la strada per un nuovo ciclo di negoziati sull’Allargamento, entrò in quello che sarebbe stato il round decisivo dei negoziati per l’adesione.

La sensazione che fosse giunta l’ora decisiva portò la questione CEE al centro del dibattito politico in Danimarca e ciò coinvolse immediatamente l’elettorato. Tra il 1960 e il gennaio 1970 i sondaggi d’opinione avevano evidenziato un campione stabile con approssimativamente il 50% dell’elettorato favorevole all’ingresso della Danimarca nella CEE insieme con la Gran Bretagna, e con una percentuale di voti contrari mai superiore al 10%. Ma da quel momento la percentuale dei votanti per il Sì cominciò a ridursi mentre i sostenitori del No aumentarono. Così nella primavera del 1971 il partito del Sì si trovò con un vantaggio di soli 7 punti percentuali. Parallelamente il numero delle organizzazioni per il “no” era aumentato in modo drastico. Quando divenne chiaro che la questione della partecipazione sarebbe stata decisa da un referendum, fissato successivamente per il 2 ottobre 1972, venticinque organizzazioni nazionali e 150 comitati locali fondarono, nei primi mesi del 1972, l’organizzazione “Movimento Popolare contro la CEE” (Folkebevægelsen mod EF).

Il Folkebevægelsen abbracciava all’incirca l’intero spettro delle opposizioni alla CEE con la significativa eccezione dei “Socialdemocratici contro la CEE”, un gruppo d’opposizione all’interno del Partito socialdemocratico. Quest’ultimo si batteva per organizzare le attività per il “no” in una campagna coordinata nella fase precedente il referendum. La campagna risultò così efficace che il risultato del referendum non era prevedibile con certezza. Ciò nonostante, alla fine il partito dei Sì trionfò con un netto margine in quanto il 63,3% dei votanti scelse di ascoltare le raccomandazioni per il Sì diffuse dal governo, dai grandi partiti e da particolari gruppi d’interesse.

Il Folkebevægelsen continuò l’attività dopo il referendum, operando in favore del ritiro danese dalla CEE, e durante gli anni ’70 costituì una forte organizzazione centralizzata con una rete di gruppi locali operante su scala nazionale di circa 10.000 membri, una casa editrice, una tipografia e il periodico Notat. I leader erano reclutati prevalentemente nei piccoli partiti dell’estrema sinistra e dell’estrema destra; molti provenivano dal Partito comunista. Ciò, comunque, non impedì la diffusione del sostegno al movimento del “no”.

Alle elezioni del primo Parlamento europeo nel 1979, il Folkebevægelsen ottenne quattro dei sedici seggi danesi e allorché si aggiunse il seggio ottenuto dal Partito socialista popolare, che aveva scelto di presentarsi da indipendente sebbene fosse anch’esso membro del Folkebevægelsen, il partito dei “no” controllò circa un terzo dei seggi danesi. Questa proporzione, nella rappresentanza danese al Parlamento europeo, si rivelò stabile poiché non cambiò fino alle elezioni del 2004, quando i Movimenti a favore del “no” subirono un’amara sconfitta, perdendo due rappresentanti.

Durante il periodo del referendum, in concomitanza con la ratifica dell’Atto unico europeo nel 1986, furono appositamente costituiti nuovi movimenti del “no” in competizione con il Folkebevægelsen. Questi operavano a partire da una differente piattaforma poiché la loro opposizione era diretta contro ulteriori e più vincolanti forme di integrazione, ma non si opponeva all’adesione danese alla CEE in quanto tale. Comunque, il referendum si concluse nuovamente con la vittoria del Sì e la nuova spaccatura politica fra i movimenti del “no” aumentò negli anni successivi e divenne ancor più profonda durante la campagna per il referendum sul Trattato di Maastricht nel 1992.

Nuovi movimenti per il “no” furono creati ad hoc sulla base della formula “«no» a una maggiore integrazione e Sì allo status quo”. Tra questi nuovi gruppi, “Danimarca 92” era il più importante. Dopo lo scarso 50,7% ottenuto dal fronte del “no” nel referendum del 2 giugno 1992 che determinò la mancata ratifica del Trattato di Maastricht da parte della Danimarca, “Danimarca 92” nell’agosto 1992 mutò il proprio nome divenendo il “Movimento di giugno” (Junibevægelsen). Molte delle personalità di spicco del Folkebevægelsen lasciarono l’organizzazione per unirsi al “Movimento di giugno”. Da allora i due movimenti, pressappoco di eguale forza, sono stati in competizione fra di loro; tuttavia, il periodico Notat ha agito fin dal 1992 da anello di congiunzione tra i movimenti a favore del “no”.

Durante gli anni ’90 si verificò un cambiamento nella composizione dell’elettorato dei movimenti per il “no”. Tali movimenti non si erano mai candidati alle elezioni parlamentari nazionali, ma fino al 1990 i loro sostenitori ai referendum provenivano dalle file della sinistra, e principalmente dall’elettorato socialdemocratico. Ciò mutò quando la Comunità europea divenne Unione europea (UE) e un numero crescente di elettori di destra iniziò a sostenere i movimenti per il “no”, un evento recentemente controbilanciato da un crescente numero di elettori di sinistra, ora sostenitori del partito del Sì.

Lo spostamento verso destra comportò degli sforzi per costituire movimenti del “no” con uno spiccato profilo conservatore. Ma questi tentativi si rivelarono piuttosto insoddisfacenti. D’altro canto il partito populista di destra, “Partito popolare danese” (Dansk Folkeparti), fondato nel 1995, ha avuto successo nell’opporsi all’UE, un tema cardine della propria piattaforma politica. Nella campagna del referendum per l’Unione economica e monetaria (UEM) del 2000, il Partito popolare danese giocò un ruolo analogo a quello del Folkebevægelsen e a quello del Movimento di giugno dalla parte del “no”. Il referendum si concluse con il 53,2% contrario all’ingresso della Danimarca nella terza fase dell’UEM, sebbene la Corona fosse strettamente ancorata all’Euro. Durante la campagna, il leader del Partito popolare danese, Pia Kjærsgaard (nata nel 1947) riuscì a far sì che l’indipendenza nazionale e la perdita della sovranità nazionale divenissero le due questioni fondamentali da dibattere, cosa che ovviamente trovò larga eco in gran parte dell’elettorato.

Tra le personalità più influenti dei movimenti danesi del “no” vi sono Jens-Peter Bonde (nato nel 1948) e Drude Dahlerup (nata nel 1945). Poiché Jens-Peter Bonde era stato, negli anni 1970-72, membro dell’organizzazione giovanile del Partito social-liberale danese, si trovò coinvolto nella fondazione del Folkebevægelsen. L’incontro con i più attivi comunisti nell’ambito del Movimento, portò Bonde ad aderire al Partito comunista di cui egli rapidamente ne divenne una delle figure leader. Tale posizione durò fino alla disgregazione del partito nel 1990. Successivamente Bonde non si affiliò ad alcun partito politico. Dopo la bancarotta del periodico Notat nel 1974, Bonde lo riorganizzò e si rivelò l’elemento trainante di quasi tutte le più importanti attività del Folkebevægelsen e della sua leadership. Nel 1979 egli ottenne un seggio nel Parlamento europeo, che ha mantenuto fino al 2008. Nel Parlamento europeo ha promosso vari gruppi politici trasversali. Inoltre è autore di più di 55 libri sull’Unione europea. Sebbene nel 1992 fosse ancora un esponente di spicco del Folkebevægelsen, egli fu al contempo un cofondatore di Danimarca 92 e del Movimento di giugno. Per questa ragione egli lasciò il Folkebevægelsen. Jens-Peter Bonde è il politico danese che si occupa dell’UE con la più lunga carriera. Durante la sua attività ha raggiunto una vasta conoscenza dell’UE, per cui è rispettato perfino dal partito del Sì, sia in Danimarca sia nel Parlamento europeo. D’altro canto, il suo sapersi destreggiare sul piano tattico e retorico, lo ha spesso reso bersaglio di severe critiche.

La carriera di Drude Dahlerup, come figura politica contraria all’UE, iniziò con il suo coinvolgimento nella campagna per il referendum di Maastricht e il ruolo svolto all’interno di “Danimarca 92”, di cui fu leader di primo piano. A quel tempo era nota al pubblico come importante attivista del movimento di liberazione della donna, mentre professionalmente svolgeva attività di ricercatrice in scienze politiche presso l’Università di Aarhus. Nel 1998 si trasferì a Stoccolma dove divenne docente presso l’Università di Stoccolma. Continuò, anche dopo il suo trasferimento, a essere una figura leader del Movimento di giugno e fu un esponente di primo piano nei dibattiti durante la campagna per il referendum sull’UEM. Malgrado non fosse mai stata candidata alle elezioni, dal 1992 al 2002 fu la portavoce principale del Movimento di giugno.

Søren Hein Rasmussen (2010)




IDN

Istituto di difesa nazionale (IDN)




IEPA

Istituto europeo di pubblica amministrazione (IEPA)




Ignacia de Loyola de Palacio y del Valle-Lersundi




Ignazio Silone




Igor Bavčar




IIEI

Instituto de estudos estratégicos e internacionais (IIEI)




Il Comitato Europeo sotto il Governo della Repubblica di Lituania

Il decreto governativo del 1995 gettò le fondamenta del quadro istituzionale della politica europea lituana stabilendo un comitato di coordinamento ad alto livello (la Commissione governativa per l’integrazione europea), un’istituzione di coordinamento (Dipartimento per l’integrazione europea all’interno del ministero per gli Affari esteri) e unità speciali per gli Affari europei in ciascun ministero. Dopo le elezioni parlamentari dell’autunno 1996, che portarono al potere un governo di coalizione guidato dalla conservatrice Unione patriottica, venne ristrutturato il quadro istituzionale. Furono costituiti un ministero degli Affari europei e una delegazione per le trattative.

Tuttavia, dopo la riorganizzazione per ragioni politiche del governo nel 1998, il Comitato europeo sotto il governo della Repubblica di Lituania (più avanti nel testo definito Comitato europeo o CE) rimpiazzò il ministero degli Affari europei. I compiti principali del CE erano il coordinamento delle attività dei ministeri lituani e di altre istituzioni governative (incluso il processo negoziale) durante l’integrazione del paese nell’Unione europea, supervisionare l’implementazione dei programmi nazionali per l’integrazione, svolgere la funzione del segretariato della Commissione governativa per l’integrazione europea e supervisionare l’implementazione delle sue decisioni (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Infatti, il Comitato europeo iniziò a preparare il programma per la Commissione governativa (v. Pettai, Zielonka, 2003) e divenne un’istituzione di grande importanza nel processo negoziale, il 1° gennaio 2001 il suo direttore Petras Auštrevičius divenne il nuovo capo negoziatore della Lituania.

Il Comitato europeo consisteva in 3 dipartimenti e 9 divisioni. Esso impiegava 65 dipendenti dell’età media di trentadue anni. Il CE fondò due istituzioni pubbliche, l’Agenzia lituana per lo sviluppo e il Centro di traduzione, documentazione e informazione. Il CE coordinò i seguenti programmi per l’integrazione: il Programma nazionale di analisi sui cambiamenti sociali ed economici relativi all’adesione della Lituania all’UE; il Programma nazionale di valorizzazione della formazione e delle competenze degli specialisti UE; il Programma per lo sviluppo della pubblica consapevolezza; il Programma di integrazione della Lituania nel Mercato unico europeo; il Programma di promozione di investimenti esteri in Lituania; il Programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario; il Programma di sviluppo istituzionale; il Programma nazionale di armonizzazione legislativa; il Centro di traduzione, documentazione e informazione; il Programma di pianificazione della politica regionale lituana. Gli obiettivi principali del Comitato europeo erano: prendere parte alla formazione della politica di integrazione UE della Repubblica di Lituana e assicurare l’effettivo coordinamento della sua implementazione; assicurarsi che la Lituania assolvesse tutti gli obblighi relativi alla partecipazione nella UE, prima del 1° gennaio 2004, eccetto i temi in merito ai quali furono concordati i periodi di transizione; completare le trattative della Lituania con l’UE prima della fine del 2002; promuovere il livello di consapevolezza del pubblico lituano sull’integrazione del paese nell’UE e ricercare la sua approvazione del processo; rendere possibile alle imprese lituane di prepararsi meglio per la competizione sul mercato UE aumentando la loro consapevolezza rispetto ai nuovi requisiti e opportunità nell’UE, e promuovendo le loro competenze; valutare il possibile impatto sociale ed economico dell’integrazione lituana nell’UE, nelle aree più problematiche in relazione ai negoziati e sviluppare un sistema di atti giuridici che regolamentino la valutazione d’impatto;

Le principali attività del Comitato europeo

Una delle aree più importanti delle attività del CE, a parte il lungo processo negoziale, è stata la diffusione di informazioni sull’integrazione della Lituania nell’UE, destinate alle imprese e in generale alla popolazione. Svolgendo tale compito, il CE, nel settembre 2002, annunciò una gara d’appalto rivolta a organizzazioni non governative desiderose di impegnarsi nei processi d’integrazione UE. Il CE era pronto a fornire vari strumenti per il raggiungimento di questo scopo, inclusi conferenze, seminari, dibattiti, libri, serie di articoli, ecc.

Per contribuire al successo dell’integrazione delle società lituane nel mercato UE, il Comitato europeo, insieme al ministero dell’Economia, pubblicava nel 2002 la “Guida per fare impresa nel Mercato unico europeo” (Verslo Europos Sajungos bendrojoje rinkoje vadovas). La pubblicazione offre informazioni dettagliate e ben strutturate, a partire da una conoscenza di base del Mercato unico europeo, fino a consigli specifici ai responsabili del mondo imprenditoriale lituano su come preparare e gestire un programma di esportazioni. Vi sono incluse informazioni su leggi e regolamenti UE, parametri sulla sicurezza dei prodotti e la certificazione di qualità, pratiche di gestione, ecc. Molta attenzione viene data a varie forme di sostegno UE al commercio lituano, in particolare tramite strumenti di politica strutturale e regionale. La Guida è distribuita gratuitamente nei centri di informazione europei. È disponibile per associazioni commerciali, università, amministrazioni regionali e municipali, e biblioteche.

In aggiunta a pubblicazioni singole, per accrescere la consapevolezza e la conoscenza sui processi di integrazione UE, il CE stampa due pubblicazioni periodiche. Nel 1998 iniziò la pubblicazione di “Notizie sull’integrazione” (“Integracijos Žinios”), un bollettino mensile specializzato, a colori, di 20 pagine, sulla partecipazione lituana alla UE, che offriva articoli di analisi e opinione.

Del bollettino erano in circolazione 7000 copie. Veniva distribuito sulla base di libere sottoscrizioni a organismi pubblici nazionali e locali, governo, parlamento, ufficio del presidente, amministrazioni regionali e istituzioni dei governi locali, ambasciate lituane all’estero e ambasciate straniere in Lituania, organizzazioni non governative, istituti per l’istruzione, biblioteche, responsabili commerciali, mass media centrali e regionali, e clero. Ogni mese, vi erano 30-60 abbonati in più che desideravano ricevere regolarmente il notiziario. “Notizie sull’integrazione” era anche distribuito in vari seminari, conferenze e presentazioni collegate all’UE.

Un’altra pubblicazione periodica, avviata dal Comitato europeo, è “Notizie sull’eurobusiness” (“Euroverslo naujieno’). Essa è mirata a contribuire all’effettiva operatività del mondo degli affari lituano nel mercato UE e contiene informazioni relative alle condizioni commerciali nel Mercato unico europeo. Questo bollettino è pubblicato elettronicamente e distribuito gratuitamente dal 2001. È stato uno tra i primi progetti del CE, volto a diffondere informazioni sul Mercato unico europeo nel mondo degli affari lituano. “Notizie sull’eurobusiness” pubblica articoli sulla competitività del commercio lituano, sugli aiuti UE al commercio, sulla politica commerciale UE, sugli standard dei prodotti, commenti su leggi e regolamenti UE e notiziari d’economia dall’Europa, dalla Lituania e dal mondo. Il bollettino è stato stampato in 5000 copie e distribuito gratuitamente tramite associazioni commerciali e centri d’informazione sull’Europa istituiti a livello regionale.

Nel 2001, il Comitato europeo, perseguendo l’altro suo obiettivo relativo alla formazione e all’aggiornamento dei dirigenti e imprenditori lituani per innalzare la competitività delle società lituane nell’UE, iniziò a gestire il programma “Eurobusiness” (“Euroverslas”). Tra i principali argomenti vi erano i principi del funzionamento del Mercato unico europeo, i requisiti UE sui prodotti, le condizioni sul commercio e sugli affari nell’UE, ecc.

Infine in linea con uno dei propri obiettivi, nel 2001 il Comitato europeo organizzò l’esame qualitativo di circa duemila atti legislativi UE nella prospettiva del loro impatto economico e sociale sulla Lituania. (v. Vilpišauskas, 2001).

La riorganizzazione

Il 1° gennaio 2004, il Comitato europeo, avendo la Lituania completato con successo le trattative riguardanti l’ingresso nella UE, venne riorganizzato, relegando le sue funzioni principali all’Ufficio del primo ministro della Lituania (Lietuvos Respublikos vyriausybės kanceliarija). Di conseguenza furono organizzati due nuovi dipartimenti nell’Ufficio del primo ministro: il Dipartimento per l’analisi politica dell’Unione europea e il coordinamento interistituzionale, e il Dipartimento per il coordinamento e il monitoraggio dell’implementazione legislativa europea.

Questi dipartimenti coordinano e partecipano alle decisioni riguardanti le posizioni della Lituania rispetto alle questioni UE in fase di dibattimento e all’armonizzazione degli atti legislativi con le norme UE, come pure alla supervisione della gestione delle risoluzioni e degli obblighi adottati. Il Dipartimento per l’informazione e la comunicazione, con sede nell’ufficio del primo ministro, venne ampliato stabilendovi la divisione di pubbliche relazioni e informazioni sull’Unione europea, la cui missione principale era di fornire al pubblico le informazioni riguardanti le questioni UE. In queste nuove strutture venne inserito il personale precedentemente impiegato dal Comitato europeo. Le funzioni del CE relative al coordinamento della politica di mercato interno all’UE furono trasferite al ministero dell’Economia, dove, per lo svolgimento di queste funzioni, venne costituito un nuovo dipartimento per il coordinamento della politica di mercato interno.

Jolanta Stankevičiūtė (2009)




Il Mondo

“Il Mondo”, settimanale diretto da Mario Pannunzio, per l’intero arco della sua durata (1949-1966) ha seguito una linea europeista pienamente coerente con l’impostazione liberaldemocratica, atlantista e terzaforzista della testata. Va poi ricordato che fra i collaboratori si annoverano, sia pure con diversa intensità e impegno, alcuni dei più attivi fautori del processo di unificazione europea. Fra gli altri occorrerà rammentare i due autori del Manifesto di Ventotene, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Europeisti convinti furono anche due dei più autorevoli commentatori di politica estera, Vittorio de Caprariis, titolare della rubrica tra il 1954 ed il 1956, e Aldo Garosci, attivo militante federalista (v. Movimento federalista europeo), che tenne la stessa rubrica per tutto il decennio successivo e fino alla chiusura del settimanale. Più in generale, poi, i più attivi articolisti della testata erano tutti di variegate ma salde convinzioni europeiste.

Naturalmente questa generale fedeltà alle politiche di integrazione europea (v. Integrazione, Teorie della; Integrazione, Metodo della) è andata specificandosi volta a volta nelle diverse stagioni rispetto all’effettivo svolgimento della congiuntura politica interna e internazionale. Inoltre, se il giornale esprimeva una posizione coerente dal punto di vista politico, essa non escludeva una dialettica fra opinioni non sempre coincidenti. All’interno di tali generali coordinate si può operare una schematica periodizzazione che scandisca in linea generale i diversi momenti dell’impegno europeista del settimanale.

Una primissima fase è quella che va dal 1949 alla nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), quando sui temi europei si registrano posizioni diverse. Spinelli, partendo da una posizione di federalista puro (v. Federalismo), è molto critico della nuova istituzione sovranazionale, mentre Ugo La Malfa è più possibilista, ritenendola comunque un primo passo nella direzione giusta.

La fase successiva, che arriva fino al 1954, vede una maggiore unità d’intenti, perché la prospettiva della Comunità europea di difesa (CED) e dell’assemblea ad hoc registra una convergenza tra posizioni federaliste e funzionaliste (v. Funzionalismo), tra atlantismo ed europeismo. Il settimanale sposa con convinzione la causa europea che in quella stagione coincide a pieno tanto con la linea di politica estera tenuta dai governi di Alcide De Gasperi (ampiamente appoggiata dal presidente Luigi Einaudi), quanto con quella dell’amministrazione americana, convinta che l’unificazione europea sia un necessario argine alla minaccia sovietica.

Il fallimento della CED segna una battuta d’arresto che disloca e riallinea le posizioni. Non casualmente in questo periodo Spinelli non collabora al settimanale, mentre Rossi, più legato al giornale, continua a scrivere soprattutto di argomenti economici, attenuando la sua fiducia nel raggiungimento dell’unità europea in tempi ravvicinati. Il settimanale, però, in nome di una coerente fedeltà all’alleanza atlantica, saluta con interesse la ripresa della politica europeista, all’inizio del 1956, con la nascita del pool dell’energia atomica tra i sei paesi della CECA. A partire dall’anno successivo, poi, ”Il Mondo“ segue con attenzione, pur non mancando di manifestare critiche e riserve per l’eccessiva timidezza e lunghezza del processo, la nascita e lo sviluppo del mercato comune (v. Comunità economica europea).

Su questa generale attenzione al tema europeo si innestano successivamente le esigenze legate all’evoluzione del quadro politico interno. Per preparare il centro-sinistra è necessario sollecitare l’evoluzione in senso europeista e atlantista del PSI (Partito socialista italiano). Tale obiettivo, nei primi anni sessanta, trova un punto di convergenza delle forze laiche e socialiste nella esigenza di contrastare il progetto gaullista di un’Europa delle patrie (v. Charles de Gaulle), promuovendo il rafforzamento delle istituzioni comunitarie e favorendo l’ingresso del Regno Unito. A questi temi sarà dedicato l’undicesimo e ultimo dei convegni del ”Mondo“, tenuto nel febbraio 1963. Negli ultimi e difficili anni della testata, il settimanale manterrà ferma l’opposizione alle richieste gaulliste di revisione dei trattati di Roma, richiedendo, invece, una maggiore coerenza delle politiche comunitarie (col rafforzamento della Commissione CEE) (v. Commissione europea) e soprattutto lo svolgimento in senso soprannazionale degli istituti europei esistenti, aumentandone la legittimazione democratica (v. anche Deficit democratico).

Maurizio Griffo (2012)




Il non allineamento militare della Finlandia nell’Unione

Durante la Guerra fredda la Finlandia si dichiarò paese neutrale. Nel 1948 aveva firmato un Tratto di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con l’Unione Sovietica, contenente una clausola in base alla quale nessuno dei firmatari avrebbe aderito a una coalizione diretta contro l’altro. Negli anni Cinquanta la neutralità si cristallizzò nella dottrina finnica in materia di politica estera. La Finlandia cercò di tenersi fuori dallo scontro tra le grandi potenze. Questa politica di neutralità implicava un atteggiamento estremamente cauto nei confronti delle varie organizzazioni dell’Europa occidentale. L’adesione alla Comunità economica europea (CEE) era fuori questione a causa dell’opposizione sovietica, ma la Finlandia non aderì nemmeno all’Associazione europea di libero scambio (European free trade agreement, EFTA) come membro a pieno titolo, firmando invece nel 1961 un trattato speciale (FINEFTA) con i paesi dell’EFTA.

Si affermò l’idea che la Finlandia dovesse restare fuori da una integrazione sovranazionale, rifiutando ogni impegno politico che potesse mettere a repentaglio la sua neutralità (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La Finlandia cercò altresì di stabilire relazioni simmetriche con i due blocchi: gli accordi economici con l’Occidente erano compensati da accordi paralleli con l’Est.

Nel corso del tempo, tuttavia, le implicazioni pratiche della neutralità furono interpretate in misura sempre più ristretta, e di conseguenza un numero crescente di attività internazionali fu considerato compatibile con essa. La partecipazione alle attività in favore della pace delle Nazioni Unite, ad esempio, era molto importante per la Finlandia.

Negli anni Ottanta la Finlandia cominciò ad appoggiarsi in misura crescente all’EFTA, di cui divenne membro a pieno titolo nel 1986. Nel 1989 l’idea di un’Area economica europea (AEE) fu proposta come alternativa alla piena partecipazione alla Comunità Europea per i paesi neutrali dell’EFTA. Si trattava di un modo per combinare le “quattro libertà” (v. Libera circolazione delle persone; Libera circolazione delle merci; Libera circolazione dei capitali; Libera circolazione dei servizi) con il rifiuto di assumere impegni di politica estera. L’idea pertanto sembrò subito promettente per la Finlandia. Con la caduta del Muro di Berlino, nell’autunno del 1990 la Finlandia sottopose a revisione l’interpretazione del Trattato di Parigi e il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza fu rimpiazzato nel 1992 da un Accordo di relazioni di buon vicinato con la Russia. Così come avevano fatto gli altri paesi neutrali dell’EFTA, anche la Finlandia chiese di entrare a far parte della Comunità europea nel 1992, seguendo le orme della vicina Svezia.

All’inizio degli anni Novanta la Finlandia ridefinì la propria condizione di neutralità in termini di “non allineamento militare”, una posizione che implicava una difesa indipendente credibile, ma non comportava la partecipazione ad alcuna alleanza militare. In seguito, sarà adottata la dizione equivalente di “paese non alleato”. Elemento centrale di questa nuova concezione era l’idea che la cooperazione militare con altri paesi fosse possibile, escludendo però le garanzie di mutua difesa. La Finlandia intanto cominciava a impegnarsi nel nuovo schema di cooperazione della NATO-North Atlantic cooperation council (NACC) e Partnership for Peace (PFP) – senza peraltro perseguire l’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Solidarietà e sicurezza ebbero anch’esse un ruolo importante nella campagna referendaria sull’adesione all’Unione europea (UE) (v. Criteri di adesione). Divenne ben presto opinione diffusa che la partecipazione alla UE avrebbe rafforzato la sicurezza del paese, ritenuta più forte di quanto non fosse mai stata in passato.

Nonostante questa ridefinizione, la Commissione europea prestò speciale attenzione al principio del non allineamento militare nella sua valutazione della richiesta di adesione presentata dalla Finlandia. Secondo la Commissione, ciò avrebbe potuto costituire un ostacolo alla piena accettazione della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Si temeva che i paesi ex neutrali potessero indebolire i progetti di una politica estera e di sicurezza comune.

La Finlandia dichiarò la sua disponibilità ad attuare la PESC e a essere un membro attivo e costruttivo. Per rassicurare l’opinione pubblica interna, fu sottolineata la compatibilità tra la PESC e la politica di non allineamento militare: poiché le decisioni in seno alla PESC erano prese con Voto all’unanimità e non sarebbe stata discussa l’ipotesi di una difesa comune, le politiche dell’UE risultavano compatibili con la politica estera finlandese e sarebbero anzi state ad essa complementari.

Come membro della UE, la Finlandia cercò di mostrare il suo profilo attivo in seno alla PESC. Nella prima Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) cui prese parte (1996-7) propose assieme alla Svezia l’inclusione nel Trattato di Amsterdam di compiti di gestione di situazioni di crisi – i cosiddetti “compiti di San Pietroburgo”. Questa iniziativa non era solo un modo di dimostrare attivismo e disponibilità a compiere passi in avanti in questo campo, ma anche una mossa difensiva: molti altri paesi membri dell’UE proponevano un obiettivo assai più ambizioso di fusione tra l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e l’Unione europea. Questo era troppo per gli Stati non allineati. Poiché anche il Regno Unito si opponeva, i due paesi potevano sentirsi abbastanza sicuri, e anzi orgogliosi del traguardo conseguito.

Tuttavia, lo sviluppo della PESC e della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) andava acquistando un ritmo sempre più accelerato. Durante la prima presidenza finnica del Consiglio della UE (v. Presidenza dell’Unione europea), alla fine del 1999, fu definito il cosiddetto “Obiettivo primario di Helsinki”, in base al quale la UE al 2003 avrebbe avuto proprie truppe di intervento ai fini della gestione delle crisi. La Finlandia diede un contributo generoso, destinando infine un contingente di 2000 uomini alle operazioni dell’Unione europea – il massimo che la legislazione finlandese in materia di mantenimento della pace consentiva di inviare simultaneamente all’estero. La Finlandia prese parte alle prime operazioni di gestione delle crisi dell’UE nel 2003, ma non all’operazione nella Repubblica Democratica del Congo, a differenza della vicina Svezia.

Il primo capo del Comitato militare dell’Unione europea fu il generale finlandese Gustav Hägglund. La sua nomina fu interpretata in Finlandia come un riconoscimento dell’eguaglianza tra Stati membri allineati e non allineati all’interno dell’Unione.

Il profilo politico della Finlandia all’interno della PESC può essere caratterizzato dall’insistenza sui seguenti criteri: gestione delle crisi piuttosto che difesa, utilizzo dei mezzi civili a preferenza di quelli militari nella gestione delle crisi, mantenimento di un forte legame con le Nazioni Unite. In base alla legislazione finnica, la partecipazione a un’operazione di pace è possibile solo se vi è un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU, o dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (v. Organizzazione europea per la cooperazione economica). Inoltre, tra le varie questioni politiche i rapporti dell’Unione con la Russia hanno sempre avuto un’importanza centrale per la Finlandia, che partecipò attivamente alla stesura della Strategia comune dell’Unione europea nei confronti della Russia.

In generale, la Finlandia non sottolineava eccessivamente il proprio status di paese non allineato, al fine di non essere esclusa dalla cooperazione, appoggiando altresì il ruolo della NATO nell’Europa del Nord. Tuttavia la Finlandia si dimostrò più riluttante degli altri paesi del Nord a dare pieno appoggio all’obiettivo dell’allargamento della NATO agli Stati baltici.

Nella Convenzione europea, la Finlandia non si oppose agli ulteriori passi preannunciati dal Gruppo di lavoro sulla difesa, anche se questo arrivò a proporre innovazioni di grande portata nella PESD. Era facile per la Finlandia accettare la clausola di solidarietà e l’ampliamento dei compiti di San Pietroburgo, mentre l’idea di compiti di gestione delle crisi più impegnativi, l’inserimento di una clausola di difesa comune e la possibilità di una cooperazione strutturata limitata solo ad alcuni paesi membri risultavano più difficili da accettare. Durante la Conferenza intergovernativa del dicembre 2003 la Finlandia assunse una posizione più decisa e propose – con l’appoggio di Austria, Irlanda e Svezia – una forma emendata della clausola di difesa per il Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Essa avrebbe considerevolmente indebolito l’impegno reciproco e come tale non venne accettato dalla Presidenza. Invece, la clausola di mutua difesa fu modificata al fine di tener conto di diverse posizioni politiche in materia di sicurezza. Tale compromesso, agli occhi del governo finnico, avrebbe consentito alla Finlandia di restare un paese non allineato all’interno dell’Unione.

Nel complesso, il non allineamento della Finlandia è stato assai flessibile. Per il paese, in particolare durante i suoi primi 7-8 anni in qualità di Stato membro, l’attivismo in questo campo è stato importante, e non sono stati presi provvedimenti che avrebbero potuto apparire di ostacolo allo sviluppo di politiche comuni. Con il cambiamento di governo nel 2003 si preannunciava l’emergere un atteggiamento più restrittivo. Il Libro bianco (v. Libri bianchi) sulla difesa del 2004 continuava la linea di non allineamento militare, pur dando maggior risalto alle politiche comuni dell’UE e menzionando l’ingresso nella NATO come una possibilità.

Hanna Ojanen (2009)