Kaiser, Jakob

Con Konrad Adenauer e Kurt Schumacher, K. (Hammelburg, Baviera 1888-Berlino 1961) è considerato una delle figure politiche più importanti dell’immediato secondo dopoguerra in Germania. Affermatosi negli anni della Repubblica di Weimar (1919-1933) come leader sindacalista di area cristiana e come politico del partito del Centro (Zentrum), nel marzo 1933 K. si vede costretto, per disciplina di partito, a votare la legge dei pieni poteri (Ermächtigungsgesetz), che riconoscerà al governo guidato dal neodesignato cancelliere Adolf Hitler il potere di legiferare e di modificare la costituzione. K. rimpiangerà in seguito questa decisione, riconoscendo nel discorso di rifiuto del socialdemocratico Otto Wehls «l’unica posizione politicamente e moralmente ammissibile» (v. Kosthorst, 1972, p. 172). Così, sin dal 1934, K. entra in contatto con alcuni dei principali esponenti della Resistenza interna, tra cui il socialdemocratico Wilhelm Leuschner. Accusato di alto tradimento nel 1938, K. finisce nelle mani della Gestapo per alcuni mesi. Una volta uscito di prigione, K. prosegue la sua attività di resistenza e, nel 1941, si unisce al gruppo di cospiratori guidato da Carl Friedrich Goerdeler. Fallito l’attentato del 20 luglio 1944, tuttavia, l’ex sindacalista è costretto a nascondersi e a scomparire dalla circolazione fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Sarà uno dei pochi, nella cerchia ristretta dei suoi compagni di battaglia, a sfuggire alla cattura da parte dei nazisti e alla conseguente condanna a morte. Nel 1945 K. riemerge sulla scena politica come uno dei fondatori del Partito cristiano-democratico (Christlich-demokratische Union, CDU) nella zona di occupazione sovietica: nel dicembre dello stesso anno K. ne assume, insieme al suo vice Ernst Lemmer, la presidenza, dopo la destituzione, da parte dell’amministrazione militare sovietica, dei due predecessori che si erano opposti alla politica del Fronte democratico antifascista in materia di riforma agricola. Solo due anni dopo, nel dicembre 1947, la stessa sorte toccherà anche a K. e a Lemmer, i quali saranno allontanati, questa volta per aver rifiutato l’adesione della CDU orientale al “Movimento del congresso popolare”, il cui scopo era fornire alla politica sovietica in Germania l’apparenza di un consenso diffuso tra la popolazione. Più in generale, alla base di questa seconda epurazione, c’era l’indisponibilità dei sovietici a tollerare nella propria zona di occupazione la presenza di un leader politico come K. che, sia pure più disponibile di molti suoi colleghi di partito a ricercare un dialogo con Mosca, aveva sostenuto il Piano Marshall e, soprattutto, dichiarava con determinazione l’intento di realizzare una Germania unita, democratica e neutrale.

Portavoce di un “socialismo cristiano” e di una politica estera neutralista, K. propugnò tra il 1945 e il 1947 una visione sostanzialmente alternativa all’orientamento filo occidentale e integrazionista di Konrad Adenauer. Sul piano politico-sociale, l’impostazione di K. non era, tuttavia, né marxista, né classista, ma piuttosto di tipo solidaristico. In una riunione di partito, il 13 febbraio 1946, K. affermò in proposito: «Per noi la scelta democratica nel campo politico, e quella socialista in campo sociale ed economico, sono dominate dalla suprema legge della persona umana libera e cosciente della propria dignità; della persona umana che si inserisce nel più grande contesto, subordinandosi ad esso in base ad una libera decisione morale. Questo è per noi la natura del socialismo democratico fondato sulla responsabilità cristiana» (v. Mayer, 1988, p. 212). Tale concezione si sarebbe dovuta coniugare, nella visione di K., con una politica del non allineamento nelle relazioni internazionali: una prospettiva che, d’altra parte, non si limitava a rinnovare la tradizionale propensione della classe dirigente tedesca, da Bismarck a Stresemann, a escludere un’opzione tra Est e Ovest, dal momento che assegnava alla Germania postbellica la missione specifica di gettare un “ponte” tra i due poli. Sempre nello stesso discorso, K. proseguiva: «A me sembra che la Germania, nel quadro delle nazioni europee, abbia il compito di trovare la sintesi fra le idee orientali e quelle occidentali. Dobbiamo fare da ponte fra Est e Ovest» (ivi, p. 212).

Coerentemente con questa posizione neutralista, K. assunse nell’immediato dopoguerra un atteggiamento di netto rifiuto nei confronti di quelle proposte che contemplavano una rapida e incondizionata integrazione di una parte della Germania all’interno di una delle due zone di influenza, ritenendo che tali soluzioni avrebbero finito per aumentare la divisione del paese. In particolare, K. si oppose vigorosamente alla prospettiva di unificare l’Europa occidentale. In occasione della riunione di Pentecoste della CDU, che si tenne a Berlino nel giugno del 1946, K. attaccò duramente Adenauer, accusandolo di sostenere la linea europeista in un momento in cui il problema principale era, invece, a suo giudizio, quello dell’unità dello Stato nazionale: «Provo pertanto sempre una profonda ripugnanza quando sento invocare oggi da uomini politici tedeschi gli Stati Uniti d’Europa. […] Mi sembra che, con la Germania nello stato attuale, non sia il momento adatto per invocare gli Stati Uniti d’Europa. Occorre invece affrontare la vocazione Germania» (ivi, p. 261). Queste considerazioni si collocano, d’altra parte, in un periodo in cui il contrasto tra Est e Ovest non aveva ancora assunto la forma della Guerra fredda e l’ex sindacalista cristiano ancora credeva possibile impedire la divisione del paese. Nel novembre 1948, all’indomani dello scoppio della prima crisi di Berlino, anche K. dovette riconoscere, infatti, l’impraticabilità, anche se non l’illusorietà, della sua politica neutralista; una politica che, fino a quel momento, aveva predicato l’assoluta necessità di ricercare un dialogo con l’Unione Sovietica (v. Schwarz, 1980, p. 343).

Costretto a lasciare Berlino Est, K. continuò la sua azione politica nella neonata Repubblica Federale Tedesca (RFT). Nonostante i forti contrasti del periodo precedente o, forse, proprio per neutralizzare quello che, all’interno della democrazia cristiana, era stato fino ad allora il suo più temibile rivale, il cancelliere Adenauer gli affidò, nel 1949, il ministero agli Affari pantedeschi; incarico che K. ricoprirà fino al 1957. In questi anni K. si allineò, senza tuttavia piegarsi, alla politica di piena integrazione con l’Occidente. La sua partecipazione alla Bundesregierung non gli impedì, infatti, di assumere posizioni che lo videro, spesso e volentieri, in contraddizione con la maggior parte della coalizione di governo. In particolare, nel 1950, K. si oppose, così come il suo amico nonché ministro degli Interni, Gustav Heinemann (che poco dopo uscirà dal governo), all’ingresso della RFT nel Consiglio d’Europa, ritenendo inaccettabile aderire a un’istituzione che riconosceva la Saar come un territorio autonomo e, nei fatti, separato dalla Germania. K. temeva soprattutto che un cedimento sulla Saar avrebbe potuto indebolire anche le ambizioni tedesche sui territori orientali al di là dell’Oder e della Neisse. All’indomani della nota di Stalin del marzo 1952, poi, K. cercò, invano, di convincere il governo di cui faceva parte a sondare le effettive possibilità di trovare un’intesa con Mosca sulla questione della riunificazione tedesca. Rimase, pertanto, fortemente deluso, dopo un duro scontro con Adenauer, dall’atteggiamento di netta chiusura assunto dal cancelliere sulla questione. Nel giugno 1954, K. fondò, insieme a Herbert Wehner (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD), l’allora presidente federale, Theodor Heuss (Freie demokratische Partei, FDP), e ad alcuni esponenti del mondo della cultura – tra i più veementi critici di Adenauer, come Paul Sethe, Karl Silex e Wilhelm Wolfgang Schütz –, il Curatorio Germania indivisibile; un organismo preposto, secondo la celebre definizione dello storico Wolfrum, a «curare il culto dello Stato nazionale tedesco». Infine, il 19 novembre dello stesso anno, K. s’isolò ulteriormente dai suoi colleghi di partito, votando come unico esponente della CDU, insieme a quattro deputati della FDP, contro l’approvazione dello statuto della Saar. La successiva bocciatura, nell’ottobre 1955, da parte della popolazione della Saar del suddetto statuto, così come il ricongiungimento del territorio alla Germania verranno, pertanto, vissuti da K. anche come una piccola vittoria personale. Nel 1957 K. si ammalò gravemente. Prima della sua scomparsa, il 7 maggio 1961, riceverà la cittadinanza onoraria di Berlino. Non farà quindi in tempo ad assistere alla costruzione di quel muro che, soprattutto da un punto di vista simbolico, cementerà la divisione tra le due Germanie.

Gabriele D’Ottavio (2010)




Karamanlis, Konstantinos

K. nacque l’8 marzo 1907 a Proti, un piccolo centro in provincia di Serres, nella Macedonia turca, da una famiglia numerosa e di modeste condizioni sociali. Il padre Gheorghios combatté per la liberazione della Macedonia dal dominio ottomano tra il 1904 e il 1908. Dalle guerre balcaniche del 1912-1913 alla Prima guerra mondiale, fino alla guerra greco-turca conclusasi nel 1922 con la cosiddetta “catastrofe dell’Asia minore”, la regione fu investita da numerosi conflitti armati, sullo sfondo dei quali il giovane K. trascorse l’infanzia e la prima adolescenza. Compiuti gli studi liceali in provincia di Serres, nel 1925 si trasferì ad Atene dove nel 1929 si laureò in legge.

Tornò a Serres nel 1930, reduce dal servizio militare. Malgrado i brillanti esordi nell’avvocatura, la sua carriera si orientò rapidamente verso la politica con l’adesione al Partito popolare. D’ispirazione monarchica, quest’ultimo si presentava più simile a un partito di notabili che al moderno partito politico di massa e costituiva una delle due principali formazioni della vita politica greca. L’altra era rappresentata dalle correnti repubblicane guidate dal leader liberale Eleftherios Venizelos, e perciò dette “venizeliste”, in opposizione alle quali i Popolari, forti di un largo seguito elettorale, sostennero il ritorno al potere della monarchia. Nel 1935, all’età di appena ventotto anni, K. fu eletto per la prima volta deputato al parlamento nel distretto di Serres. Ma dopo la caduta della Repubblica e il ritorno al potere della monarchia, il colpo di Stato del generale Ioannis Metaxas condusse allo scioglimento del parlamento e all’abolizione dei partiti politici.

Durante gli anni della dittatura metaxista (1936-1940), K. rifiutò di collaborare con il regime militare e tornò a esercitare la professione forense. Nel 1941, dopo l’invasione della Grecia da parte delle truppe italiane, tedesche e bulgare, si stabilì temporaneamente nella capitale, dove partecipò alle riunioni di un circolo di intellettuali tacitamente schierati contro l’occupazione militare delle potenze dell’Asse, tra i quali spiccavano alcune importanti personalità del mondo politico e della cultura, quale quella dell’economista Xenofon Zolotas. In seguito, K. lasciò Atene per trasferirsi al Cairo, sede del governo monarchico in esilio. Rientrò in Grecia alla fine del 1944, dopo la definitiva ritirata della Wehrmacht da Atene.

Alle elezioni politiche generali del marzo 1946, le prime del dopoguerra, K. fu eletto per la seconda volta in parlamento nelle liste della nuova formazione politica denominata Fronte d’unione nazionale. Le operazioni di voto si svolsero in un clima infuocato dall’astensione dei comunisti, dalle denunce di numerosi brogli e da violenti scontri tra le bande paramilitari del cosiddetto “terrore bianco” e i reduci delle formazioni partigiane. Di lì a pochi mesi la militarizzazione del conflitto politico sfociò nello scoppio dell’ultima e più cruenta fase della guerra civile greca (1946-49), durante la quale il paese fu teatro dell’intervento militare inglese e statunitense.

In questi anni K. ricoprì i primi significativi incarichi di governo negli esecutivi di coalizione composti dalle destre e dai liberali. Nel 1946 visitò gli Stati Uniti in qualità di membro ufficiale della delegazione greca per gli aiuti economici del dopoguerra. Fu ministro del Lavoro (1946-1947), ministro dei Trasporti (1948) e ministro della Previdenza sociale (1948-1950). Nel 1950 fu rieletto in parlamento nel distretto di Serres e divenne ministro della Difesa nel governo di breve durata guidato dalla coalizione di Sophoclis Venizelos e Konstantinos Tsaldaris. L’anno successivo aderì al partito dell’Unione greca guidato dal generale Alexandros Papagos, protagonista della vittoria militare sulla guerriglia comunista. Nel 1951, inoltre, sposò Amalia Kanellopoulou.

Dopo il 1952 la carriera politica di K. subì una rapida accelerazione. I risultati delle elezioni politiche svoltesi con il nuovo sistema maggioritario consacrarono l’affermazione politica delle destre. Nel governo presieduto dal generale Papagos, K. fu nominato ministro dei Lavori pubblici, distinguendosi per una gestione efficiente, ma spiccatamente autocratica dell’incarico affidatogli. Quando nel 1955 la morte di Papagos aprì la lotta per la successione alla guida del governo tra i candidati designati dalle diverse correnti della destra, il re Paolo di Grecia, con una decisione che sorprese molti osservatori contemporanei, fece ricadere la scelta del ministro incaricato di formare il nuovo esecutivo su K.

Ottenuto il sostegno della maggioranza dei deputati delle destre, all’età di quarantotto anni K. divenne primo ministro, in una fase particolarmente delicata della vita politica nazionale, sulla quale pesavano la persistenza dei conflitti politici ereditati dalla guerra civile, la debole legittimazione del sistema istituzionale e gli urgenti problemi di natura economica e sociale legati alla ricostruzione. Tra le prime iniziative assunte dopo la nomina ai vertici dell’esecutivo vi fu la riorganizzazione politica delle destre, le cui diverse componenti furono riunite nel partito di nuova fondazione denominato Unione radicale nazionale (Ethniki rizospastiki enosis, ERE). In questo modo K. intese, per un verso, consolidare la propria leadership personale e, per l’altro, creare i presupposti per svincolare la propria azione di governo dalla tradizione politica del periodo Papagos, prefigurando il superamento dei canoni della lotta politica codificati nel periodo della guerra civile.

Fermo sostenitore della necessità di integrare la Grecia nel blocco occidentale, per ragioni geopolitiche e ideologiche, ma anche in funzione dello sviluppo politico, economico e sociale del paese, K. con un notevole dinamismo in politica estera tentò di superare l’isolamento internazionale in cui la Grecia era precipitata negli anni della guerra civile. Nonostante i gravi dissidi sorti con gli alleati occidentali in merito al processo di decolonizzazione dell’isola di Cipro, fu riconfermata la permanenza del paese nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO).

K. valorizzò il ruolo della Grecia nel contesto regionale del Medio Oriente, soprattutto nell’intento di assicurarsi il sostegno degli Stati arabi nell’ambito della crisi cipriota. Le principali tappe del processo furono l’avvicinamento alla Repubblica araba unita proclamata da Gamal Abdel Nasser, il rifiuto della Grecia di partecipare alla conferenza di Suez nell’estate 1956 e la condanna dell’invasione dell’Egitto da parte delle truppe anglo-francesi. All’accettazione della dottrina Eisenhower (v. Eisenhower, Dwight David) per il Medio Oriente nel 1957 seguì la visita ufficiale di K. al Cairo e la partecipazione della Grecia alla conferenza di Brioni nel 1958. Sullo sfondo di un complesso quadro internazionale, K. declinò il principio della fedeltà atlantica all’insegna di un progressivo consolidamento dei rapporti bilaterali tra la Grecia e gli Stati Uniti, sancito dallo scambio di importanti visite ufficiali, tra le quali quella del presidente Dwight D. Eisenhower ad Atene nel 1959. Nello stesso anno la Grecia accettò l’indipendenza di Cipro nell’ambito di una soluzione negoziata con la Gran Bretagna (v. Regno Unito) e la Turchia.

Sul fronte delle relazioni con gli Stati dell’Europa occidentale, K. favorì in particolare il riavvicinamento della Grecia alla Francia e alla Repubblica Federale Tedesca (v. Germania). Nel 1961, grazie anche al sostegno politico di Charles de Gaulle, fu siglato il trattato che riconosceva alla Grecia lo status di paese associato (v. Associazione) alla Comunità economica europea (CEE), nella prospettiva di accoglierne la richiesta di adesione formale all’area del Mercato comune (v. Comunità economica europea) entro l’anno 1984.

Tranne brevissime interruzioni, K. rimase primo ministro fino al 1963, riuscendo ad assicurarsi una larga maggioranza parlamentare attraverso tre diverse tornate elettorali (1956, 1958, 1961). La relazione preferenziale con gli Stati Uniti condusse nel 1955 allo stanziamento dei primi ingenti aiuti finanziari da parte dell’amministrazione americana per la ricostruzione postbellica della Grecia, che consentirono nel 1959 di varare un programma di cinque anni per il risanamento dell’economia nazionale, incentrato sulla modernizzazione dell’industria e dell’agricoltura.

Negli anni dei governi K., gli indicatori statistici registrarono una ripresa economica generalizzata. Tra l’inizio degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta il reddito medio pro capite aumentò di quattro volte, a fronte di una relativa stabilità del regime dei prezzi. Ma i consistenti aiuti finanziari provenienti dagli Stati Uniti non sempre coincisero con lo sviluppo dell’attività imprenditoriale in settori realmente competitivi. I settori trainanti della crescita economica rimasero quello delle costruzioni, il cui sviluppo fu in gran parte sostenuto dalla speculazione edilizia, della marina mercantile controllata dai grandi armatori e del turismo. Nonostante i risultati raggiunti nell’ambito della ricostruzione, la Grecia rimase un paese sostanzialmente agrario, legato a un’agricoltura scarsamente produttiva. A dispetto di un generalizzato incremento dell’occupazione, le campagne continuarono a espellere manodopera, alimentando i flussi d’immigrazione diretti verso i principali centri urbani del paese e, soprattutto, verso l’estero. La ramificazione della pubblica amministrazione ampliò le fila del ceto medio composto dagli impiegati pubblici, ma mise in luce la tendenza a una gestione burocratica e inefficiente della cosa pubblica, oltre che al rafforzamento delle tradizionali reti clientelari.

Nonostante i passi in avanti compiuti nell’ambito della modernizzazione economica e sociale del paese, la lunga permanenza di K. ai vertici del governo non garantì alla Grecia il pieno superamento del regime di democrazia limitata instaurato all’indomani della guerra civile. Dopo le elezioni politiche del 1961, la cui legittimità fu incrinata da voci di brogli e da numerosi episodi di violenza nei confronti dei militanti della sinistra, il paese precipitò in un clima di crescente instabilità politico-istituzionale. Nel 1963, in occasione di un raduno pacifista a Salonicco, il deputato della sinistra Grigoris Lambrakis rimase vittima di un’aggressione. L’evento turbò profondamente l’opinione pubblica e provocò il rapido deterioramento della situazione politica. Gheorghios Papandreu, leader dell’Unione di centro, la formazione liberale che costituiva la principale opposizione politica all’ERE di K., denunciò pubblicamente l’esistenza di un parakratos, di un “doppio Stato” costituito da apparati dei servizi segreti, nazionali e stranieri, legati ai gruppi dell’estrema destra, i quali operavano al di fuori del controllo del parlamento. Con una dichiarazione pubblica ripresa con grande clamore dalla stampa ellenica, egli indicò in K. il responsabile morale dell’omicidio Lambrakis. Gli eventi scaturiti dall’assassinio del deputato dell’Eda, il partito politico della sinistra fondato dopo la messa al bando dei comunisti, sfociò rapidamente in una crisi istituzionale di vaste proporzioni. K. respinse con fermezza le accuse formulate nei suoi confronti dal leader dell’Unione di centro. Ma nel luglio 1963, in seguito al conflitto istituzionale emerso con la Corona, decise di rassegnare le dimissioni da capo del governo. Quattro mesi più tardi, in seguito alla secca sconfitta elettorale riportata dall’ERE nelle consultazioni politiche generali, egli lasciò la Grecia recandosi in esilio volontario a Parigi.

In Francia K. approfondì il confronto politico e intellettuale con Charles de Gaulle, in merito soprattutto alla natura e al ruolo dello Stato nazione. Nel 1967 egli condannò il colpo di Stato militare realizzato ad Atene dai colonnelli e negli anni successivi lanciò ripetuti appelli per il ritorno della democrazia in Grecia. Nell’estate 1974, quando l’esito disastroso dell’avventura militare intrapresa dalla giunta dei colonnelli nell’isola di Cipro condusse al crollo definitivo della dittatura, K., forte di un indiscusso carisma personale, fu chiamato a gestire la difficile fase di transizione verso la democrazia. Primo ministro dal 1974 al 1980, egli guidò il cosiddetto processo di metapoliteusi, il cambiamento di regime politico interno. All’indomani del suo ritorno trionfale ad Atene, fondò il partito della Nuova democrazia, una formazione di centrodestra d’ispirazione liberale che alle elezioni svoltesi nel novembre 1974 ottenne la maggioranza relativa. Seppure con molti limiti, il processo di democratizzazione avviato nella seconda metà degli anni Settanta riuscì a garantire la restaurazione delle libertà civili, lo svolgimento del referendum popolare per l’abolizione della monarchia, l’epurazione, sebbene parziale e incompleta, delle forze armate dagli elementi maggiormente compromessi con la dittatura. Fu elaborato, inoltre, il nucleo della nuova costituzione ispirato al modello di una repubblica semipresidenziale, mentre la condanna a morte comminata nei confronti dei colonnelli fu tramutata nella pena all’ergastolo.

K. coniugò il processo di transizione democratica con la ripresa dei negoziati per la ratifica del Trattato di adesione della Grecia alla CEE, i quali avevano subito una lunga battuta d’arresto durante il periodo della dittatura. Tra gli uomini politici del dopoguerra, egli fu tra i più convinti sostenitori della causa europeista, alla quale diede una peculiare impostazione incentrata sul principio del reciproco vantaggio. Dal punto di vista dell’interesse nazionale della Grecia, l’ingresso del paese nella CEE avrebbe innescato un meccanismo virtuoso di valorizzazione di un enorme potenziale di risorse umane, naturali e economiche. Nella concezione di K., ancorare la Grecia all’Europa significava sottrarre il paese alla condizione di periferia economicamente arretrata del vecchio continente, inevitabilmente destinata a svolgere un ruolo marginale sulla scena politica internazionale. Di contro, nei suoi contatti con gli uomini di Stato europei K. esaltò costantemente il valore strategico della Grecia, promuovendone il ruolo di paese ponte tra Europa continentale, Balcani e Medio Oriente. Egli candidò la Grecia ad assolvere il ruolo di frontiera politica dell’Europa nel Mediterraneo, in virtù della sua posizione geografica, del legame preferenziale che in politica estera aveva tradizionalmente legato il paese alle democrazie occidentali, all’eredità culturale della sua storia. Nel contesto internazionale della Guerra fredda e della competizione tra le grandi potenze, per il controllo delle risorse petrolifere e la gestione delle vie di comunicazioni intercontinentali, la Grecia avrebbe offerto al Mercato comune europeo un trampolino di lancio verso il Medio Oriente.

Insignito del premio Charlemagne nel 1978 per l’impegno profuso in favore dell’unità europea, K. contribuì attivamente al dibattito sul futuro assetto istituzionale dell’Europa politica (v. anche Istituzioni comunitarie). Egli sostenne il progetto di un Parlamento europeo dotato di ampie prerogative e legittimato da elezioni a suffragio universale diretto (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo) e la necessità di un potere esecutivo forte e di un’applicazione rigorosa del principio di maggioranza (v. anche Maggioranza qualificata) in seno al Consiglio dei ministri.

Presidente della Repubblica di Grecia dal 1980 al 1985 e dal 1990 al 1995, K. contribuì al compimento della democratizzazione politica e istituzionale della Grecia, nel nuovo contesto dalla coabitazione con il Movimento socialista panellenico (Panellī́nio sosialistikó kínīma, PASOK) di Andreas Papandreu. Malgrado i gravi sintomi di crisi emersi nell’economia nazionale, egli si adoperò costantemente per il consolidamento delle relazioni della Grecia con l’Europa. Avendo rinunciato a qualsiasi incarico pubblico, K. morì nel 1998 all’età di 91 anni.

Lidia Santarelli (2010)




Karel Van Miert




Karl Lamers




Karl Renner




Karl-Heinz Narjes




Karol Wojtyla