Klaus Hänsch




Klaus, Václav

Nato a Vinohrady (distretto di Praga) il 19 giugno 1941, K. studia alla Scuola di economica di Praga, specializzandosi in commercio estero e laureandosi nel 1963. L’economia diverrà il suo campo di studi specifico. Approfittando del relativo disgelo della vita politica cecoslovacca negli anni Sessanta, compie soggiorni di studio in Italia (1966) e negli Stati Uniti (1969). Come ricercatore dell’Istituto di economia dell’Accademia delle scienze cecoslovacca consegue il dottorato in economia nel 1968.

Nel 1970 K. è costretto ad abbandonare la carriera di ricercatore per motivi politici, in quanto i suoi lavori riflettono orientamenti di stampo liberale. Espulso dall’Accademia, entra nella Banca di Stato cecoslovacca. Solo alla fine del 1987 riprenderà la carriera di ricercatore all’Istituto di previsioni economiche dell’Accademia delle Scienze ceca, che risente l’influsso della perestrojka. Subito dopo la caduta del muro di Berlino, il 17 novembre 1989 K. inizia a occuparsi attivamente di politica come membro del Forum civico, senza peraltro interrompere i contatti con il mondo dell’economia. Continua a tenere conferenze e a pubblicare saggi e nel 1991 diventa assistente di economia all’Università Carlo di Praga. Nel 1995 diventa professore di finanza alla Scuola di economia di Praga.

La carriera politica di K. ha inizio nel dicembre 1989, quando diventa ministro federale delle Finanze. In questa carica esercita un’influenza rilevante sulla politica economica, diventando il principale artefice della cosiddetta “terapia choc” cecoslovacca che caratterizzerà la politica economica nel periodo di transizione dopo il 1989, basata sulla liberalizzazione e sulla stabilizzazione macroeconomica. Nell’ottobre del 1991 viene nominato anche vice primo ministro della Federazione cecoslovacca. Ammiratore del pensiero di Milton Friedman e di Friedrich von Hayek, come ministro delle Finanze K. è uno strenuo sostenitore del paradigma proposto dagli economisti conservatori neoliberali, soprattutto statunitensi, sulla riforma economica nelle società postcomuniste. La sua visione neoliberale prevede una rapida liberalizzazione dell’economia successivamente o contemporaneamente a un periodo di stabilizzazione macroeconomica. Il ruolo di spicco assunto da K. nella riforma economica conferisce al ministero delle Finanze, che durante il periodo comunista era stata una carica di scarso rilievo, una posizione istituzionale molto forte nel suo rapporto con l’esecutivo e con altri ministeri responsabili del coordinamento e della pianificazione della politica economica. K. aderisce al programma di politica economica stabilito nel c.d. “Washington consensus” del Fondo monetario internazionale (FMI). Alla fine del 1990 diventa presidente del Forum civico, all’epoca l’entità politica più forte del paese. Dopo le sue dimissioni dal Forum nell’aprile 1991 è uno dei fondatori del Partito civico democratico (Občanská demokratická strana, ODS), del quale resta presidente fino al dicembre 2002. Il nuovo partito, sul piano del pensiero economico e politico, è molto vicino al Partito conservatore britannico. Infatti K. è un grande ammiratore di Margaret Thatcher e del processo di liberalizzazione da lei realizzato nel Regno Unito negli anni Ottanta. Nel 1992 K. vince con il suo partito le elezioni parlamentari e diventa primo ministro della Repubblica Ceca in una coalizione di governo con l’Alleanza civica democratica (Občanská demokratická aliance, ODA) e l’Unione cristiana e democratica (Křesťanská a demokratická unie, KDU)/Partito popolare cecoslovacco (Československá strana lidová, ČSL).

Da questa posizione K. prende parte assieme alla sua controparte slovacca, Vladimir Mečiar, alla divisione pacifica della Cecoslovacchia, il cosiddetto “divorzio di velluto” e alla fondazione di una Repubblica Ceca indipendente. Di fatto, diversamente da K., la maggior parte dell’élite politica ceca era favorevole al proseguimento dell’unione, ma egli riesce a superare l’impasse politica che si è creata in merito al futuro dello Stato federale. Nel 1992 vince in modo netto le elezioni grazie soprattutto alla soluzione ai problemi federali da lui proposta. Nel 1996 difende con successo la sua posizione di primo ministro nelle elezioni nazionali della Camera dei deputati, ma si dimette dopo la caduta del governo di coalizione nel novembre 1997. Lo scioglimento del governo è provocato da uno scandalo finanziario messo in luce dai suoi partner della coalizione che ha coinvolto l’ODS. Inoltre la crisi economica del 1997 indebolisce la reputazione di “amministratore dell’economia” su cui si basa principalmente la popolarità di K. Josef Tavosky, governatore della Banca nazionale ceca, viene incaricato dal Presidente della Repubblica Václav Havel di formare un governo di transizione fino alle elezioni, che si svolgono alcuni mesi più tardi. Dopo le elezioni del 1998 in cui l’ODS riesce a evitare la disfatta elettorale, K. negozia l’importante “patto d’opposizione” con il governo di minoranza del Česká Strana Sociálne Demokratická (ČSSD) di Miloš Zeman. Grazie a questa “intesa” K. ottiene la presidenza della Camera dei deputati per un periodo di quattro anni. Sebbene l’ODS resti escluso dal potere esecutivo diretto, l’intesa gli permette di esercitare un’influenza sulla politica governativa, in particolare sulle spese di bilancio, e crea una frammentazione fra esecutivo e direzione politica nella Repubblica Ceca. Questa spartizione del potere spinge altresì l’elettorato a votare contro i politici più noti a favore di candidati indipendenti o radicali nelle elezioni per il Senato.

In conseguenza della rielezione di K. alla presidenza dell’ODS nel 1997 molti membri lasciano il partito e fondano una formazione politica rivale, l’Unione liberale (Unie Svobody, US), sotto la leadership di Jan Ruml. K. può continuare a contare sulla fedeltà delle organizzazioni locali e regionali del partito, grazie alle quali viene riconfermato segretario dell’ODS nel congresso straordinario del partito tenutosi nel gennaio del 1998. Nonostante il calo di popolarità tra l’elettorato ceco e la sua incapacità di formare una coalizione di centrodestra dopo le elezioni generali del giugno di quello stesso anno, K. è nuovamente rieletto segretario dell’ODS alla fine del 1999 senza incontrare opposizioni. In seguito al risultato delle elezioni del 2002, in cui l’ODS si piazza al secondo posto, un numero crescente di funzionari di partito regionali e locali comincia a chiedere un cambio al vertice. K., la cui popolarità personale è stata un fattore cruciale nel successo elettorale dell’ODS, sarebbe probabilmente in grado di sconfiggere un eventuale sfidante nel congresso del partito del dicembre 2002. Tuttavia, come ha fatto Miloš Zeman nel ČSSD nel 2001, preferisce rinunciare volontariamente alla leadership del partito per mantenere la presidenza.

Per quanto riguarda l’Europa, K. segue le sue convinzioni economiche. Sostenitore del liberismo e della partecipazione al mercato interno, al pari di Margaret Thatcher non caldeggia un’unione politica ancora più forte o la nascita di un’Unione europea come Stato regolatore. In più occasioni definisce l’Unione europea come eccessivamente burocratizzata, sbilanciata verso il socialismo e affetta da un Deficit democratico, e mette in guardia contro il pericolo di perdere la propria identità nazionale nell’Unione europea. Nel complesso, la posizione di K. relativamente all’Adesione all’Unione europea è contraddittoria: da un lato, egli vuole che la Repubblica Ceca entri a far parte dell’Europa e non vede alternative alla integrazione nell’Unione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della); dall’altro lato, nutre forti timori sulla forma di questa integrazione, che teme possa condurre a un’unificazione forzata e non necessaria. Il fine principale dell’Unione europea a suo avviso è la reintegrazione della Germania in Europa e la diffusione dei valori democratici e neoliberali a fronte della sfida comunista. L’unione monetaria (v. Unione economica e monetaria) e un maggior coordinamento a livello europeo costituiscono ai suoi occhi un nuovo “europeismo” di portata indesiderata. Secondo K. è paradossale definire un modello economico ceco, o un’identità ceca, nel contesto dell’unificazione europea (v. Bugge, 2003, p. 189). Il fatto che la Repubblica Ceca nel periodo di preadesione non abbia voce in capitolo sul processo di integrazione europea e l’incertezza sulla tabella di marcia politica di adesione accrescono ulteriormente le sue apprensioni. K. ragiona nei termini di una contrapposizione “noi e loro”, a differenza di Václav Havel che definisce i paradigmi e le idee dell’Unione europea non come un’entità ma come un processo evolutivo.

K. non crede necessariamente nell’armonia tra livello nazionale ed europeo, né ritiene che l’essere europei debba comportare un semplicistico rifiuto del nazionalismo. Fermo sostenitore dello “Stato unitario”, K. si oppone alla regionalizzazione anche alla luce della scissione della Cecoslovacchia. Dopo il “divorzio di velluto” del 1992 K. favorisce un governo forte e centralizzato e si oppone a qualsiasi forma di autogoverno regionale. Tale opposizione mira a contrastare possibili movimenti indipendentisti moravi nonché l’influenza che i quadri comunisti continuano a esercitare dalle strutture amministrative regionali.

L’idea di uno Stato unitario propugnata da K. evidenzia inoltre il peso crescente di un elemento nazionalista nella politica interna. Il fatto che lo Stato ceco non riesca a revocare i cosiddetti “decreti Benes” – in base ai quali i tedeschi sudeti dopo la Seconda guerra mondiale erano stati espulsi ed espropriati – o a trovare un accordo con i negoziatori tedeschi e dell’Unione europea su tali decreti riflette anche una presa di posizione “nazionalista” nella politica ceca. Nondimeno K. riconosce che la Repubblica Ceca potrebbe contrastare più efficacemente l’unione politica diventando membro dell’Unione europea. Queste posizioni “euroscettiche” (v. Euroscetticismo) o meglio “euro pragmatiche” mettono K. in aperto contrasto con il Presidente della Repubblica Ceca Havel, convinto europeista e internazionalista. Esiste di fatto una certa rivalità fra Havel, considerato il padre della moderna nazione ceca, e K. che si professa l’artefice economico della nazione.

Il 28 febbraio 2003, dopo un laborioso processo elettorale alla Camera dei deputati, K. viene eletto Presidente della Repubblica Ceca come successore di Havel. Se non fosse stato per le divisioni fra le varie correnti del ČSSD la vittoria sarebbe andata probabilmente a un candidato di questo partito, dato che è la maggioranza parlamentare a nominare il presidente. Tuttavia il ČSSD non è riuscito a trovare un accordo per sostenere un candidato comune.

Come Presidente della Repubblica K. è impaziente di prendere posizione in politica estera, il principale settore politico in cui il presidente può esercitare la sua influenza. Le sue opinioni sull’Europa e sull’Iraq lo mettono in conflitto con la coalizione di governo guidata dal ČSSD e con il suo stesso partito. Nel giugno 2003 rifiuta di prendere posizione nel referendum sull’adesione all’Unione europea, affermando che non intende rendere pubblico il suo voto. Questo atteggiamento riflette anche le divisioni nel governo ombra dell’ODS. Assumendo questa posizione K. spera di non alienarsi l’elettorato, largamente favorevole all’ingresso nell’Unione europea. La sua opposizione come presidente alla guerra in Iraq lo porta a scontrarsi con la linea dell’ODS, che invece è favorevole alla guerra. Come Presidente della Repubblica Ceca K. si dimostra quindi estremamente indipendente e individualista.

Tra la fine del 2003 e il 2004 il veto posto da K. su importanti aspetti fiscali della riforma delle finanze pubbliche portata avanti dal governo del ČSSD guidato da Vladimir Spidla, indebolisce il governo nella preparazione per l’adesione all’Unione europea. K., come il suo predecessore, comincia a utilizzare lo strumento del veto per influenzare la politica governativa e, com’è logico, è attivo soprattutto nell’ambito della politica economica.

K. ha pubblicato oltre venti libri su argomenti politici, sociali ed economici. Ha ricevuto sedici lauree ad honorem in nove paesi e diciannove premi internazionali.

Christian C. van Stolk (2005)




Klepsch, Egon Alfred

K. (Bodenbach 1930), a 15 anni, nel 1945, viene portato in un campo di lavori forzati della Repubblica Ceca e ne esce sei mesi dopo quando, gravemente ammalato, si trasferisce con la famiglia a Lostau, nei pressi di Magdeburgo (Sassonia-Anhalt).

Nel 1949 consegue il diploma presso la scuola superiore intitolata ai Fratelli Scholl a Burg (Magdeburgo) dove è membro della Freie Deutsche Jugend (FDJ) e presidente del Consiglio studentesco. In seguito studia storia e geografia all’università di Rostock.

Nel 1950 K. sfugge alla cattura da parte degli organi di sicurezza della DDR e riesce a varcare il confine verso Berlino Ovest. Continua gli studi a Marburgo (Assia) e li conclude nel 1954 con un lavoro sulla politica russa in Germania durante il ministero di Gustav Stresemann.

Nel 1951 entra a far parte del Christopherus-Verband, della Christlich demokratisce Partei (CDU) e della Junge Union del cui consiglio entra a far parte solo due anni dopo, nel 1953. Nel 1955 diventa referente per l’ufficio dei “Bonner Bericht” (ministero Affari generali). Nel 1959 si trasferisce nella scuola militare di Koblenz dove insegna come docente di politica internazionale fino al 1965, anno in cui si intensificano i suoi impegni politici: proprio nel ’65, infatti, gli viene chiesto di preparare la campagna elettorale per Ludwig Erhard, candidato della CDU alla carica di cancelliere. Non essendo interessato a una carriera come impiegato ministeriale, K. dà la precedenza alla sua carriera parlamentare e, nello stesso anno, entra al Bundestag, del quale farà parte fino al 1980 e all’interno del quale lavorerà soprattutto come esperto del gruppo parlamentare CDU/Christlich soziale Union (CSU) di politica per la difesa. A partire dal 1970 è vicepresidente della commissione difesa del suo partito.

La fase più significativa della carriera politica di K. si svolge tuttavia nell’ambito del processo di unificazione europea: nel 1964 diventa presidente dell’Unione internazionale dei giovani cristiano-democratici d’Europa e dal 1969 cura, in qualità di delegato della CDU, i rapporti con il partito omologo italiano (Democrazia cristiana). Nel 1972 assume l’incarico di vicepresidente della commissione difesa dell’Unione dell’Europa occidentale. Sostenuto da Helmut Josef Michael Kohl, dichiaratamente «suo amico fin dal 1952» e a lui legato anche da una stretta collaborazione politica a partire dalla fine degli anni Sessanta, nel 1973 K. diventa membro del Parlamento europeo. Tre anni dopo, sempre in seno all’istituzione europea (v. anche Istituzioni comunitarie), è capogruppo parlamentare della fazione cristiano-democratica e vicepresidente del Partito popolare europeo (PPE) del quale è eletto presidente nel 1979, dopo le prime Elezioni dirette del Parlamento europeo.

Nel 1982 K. è candidato alla presidenza del Parlamento europeo, ma le sue ambizioni sono deluse dall’elezione del socialista olandese Pieter Dankert e deve accontentarsi della vicepresidenza. Dieci anni dopo, il 14 gennaio 1992, un accordo tra i socialisti e i cristiano-democratici gli permette di raggiungere finalmente il suo obiettivo. Durante il suo mandato K., come i suoi predecessori, si impegna immediatamente per l’estensione dei poteri del parlamento: nonostante l’Atto unico europeo siglato nel 1986 ne avesse già ampliato le competenze e quello di Maastricht (v. Trattato di Maastricht) avesse proseguito su quella linea, K. considera ancora insufficienti i risultati raggiunti e preme per un miglioramento del trattato (v. anche Trattati) del 1992.

Con le elezioni europee del 1994 K. termina il suo mandato. Gli succede l’eurodeputato della Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) Klaus Hänsch. Nello stesso anno lascia tutti gli incarichi pubblici e comincia una collaborazione con la DVAG (società tedesca per la consulenza patrimoniale) e con diverse compagnie assicurative. Fino al 1987 è presidente della sezione tedesca dell’Unione europea dei federalisti.

Agata Marchetti (2009)




Klestil, Thomas

K. (Vienna 1932-ivi 2004) si orientò verso le discipline economiche: iscrittosi alla facoltà di Economia dell’università di Vienna, completò il suo percorso di studio nel 1957.

Grazie alla padronanza della lingua inglese e per il suo interesse verso le problematiche internazionali, trovò agevolmente collocazione in ambito diplomatico. Dal 1959 al 1962 fu membro della missione austriaca presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Dal 1962 al 1966 fu presso l’ambasciata austriaca a Washington. Ritornato in patria, divenne segretario del cancelliere federale, Josef Klaus. Questo incarico lo portò a stretto contatto con molti esponenti di primo piano della Österreichische Volkspartei (ÖVP), i quali gli sarebbero tornati utili successivamente. Mutati gli equilibri di governo a danno del partito popolare, K. riprese la via dell’estero, andando a ricoprire, dal 1969 al 1974, l’incarico di console generale a Los Angeles. Lasciata la guida del consolato, ricevette dal nuovo cancelliere socialista, Bruno Kreisky, l’incarico di coordinare il trasferimento di alcuni uffici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e di alcune organizzazioni internazionali nella nuova sede di Vienna. Tale attività ebbe la sua naturale continuazione con l’affidamento a K. dell’incarico di rappresentare l’Austria alle Nazioni Unite. Dopo aver tenuto questo incarico dal 1978 al 1982 rimase negli Stati Uniti: accreditato come ambasciatore a Washington, K. sviluppò una proficua interazione con l’amministrazione di Ronald Reagan. Nel 1989 tornò a Vienna dove divenne segretario generale del ministero degli Affari esteri.

Candidato alle elezioni presidenziali per la ÖVP, fu eletto Presidente della Repubblica per la prima volta nel 1992 e successivamente nel 1998. Al momento della sua elezione l’autorevolezza della figura presidenziale era fortemente erosa: lo scandalo seguito alle rivelazioni circa la condotta tenuta durante la Seconda guerra mondiale dal presidente uscente, Kurt Waldheim, aveva gettato ombre pesanti sull’intero paese. Pur non essendo noto al grande pubblico, K. fu in grado di ristabilire un legame con la popolazione e di ridare lustro all’istituzione da lui rappresentata.

La sua aspirazione ad assumere un ruolo attivo nella vita politica del paese lo portò in più di una occasione a oltrepassare il limite delle competenze attribuitegli dal dettato e dalla prassi costituzionali. Già in occasione dell’ingresso dell’Austria nell’Unione europea K. aveva preteso di partecipare alla riunione dei capi di stato e di governo (v. anche Vertici) e di apporre la sua firma al trattato di adesione, obbligando il governo guidato da Franz Vranitzky a respingere formalmente tale intromissione. Nonostante queste intemperanze, bisogna rilevare comunque come durante i suoi due mandati presidenziali K. abbia dato un contributo fattivo alla politica estera austriaca, in particolare attraverso le frequenti e fruttuose visite negli Stati dell’ex blocco sovietico; non bisogna poi dimenticare il ruolo da lui svolto nella normalizzazione dei rapporti con Israele: nel suo discorso alla Knesset del 1994, K. fu il primo presidente austriaco ad ammettere la corresponsabilità dell’Austria nella perpetrazione dell’Olocausto.

Durante il secondo mandato presidenziale K. accrebbe ulteriormente i suoi contrasti con l’esecutivo. Il confronto prese avvio in seguito alle elezioni del 1999, quando il partito liberale guidato da Jörg Haider si affermò come seconda forza politica del paese. In quella occasione K., preoccupato delle ricadute negative sul piano internazionale che sarebbero potute scaturire dell’attribuzione della responsabilità di governo agli esponenti di un partito giudicato di estrema destra, si era espresso chiaramente in favore di una grande coalizione di governo tra popolari e socialisti. Allo scontro frontale si giunse però nel 2000, quando il cancelliere Wolfgang Schüssel decise di aprire il governo alla partecipazione dei liberali. Di fronte a tale scelta K. si spinse ad affermare il suo diritto a dimissionare il governo, quand’anche questo fosse stato supportato dalla maggioranza del parlamento, qualora serie motivazioni lo avessero indotto a operare in tal senso. Si profilò una crisi istituzionale che rimase in potenza solo per l’inazione della massima carica dello stato.

Dopo le elezioni politiche del 2002 K. si espresse ancora una volta invano in favore di una grande coalizione con l’esclusione dei liberali. La sua tendenza a imporsi sulla normale dialettica politica lo pose in contrapposizione con il suo stesso partito e, con l’aggravarsi del suo stato di salute, fu progressivamente relegato sullo sfondo della scena politica.

Federico Niglia (2010)




Klompé Margaretha




Klompé, Margaretha

Deputato del Partito cattolico olandese (Katholieke Volkspartij, KVP), personalità di spicco nel panorama dell’europeismo del suo tempo, nonché prima donna ministro della storia dei Paesi Bassi, K. (Arnhem 1912-L’Aia 1986) visse la sua infanzia in un ambiente sereno, ricevendo un’educazione improntata ai principi del cattolicesimo osservante, seppur temperata dall’approccio critico verso alcune forme di chiusura pregiudiziale manifestate dall’istituzione ecclesiastica.

Dotata di un’eccezionale capacità di analisi, il brillante curriculum scolastico evidenziò di K. da subito la sua particolare attitudine per le materie scientifiche. Non a caso, infatti, diplomatasi ad Arnhem, nel 1929 si iscrisse alla Facoltà di chimica della Rijksuniversiteit di Utrecht. Presto coinvolta nella riflessione sulle tematiche dibattute nell’ambito del prestigioso ateneo, dalla crisi economico-finanziaria al collasso dei valori tradizionali, K. iniziò un ripensamento complessivo delle sue convinzioni religiose, allontanandosi contestualmente dalla chiesa cattolica. Ritrovato il proprio orientamento, non senza aver proceduto alla riscoperta degli aspetti più spirituali e mistici del cattolicesimo, tornò all’osservanza della fede con rafforzata consapevolezza, mostrando altresì maggiore apertura nei confronti delle altre forme di credo.

Nel 1932 l’improvvisa malattia del padre impose a K., neolaureata e intenzionata a conseguire una specializzazione post laurea, di cercare un impiego che le consentisse di finanziare i suoi studi. Decise pertanto di dedicarsi all’insegnamento, accettando l’incarico di docente di chimica presso il liceo femminile “Mater Dei” di Nijmegen. Esperienza che – conclusa, non senza rammarico, nel 1949, per sopraggiunti impegni politici – costituì peraltro un momento di alto valore formativo per la giovane K.

Grazie ai proventi dell’insegnamento, il 21 aprile del 1941 K. riuscì a iscriversi al corso di specializzazione in chimica tenuto dal professore Hugo Rudolf Kruyt, eccellente studioso e personalità tra le più stimolanti della Rijksuniversiteit. Un anno dopo superava un esame complementare di fisica, per approdare infine alla facoltà di medicina, spinta dall’aspirazione a diventare medico di famiglia coltivata fin dall’infanzia.

La guerra, tuttavia, determinando la chiusura dell’università di Utrecht, interrompeva bruscamente la stagione accademica di K., traducendola ex abrupto nella partecipazione attiva alla resistenza. Dapprima, nel maggio del 1940, con le truppe tedesche che tentavano l’invasione del territorio olandese, K. assisteva, come collaboratrice del Servizio di soccorso volontario femminile (Vrijwilligers Vrouwen Hulpdienst), alla rotta degli eserciti nazionali impegnati a respingere l’avanzata nazista a Grebberg, nella parte occidentale del paese, al confine con la Germania. Dal 1941, poi, sotto lo pseudonimo di dr. Meerbergen, svolgeva il ruolo di corriere per i gruppi partigiani, al servizio, tra gli altri, dell’arcivescovo Jan De Jong, attivo soprattutto nella causa contro le persecuzioni antisemite. Ancora militante nella resistenza, nel 1943 K. diveniva vicepresidente dell’Unione delle donne volontarie (Unie van Vrouwelijke Vrijwilligers), incarico che avrebbe ricoperto per dieci anni, offrendo un contributo essenziale durante l’evacuazione della sua città natale. Con lo pseudonimo di Truus ter Aken venne poi conosciuta a Otterloo e Apeldoorn, dove trascorse gli ultimi anni della guerra in clandestinità. All’indomani della liberazione, peraltro, si adoperò alacremente, nel quadro dell’intervento promosso dall’Unione, per il ripristino della funzionalità e della normalità civile di Arnhem.

Temprata dalla guerra e dal carico di sofferenze sopportate negli anni della clandestinità, nel maggio del 1945 K. decise di affacciarsi alla politica. Determinata e risoluta, si presentò quindi al Nederlandse Volksbeweging (NVB), un partito nato dalla Resistenza, per considerare poi l’eventualità di entrare a far parte del partito socialista, PvdA (Partij van de Arbeid), il quale sembrava voler incarnare la rinascita politico-culturale dell’Olanda postbellica. Allo sguardo attento di K., tuttavia, non sfuggirono gli elementi di continuità che legavano il PvdA al vecchio partito socialdemocratico (Sociaal-Democratische Arbeiders Partij, SDAP), ben lungi dalle aspirazioni all’innovazione politica e al profilo europeo enunciate nel manifesto programmatico. Da qui l’opzione per l’ala progressista del KVP, il partito cattolico, ritenuto la formazione politica più aperta a raccogliere e a far proprio l’invito a ricostruire il paese su nuovi fondamenti, cioè su una sostanziale cooperazione tra le forze politiche, su una maggiore attenzione alle tematiche sociali, nonché su una nuova caratterizzazione europea dell’Olanda, in sintonia con l’appello di Washington alla cooperazione internazionale.

Le elezioni del 1946 segnarono una tappa importante nella riflessione di K. sulla necessità di estendere la partecipazione femminile alla vita pubblica e istituzionale dell’Aia, dove anche l’ultima tornata elettorale aveva confermato la tendenza a precludere alle donne l’accesso al Parlamento. Maturò pertanto, con Wally van Lanschot, conosciuta alla Rijksuniversiteit e alla quale era legata da un rapporto di profonda amicizia e affinità intellettuale, la decisione di fondare un’associazione cattolica femminile di dibattito politico, il Roomsch katholiek Vrouewendispuut, con l’obiettivo di sensibilizzare le donne a prendere parte attiva al processo decisionale e politico nazionale. Si trattava, per la precisione, di un polo di confronto affatto distante da concezioni protofemministe e che al contrario verteva sul principio, che era proprio dell’impostazione di K., di una complementarietà naturale tra uomo e donna, alla quale avrebbe dovuto corrispondere un’equa distribuzione dei ruoli nel policy-making e, più in generale, nella società.

Come presidente di tale associazione, funzione che peraltro avrebbe ricoperto fino al 1950, K. divenne in breve tempo un riferimento imprescindibile per le diverse organizzazioni femminili sorte successivamente in Olanda nei primi anni dopo la guerra. E fu proprio in virtù del credito progressivamente guadagnato in tale veste presso l’opinione pubblica nazionale che, nel 1947, venne designata come membro della delegazione olandese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel prestigioso consesso, la sua straordinaria lucidità intellettuale, nonché la tenacia con la quale conduceva le sue battaglie per la rappresentatività delle donne nei luoghi decisionali e nella politica conquistarono, fin dalle prime battute, il deputato Emmanuel M.J.A. Sassen e il senatore Leo J.C. Beaufort, entrambi membri eccellenti del KVP.

Seguirono forti sollecitazioni da parte dei due politici all’indirizzo della giovane collega affinché accettasse di candidarsi alle elezioni del 1948. K., invero piuttosto ostile alla pratica del compromesso ampiamente in uso tra gli scanni parlamentari, accettò di essere inserita nelle liste elettorali cattoliche purché il suo nome fosse collocato nelle ultime posizioni, riducendo così sensibilmente le probabilità di un’elezione. Queste, almeno, erano le sue aspettative. Di fatto, il 12 agosto del 1948, formatosi il governo di coalizione cattolico-socialista e distribuiti i portafogli ai nuovi ministri, Sassen, che aveva ottenuto il dicastero dei Territori d’oltremare, indicò K. come sua sostituta alla Camera. Entrata in Parlamento come deputato, K. si occupò principalmente di questioni di politica estera, forte dell’esperienza acquisita all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, della quale era ormai divenuta frequentatrice abituale.

Gli impegni a livello internazionale, inoltre, si intensificarono ulteriormente a partire dal 1949. In un panorama mondiale in continua evoluzione come quello dei primi anni Cinquanta – in cui alle crescenti tensioni del bipolarismo, destinate a cristallizzarsi ulteriormente con la nascita dell’Alleanza atlantica, si accompagnava, in Europa, la spinta integrazionista, patrocinata collettivamente da Washington e dalle frange europeiste degli Stati continentali – K. si ritrovò a partecipare alle principali organizzazioni internazionali sorte successivamente in quel periodo, per lo più come unica rappresentante femminile dei rispettivi consessi. In particolare, nel 1949 diveniva membro dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, incarico che avrebbe mantenuto fino al 1956; dal 1952 al 1956, sedeva fra i banchi dell’Assemblea parlamentare della Comunità europea del carbone e dell’Acciaio (CECA), non mancando peraltro di partecipare ai lavori dell’Assemblea ad hoc, il gruppo istituito nel 1953 nel quadro della stessa Assemblea parlamentare della CECA (v. anche Parlamento europeo) – presieduto dal belga Paul-Henri Charles Spaak – e incaricato di preparare un progetto di Trattato volto a realizzare la Comunità politica europea (CPE).

Unica donna invitata al tavolo della concertazione, K. si distinse per slancio propositivo e spirito di conciliazione, non escludendo, con ciò, il ricorso alla fermezza quando erano in gioco le priorità della politica europea del proprio paese, prima fra tutte l’integrazione economica (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Animata da profonda fede europeista, della quale informava sistematicamente i suoi interventi, K. venne ripetutamente elogiata dai suoi colleghi – che pure non nascondevano, Spaak in primis, qualche reticenza sull’opportunità della partecipazione femminile agli incontri di alto livello a carattere internazionale – per lo zelo con il quale, in un terreno complesso come quello dell’integrazione europea, si impegnava a proporre posizioni comuni. Senza mancare altresì di coerenza con i propri principi e logica politica, della quale diede ampia dimostrazione allorché l’Assemblea ad hoc si trovò a ragionare sull’architettura istituzionale della CPE, ivi compresa la ripartizione delle competenze tra i diversi organi. Nel quadro dell’acceso dibattito, infatti, l’attiva rappresentante olandese riuscì sapientemente a contemperare le proprie convinzioni federalistiche (v. Federalismo) con l’imperativo, facente capo ai desiderata dell’Aia, della salvaguardia delle priorità politiche nazionali. A proposte di carattere marcatamente sovranazionale, quali il graduale trasferimento delle competenze dai ministri nazionali al Senato europeo, rappresentativo degli Stati, l’introduzione del diritto di inchiesta per la Camera europea, rappresentativa dei cittadini, nonché, in posizione preminente, il coordinamento dell’amministrazione comunitaria – condizione sine qua non, a suo giudizio, per garantire un corretto funzionamento della macchina burocratica della CPE – facevano eco iniziative a tutela degli Stati nazionali, specie dei piccoli paesi. K. suggerì infatti di introdurre il diritto di veto sulla fissazione del budget comune; si espresse in senso contrario all’elezione politica della Camera europea e soprattutto propugnò con forza – ponendosi come portavoce della delegazione olandese, nonché del gruppo degli Stati più piccoli – l’equa ripartizione dei seggi nel Senato europeo, secondo il principio della composizione paritaria mutuato dal modello americano e nel tentativo di ridimensionare l’eccesso di rappresentatività accordato a Parigi, che con i suoi settanta seggi avrebbe dominato la Camera europea.

Difendendo energicamente le linee guida della sua strategia politica per l’unità europea – sempre in linea con le indicazioni trasmesse dal governo dell’Aia – K. seppe imporre la sua presenza sul proscenio di Bruxelles, ottenendo riconoscimenti importanti da alcuni colleghi illustri, primo tra i quali il collega del PvdA Marinus van der Goes van Naters, nonché guadagnando consensi nell’establishment politico olandese nel quale; pur persistendo un malcelato scetticismo nei confronti della presenza femminile nel decision-making nazionale, diversi furono gli attestati di stima che le vennero tributati per l’incisività del suo operato. Nell’ambito del KVP, peraltro, e soprattutto da parte del leader Carl P.M. Romme, figura di eccezionale rilievo all’Aia, K. veniva apprezzata per il talento politico, la sobrietà e la risolutezza con cui conduceva le proprie battaglie personali, non meno che per lo spirito indipendente.

Fu proprio in virtù di tali riconoscimenti, non meno che per la sua comprovata sensibilità alle tematiche sociali, che, il 13 ottobre 1956, K. veniva nominata ministro dell’Assistenza sociale (Maatschappelijk Werk) nel quarto governo Drees. La sua designazione suscitò un’eco profonda nella stampa, come pure nell’opinione pubblica, a diversi livelli. E non poteva essere altrimenti, visto che si trattava della prima donna eletta al vertice di un ministero olandese. In realtà, quello dell’Assistenza sociale era un dicastero di nuova formazione, istituito nel 1952, con margine d’azione piuttosto modesto e un’organizzazione interna ancora poco strutturata. Tuttavia l’efficace e innovativa piattaforma programmatica elaborata dal neoministro – costruita sul presupposto che l’assistenza pubblica dovesse fungere da supporto all’iniziativa privata, piuttosto che sostituirsi a essa – accrebbe in breve tempo e in misura considerevole il prestigio del Maatschappelijk Werk, il quale divenne un importante fucina di provvedimenti volti a migliorare la qualità dell’intervento statale sulla società. In proposito, vanno rilevate la legge del 1963 sui ricoveri per anziani, promossa da K. e destinata a porre fine alla situazione disastrosa nella quale versavano la maggior parte delle case di riposo olandesi, nonché, nello stesso anno, la Algemene Bijstandswet (Legge sull’assistenza pubblica), varata dal governo De Quay (1959-1963), la quale istituiva il diritto all’assistenza pubblica, fino ad allora appannaggio quasi esclusivo della Caritas diocesana, per tutti i cittadini olandesi, non solo per le fasce sociali più deboli, sulla base delle rispettive necessità.

Indiscutibili gli effetti positivi dell’azione di K. sulla modernizzazione del dialogo tra Stato e società, ma certo non esenti da critiche, anche violente, da parte dei colleghi in Parlamento, molti tra i quali afferenti al suo stesso partito. Attacchi che, peraltro, non si limitavano alla sfera dei provvedimenti che il ministro andava adottando nell’ambito dell’Assistenza sociale, ma che attenevano, anche e soprattutto, alle posizioni “eterodosse” assunte in merito a tematiche di più ampio respiro, la questione della Nuova Guinea in primis. Vera e propria spina nel fianco della politica estera olandese del secondo dopoguerra, il dibattito sulla concessione dell’indipendenza alla colonia – porzione ormai residuale del vasto impero di fine Ottocento – infiammatosi improvvisamente nel 1962, vide la K. contrapporsi allo stesso leader del suo partito, Romme, nella strenua difesa del diritto all’autodeterminazione delle popolazioni indigene. Di fronte all’acuirsi delle tensioni interne al partito, oltre che amareggiata dai dissensi espressi, più e meno velatamente – e soprattutto dal concorrente ministro degli Affari sociali, Charles J.M.A. van Rooy – rispetto alle tendenze innovatrici della sua politica sociale, K. decise di rassegnare le dimissioni da ministro, il 24 luglio 1963, pur mantenendo il suo incarico alla Camera.

La decisione di dimettersi non fu certo facile, ma il suo spirito libero e la sua integrità morale imponevano a K. di prendere le distanze da una classe di governo più attenta agli equilibri di potere che al reale benessere del paese. Tuttavia, il passaggio più difficile della sua carriera politica doveva ancora compiersi. Tra il 13 e il 14 ottobre 1966, in effetti, nella cosiddetta “notte di Schmelzer”, allorché il leader del KVP, Norbert Schmelzer, chiese ai componenti del suo partito di votare compatti la sua mozione di sfiducia al governo Cals, formatosi da appena un anno, K. si trovò di fronte a una svolta decisiva. Sul piatto della bilancia c’erano infatti, da un lato, la lealtà alla sua compagine politica e, dall’altro, il profondo rapporto di amicizia che la legava al premier Jo M.L.Th. Cals. Sussistevano in realtà concrete motivazioni alla base della decisione di Schmelzer: la situazione economica del paese richiedeva infatti cambiamenti strutturali nella gestione della spesa pubblica ai quali la coalizione di governo in carica aveva dimostrato di non saper provvedere. La ratio politica finì quindi per prevalere sugli aspetti etici e personali, ma la frattura generatasi in quel frangente nei rapporti tra K. e Cals non si sarebbe più ricomposta.

Nella formazione governativa del dopo Cals, guidata dall’antirivoluzionario (Anti-Revolutionaire Partij, ARP) Jelle Zijlstra, il 22 novembre del 1966, la pur reticente K. venne designata dallo stesso premier per occupare il ruolo di ministro del dicastero della Cultura, della ricreazione e del welfare (Ministerie van Cultuur, Recreatie en Maatschappelijk Werk, CRM). Gli eccellenti risultati registrati dal CRM, che pure usciva da un periodo opaco di attività, accrebbero ulteriormente la popolarità di K., della quale veniva apprezzato in particolar modo il senso democratico e l’efficacia dell’azione politica. Si cominciò pertanto a vociferare, in Parlamento, su una sua possibile candidatura alla presidenza del Consiglio, in vista delle elezioni del 1967. In effetti, in piena rivoluzione culturale, il KVP guardava con preoccupazione all’allontanamento progressivo del proprio elettorato, il quale cominciava a dar segni di insofferenza verso l’incapacità di autorinnovamento dimostrata dal partito. Era pertanto necessario un leader carismatico, capace di intraprendere una profonda rivitalizzazione della struttura interna del KVP, come pure una sostanziale revisione dell’impianto programmatico, con particolare riferimento alle tematiche socio-culturali. K., tuttavia, ricusò subito la proposta, dichiarando di non possedere le conoscenze tecnico-finanziarie adeguate a un incarico di tale rilevanza. Proseguì tuttavia, anche sollecitata dal nuovo premier, il cattolico Petrus J.S. De Jong, nella sua carriera politica alla guida del CMR. Una funzione che, negli anni caldi 1967-1970, divenne tanto più delicata quanto maggiori erano le ondate di critiche che investivano i paradigmi socio-culturali propugnati dal mondo cattolico, del quale K. era pur sempre espressione. Grazie alla sua versatilità intellettuale, faticosamente costruita negli anni della crisi religiosa, nonché in virtù della sua autonomia di pensiero, che, come si è visto, l’aveva spesso posta in contraddizione con i leader più conservatori del partito, K. riuscì ad affrontare il difficile momento storico e a instaurare forme di dialogo anche con le frange più intransigenti della società dell’epoca.

Disorientato, il governo conservatore di De Jong non seppe cogliere la portata innovativa dell’atteggiamento di K., la quale venne presto confinata in una posizione di progressivo isolamento. Al punto che, il 6 luglio del 1971, l’audace ministro decise di congedarsi definitivamente dal CRM, nonché di chiudere definitivamente il capitolo dell’attività politica. Il che, ad ogni modo, non pregiudicò, il 17 luglio dello stesso anno, la sua nomina a ministro di Stato, la massima onorificenza attribuibile a una personalità politica olandese.

Lasciate le aule parlamentari e i tavoli del governo, K. decise di dedicarsi interamente alla causa del rinnovamento della Chiesa cattolica, sia mantenendo il ruolo, assunto già nel 1967, di consigliere della Commissione pontificia Justitia et Pax, organo di confronto sui grandi temi di politica internazionale; sia entrando successivamente a far parte del Consiglio delle chiese olandesi e della Conferenza episcopale.

Alla notizia della sua scomparsa, avvenuta il 28 ottobre del 1986, i Paesi Bassi, insieme a diverse autorità europee e internazionali, compiansero la perdita della donna che, più di qualsiasi altra personalità pubblica olandese della sua epoca, aveva saputo farsi interprete delle istanze di una società in continua evoluzione, lottando contro le discriminazioni e l’ingiustizia sociale, promuovendo la causa dell’integrazione continentale e tentando di trapiantare, in Olanda e in Europa, un modello culturale di più ampio respiro.

Giulia Vassallo(2010)