Il Comitato Europeo sotto il Governo della Repubblica di Lituania

Il decreto governativo del 1995 gettò le fondamenta del quadro istituzionale della politica europea lituana stabilendo un comitato di coordinamento ad alto livello (la Commissione governativa per l’integrazione europea), un’istituzione di coordinamento (Dipartimento per l’integrazione europea all’interno del ministero per gli Affari esteri) e unità speciali per gli Affari europei in ciascun ministero. Dopo le elezioni parlamentari dell’autunno 1996, che portarono al potere un governo di coalizione guidato dalla conservatrice Unione patriottica, venne ristrutturato il quadro istituzionale. Furono costituiti un ministero degli Affari europei e una delegazione per le trattative.

Tuttavia, dopo la riorganizzazione per ragioni politiche del governo nel 1998, il Comitato europeo sotto il governo della Repubblica di Lituania (più avanti nel testo definito Comitato europeo o CE) rimpiazzò il ministero degli Affari europei. I compiti principali del CE erano il coordinamento delle attività dei ministeri lituani e di altre istituzioni governative (incluso il processo negoziale) durante l’integrazione del paese nell’Unione europea, supervisionare l’implementazione dei programmi nazionali per l’integrazione, svolgere la funzione del segretariato della Commissione governativa per l’integrazione europea e supervisionare l’implementazione delle sue decisioni (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Infatti, il Comitato europeo iniziò a preparare il programma per la Commissione governativa (v. Pettai, Zielonka, 2003) e divenne un’istituzione di grande importanza nel processo negoziale, il 1° gennaio 2001 il suo direttore Petras Auštrevičius divenne il nuovo capo negoziatore della Lituania.

Il Comitato europeo consisteva in 3 dipartimenti e 9 divisioni. Esso impiegava 65 dipendenti dell’età media di trentadue anni. Il CE fondò due istituzioni pubbliche, l’Agenzia lituana per lo sviluppo e il Centro di traduzione, documentazione e informazione. Il CE coordinò i seguenti programmi per l’integrazione: il Programma nazionale di analisi sui cambiamenti sociali ed economici relativi all’adesione della Lituania all’UE; il Programma nazionale di valorizzazione della formazione e delle competenze degli specialisti UE; il Programma per lo sviluppo della pubblica consapevolezza; il Programma di integrazione della Lituania nel Mercato unico europeo; il Programma di promozione di investimenti esteri in Lituania; il Programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario; il Programma di sviluppo istituzionale; il Programma nazionale di armonizzazione legislativa; il Centro di traduzione, documentazione e informazione; il Programma di pianificazione della politica regionale lituana. Gli obiettivi principali del Comitato europeo erano: prendere parte alla formazione della politica di integrazione UE della Repubblica di Lituana e assicurare l’effettivo coordinamento della sua implementazione; assicurarsi che la Lituania assolvesse tutti gli obblighi relativi alla partecipazione nella UE, prima del 1° gennaio 2004, eccetto i temi in merito ai quali furono concordati i periodi di transizione; completare le trattative della Lituania con l’UE prima della fine del 2002; promuovere il livello di consapevolezza del pubblico lituano sull’integrazione del paese nell’UE e ricercare la sua approvazione del processo; rendere possibile alle imprese lituane di prepararsi meglio per la competizione sul mercato UE aumentando la loro consapevolezza rispetto ai nuovi requisiti e opportunità nell’UE, e promuovendo le loro competenze; valutare il possibile impatto sociale ed economico dell’integrazione lituana nell’UE, nelle aree più problematiche in relazione ai negoziati e sviluppare un sistema di atti giuridici che regolamentino la valutazione d’impatto;

Le principali attività del Comitato europeo

Una delle aree più importanti delle attività del CE, a parte il lungo processo negoziale, è stata la diffusione di informazioni sull’integrazione della Lituania nell’UE, destinate alle imprese e in generale alla popolazione. Svolgendo tale compito, il CE, nel settembre 2002, annunciò una gara d’appalto rivolta a organizzazioni non governative desiderose di impegnarsi nei processi d’integrazione UE. Il CE era pronto a fornire vari strumenti per il raggiungimento di questo scopo, inclusi conferenze, seminari, dibattiti, libri, serie di articoli, ecc.

Per contribuire al successo dell’integrazione delle società lituane nel mercato UE, il Comitato europeo, insieme al ministero dell’Economia, pubblicava nel 2002 la “Guida per fare impresa nel Mercato unico europeo” (Verslo Europos Sajungos bendrojoje rinkoje vadovas). La pubblicazione offre informazioni dettagliate e ben strutturate, a partire da una conoscenza di base del Mercato unico europeo, fino a consigli specifici ai responsabili del mondo imprenditoriale lituano su come preparare e gestire un programma di esportazioni. Vi sono incluse informazioni su leggi e regolamenti UE, parametri sulla sicurezza dei prodotti e la certificazione di qualità, pratiche di gestione, ecc. Molta attenzione viene data a varie forme di sostegno UE al commercio lituano, in particolare tramite strumenti di politica strutturale e regionale. La Guida è distribuita gratuitamente nei centri di informazione europei. È disponibile per associazioni commerciali, università, amministrazioni regionali e municipali, e biblioteche.

In aggiunta a pubblicazioni singole, per accrescere la consapevolezza e la conoscenza sui processi di integrazione UE, il CE stampa due pubblicazioni periodiche. Nel 1998 iniziò la pubblicazione di “Notizie sull’integrazione” (“Integracijos Žinios”), un bollettino mensile specializzato, a colori, di 20 pagine, sulla partecipazione lituana alla UE, che offriva articoli di analisi e opinione.

Del bollettino erano in circolazione 7000 copie. Veniva distribuito sulla base di libere sottoscrizioni a organismi pubblici nazionali e locali, governo, parlamento, ufficio del presidente, amministrazioni regionali e istituzioni dei governi locali, ambasciate lituane all’estero e ambasciate straniere in Lituania, organizzazioni non governative, istituti per l’istruzione, biblioteche, responsabili commerciali, mass media centrali e regionali, e clero. Ogni mese, vi erano 30-60 abbonati in più che desideravano ricevere regolarmente il notiziario. “Notizie sull’integrazione” era anche distribuito in vari seminari, conferenze e presentazioni collegate all’UE.

Un’altra pubblicazione periodica, avviata dal Comitato europeo, è “Notizie sull’eurobusiness” (“Euroverslo naujieno’). Essa è mirata a contribuire all’effettiva operatività del mondo degli affari lituano nel mercato UE e contiene informazioni relative alle condizioni commerciali nel Mercato unico europeo. Questo bollettino è pubblicato elettronicamente e distribuito gratuitamente dal 2001. È stato uno tra i primi progetti del CE, volto a diffondere informazioni sul Mercato unico europeo nel mondo degli affari lituano. “Notizie sull’eurobusiness” pubblica articoli sulla competitività del commercio lituano, sugli aiuti UE al commercio, sulla politica commerciale UE, sugli standard dei prodotti, commenti su leggi e regolamenti UE e notiziari d’economia dall’Europa, dalla Lituania e dal mondo. Il bollettino è stato stampato in 5000 copie e distribuito gratuitamente tramite associazioni commerciali e centri d’informazione sull’Europa istituiti a livello regionale.

Nel 2001, il Comitato europeo, perseguendo l’altro suo obiettivo relativo alla formazione e all’aggiornamento dei dirigenti e imprenditori lituani per innalzare la competitività delle società lituane nell’UE, iniziò a gestire il programma “Eurobusiness” (“Euroverslas”). Tra i principali argomenti vi erano i principi del funzionamento del Mercato unico europeo, i requisiti UE sui prodotti, le condizioni sul commercio e sugli affari nell’UE, ecc.

Infine in linea con uno dei propri obiettivi, nel 2001 il Comitato europeo organizzò l’esame qualitativo di circa duemila atti legislativi UE nella prospettiva del loro impatto economico e sociale sulla Lituania. (v. Vilpišauskas, 2001).

La riorganizzazione

Il 1° gennaio 2004, il Comitato europeo, avendo la Lituania completato con successo le trattative riguardanti l’ingresso nella UE, venne riorganizzato, relegando le sue funzioni principali all’Ufficio del primo ministro della Lituania (Lietuvos Respublikos vyriausybės kanceliarija). Di conseguenza furono organizzati due nuovi dipartimenti nell’Ufficio del primo ministro: il Dipartimento per l’analisi politica dell’Unione europea e il coordinamento interistituzionale, e il Dipartimento per il coordinamento e il monitoraggio dell’implementazione legislativa europea.

Questi dipartimenti coordinano e partecipano alle decisioni riguardanti le posizioni della Lituania rispetto alle questioni UE in fase di dibattimento e all’armonizzazione degli atti legislativi con le norme UE, come pure alla supervisione della gestione delle risoluzioni e degli obblighi adottati. Il Dipartimento per l’informazione e la comunicazione, con sede nell’ufficio del primo ministro, venne ampliato stabilendovi la divisione di pubbliche relazioni e informazioni sull’Unione europea, la cui missione principale era di fornire al pubblico le informazioni riguardanti le questioni UE. In queste nuove strutture venne inserito il personale precedentemente impiegato dal Comitato europeo. Le funzioni del CE relative al coordinamento della politica di mercato interno all’UE furono trasferite al ministero dell’Economia, dove, per lo svolgimento di queste funzioni, venne costituito un nuovo dipartimento per il coordinamento della politica di mercato interno.

Jolanta Stankevičiūtė (2009)




Il Mondo

“Il Mondo”, settimanale diretto da Mario Pannunzio, per l’intero arco della sua durata (1949-1966) ha seguito una linea europeista pienamente coerente con l’impostazione liberaldemocratica, atlantista e terzaforzista della testata. Va poi ricordato che fra i collaboratori si annoverano, sia pure con diversa intensità e impegno, alcuni dei più attivi fautori del processo di unificazione europea. Fra gli altri occorrerà rammentare i due autori del Manifesto di Ventotene, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Europeisti convinti furono anche due dei più autorevoli commentatori di politica estera, Vittorio de Caprariis, titolare della rubrica tra il 1954 ed il 1956, e Aldo Garosci, attivo militante federalista (v. Movimento federalista europeo), che tenne la stessa rubrica per tutto il decennio successivo e fino alla chiusura del settimanale. Più in generale, poi, i più attivi articolisti della testata erano tutti di variegate ma salde convinzioni europeiste.

Naturalmente questa generale fedeltà alle politiche di integrazione europea (v. Integrazione, Teorie della; Integrazione, Metodo della) è andata specificandosi volta a volta nelle diverse stagioni rispetto all’effettivo svolgimento della congiuntura politica interna e internazionale. Inoltre, se il giornale esprimeva una posizione coerente dal punto di vista politico, essa non escludeva una dialettica fra opinioni non sempre coincidenti. All’interno di tali generali coordinate si può operare una schematica periodizzazione che scandisca in linea generale i diversi momenti dell’impegno europeista del settimanale.

Una primissima fase è quella che va dal 1949 alla nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), quando sui temi europei si registrano posizioni diverse. Spinelli, partendo da una posizione di federalista puro (v. Federalismo), è molto critico della nuova istituzione sovranazionale, mentre Ugo La Malfa è più possibilista, ritenendola comunque un primo passo nella direzione giusta.

La fase successiva, che arriva fino al 1954, vede una maggiore unità d’intenti, perché la prospettiva della Comunità europea di difesa (CED) e dell’assemblea ad hoc registra una convergenza tra posizioni federaliste e funzionaliste (v. Funzionalismo), tra atlantismo ed europeismo. Il settimanale sposa con convinzione la causa europea che in quella stagione coincide a pieno tanto con la linea di politica estera tenuta dai governi di Alcide De Gasperi (ampiamente appoggiata dal presidente Luigi Einaudi), quanto con quella dell’amministrazione americana, convinta che l’unificazione europea sia un necessario argine alla minaccia sovietica.

Il fallimento della CED segna una battuta d’arresto che disloca e riallinea le posizioni. Non casualmente in questo periodo Spinelli non collabora al settimanale, mentre Rossi, più legato al giornale, continua a scrivere soprattutto di argomenti economici, attenuando la sua fiducia nel raggiungimento dell’unità europea in tempi ravvicinati. Il settimanale, però, in nome di una coerente fedeltà all’alleanza atlantica, saluta con interesse la ripresa della politica europeista, all’inizio del 1956, con la nascita del pool dell’energia atomica tra i sei paesi della CECA. A partire dall’anno successivo, poi, ”Il Mondo“ segue con attenzione, pur non mancando di manifestare critiche e riserve per l’eccessiva timidezza e lunghezza del processo, la nascita e lo sviluppo del mercato comune (v. Comunità economica europea).

Su questa generale attenzione al tema europeo si innestano successivamente le esigenze legate all’evoluzione del quadro politico interno. Per preparare il centro-sinistra è necessario sollecitare l’evoluzione in senso europeista e atlantista del PSI (Partito socialista italiano). Tale obiettivo, nei primi anni sessanta, trova un punto di convergenza delle forze laiche e socialiste nella esigenza di contrastare il progetto gaullista di un’Europa delle patrie (v. Charles de Gaulle), promuovendo il rafforzamento delle istituzioni comunitarie e favorendo l’ingresso del Regno Unito. A questi temi sarà dedicato l’undicesimo e ultimo dei convegni del ”Mondo“, tenuto nel febbraio 1963. Negli ultimi e difficili anni della testata, il settimanale manterrà ferma l’opposizione alle richieste gaulliste di revisione dei trattati di Roma, richiedendo, invece, una maggiore coerenza delle politiche comunitarie (col rafforzamento della Commissione CEE) (v. Commissione europea) e soprattutto lo svolgimento in senso soprannazionale degli istituti europei esistenti, aumentandone la legittimazione democratica (v. anche Deficit democratico).

Maurizio Griffo (2012)




Il non allineamento militare della Finlandia nell’Unione

Durante la Guerra fredda la Finlandia si dichiarò paese neutrale. Nel 1948 aveva firmato un Tratto di amicizia, cooperazione e mutua assistenza con l’Unione Sovietica, contenente una clausola in base alla quale nessuno dei firmatari avrebbe aderito a una coalizione diretta contro l’altro. Negli anni Cinquanta la neutralità si cristallizzò nella dottrina finnica in materia di politica estera. La Finlandia cercò di tenersi fuori dallo scontro tra le grandi potenze. Questa politica di neutralità implicava un atteggiamento estremamente cauto nei confronti delle varie organizzazioni dell’Europa occidentale. L’adesione alla Comunità economica europea (CEE) era fuori questione a causa dell’opposizione sovietica, ma la Finlandia non aderì nemmeno all’Associazione europea di libero scambio (European free trade agreement, EFTA) come membro a pieno titolo, firmando invece nel 1961 un trattato speciale (FINEFTA) con i paesi dell’EFTA.

Si affermò l’idea che la Finlandia dovesse restare fuori da una integrazione sovranazionale, rifiutando ogni impegno politico che potesse mettere a repentaglio la sua neutralità (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La Finlandia cercò altresì di stabilire relazioni simmetriche con i due blocchi: gli accordi economici con l’Occidente erano compensati da accordi paralleli con l’Est.

Nel corso del tempo, tuttavia, le implicazioni pratiche della neutralità furono interpretate in misura sempre più ristretta, e di conseguenza un numero crescente di attività internazionali fu considerato compatibile con essa. La partecipazione alle attività in favore della pace delle Nazioni Unite, ad esempio, era molto importante per la Finlandia.

Negli anni Ottanta la Finlandia cominciò ad appoggiarsi in misura crescente all’EFTA, di cui divenne membro a pieno titolo nel 1986. Nel 1989 l’idea di un’Area economica europea (AEE) fu proposta come alternativa alla piena partecipazione alla Comunità Europea per i paesi neutrali dell’EFTA. Si trattava di un modo per combinare le “quattro libertà” (v. Libera circolazione delle persone; Libera circolazione delle merci; Libera circolazione dei capitali; Libera circolazione dei servizi) con il rifiuto di assumere impegni di politica estera. L’idea pertanto sembrò subito promettente per la Finlandia. Con la caduta del Muro di Berlino, nell’autunno del 1990 la Finlandia sottopose a revisione l’interpretazione del Trattato di Parigi e il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza fu rimpiazzato nel 1992 da un Accordo di relazioni di buon vicinato con la Russia. Così come avevano fatto gli altri paesi neutrali dell’EFTA, anche la Finlandia chiese di entrare a far parte della Comunità europea nel 1992, seguendo le orme della vicina Svezia.

All’inizio degli anni Novanta la Finlandia ridefinì la propria condizione di neutralità in termini di “non allineamento militare”, una posizione che implicava una difesa indipendente credibile, ma non comportava la partecipazione ad alcuna alleanza militare. In seguito, sarà adottata la dizione equivalente di “paese non alleato”. Elemento centrale di questa nuova concezione era l’idea che la cooperazione militare con altri paesi fosse possibile, escludendo però le garanzie di mutua difesa. La Finlandia intanto cominciava a impegnarsi nel nuovo schema di cooperazione della NATO-North Atlantic cooperation council (NACC) e Partnership for Peace (PFP) – senza peraltro perseguire l’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Solidarietà e sicurezza ebbero anch’esse un ruolo importante nella campagna referendaria sull’adesione all’Unione europea (UE) (v. Criteri di adesione). Divenne ben presto opinione diffusa che la partecipazione alla UE avrebbe rafforzato la sicurezza del paese, ritenuta più forte di quanto non fosse mai stata in passato.

Nonostante questa ridefinizione, la Commissione europea prestò speciale attenzione al principio del non allineamento militare nella sua valutazione della richiesta di adesione presentata dalla Finlandia. Secondo la Commissione, ciò avrebbe potuto costituire un ostacolo alla piena accettazione della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Si temeva che i paesi ex neutrali potessero indebolire i progetti di una politica estera e di sicurezza comune.

La Finlandia dichiarò la sua disponibilità ad attuare la PESC e a essere un membro attivo e costruttivo. Per rassicurare l’opinione pubblica interna, fu sottolineata la compatibilità tra la PESC e la politica di non allineamento militare: poiché le decisioni in seno alla PESC erano prese con Voto all’unanimità e non sarebbe stata discussa l’ipotesi di una difesa comune, le politiche dell’UE risultavano compatibili con la politica estera finlandese e sarebbero anzi state ad essa complementari.

Come membro della UE, la Finlandia cercò di mostrare il suo profilo attivo in seno alla PESC. Nella prima Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) cui prese parte (1996-7) propose assieme alla Svezia l’inclusione nel Trattato di Amsterdam di compiti di gestione di situazioni di crisi – i cosiddetti “compiti di San Pietroburgo”. Questa iniziativa non era solo un modo di dimostrare attivismo e disponibilità a compiere passi in avanti in questo campo, ma anche una mossa difensiva: molti altri paesi membri dell’UE proponevano un obiettivo assai più ambizioso di fusione tra l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e l’Unione europea. Questo era troppo per gli Stati non allineati. Poiché anche il Regno Unito si opponeva, i due paesi potevano sentirsi abbastanza sicuri, e anzi orgogliosi del traguardo conseguito.

Tuttavia, lo sviluppo della PESC e della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD) andava acquistando un ritmo sempre più accelerato. Durante la prima presidenza finnica del Consiglio della UE (v. Presidenza dell’Unione europea), alla fine del 1999, fu definito il cosiddetto “Obiettivo primario di Helsinki”, in base al quale la UE al 2003 avrebbe avuto proprie truppe di intervento ai fini della gestione delle crisi. La Finlandia diede un contributo generoso, destinando infine un contingente di 2000 uomini alle operazioni dell’Unione europea – il massimo che la legislazione finlandese in materia di mantenimento della pace consentiva di inviare simultaneamente all’estero. La Finlandia prese parte alle prime operazioni di gestione delle crisi dell’UE nel 2003, ma non all’operazione nella Repubblica Democratica del Congo, a differenza della vicina Svezia.

Il primo capo del Comitato militare dell’Unione europea fu il generale finlandese Gustav Hägglund. La sua nomina fu interpretata in Finlandia come un riconoscimento dell’eguaglianza tra Stati membri allineati e non allineati all’interno dell’Unione.

Il profilo politico della Finlandia all’interno della PESC può essere caratterizzato dall’insistenza sui seguenti criteri: gestione delle crisi piuttosto che difesa, utilizzo dei mezzi civili a preferenza di quelli militari nella gestione delle crisi, mantenimento di un forte legame con le Nazioni Unite. In base alla legislazione finnica, la partecipazione a un’operazione di pace è possibile solo se vi è un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU, o dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (v. Organizzazione europea per la cooperazione economica). Inoltre, tra le varie questioni politiche i rapporti dell’Unione con la Russia hanno sempre avuto un’importanza centrale per la Finlandia, che partecipò attivamente alla stesura della Strategia comune dell’Unione europea nei confronti della Russia.

In generale, la Finlandia non sottolineava eccessivamente il proprio status di paese non allineato, al fine di non essere esclusa dalla cooperazione, appoggiando altresì il ruolo della NATO nell’Europa del Nord. Tuttavia la Finlandia si dimostrò più riluttante degli altri paesi del Nord a dare pieno appoggio all’obiettivo dell’allargamento della NATO agli Stati baltici.

Nella Convenzione europea, la Finlandia non si oppose agli ulteriori passi preannunciati dal Gruppo di lavoro sulla difesa, anche se questo arrivò a proporre innovazioni di grande portata nella PESD. Era facile per la Finlandia accettare la clausola di solidarietà e l’ampliamento dei compiti di San Pietroburgo, mentre l’idea di compiti di gestione delle crisi più impegnativi, l’inserimento di una clausola di difesa comune e la possibilità di una cooperazione strutturata limitata solo ad alcuni paesi membri risultavano più difficili da accettare. Durante la Conferenza intergovernativa del dicembre 2003 la Finlandia assunse una posizione più decisa e propose – con l’appoggio di Austria, Irlanda e Svezia – una forma emendata della clausola di difesa per il Trattato costituzionale (v. Costituzione europea). Essa avrebbe considerevolmente indebolito l’impegno reciproco e come tale non venne accettato dalla Presidenza. Invece, la clausola di mutua difesa fu modificata al fine di tener conto di diverse posizioni politiche in materia di sicurezza. Tale compromesso, agli occhi del governo finnico, avrebbe consentito alla Finlandia di restare un paese non allineato all’interno dell’Unione.

Nel complesso, il non allineamento della Finlandia è stato assai flessibile. Per il paese, in particolare durante i suoi primi 7-8 anni in qualità di Stato membro, l’attivismo in questo campo è stato importante, e non sono stati presi provvedimenti che avrebbero potuto apparire di ostacolo allo sviluppo di politiche comuni. Con il cambiamento di governo nel 2003 si preannunciava l’emergere un atteggiamento più restrittivo. Il Libro bianco (v. Libri bianchi) sulla difesa del 2004 continuava la linea di non allineamento militare, pur dando maggior risalto alle politiche comuni dell’UE e menzionando l’ingresso nella NATO come una possibilità.

Hanna Ojanen (2009)




Il ruolo del referendum nella politica europea della Danimarca

Tra gli emendamenti alla Costituzione danese del 1953 vi fu una nuova sezione riguardante la delega dei poteri a organizzazioni internazionali (articolo 20), insieme a una serie di nuove possibilità per indire referendum. Inoltre, nella Costituzione, la delega dei poteri a organizzazioni internazionali è oggetto di referendum (articolo 42) se una legge implicante tale delega non ottiene la maggioranza dei cinque sesti richiesta nel Folketing (Parlamento unicamerale). Nel referendum i voti devono essere raccolti a favore o contro il disegno di legge. Per respingere un disegno di legge una maggioranza di elettori non inferiore al 30% deve votare contro il medesimo.

Nel 1961-1962 e nel 1967, la Danimarca, insieme a Gran Bretagna, Norvegia e Irlanda, fece richiesta di adesione alla Comunità europea, ma de Gaulle pose ripetutamente il veto all’ingresso della Gran Bretagna, bocciando così anche la richiesta danese, poiché collegata a quella britannica. Le trattative per l’ammissione furono riprese dopo l’incontro all’Aia del dicembre 1969. Il 2 ottobre 1972 venne indetto un referendum in riferimento all’articolo 20 della Costituzione, con il risultato di 63,3% di voti favorevoli e il 36,7% contrari all’adesione. Dal 1° gennaio 1973 la Danimarca divenne quindi membro della Comunità europea insieme a Irlanda e Gran Bretagna.

Tenendo conto del referendum del 1972 sull’ingresso danese nella Comunità europea, la Danimarca ha indetto in tutto sei referendum nazionali sulla Comunità europea/Unione europea. Tuttavia, non tutti questi referendum sono stati indetti in riferimento all’articolo 20.

Nel febbraio 1986, il governo conservatore-liberale indisse un referendum volontario e consultivo allorché il disegno di legge che autorizzava l’adesione della Danimarca all’Atto unico europeo (AUE), fu bocciato dal Folketing. Il governo dichiarò che non vi sarebbe stata alcuna delega alla sovranità danese come conseguenza dell’adesione all’AUE e che perciò un referendum in riferimento all’articolo 20 sarebbe stato inutile. Invece di indire nuove elezioni, che probabilmente non avrebbero portato alla vittoria della maggioranza di governo, quest’ultimo decise di organizzare un referendum consultivo sulla questione, prendendo in contropiede l’opposizione. Tuttavia, l’opposizione accettò di rispettare il verdetto del referendum, e allorché questo espresse il 56% di voti favorevoli, il Parlamento poté finalmente approvare il disegno di legge sull’AUE.

Il referendum sul Trattato di Maastricht del 1992 era previsto dalla Costituzione, essendo la maggioranza parlamentare inferiore ai cinque sesti necessari. Nel referendum del giugno 1992 il rifiuto del Trattato da parte della popolazione con un margine minimo, condusse a un “compromesso nazionale” da realizzare tra il governo e la maggior parte dei membri dell’opposizione, incluso l’euroscettico Partito popolare socialista (v. Euroscetticismo). Il compromesso portò all’approvazione del Trattato di Maastricht, a condizione che la Danimarca ottenesse quattro cosiddetti opt-out che lasciavano la Danimarca fuori dalla politica comunitaria in materia di Difesa, dalla terza fase dell’Unione economica monetaria (UEM) e dalla moneta unica, dalla Cittadinanza europea e dai settori sovranazionali riguardanti la cooperazione nella Giustizia e affari interni (GAI). Inoltre, come parte del “compromesso nazionale”, venne concordato che tutte le future modifiche degli opt-out sarebbero state approvate tramite referendum. Gli opt-out danesi furono accettati dai governi CE con l’Accordo di Edimburgo del dicembre 1992.

Il referendum sull’Accordo di Edimburgo nel maggio 1993 non venne richiesto legalmente perché una maggioranza di cinque sesti fu raggiunta con il sostegno del Partito popolare socialista. Tuttavia il referendum si rendeva necessario a livello politico giacché faceva parte del compromesso tra i principali partiti politici. Per cui il referendum ebbe luogo sfruttando un paragrafo della Costituzione che permetteva di indire un referendum volontario e vincolante (articolo 42, paragrafo 6 con riferimento all’articolo 19).

Nel 1998 non fu possibile raggiungere in Parlamento una maggioranza di cinque sesti sul Trattato di Amsterdam e si tenne un referendum in riferimento all’articolo 20, benché durante il suo svolgimento si discusse in merito al fatto che ciò potesse implicare una delega sostanziale di poteri costituzionali.

Infine, nel 2000, la coalizione di governo socialdemocratico–social-liberale tentò di capovolgere la rinuncia danese di aderire alla moneta unica, l’Euro. Per ragioni legali e politiche fu indetto un referendum in cui gli elettori respinsero la proposta.

La seguente tabella delinea le caratteristiche essenziali dei referendum danesi sulla CEE

Tab. 1. Referendum danesi sull’Europa 1972-2000.

Anno Materia Condizioni dell’indizione Risultato: Percentuale dei “sì” Effetti giuridici
1972 Adesione alla CEE Art. 20:

Obbligatoria

63,6% Decisivi
1986

 

Atto unico europeo Legge:

Volontaria

56,2% Consultativi
1992 Trattato di Maastricht Art. 20:

Obbligatoria

49,3% Decisivi
1993 Accordo di Edimburgo Art. 42 (6) e Art. 19: Volontaria 56,7% Decisivi
1998 Trattato di Amsterdam Art. 20:

Obbligatoria

55,1% Decisivi
2000 Moneta Unica Art. 20:

Obbligatoria

46,8% Decisivi

Gli esponenti politici danesi avevano indetto dei referendum su questioni inerenti all’Europa in misura maggiore di quanto previsto dalla Costituzione. Il Partito socialdemocratico aveva iniziato nel 1971 questa prassi, obbligando il governo borghese in carica ad accettare l’idea che un referendum vincolante dovesse tenersi in ogni circostanza, malgrado non fosse chiaro se un’elezione parlamentare avrebbe espresso una maggioranza di cinque sesti in favore dell’adesione alla CEE. Nel 1986 un altro governo borghese venne a rafforzare questa tendenza, indicendo un referendum sull’Atto unico europeo invece di annunciare nuove elezioni in seguito alla bocciatura in parlamento di tale questione. Infine, il compromesso nazionale del 1992 stabilì un requisito politico necessario per poter indire un referendum qualora gli opt-out concessi avessero subito modifiche.

In sostanza, con o senza l’intenzione esplicita della leadership politica, in Danimarca si è sviluppata una sorta di democrazia diretta legata alla precipua questione della delega di sovranità alle organizzazioni internazionali.

Palle Svensson (2012)




Ilves, Toomas Hendrik

Vicepresidente della Commissione degli affari esteri del Parlamento europeo, I. (Stoccolma 1953) era il primogenito di una famiglia di profughi di guerra. I suoi genitori dovettero abbandonare l’Estonia nell’autunno del 1944, fuggendo dall’Armata rossa che si stava avvicinando. Essi avevano sperato di evitare il ripetersi degli orrori subiti dalle rispettive famiglie nel 1940-1941, quando a seguito del patto Molotov-Ribbentrop firmato segretamente dall’Unione Sovietica e dalla Germania nel 1939, l’Estonia cadde sotto il controllo di Stalin e decine di migliaia di estoni furono uccisi e deportati. Come molti altri profughi di guerra che si erano trasferiti in altri paesi dopo il conflitto, I. e i suoi genitori lasciarono la Svezia per rifugiarsi negli Stati Uniti. Nel 1976, I. si laureò in Psicologia alla Columbia University e nel 1978 conseguì un master in Psicologia all’Università della Pennsylvania.

Il suo primo impiego fu nell’ambito accademico. Dal 1974 al 1979 lavorò come assistente ricercatore presso il dipartimento di Psicologia della Columbia University e dal 1979 al 1981 fu vicedirettore e professore di inglese presso l’Open education center di Englewood nel New Jersey.

Negli anni successivi insegnò Letteratura e Linguistica estoni alla Simon Fraser University di Vancouver. In seguito, nel 1984, in uno dei momenti più critici della Guerra fredda, lavorò per Radio Europa libera (Radio free Europe, RFE), organizzazione e radio finanziate dal Dipartimento di Stato americano, come analista e ricercatore e dopo quattro anni, nel 1988, fu promosso direttore della redazione Estonia.

I programmi in lingua estone della RFE ebbero un ruolo determinante nel promuovere la rivoluzione incruenta che portò all’indipendenza del paese dall’Unione Sovietica. La RFE diffuse nel mondo libero notizie e analisi di eventi accaduti in Estonia, rappresentando allo stesso tempo per gli estoni una fonte di informazioni senza censure. Senza dubbio la redazione Estonia della RFE, diretta da I., fu una delle forze che aiutò la Repubblica di Estonia a riconquistare l’indipendenza nell’agosto del 1991 e a formare istituzioni governative efficaci in pochi anni. Questi furono anche gli anni in cui I. cominciò ad acquistare una certa notorietà in Estonia.

Non destò sorpresa, pertanto, nel 1993, la sua nomina a primo ambasciatore plenipotenziario dell’Estonia negli Stati Uniti, Canada e Messico. L’attività come ambasciatore di I. e le sue relazioni con i membri del Congresso e gli alti funzionari dell’amministrazione Clinton (v. Clinton, William Jefferson) contribuirono alla candidatura dell’Estonia all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO). Alla fine del 1996 (dopo la caduta del governo), I. ricevette la proposta di assumere la carica di ministro degli Esteri nel nuovo governo. Egli esitò, poiché all’epoca non partecipava attivamente alla politica interna estone e diffidava della politica di parte, ma alla fine accettò l’incarico.

Alla fine del 1996, un’aura di incertezza avvolse i due obiettivi principali della politica estera estone, l’Adesione all’Unione europea (UE) e alla NATO. Il ministro degli Esteri I., consapevole delle priorità dell’amministrazione Clinton e considerando che l’Estonia non aveva ancora ricevuto un invito ad aderire alla NATO, puntò il timone a tutta velocità verso l’UE. Massima priorità era evitare di ricevere un “doppio rifiuto”. A ragione, I. temeva che il rifiuto simultaneo di Washington e Bruxelles avrebbe potuto far cessare il sostegno pubblico verso ciò che era stata la politica estera dei diversi governi precedenti.

In pochi mesi, I. instradò il ministero degli Esteri verso l’UE, istituendo ambasciate in tutti e 15 gli Stati membri dell’UE e aggiornando le statistiche economiche dell’UE sull’Estonia. Il ministero degli Esteri fece conoscere la storia dell’Estonia e le sue relazioni con la Russia all’UE e chiese ai suoi decision-maker di applicare criteri obiettivi nella valutazione di tutti gli Stati candidati. Il credo politico di I. divenne chiaro: l’Europa avrebbe dovuto scrollarsi di dosso i suoi pregiudizi e cessare di condurre una politica di allargamento conforme ai desideri di Mosca (v. anche Allargamento). In sintesi: l’Europa avrebbe dovuto iniziare a prendere sul serio l’Estonia.

Grazie a questo intenso lavoro, l’Estonia fu uno dei cinque paesi del cosiddetto “blocco orientale” e l’unico ex Stato sovietico a ricevere l’invito a iniziare i negoziati di adesione al summit di Lussemburgo del 1997. Nel novembre 1998, la rivista di attualità più prestigiosa del mondo, “The Economist”, nella rubrica “Charlemagne” pubblicò un articolo su I., affermando che se vi fosse stato un riconoscimento per il miglior ministro degli Esteri degli ultimi anni, sarebbe andato sicuramente a I.

Alla vigilia delle elezioni parlamentari del 1999, I. partecipò più attivamente alla politica interna, abbandonando il governo pochi mesi prima delle elezioni per aderire a un partito di opposizione. Alle elezioni, il successo politico e il sostegno dei piccoli agricoltori e degli strati urbani istruiti fece salire al potere il partito Mõõdukad (Socialdemocratici) all’interno di una nuova coalizione e I. ritornò al suo incarico di ministro degli Esteri, riprendendo in mano la gestione dei negoziati di adesione all’UE e attendendo l’invito ad aderire alla NATO.

Nel 2001 ottenne la presidenza del suo partito. Tuttavia, la coalizione di governo cadde all’inizio del 2002, I. lasciò il governo e in autunno il partito Mõõdukad ottenne scarsi risultati alle elezioni locali. I. si assunse le proprie responsabilità e si dimise dalla presidenza del partito.

Nel marzo 2003 I. fu rieletto al parlamento. Pochi mesi dopo, divenne uno dei sei osservatori nominati dal Parlamento presso il Parlamento europeo. Nel giugno 2004, la lista del Partito socialdemocratico, guidata da I., ottenne una schiacciante vittoria, conquistando metà dei sei seggi del Parlamento europeo assegnati all’Estonia. La vittoria personale di I. sconcertò persino molti esperti: egli ricevette più di un terzo dei voti complessivi, più della somma dei voti di tre dei partiti partecipanti. Il sostegno degli elettori fu un netto riconoscimento per i molti anni di intenso lavoro e per la a posizione europeista di I.

Nel luglio 2004 I. è stato nominato primo vicepresidente della Commissione degli Affari esteri del Parlamento europeo. È anche membro della delegazione americana del Parlamento europeo e membro sostituto della delegazione russa, nonché presidente della delegazione estone nel Partito socialista europeo (PSE) e uno dei leader del Partito socialdemocratico estone. È uno dei commentatori di politica internazionale più accreditati e più richiesti in Estonia. I suoi articoli si contraddistinguono in parte per lo stile vivace con cui suggerisce ai suoi lettori di pensare all’Europa, all’identità europea, ma soprattutto al passato e al presente dell’Estonia. È noto per la sua idea dell’Estonia come paese nordico (simile alla Finlandia e alla Svezia, laddove in Europa e tra gli stessi Estoni prevale la tendenza ad assimilarla al contesto storico, politico e culturale dei vicini baltici).

Barbi Pilvre-Storgard (2006)