Jospin, Lionel

J. (Meudon, Hauts-de-Seine 1937), secondogenito di quattro fratelli, trascorse l’infanzia nella regione parigina, a eccezione di una parentesi durante l’occupazione tedesca. Anche il padre Robert, nato nel 1889 e morto nel 1990, si era occupato di politica; membro della Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO) dal 1924, si era presentato alle elezioni legislative del 1936 nell’Indre. Durante l’occupazione tedesca, aveva aderito alla Ligue de la pensée française, un movimento pétainista di sinistra. Nel 1944 Robert aveva accettato di essere nominato consigliere municipale di Meudon e per questa ragione, dopo il 1945, era stato escluso per dieci anni dalla SFIO. Ma in seguito era rientrato nell’organizzazione per occupare la carica di segretario generale in Seine-et-Marne. Pacifista convinto, amico di René Dumont, il pioniere dell’ecologia politica, Robert proveniva da una famiglia protestante e aveva ricevuto un’educazione “rigorista”, come sua moglie Mireille Dandieu, ostetrica, poi infermiera e infine assistente sociale nell’Educazione nazionale.

Nel 1956 J. si presenta al concorso di ammissione all’Institut d’études politiques, dove si diplomerà nel 1959. I fatti di Suez e di Budapest influenzeranno profondamente il corso della sua vita. Comincia a militare nell’Union nationale des étudiants de France (UNEF) e si impegna contro la guerra di Algeria; nel 1960, aderisce al Parti socialiste unifié (PSU). Nel novembre 1961 supera il concorso per l’ammissione all’École nationale d’administration (ENA). Fa quindi il servizio militare a Treviri e frequenta la Scuola ufficiali di riserva a Saumur; raggiunge poi la Germania come sottotenente in un reggimento di blindati.

Dopo l’ENA, dove uno dei suoi compagni di corso è Ernest-Antoine Sellières, entra, nel 1963, al Quai d’Orsay come segretario agli Affari esteri. Due anni più tardi è assegnato alla Direzione degli Affari economici, nel servizio per la cooperazione e gli aiuti allo sviluppo. Quest’incarico lo porta a viaggiare in tutto il mondo.

Alla fine degli anni Sessanta il fratello Olivier lo mette in contatto con l’Organizzazione comunista internazionale (OCI), struttura clandestina nata da una scissione della IV Internazionale socialista che ricalca per tipo di organizzazione e funzionamento una struttura tipica della Resistenza (segretezza permanente, sorveglianza dei militanti, controllo della purezza del pensiero, finanziamento in liquidi, nome di battaglia per ogni membro, addestramento di diversi mesi). Alla testa del gruppo di matrice trockijsta, i cui membri sono per la maggior parte insegnanti, c’è Pierre Bossel, detto Pierre Lambert, con cui J. afferma di aver rotto politicamente nel 1982, e sul piano dell’amicizia personale quattro anni dopo. A contatto con Bossel J. perfeziona la sua formazione politica, intellettuale e personale tanto che, secondo Elisabeth Dannenmuller, «il trozkismo è la sua scuola domenicale». Fino al 1999, questo passato trockijsta viene taciuto e, quando emergono le prime testimonianze, J., all’epoca primo ministro, nega tutto, adducendo a pretesto una supposta confusione con il fratello Olivier, ma più tardi riconosce i suoi legami con l’OCI. A posteriori, alcuni hanno voluto trovare in questa esperienza la spiegazione per lo scarso interesse dimostrato da J. verso la costruzione europea.

Nel 1969, qualche mese dopo i movimenti di protesta del maggio 1968, J. rinuncia alla carriera di alto funzionario e diplomatico che gli si apre davanti e per undici anni è docente di Economia all’Università Parigi-XI a Sceaux, dove dirige l’Institut de technologie. Nel 1971, sotto l’influenza di Pierre Joxe, aderisce al Partito socialista (PS), rifondato da François Mitterrand a Epinay. Entra a far parte, come responsabile delle relazioni Est-Ovest, del gruppo di esperti che lavora a fianco del primo segretario. È il momento in cui i socialisti francesi elaborano il nuovo messaggio europeo del partito nel quadro del programma “Changer la vie”, in cui affermano il loro attaccamento a un’Europa democratica e sociale. L’attuazione di questo tipo di Europa presuppone, ai loro occhi, l’armonizzazione delle legislazioni nazionali. Secondo il Partito socialista francese, la Comunità deve essere per l’Europa il mezzo per affermarsi sulla scena internazionale, in particolare nei confronti dell’egemonia economica degli Stati Uniti, e tale concezione subirà solo alcune modifiche congiunturali nei tre decenni successivi. Si può affermare che J. aderisca ufficialmente alle posizioni del Partito socialista sulla questione europea, ma che, in fondo, essa non gli stia particolarmente a cuore.

Numero due del Partito socialista, nel 1975, diventa segretario nazionale per il Terzo mondo e nel 1979, l’ex funzionario del Quai d’Orsay è responsabile per il partito delle relazioni estere e frequenta Willy Brandt, Olof Palme e Bruno Kreisky.

Militante nel XV arrondissement, membro del “gruppo del XVIII”, al quale appartengono anche Daniel Vaillant e Bertrand Delanoë, J. approfitta, nel 1977, dell’“onda rosa” delle elezioni municipali. La fedeltà di J. a Mitterrand, con il quale condivide anche la visione di un’Europa costituita da Stati nazione, viene ripagata, il 24 gennaio 1981, con l’elezione di J., durante il Congresso straordinario di Metz che designa Mitterrand candidato alle elezioni presidenziali, primo segretario del Partito socialista. Alle successive elezioni legislative è eletto deputato, nel XVIII arrondissement parigino e, ben presto, guida la lista socialista alle elezioni europee. In questa occasione, il giovane dirigente elabora la sua prima autentica analisi della questione europea. Da candidato socialista auspica una campagna sul campo e opta per l’organizzazione di quindici meeting interregionali da svolgersi fra il 15 maggio e il 15 giugno.

Il manifesto del Partito socialista, pubblicato nell’aprile 1984, si richiama all’attaccamento del partito alla Comunità europea (v. anche Comunità economica europea) e traccia il quadro di una crisi che richiede un rilancio. «Esso passa innanzitutto attraverso la lotta per l’occupazione e, più precisamente, un rilancio economico europeo concertato, l’attuazione di una politica industriale e della ricerca, di una strategia energetica, di una reale politica regionale […], una protezione rafforzata del Mercato comune e un’accresciuta cooperazione monetaria […]. Bisogna lanciare l’Europa delle libertà, della cultura e dell’istruzione». I socialisti rifiutano qualsiasi evoluzione istituzionale che sia sinonimo di prospettive a lungo termine e si limitano a ribadire la necessità di applicare il Trattato di Roma (v. Trattati di Roma). Il 17 giugno 1984, il risultato del Partito socialista alle elezioni europee è inferiore a quello del 1979 (v. anche Elezioni dirette del Parlamento europeo).

Due anni dopo, nel marzo 1986, le elezioni legislative segnano il ritorno della destra. Eletto a Parigi, a settembre J. è sollecitato dalla federazione della Haute-Garonne a candidarsi per un’elezione legislativa parziale che si preannuncia difficile. È eletto deputato della VII circoscrizione e due anni più tardi consigliere generale del cantone di Cintegabelle, nello stesso dipartimento. Rinuncia quindi ai suoi mandati parigini e si radica nella provincia, una tappa quasi obbligata nella carriera degli uomini politici francesi che abbiano vocazioni presidenziali.

L’uomo forte di Cintegabelle resta primo segretario del PS fino alla nomina a ministro dell’Educazione nazionale, della gioventù e dello sport, nel maggio 1988, all’interno del governo Michel Rocard. Per quattro anni porta avanti un’ambiziosa politica di riforme che investe tutti i livelli dell’insegnamento. Per rivalorizzare la condizione degli insegnanti e la loro formazione, il ministro modifica i programmi, istituisce nella scuola materna e primaria i cicli di tirocinio, rilancia la politica delle “zone di educazione prioritaria” e quella del decentramento, che si esprime nella concessione di maggiori poteri ai consigli scolastici. Avvia la riforma dei licei e promuove il piano “Université 2000”. In un paese con due milioni di giovani scolarizzati, in cui ogni ministro dell’Educazione vuole legare il proprio nome a una riforma “decisiva”, l’azione di J. appare un successo. Per quanto riguarda le misure a favore della diffusione della conoscenza dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) tra i giovani, esse sono limitate all’avviamento alle lingue straniere nell’insegnamento primario e allo sviluppo degli scambi universitari.

J. si dimette dal suo ministero nel 1992. Le elezioni del 1993 segnano il regresso della sinistra francese, confermato l’anno seguente dalle consultazioni europee. J. abbandona il comitato direttivo e l’esecutivo del PS e per due anni si adopera per animare e promuovere le Assises de la transformation sociale lanciate da Michel Rocard. Questi forum forniscono agli uomini politici, ai sindacalisti e ai movimenti associativi di sinistra di diverse sensibilità, l’opportunità di discutere i problemi di base della società francese.

Il 4 gennaio 1995, l’ex primo segretario riprende servizio nel partito e annuncia, di fronte al direttivo nazionale, la sua candidatura alle elezioni presidenziali e, un mese dopo, viene ufficialmente designato dal Congresso straordinario. Nelle sue dichiarazioni, il candidato J. ribadisce la propria adesione a un’Europa sociale. «La moneta unica non diverrà un ostacolo a politiche sociali avanzate. Ritengo che, al contrario, ci darà nuovi margini di manovra. In questo contesto c’è anche un costo della non-Europa […]. L’instabilità monetaria è sempre un rischio per i più deboli. Fra Stati e anche all’interno di ciascuno Stato». Queste considerazioni pubblicate nella rivista “Politics”, il 23 marzo 1995, sono sintomatiche delle convinzioni di J. e del suo modo di esprimersi in quel periodo. La sua visione è universalista e umanistica, il suo approccio è tecnico, spesso difensivo. A proposito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, J., divenuto primo ministro, si oppone all’eventuale menzione dell’“eredità religiosa”: «Il riferimento all’ispirazione religiosa dell’Unione […] solleverebbe per la Francia difficoltà di ordine costituzionale e metterebbe in discussione il carattere universale dei valori e dei diritti». Il politico, di cui la stampa ricorda regolarmente l’educazione protestante per fustigare il suo orgoglio o ammirarne il rigore, si professa «laico ma allo stesso tempo sensibile al fattore religioso».

Seppur in testa al primo turno delle elezioni presidenziali con il 23,3% dei voti, alla fine, il 7 maggio 1995, ottiene solo il 47,3% dei suffragi; si tratta comunque di una sconfitta onorevole.

Tornato alla direzione del PS, lo porta alla vittoria alle elezioni comunali e comincia a rinnovarlo dall’interno, concedendo ai militanti maggiori strumenti di partecipazione. Nell’autunno seguente un movimento sociale mobilita i francesi contro i provvedimenti del governo di Alain Juppé. Le manifestazioni di novembre e dicembre preludono a un’opposizione che sfocerà, nell’aprile 1997, nello scioglimento dell’Assemblea nazionale da parte del Presidente della Repubblica Jacques Chirac. Le elezioni legislative anticipate segnano il trionfo della sinistra e, il 2 giugno, J. è chiamato a formare il nuovo governo. Inaugura un nuovo modo di governare: il suo metodo dà grande spazio al discorso sull’etica e alle relazioni contrattuali fra i concittadini e il governo del quale è capo. Impone lo stile di un uomo che lavora per riformare il paese in modo duraturo. Il bilancio riportato dal periodico “Challenges”, il 2 maggio 2003, è eloquente: il governo J. è riuscito a conciliare progresso economico (ripresa della crescita) e progresso sociale (copertura malattie universale, 35 ore lavorative, ecc.), 900.000 disoccupati hanno ricominciato a lavorare, 4,8 milioni di persone hanno accesso alla copertura malattie, 650.000 al sussidio personalizzato di autonomia, 390.000 al sussidio di solidarietà specifico, per non parlare della creazione degli emplois-jeunes (occupazione per i giovani). Quanto alle riforme della società, la Francia deve a questo governo il cosiddetto PACS (Pacte civil de solidarité) e il congedo per paternità.

Il 20 febbraio 2002 – la data non è casuale – J. annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali, pensando di prendersi una rivincita su Chirac. Nel corso della campagna elettorale torna sul suo “desiderio d’Europa”, proponendo l’adozione di una carta d’identità comunitaria che presenti una facciata nazionale e una europea, sul modello delle monete dell’Euro. Avanza anche la proposta di collegare direttamente il ministro degli Affari europei al primo ministro, in modo da potenziarne il ruolo.

Il 21 aprile 2002 le sue ambizioni presidenziali muoiono definitivamente. Il leader dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen lo scalza per il secondo turno. Dopo aver conosciuto i risultati (ottiene il 16,18% dei suffragi, Le Pen il 16, 86%), Jospin, ancora primo ministro in carica, annuncia il suo ritiro definitivo dalla vita politica. Questo gesto suscita l’ammirazione di coloro che vi scorgono un segnale di dignità e di maturità, mentre altri lo considerano un tradimento, ritenendo che un leader debba condividere fino all’ultimo le prove difficili con il proprio campo politico. Nell’autunno 2002, il militante J. fa ritorno alla sezione parigina del PS nel XVIII arrondissement. Ormai si propone solo di “essere utile”, dando sostegno sul campo ai candidati socialisti durante le campagne e usando la propria autorità morale in una serie di lunghi articoli pubblicati da “Le Monde”, in particolare sull’avvenire delle relazioni franco-americane.

Il contributo più autentico di J. nel campo dell’europeismo è esposto in un discorso, pronunciato il 28 maggio 2001, in cui il primo ministro invita i francesi a discutere dell’avvenire dell’Unione europea, in conformità con la decisione presa dai capi di Stato e di governo riuniti a Nizza nel 2000: «L’Europa è innanzitutto un progetto politico, un “contenuto” prima di essere un “contenitore”. L’Europa non è fatta solo di regolamenti, direttive e contenziosi. È innanzitutto un’opera dello spirito, un modello di società, una visione del mondo. L’idea europea iscritta nella realtà: ecco quel che conta per me. L’Europa che amo, quella che voglio costruire con tanti altri, ha un progetto di società, una visione del mondo, un’architettura politica». Se le parole di questa sintesi esprimono maggior convinzione rispetto al passato, nondimeno non si può negare che J. abbia rifiutato l’idea di un vero Stato federale europeo (v. anche Federalismo). Senza dubbio perché nella sua mentalità un simile esito avrebbe consacrato la vittoria della concezione tedesca nell’organizzazione comunitaria. Diviso fra le sue ascendenze nazionaliste e pacifiste, da un lato, e la sua visione internazionale e umanistica, dall’altro, J., come uomo di Stato, ha fondamentalmente trascurato il progetto europeo.

Fabrice D’Almeida (2006)




Journal of European Integration History

Agli inizi degli anni ’80 su iniziativa di alcuni storici europei, in particolare i francesi René Girault e Raymond Poidevin, e con il sostegno dell’allora DG X della Commissione europea veniva creato il “Gruppo di collegamento degli storici dell’Europa contemporanea presso la Commissione Europea”. Scopo del gruppo era favorire la conoscenza del processo di integrazione quale fenomeno storico. Il gruppo comprendeva – e comprende tuttora – storici di vari paesi europei, per quanto non vi sia una suddivisione sulla base di “quote” nazionali, ma si sia tenuto soprattutto conto della rilevanza della produzione storiografica sui temi della costruzione europea nella realtà dei vari paesi della Comunità e in seguito dell’Unione europea (UE). Fra le prime iniziative del gruppo vi è stata l’organizzazione, a intervalli di due/tre anni, di convegni internazionali su vari argomenti relativi alla storia dell’integrazione. A partire dal primo convegno, tenutosi nel 1984 a Bruxelles (gli atti di questo primo incontro sono stati raccolti nel volume a cura di R. Poidevin Histore des débuts de la construction européenne. Mars 1948-mai 1950, Baden-Baden-Bruxelles-Milano-Paris, Nomos-Bruylant-Giuffrè-LGDJ 1986), si sono tenuti nove incontri internazionali, che hanno dato origine ad altrettanti volumi.

Agli inizi degli anni ’90 il gruppo di collegamento elaborava il progetto per l’avvio di una rivista che si occupasse della storia dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Questa ipotesi emergeva in base a una serie di considerazioni: il sempre più forte interesse da parte della storiografia di vari paesi, non solo all’interno della UE, nei confronti di questo fenomeno storico, la crescente disponibilità di fonti archivistiche che consentivano la redazione di studi sempre più documentati, l’opportunità di offrire agli studiosi, anche i più giovani, uno strumento grazie al quale trarre informazioni e un luogo ove dibattere sui temi della storia dell’integrazione. La rivista, proprio per la sua volontà di trovare una collocazione in ambito europeo, era aperta a contributi in tre lingue: inglese, francese e tedesco. Questa scelta trovava riflesso nel titolo, “Journal of European Integration History”, al quale si affiancavano quelli di “Revue d’histoire de l’integration européenne” e di “Zeitschrift fuer Geschichte der Europaeischen Integration”. Veniva inoltre deciso che sarebbero stati pubblicati due numeri all’anno per un totale di circa quattrocento pagine; la rivista avrebbe ospitato articoli e recensioni e in linea di massima a un numero “aperto” si sarebbe alternato un numero a tema. Il primo numero appariva agli inizi del 1995 e da quel momento il “Journal of European Integration History” è apparso con regolarità divenendo un punto di riferimento per gli studiosi interessati alla storia della costruzione europea nei suoi vari aspetti (politico-diplomatici, economici, sociali) e, più in generale, delle vicende europee dal dopoguerra in avanti. Il comitato di redazione è formato dai membri del gruppo di collegamento degli storici dell’Europa contemporanea, i quali si assumono a intervalli la responsabilità dei vari numeri, per quanto alcuni siano apparsi a cura di storici esterni al gruppo. Dalla sua comparsa la rivista ha pubblicato più di 130 articoli di storici affermati e di giovani studiosi di varie nazionalità. Si è registrato inoltre un crescente interesse verso i numeri tematici e in tale ambito sono stati affrontati i seguenti argomenti: “La Guerra fredda e l’integrazione europea”, “Il primo Allargamento della Comunità Europea”, “L’Europa della cultura”, “L’Europa della cittadinanza”, “Gli Stati Uniti e l’integrazione europea”, “Le nazioni periferiche e la costruzione europea”, “I piccoli stati, gli stati neutrali e il processo d’integrazione”, “Lo spazio pubblico e l’identità europei”, “Il vertice dell’Aja del 1969”, “La CE/UE e la crisi jugoslava”. Gran parte degli articoli, circa due terzi, sono apparsi in lingua inglese, seguiti dal francese e dal tedesco (una decina di articoli).

Attualmente il gruppo di collegamento, che guida la rivista, è formato da dodici membri (due francesi, due tedeschi, due inglesi, un lussemburghese, un belga, un olandese, un danese, uno spagnolo, un italiano); il presidente del gruppo, dopo che la carica era stata ricoperta per lungo tempo dal lussemburghese Gilbert Trausch, è il tedesco Wilfried Loth, docente presso l’Università di Essen. La rivista si appoggia per la struttura redazionale al “Centre d’Etudes et des Recherches Européennes Robert Schuman”, con sede in Lussemburgo.

Antonio Varsori (2012)




Jouvenel, Bertrand de

J: (Parigi 1903-ivi 1987) apparteneva a una celebre dinastia di giornalisti e uomini politici. Il padre Henry fu redattore capo del quotidiano “Le Matin” e sposò in seconde nozze la scrittrice Colette; solo la morte prematura lo sottrasse a un possibile destino politico di primo piano nella III Repubblica. Lo zio Robert, redattore capo de “L’Oeuvre”, autore del celebre pamphlet La République des camarades (1914), fu l’“educatore politico” di J. Egli stesso rivendicò la sua appartenenza a una generazione che spaziava da Alfred Fabre Luce, nato nel 1899, a Pierre Mendès France, nato nel 1907.

J. ebbe formazione frammentaria (studi di diritto, di matematica e di biologia) e il suo percorso scolastico regolare cominciato iniziò solo a partire dalla prima classe del liceo Hoche di Versailles. Tuttavia, grazie alla sua rete familiare, egli poté beneficiare fin dalla prima giovinezza di un’esperienza internazionale. La madre Claire Boas, molto legata al segretario generale del Quai d’Orsay Philippe Berthelot, animava un salotto sul boulevard Saint-Germain, luogo d’incontro dell’élite internazionale, in cui si discutevano i problemi della pace e della nuova geopolitica dell’Europa centrale. A ciò si aggiungeva la rete di relazioni del padre e dello zio: nel 1922 J. accompagnò a Ginevra il padre, delegato per la Francia alla Società delle Nazioni (SDN), un’esperienza che si rivelò fondamentale nella carriera del giovane. A vent’anni divenne segretario particolare di Edouard Benès, poi di Albert Thomas al Bureau international du travail (BIT).

Oppositore dell’occupazione della Ruhr nel 1923, J. militò precocemente assai presto a favore di un riavvicinamento franco-tedesco soprattutto grazie alla SDN; così partecipò nel 1924 al Groupement universitaire pour la Société des Nations (GUSDN), un movimento di giovani militanti favorevoli all’istituzione ginevrina, e nello stesso anno creava a Praga la “replica internazionale” del movimento, la Fédération universitaire internationale pour la Société des Nations (FUISDN), destinata a raccogliere universitari e intellettuali per la promozione degli ideali di sicurezza collettiva.

L’inclinazione di J. per lo studio delle questioni internazionali e il suo interesse per un’unione europea erano inscindibilmente legati all’attenzione per i problemi economici e sociali, che nel periodo fra le due guerre rappresentarono il principale nucleo delle sue riflessioni. Dall’Economie dirigée (1928) – un titolo destinato a un grande avvenire – agli Etats Unis d’Europe (1930), a La crise du capitalisme américain (1933), J. affrontò una stessa tematica ricorrente: i problemi economici avrebbero dovuto essere affrontati come fattore di integrazione europea e di pace (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). «Nessuna politica economica razionale è possibile senza una collaborazione internazionale, che è anch’essa una garanzia positiva di pace», scriveva nell’Economie dirigée.

In veste di giornalista J. portò avanti la sua battaglia per il rinnovamento dei costumi politici, diventando nel 1928 redattore capo de “La Voix”, settimanale che esprimeva le aspirazioni della corrente “realista” dei giovani radicali di cui J. fu uno dei portavoce. Egli volle collocare questa pubblicazione al crocevia dei “gruppi giovanili” per farne un polo di convergenza intergenerazionale. J. divenne il promotore del riavvicinamento franco-tedesco, della riforma dello Stato e della nazionalizzazione dell’economia. Apostolo della solidarietà europea come altri membri della generazione “realista” degli anni Venti e Trenta, J. militò per un’Europa pacificata e unita e per l’instaurazione di una società internazionale “organizzata”. Il suo biografo Eric Roussel pubblicò i Fragments d’une histoire européenne, scritti nel 1940, in cui J. spiegava come l’unità europea sarebbe stata illusoria se fosse stata il risultato del dominio di una grande nazione. Dopo la Seconda guerra mondiale l’interesse di J. per la costruzione europea non subì flessioni. Divenne amico di Pierre Uri, uno degli artefici dei Trattati di Roma, e da lungo tempo frequentava Jean Monnet che aveva anche nello stesso palazzo di suo padre Henry, in rue Condé.

La carriera di J. divenne movimentata dopo l’impasse del 6 febbraio 1934 e la creazione di un settimanale, “La lutte des jeunes”, che terminò con l’abbandono del Partito radicale. Tra gli autori di questa rivista figuravano Pierre Andrei, Sammy Berracha, Pierre Drieu de la Rochelle e Georges Izard. Nel frattempo J. continuò a scrivere articoli per “Marianne” di Emmanuel Berl. Riferendosi agli scritti de “La lutte des jeunes”, il politologo Zeev Sternhell etichettò J. come “fascista”. Senza dubbio la sua intervista a Hitler per “Paris-Midi” (26 febbraio 1936), “passo falso” o scoop inopportuno, il suo impegno per il PPF (Parti populaire français) di Jacques Doriot fino al 1938, poi l’esilio in Svizzera nel 1943 rendono meno nitida la direzione di un percorso sino ad allora lineare. Tuttavia, la pubblicazione delle sue memorie nel 1980, Un voyageur dans le siècle, “vera discesa all’inferno”, come pure il processo intentato contro Sternhell, dimostravano che queste accuse erano infondate (sentenza del TGI di Parigi del 1° febbraio 1984).

Negli anni Sessanta l’autore di Du pouvoir (1945), considerato un grande classico del pensiero politico del XX secolo, conquistò notorietà internazionale. Abbandonato il giornalismo in favore dell’insegnamento della sociologia politica (fu professore associato alla facoltà di diritto e di scienze economiche di Parigi dal 1967), J. divenne uno dei padri dell’ecologia e della battaglia ambientalista. Sviluppò una nuova disciplina, la futurologia, e fondò una rivista, “Futuribles”, attualmente diretta dal figlio Hugues. Nei paesi anglosassoni J. è considerato oggi uno dei più importanti filosofi politici francesi alla pari con Raymond Aron.

Christine Manigand (2010)




Jules Destrée




Julián Gómez García




Jürgen Habermas