Krag, Jens Otto

Figlio di un tabaccaio, K. nacque a Randers (Danimarca) il 15 settembre 1914. Ancora giovanissimo entrò a far parte dell’organizzazione giovanile socialdemocratica. Durante gli studi di economica politica all’Università di Copenaghen continuò a essere attivo nella politica giovanile, e negli anni Trenta cominciò a scrivere su temi economici e politici nei giornali e nelle riviste sindacali. K. apparteneva a quell’élite di giovani economisti socialdemocratici che svolsero un ruolo importante nei dibattiti programmatici del Partito socialdemocratico. Nel 1944 il leader del partito, Hans Hedtoft, lo coinvolse nella stesura del programma dei socialdemocratici per il dopoguerra. Nel 1945 divenne direttore della commissione di esperti economici dei movimenti sindacali, ma fu la stretta associazione e l’amicizia con il più anziano Hedtoft a dare un impulso determinante alla sua carriera politica.

Nel 1947 K. fu eletto al Parlamento per la sua città d’origine, Randers, e a trentatré anni fu nominato ministro del Commercio. In questa funzione centrale per la ripresa economica egli fu una figura chiave nella formulazione della risposta danese al Piano Marshall e all’Organizzazione economica per la cooperazione europea (OECE).

K. divenne ben presto una figura nota nella vita politica danese. La sua giovane età, il suo bagaglio intellettuale e la mancanza di un autentico retroterra sindacale lo distinguevano dai socialdemocratici tradizionali del suo tempo. Nel 1950 sposò un’affascinante attrice e scrittrice svedese, Birgit Tengroth, ma la loro unione non fu duratura. Poco dopo lasciò il governo e fu nominato consigliere economico presso l’ambasciata danese a Washington. Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, K. acquisì un’approfondita conoscenza dell’America moderna, della politica americana e specialmente delle idee americane sull’Europa e sugli affari internazionali.

Al suo ritorno in Danimarca nel 195, K. continuò a partecipare al dibattito programmatico che si svolgeva all’interno del suo partito, propugnando una prospettiva moderna e dando particolare rilievo agli impegni internazionali e alla moderna economia keynesiana. Nel 1953 fu nominato ministro per gli Affari economici, un incarico di coordinamento che comportava non soltanto una responsabilità particolare nelle politiche occupazionali, ma anche il ruolo di inviato del governo nei numerosi negoziati sulla cooperazione economica europea. Nella OECE, nell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) (v. Organizzazione mondiale del commercio) e negli incontri con colleghi britannici e scandinavi K. si distinse per la sua competenza e per una particolare mescolanza di disponibilità a cooperare e di atteggiamento riflessivo. Sotto il profilo intellettuale, K. si caratterizzava per sobrio realismo, creatività e assenza di dogmatismo.

Come rappresentante danese K. combatté una dura battaglia contro il protezionismo, specialmente contro il protezionismo agricolo, particolarmente dannoso per gli agricoltori danesi e per l’economia del paese nel suo complesso. Fra il 1956 e il 1960 rappresentò la Danimarca nelle discussioni sulla creazione di un’area europea di libero commercio e sulla nascita della Comunità economica europea (CEE). Sebbene la Danimarca alla fine aderisse all’Associazione europea di libero scambio (European free trade association, EFTA), K. ebbe sempre grande considerazione per i sostenitori della CEE e per i loro obiettivi. Pur non avendo alcun pregiudizio nei confronti della possibilità di un ingresso della Danimarca nella Comunità, riteneva che le caratteristiche strutturali dell’economia danese – i legami economici con il Regno Unito e la Scandinavia – avrebbero reso difficile al paese aderirvi da solo. Era altresì consapevole del latente pregiudizio antitedesco presente tra la popolazione danese e delle ripercussioni politiche che avrebbero potuto mettere in allarme i gruppi contrari all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in Danimarca. K. cercò piuttosto di allentare le tensioni e di creare legami fra i “Sei” e i “Sette”. Il ruolo di mediazione da lui svolto durante i negoziati per il mercato europeo gli procurò molto rispetto. Nel 1960 diresse la riorganizzazione della OECE, trasformata in Organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), ma rifiutò l’opportunità di diventare segretario generale dell’organizzazione.

Nel 1958 K. fu nominato ministro degli Affari esteri, e in questa carica promosse un maggiore attivismo danese nelle Nazioni Unite e negli affari internazionali. Come ministro degli Esteri e in seguito, nel 1962, come primo ministro, K. svolse un ruolo discreto dietro le quinte della politica internazionale. Promosse relazioni schiette e stabili con i paesi vicini dell’Est, trasmettendo più volte messaggi attraverso la cortina di ferro. Non esitò a parlare con durezza a Chruščёv, ma cercò di sfruttare vantaggiosamente le piccole dimensioni e il ruolo mediatore del suo paese per favorire una politica di compromesso fra Est e Ovest. Fu assai attivo anche nell’Internazionale socialista, al cui interno strinse un forte rapporto d’amicizia con Willy Brandt e Olof Palme.

Nel 1961 K. guidò il processo di adesione della Danimarca alla CEE sulla scia della decisione della Gran Bretagna di entrare a far parte della Comunità, e sostenne coerentemente l’adesione dopo essere diventato primo ministro nel 1962. Consapevole del fatto che la Danimarca avrebbe potuto entrare nella CEE solo con il voto a favore della maggioranza parlamentare oppure attraverso un referendum, K. scelse un approccio cauto e cercò di placare i timori dei sindacati e della sinistra presentando l’adesione alla CEE come un accordo economico e offrendo una valutazione moderata e realistica della dimensione politica della cooperazione. Negli anni Sessanta instaurò strette relazioni con i governi della Germania e della Francia, stabilì un buon rapporto con la Commissione europea e rimase in attesa di una riapertura della procedura di Allargamento. Un breve intermezzo fu causato dalla sua dichiarazione, dopo una visita a Charles de Gaulle nel 1963, dopo il veto di quest’ultimo all’allargamento della CEE, che alla Danimarca era stato offerto di entrare autonomamente nella CEE. Nel 1966 gli fu assegnato il Premio Carlo Magno ad Aquisgrana come riconoscimento per il suo operato, e nel 1973 ottenne il Premio Robert Schuman.

Nel corso degli anni Sessanta K. fu al centro della rapida modernizzazione dell’economia danese, con l’espansione del welfare state e gli sforzi per stabilizzare il bilancio e la curva dell’inflazione. Ma le coalizioni di centrosinistra guidate da K. divennero sempre più fragili e nel 1966-1967 egli tentò di provi rimedio con sperimentando una maggioranza socialista sostenuta dagli ex comunisti. Quando gli venne rinfacciato l’atteggiamento scettico avuto in passato nei confronti degli ex comunisti, rispose: «Si resta di un’opinione finché non se ne abbraccia un’altra». Perduta la maggioranza, dovette passare all’opposizione all’inizio del 1968.

Nel 1967 K. si dedicò intensamente alla politica europea per una riapertura delle trattative per l’entrata della Gran Bretagna nella CEE. Al secondo veto della Francia contro l’allargamento della Comunità ripiegò sull’idea di un’unione economica nordica come piattaforma per un successivo avvicinamento alla CEE. In qualità di presidente della delegazione danese al Consiglio nordico, K. si adoprò per realizzare questo progetto. Fu assai frustrante per lui vedere dall’opposizione il governo di centrodestra assumere l’iniziativa in questo senso e addirittura negoziare l’ingresso della Danimarca nel 1970, allorché fu avviato l’allargamento della CEE. Tuttavia fu K. – tornato al potere nel 1971 – a rendere possibile l’ingresso del suo paese nella Comunità grazie alla sottile strategia con cui gestì il referendum sull’adesione della Danimarca. Nel corso dei preparativi per l’adesione e durante la campagna referendaria K. aveva cercato di conquistare la maggioranza mettendo prudentemente in risalto la razionalità economica dell’adesione alla CEE e minimizzandone gli aspetti politici. La sua valutazione dei futuri sviluppi della CEE era ragionevole per il decennio successivo, tuttavia non fece molto per preparare gli elettori danesi al potenziale approfondimento del processo di integrazione insito in modo latente nella comunità (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Nel referendum del 2 ottobre 1972 una maggioranza abbastanza ampia (63,3%) si espresse a favore dell’entrata della Danimarca nella CEE. All’apertura della sessione parlamentare, il giorno successivo, K. annunciò con grande sorpresa della regina e dei membri del Parlamento le sue dimissioni da primo ministro.

K. intendeva ritirarsi nella sua casa sul Mare del Nord, ma anche dopo aver abbandonato la politica restò tutt’altro che inattivo. Fu un commentatore politico assai prolifico, per un periodo insegnò scienze politiche all’Università di Aarhus e alla fine, nel 1974-1975, fu nominato capo della delegazione della Commissione europea a Washington. Nel corso della sua vita scrisse parecchi libri e articoli su una grande varietà di argomenti. Morì nel 1978 a soli 64 anni.

Johnny Laursen (2010)




Kreisky, Bruno

K. (Vienna 1911-ivi 1990), cresciuto in una famiglia di produttori tessili di origine ebraica e di orientamento socialista, si avvicinò fin dall’adolescenza a quella corrente politica. Iscrittosi quindicenne alla sezione giovanile della Sozialdemokratische Arbeiterpartei, iniziò a svolgere la sua attività politica negli anni Venti, affermandosi rapidamente come uno dei più promettenti organizzatori viennesi.

La formazione politica del giovane K. avvenne in un momento particolarmente tormentato della storia austriaca: nella repubblica la contrapposizione tra socialisti e cristiano-democratici andava infatti assumendo una conflittualità e una violenza sempre più marcate. Nella seconda metà degli anni Venti avevano fatto la loro comparsa sulla scena anche le forze nazionaliste, tra cui spiccavano le milizie paramilitari delle Heimwehren, che avevano accentuato ulteriormente il clima di violenza politica. Di fronte alla conflittualità montante i governi cristiano-democratici impressero una spinta autoritaria al sistema. Engelbert Dollfuss, cancelliere dal 1932, ingaggiò una lotta senza quartiere contro gli estremismi di destra e di sinistra e venne infine ucciso nel luglio 1934 dai nazisti. Il suo successore, Kurt von Schuschnigg, adottò misure repressive vieppiù rigide che colpirono soprattutto i socialisti.

In quel frangente K. aveva aderito alla Revolutionäre Sozialistische Jugend, riuscendo però solo per breve tempo a svolgere attività politica: arrestato agli inizi del 1935 e accusato di alto tradimento, rimase in carcere per oltre un anno. Rilasciato, visse una situazione difficile, impossibilitato a concludere gli studi e con il divieto di lasciare il paese.

L’annessione dell’Austria al Reich tedesco nel marzo 1938 costrinse K., ebreo e socialista, ad abbandonare in estate il paese e a riparare in Svezia. Nel paese scandinavo visse un periodo estremamente importante per la sua crescita umana e politica. Lì conobbe Vera Fürth, che avrebbe sposato nel 1942 e dalla quale avrebbe avuto due figli. Svolse attività giornalistica e si affermò come uno dei principali esponenti del socialismo austriaco in esilio. Fu un periodo cruciale anche perché in quegli anni K. ebbe modo di confrontarsi con i futuri leader del socialismo europeo: fu infatti in quel frangente che conobbe Willy Brandt, assieme al quale avrebbe imposto all’Europa del dopoguerra una nuova interpretazione dei compiti della socialdemocrazia.

Nonostante la liberazione dell’Austria a partire dalla fine del 1943 e il prestigio personale di cui godeva, K. decise di rimanere in Svezia fino al 1946 e di rientrare definitivamente in Austria solo nel 1951. In quel periodo trovò lavoro presso la rappresentanza diplomatica austriaca a Stoccolma, un incarico la cui marginalità strideva rispetto alla carriera compiuta in gioventù e alle funzioni svolte durante la guerra. Anche l’incarico di funzionario al ministero degli Affari esteri, che ottenne al rientro in Austria, appariva inferiore alle sue capacità.

La situazione iniziò a mutare con la morte di Karl Renner e con l’elezione a presidente della Repubblica di Theodor Körner, già sindaco di Vienna e rappresentante di spicco del socialismo d’anteguerra. Körner apprezzava K. e lo incluse nel suo staff come consigliere politico. Nel 1953 K. venne nominato sottosegretario al dipartimento degli Affari esteri della cancelleria, e in tale veste ebbe modo di partecipare attivamente a uno dei momenti cruciali della storia austriaca del dopoguerra.

Con la morte di Stalin si era infatti aperta una fase di disgelo tra i due blocchi che rese possibile il superamento consensuale di alcune questioni irrisolte circa l’assetto di pace, tra cui quella del ripristino della sovranità austriaca. Al principio del 1955 i sovietici si dichiararono disponibili a intavolare trattative per la stipula di un trattato di pace e per la cessazione del regime di occupazione. La risposta positiva del governo di Vienna favorì la ripresa delle trattative tra Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Regno Unito, che si conclusero il 15 maggio con la firma del Trattato di Stato (Staatsvertrag). Il prezzo che l’Austria dovette pagare per la riconquista della sovranità fu l’assunzione di una condizione di neutralità permanente, che portava con sé l’impossibilità di aderire alle alleanze militari facenti capo ai due blocchi.

La partecipazione a quei negoziati diede a K. un indubbio prestigio e lo rilanciò all’interno della Sozialdemokratische Partei Österreichs (SPÖ), nelle cui fila venne eletto deputato nel 1956. In quegli anni si concentrò sempre più sulle questioni di politica internazionale, per le quali aveva una innegabile sensibilità. Il suo principale obiettivo divenne la valorizzazione del ruolo internazionale dell’Austria nei limiti imposti dal trattato di Stato: si andò delineando il concetto di “neutralità attiva”, in base al quale l’Austria avrebbe dovuto sfruttare la sua condizione di paese neutrale e sostanzialmente privo di rivendicazioni per accreditarsi come attore di riferimento delle grandi mediazioni internazionali.

Fu questo lo spirito con cui K. assunse nel 1959 la guida del ministero degli Affari esteri nel governo di coalizione con la Österreichische Volkspartei (ÖVP) guidata da Julius Raab. Durante l’esperienza alla guida della diplomazia austriaca, durata fino al 1966, K. portò avanti il processo di avvicinamento ai paesi dell’Europa occidentale: nell’impossibilità di inserirsi direttamente nel processo di integrazione comunitaria, inaccettabile vista l’identificazione che in quegli anni si faceva tra integrazione europea e orientamento atlantico, K. fu tra i promotori di un’associazione di libero scambio che riunisse i paesi esclusi a vario titolo dal processo comunitario (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Tale iniziativa si tradusse, come noto, nell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), istituita nel 1960.

Di questa stagione della politica estera austriaca va sicuramente ricordata la controversia dell’Alto Adige, che proprio durante la permanenza di K. al ministero degli Esteri raggiunse il suo culmine. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta il governo di Vienna aveva promosso una campagna per la retrocessione del Tirolo meridionale all’Austria, la quale aveva ottenuto il pieno sostegno della popolazione. Sotto la spinta delle correnti irredentiste tirolesi, le autorità nazionali avevano finito per assumere una posizione intransigente e di aperto contrasto con l’Italia. Nella visione di K. la questione dell’Alto Adige non assumeva il valore sentimentale che invece aveva per altri politici austriaci, e questo lo favorì nell’affrontare la vertenza con realismo. Ciò nondimeno, come ministro non poté astenersi dall’assecondare gli umori del paese, orientato sempre più in senso oltranzista: portò la vertenza all’attenzione della comunità internazionale con un ricorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che però frustrò le pretese austriache. L’invito, contenuto nella risoluzione 1947/XV dell’Assemblea, ad avviare trattative dirette tra Italia e Austria, vide K. attivo nel promuovere i negoziati con l’Italia, dove trovò valide controparti in Antonio Segni e Giuseppe Saragat, nonché in Aldo Moro. Per parte sua, K. portò avanti la trattativa rescindendo progressivamente i legami con le frange estremiste dell’irredentismo tirolese. Non riuscì però a portare a termine personalmente il negoziato, perché nel 1966 i popolari ottennero la maggioranza assoluta al Nationalrat e posero fine al governo di coalizione. La composizione della controversia sarebbe stata formalizzata nell’intesa che il suo successore, Kurt Waldheim, avrebbe firmato con Moro nel 1969.

Il modo in cui K. gestì la vicenda altoatesina è indicativo del modo in cui concepiva la politica europea: al pari di altri statisti del tempo, come Brandt o Moro, K. vedeva le questioni ereditate dalla guerra per certi versi come un fardello del passato, di cui i paesi europei avrebbero dovuto sbarazzarsi per poter meglio affrontare le sfide dei tempi moderni. In questa ottica va inquadrata la sua aspirazione a chiudere con un accordo negoziale la vicenda altoatesina, come anche l’attuazione di politiche a sostegno delle minoranze, tra cui spicca quella per la tutela della minoranza slovena in Carinzia.

Abbandonata la guida degli Esteri, nel 1967 K. divenne presidente dell’SPÖ, avviando un ampio processo di modernizzazione che permise al partito di trasformarsi in una formazione interclassista aperta ai ceti borghesi e al mondo cattolico, all’interno del quale K. trovò un autorevole interlocutore nell’arcivescovo di Vienna, cardinale Franz König. L’azione del partito si concentrò sui temi dell’economia e della riforma del sistema giudiziario ed amministrativo e della pubblica istruzione, incontrando un consenso crescente dell’opinione pubblica.

Le elezioni politiche, celebrate nell’aprile 1970, portarono per la prima volta dal dopoguerra i socialisti ad ottenere la maggioranza al Nationalrat. Il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta obbligò tuttavia K. a tentare la formazione di un governo di coalizione con l’ÖVP. Dopo il fallimento delle trattative con i popolari ottenne il sostegno della Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), che gli permise di varare l’esecutivo. Il tentativo dei popolari, che fecero cadere il governo determinando il ricorso alle elezioni anticipate, di riportare i socialisti all’opposizione si rivelò fallimentare: la consultazione elettorale dell’ottobre 1971 consegnò all’Spö la maggioranza assoluta in parlamento.

Si apriva quella che è stata ribattezzata l’“era K.”, durata oltre un decennio e durante la quale fu avviata una vasta opera di ammodernamento dell’apparato statale e furono varate importanti riforme. Pur costretto ad operare in una congiuntura economica avversa, K. rafforzò lo Stato sociale e i diritti dei lavoratori, favorì il diritto allo studio, portando altresì a termine il processo di normalizzazione dei rapporti con la Chiesa cattolica.

Il lungo cancellierato K., terminato nel maggio 1983, si caratterizzò anche per una accentuazione del protagonismo austriaco in politica estera. Coerentemente con le premesse formulate durante la permanenza al ministero degli Esteri, K. seguì in prima persona le vicende di politica internazionale, mettendo sovente in ombra i suoi ministri degli Esteri.

La sua azione si orientò a favorire la distensione tra Est e Ovest, trasformando Vienna in uno dei luoghi più rappresentativi di quella stagione politica: la capitale austriaca ospitò i vari negoziati per la limitazione delle armi strategiche (SALT) tra Stati Uniti e Unione Sovietica e l’incontro del 1979 tra Jimmy Carter e Leonid Brežnev. Il riconoscimento di questo impegno avvenne con la costruzione del palazzo delle Nazioni Unite di Vienna, che divenne la terza sede dell’ONU dopo New York e Ginevra.

Parallelamente alla politica in favore della distensione tra le due superpotenze K. promosse anche l’integrazione tra i paesi dell’Europa: in questa prospettiva vanno letti i suoi sforzi per favorire la convergenza tra la Comunità economica europea (CEE) e l’EFTA, sancita formalmente dagli accordi siglati nel 1972. Ma su questo terreno K. poté percepire anche i limiti della politica estera dell’Austria, capace di operare grandi mediazioni, ma incapace di optare liberamente per la CEE, cosa che avrebbe potuto fare solo al termine del confronto bipolare.

Alla dialettica Est-Ovest K. affiancò infine quella Nord-Sud, trovando autorevoli sostenitori tra i leader socialdemocratici dell’Europa occidentale, dal già citato Brandt al primo ministro svedese Olof Palme. All’interno di questa strategia il cancelliere austriaco dedicò molta attenzione alle vicende del Medio Oriente e del mondo arabo. Si adoperò per mediare tra Israele ed Egitto e contribuì in modo fattivo alla conclusione degli accordi di pace di Camp David. Successivamente continuò ad impegnarsi per la risoluzione del conflitto tra Israele e i palestinesi, promuovendo l’inserimento dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nei colloqui di pace. Questa politica filoaraba non lo favorì nei rapporti con Israele e anche in patria fu oggetto di severe critiche.

Sul fronte interno la leadership di K. rimase indiscussa per l’intero corso degli anni Settanta, anche se una serie di vicende appannarono progressivamente l’immagine dell’esecutivo: sin dal 1975 K. si trovò in polemica con Simon Wiesenthal sull’opportunità di continuare a perseguire gli ex nazisti, alcuni dei quali si trovavano in posizioni di primo piano nella politica austriaca. L’atteggiamento del cancelliere, contrario a quella che giudicava una caccia alle streghe, risultò ad avviso di molti suoi concittadini inspiegabile e inaccettabile, soprattutto tenuto conto del fatto che K. proveniva da una famiglia di religione ebraica. Quando poi, nel 1977, scoppiò lo scandalo di presunte forniture di armi alla Siria, l’appiattimento austriaco sulle posizioni arabe risultò sempre meno giustificabile.

Quando, nel 1983, l’SPÖ perse la maggioranza assoluta e diede vita a una maggioranza con l’FPÖ K. si ritirò. Dopo l’uscita dalla politica attiva K. continuò a partecipare alla vita del paese, concentrandosi su alcune grandi tematiche della politica internazionale, soprattutto sulla mediazione tra Israele e OLP e sui problemi dello sviluppo. Continuò a seguire il processo di integrazione europea, che nel 1986 trasse nuova linfa dall’approvazione dell’Atto unico europeo.

Federico Niglia (2012)




Krenz, Egon

K. (Kolberg 1937) alla vigilia della guerra, a causa dell’espulsione della popolazione di etnia tedesca dalle zone orientali, si stabilì a Damgarten che, in quanto territorio di occupazione sovietica, sarebbe in seguito diventato uno Stato della Germania Est o Repubblica Democratica tedesca (Deutsche Demokratische Republik, DDR), fondata ufficialmente nel 1949). Ancora studente si unì all’organizzazione comunista giovanile Ernst Thälmann, fondata nel 1948. Nel 1953 aderì all’organizzazione giovanile ufficiale Freie Deutsche Jugend (FDJ). Due anni dopo, nel 1955, aderì al primo partito, la SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschland) e al sindacato FDGB. (Freie deutsche Gewerkschaftsbund). Dopo aver conseguito la laurea per l’abilitazione all’insegnamento nel 1957 presso un’istituzione universitaria, si unì all’esercito nazionale popolare (Nationale Volksarmee, NVA) per un totale di due anni di servizio. Nel 1958 venne delegato alla quinta conferenza del partito comunista SED, come rappresentante dell’NVA.

La sua carriera professionale da militante comunista ebbe inizio nel 1959 allorché K. avanzò nella scala gerarchica dell’organizzazione giovanile FDJ, dapprima come leader dell’unità regionale, nel biennio 1960-61 come primo segretario a livello distrettuale a Rostock e, ancora, dal 1961 al 1964 in qualità di segretario del Comitato centrale della FDJ, responsabile dell’attività della FDJ nelle università e negli istituti scolastici. K., che era riconosciuto come potenziale candidato politicamente affidabile per alti incarichi all’interno della gerarchia comunista, dal 1964 al 1967 venne inviato a Mosca a studiare presso l’Università del Partito comunista sovietico, dove si laureò in Scienze sociali. Al suo ritorno nella Germania Est, venne nominato segretario del Comitato centrale della FDJ, responsabile della sezione agitazione e propaganda del movimento, nonché dell’indottrinamento nelle scuole. Egli ebbe tale ruolo di direzione ideologica dal 1967 al 1974. La sua influente posizione all’interno della gerarchia comunista venne confermata dal fatto di ricevere diverse altre nomine nel 1971, a soli 34 anni.

Tra il 1971 e il 1974 fu alla guida dell’organizzazione dei Giovani pionieri Ernst Thälmann grazie alla quale egli stesso aveva abbracciato l’ideologia comunista nella prima adolescenza.

Inoltre, nel 1971 (e fino al 1990) diventò membro del parlamento (Volkskammer) e per i primi dieci anni fu pure membro del comitato di presidenza del Volkskammer. La sua carriera fu coronata dallo status di candidato del Comitato centrale del Partito comunista, sempre nel 1971. Soltanto due anni dopo, nel 1973, diventò membro dello stesso Comitato. La base dei suoi incarichi politici rimase sempre la sua posizione nella FDJ – l’unica organizzazione giovanile legale nella Germania Est che includeva ogni singolo bambino tedesco orientale. K. era al vertice dell’organizzazione, in qualità di primo segretario del Comitato centrale della FDJ, a partire dal 1974 e fino al 1983. Nel 1983 egli fu nominato membro del Politbro (abbreviazione di Ufficio politico, dal tedesco Politburo) e così entrò a far parte dell’esecutivo del Partito comunista e dell’“avanguardia del popolo”, che aveva il potere di controllare lo Stato. Già nel 1981 era diventato membro della presidenza collegiale della DDR, lo Staatsrat, e nel 1984 fu nominato numero due dopo Erich Honecker (1912-1994), a lungo leader, che guidò la DDR dal 1971 fino al 1989, fino a quando fu costretto a dimettersi.

K. fu istruito per diventare un funzionario comunista. Fu uno dei pochi a ricevere una formazione da parte del regime comunista come potenziale futuro leader della Germania Est. Per ironia della storia, K. sarebbe poi effettivamente diventato capo di Stato, ma soltanto per pochi mesi e per assistere impotente alla caduta del regime comunista all’indomani della Perestrojka, processo avviato dal presidente sovietico Michail Gorbačëv.

La difficoltà a valutare sino a oggi il ruolo di K. come politico – membro del Volkskammer, dello Staatstrat e del Politburo – è legata alla natura del regime comunista nella Germania Est e a una certa mancanza di studi analitici sul funzionamento effettivo del sistema. Non è noto se K. abbia svolto un ruolo indipendente da funzionario comunista, o se piuttosto sia stato un funzionario fantoccio senza molte idee e strategie proprie.

È comunque evidente che l’organizzazione giovanile FDJ, creata da colui che sarebbe in seguito divenuto capo di partito e di Stato, Erich Honecker, ebbe un ruolo centrale nell’indottrinamento della gioventù della Germania Est. La FDJ venne anche usata come “arma dogmatica” contro le organizzazioni e le istituzioni clericali giovanili, conflitto che dominò gli anni Cinquanta, prima dell’incarico di K. Dagli anni Sessanta in poi, la posizione di vantaggio delle organizzazioni giovanili comuniste rispetto a quelle religiose o ad altre istituzioni non comuniste si era consolidata e K., dalla propria posizione ai vertici della FDJ, dovette solo continuare a operare su una strada già battuta. Esistono prove che testimoniano come K. sia stato un comunista più dogmatico di molti altri, forse più appassionato del necessario e probabilmente più dogmatico di quanto il sistema comunista potesse accettare alla fine degli anni Ottanta, quando egli finalmente arrivò al potere. K. si schierò a favore della violenta azione militare compiuta dal governo comunista cinese contro gli studenti in rivolta nella capitale Beijing tra il 2 e il 4 giugno 1989. Giustificò il repressivo intervento di Stato ritenendolo un atto necessario per ristabilire l’ordine pubblico. Inoltre, espresse la sua solidarietà nei confronti del regime comunista cinese durante una visita a Beijing il 1° ottobre 1989, in occasione dei festeggiamenti del 40° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

K. potrebbe essere considerato un fautore della linea dura sulla scia del suo mentore Erich Honecker al quale succedette nell’ottobre del 1989. Prima del drammatico cambiamento nel regime della Germania Est, a cui seguì di lì a poco il completo crollo, K. fu incaricato della sicurezza interna. Egli sostiene a ragione che all’epoca non si verificò alcun massacro simile all’azione di polizia cinese compiuta soltanto quattro mesi prima a opera delle forze dell’ordine della DDR contro i partecipanti della grande manifestazione svoltasi a Lipsia il 9 ottobre 1989. La polizia si mantenne invece nelle retrovie e permise alle masse di manifestare pubblicamente il proprio malcontento nei confronti della situazione politica ed economica del paese. Quando migliaia di tedeschi dell’Est fuggirono dal paese attraverso la Cecoslovacchia e l’Ungheria occupando pertanto le ambasciate della Germania Ovest a Berlino Est, Varsavia e Praga e spostandosi verso la Germania attraverso l’Austria, il regime della DDR destituì Erich Honecker, capo di Stato per lungo tempo, a favore di K.

Il 18 ottobre 1989, K. prese il posto di Honecker come segretario generale del Comitato centrale, vale a dire leader del partito comunista SED. Sei giorni dopo, il 24 ottobre 1989, fu nominato presidente dello Staatstrat e del Consiglio nazionale di difesa, sulla falsariga di Honecker, che aveva concentrato il potere del partito e dello Stato in un’unica persona. Malgrado i suoi sforzi, i cambiamenti avvennero decisamente troppo tardi e i drammatici sviluppi dell’ottobre e del novembre 1989 sfociarono nelle dimissioni dell’intero Comitato centrale e del Politburo il 3 dicembre. K. stesso si dimise dalla carica di presidente dello Staatstrat il 6 dicembre 1989. Un mese più tardi, nel gennaio 1990, quando il suo partito si sciolse e venne trasformato in Partei des demokratischen Sozialismus (PDS), K., membro di lunga data e funzionario senior per più di 15 anni, ne venne estromesso.

Cosa era successo nel frattempo? Dopo la sua nomina come capo del partito e di Stato, K. era intenzionato ad avviare delle riforme – ma solo in parte. La funzione superiore del partito in quanto potere dominante nella Germania Est doveva essere preservata. Per raggiungere tale obiettivo, che era ciò contro cui la maggior parte della popolazione si opponeva e manifestava, il partito aveva falsificato i risultati delle elezioni municipali già sei mesi prima, nel maggio 1989. Fu rivendicata una maggioranza del 98,85% con un’affluenza alle urne del 98,77% mentre gli attivisti dei diritti civili avevano accertato l’esistenza di brogli elettorali osservando in segreto il conteggio dei voti. K., responsabile della supervisione delle elezioni, dichiarò e confermò l’esattezza dei risultati elettorali secondo l’annuncio ufficiale. Quale che fosse la credibilità che K. aveva conquistato fino ad allora fra la popolazione della Germania Est, non aveva più presa in quel momento. Quale che fosse la sua disponibilità a effettuare le riforme e i cambiamenti che aveva promesso ed enunciato il 18 ottobre 1989 – giorno della sua nomina a leader del partito – non gli sarebbe più stata accordata fiducia. Dopo la caduta del regime comunista, venne provata la falsificazione dei risultati elettorali.

Oltre ad aver perso credibilità tra la popolazione della Germania Est, K. Ottenne l’incarico troppo tardi perché fossero possibili cambiamenti significativi, come egli stesso ammise in una pubblicazione successiva (1999). La protesta pubblica aveva preso il via con la prima “Manifestazione del lunedì” a cui aderirono circa 1000 partecipanti, il 4 settembre 1989 davanti a una chiesa di Lipsia (Nikolaikirche). Da quel giorno in poi, ogni lunedì si tenne una manifestazione in quello stesso luogo nonostante i tentativi delle forze di polizia di impedirne lo svolgimento. Alcuni giorni dopo, fu formato un movimento di opposizione denominato Aufbruch 89-Neues Forum a Berlino Est, seguito dapprima da Demokratie Jetzt e poi da Demokratischer Aufbruch, il primo partito non comunista riconosciuto, anch’esso a Berlino Est. In vista delle imminenti celebrazioni del 7 ottobre 1989, quando il regime avrebbe celebrato il 40° anniversario sia della sua nascita che di quella dello Stato e anche Gorbačëv avrebbe preso parte ai festeggiamenti, la violenza di Stato colpì i dimostranti nell’intento di reprimere atteggiamenti e comportamenti di contestazione. Il 2 ottobre, la più grande “manifestazione del lunedì” svoltasi fino a quel momento a Lipsia, fu teatro di atti di vera violenza. K. era a capo del comitato centrale delle forze di sicurezza e perciò responsabile delle azioni della polizia e di altre forze paramilitari come le brigate operaie.

A questo punto il regime comunista dovette affrontare due sfide importanti: una parte della popolazione invocava le sue dimissioni e la fondazione di un governo eletto democraticamente, altri richiedevano non solo cambiamenti democratici, ma anche la riunificazione con la Germania Ovest. Lo stesso governo della Germania Ovest, grazie a trattative segrete condotte tramite la Chiesa protestante e cattolica a vantaggio dell’economia della Germania Est – fece ulteriori pressioni per la Riunificazione tedesca. Anche i sovietici spinsero perché si avviassero delle riforme. Le pressioni provenienti da quasi tutti i fronti paralizzarono completamente il regime, spingendo decine di migliaia di persone a manifestare pubblicamente fino a raggiungere l’apice di 120.000 partecipanti il 16 ottobre 1989. Diversamente da quanto era accaduto 15 giorni prima, quella manifestazione non fu attaccata né dalle forze di polizia né dalle brigate operaie. Non è ancora chiaro se sia stato K., come egli ha più volte ribadito, a fermare il potenziale massacro ordinato da Honecker.

Il 17 ottobre furono richieste le dimissioni di Honecker e si fece il nome di K. come suo possibile successore. In un discorso trasmesso dai media, K. dichiarò la sua disponibilità ad attuare delle riforme – in seno al sistema socialista. Nei giorni seguenti giunsero notizie devastanti per il nuovo leader di Stato. L’economia della Germania Est era sul punto di crollare ed era necessaria una intensa cooperazione con i paesi “capitalisti”. K. licenziò la maggior parte dei funzionari del vecchio establishment e riuscì a rimpiazzarli con dei fedeli seguaci della SED. Il 7 novembre si dimise il governo e il giorno seguente il Politburo. L’indebolimento del partito e della leadership dello Stato portarono all’apertura del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, all’indomani di una conferenza stampa nella quale Günther Schabowski aveva erroneamente dichiarato la libera circolazione dei cittadini della DDR. I tedeschi dell’Est presero sul serio tale dichiarazione e corsero in massa verso le frontiere dove la polizia di confine, impreparata, non poté far altro che lasciar passare tutti coloro che lo desideravano. Erano le ore 23.14 del 9 novembre 1989 quando finalmente quella barriera fu rimossa per sempre. Il 18 novembre 1989 un nuovo governo sotto la guida del ministro Hans Modrow fu nominato e accettato dal parlamento. Per la prima volta i rappresentanti dell’opposizione entrarono a far parte del governo, ma i membri della SED continuavano a predominare. Soltanto il 1° dicembre l’egemonia costituzionale della SED venne ufficialmente annullata.

Le manifestazioni continue in seguito alla scoperta degli enormi privilegi di cui godevano leader politici e funzionari di partito nella loro vita quotidiana, costrinsero il 3 dicembre il Comitato centrale e il Politburo sotto K. a rassegnare le dimissioni. Di conseguenza il partito si trovò d’improvviso senza leadership. Tre giorni dopo K. si dimise da capo dello Staatsrat e del Consiglio nazionale della difesa. Il ruolo da leader di K. nella DDR non era durato nemmeno due mesi e aveva portato al crollo totale, sia del partito che dello Stato.

Il successivo ruolo pubblico di K. fu quello di testimone e di imputato del regime comunista nel seguito giudiziario della DDR. Già in precedenza, nel 1990, egli aveva pubblicato le sue memorie che non furono accolte con molto entusiasmo per il suo velato intento apologetico. Durante il processo contro Wolfgang Berghofer e Werner Moke – rispettivamente sindaco e presidente della SED di Dresda – per aver manipolato i risultati delle elezioni comunali, K. fu ascoltato come testimone in quanto aveva diretto la più alta autorità elettorale. Egli negò qualsiasi coinvolgimento e conoscenza di quelle vicende che avevano portato a un’intensificazione dell’opposizione attiva nell’autunno del 1989.

Lo stesso K. fu accusato in vari processi di omicidio colposo e di corresponsabilità assieme a diversi altri funzionari politici dell’ex regime della Germania Est. Il 9 gennaio 1995 il pubblico ministero berlinese accusò K., l’ex leader sindacale Harry Tisch, il presidente della SED di Berlino Günther Schabowski, il vicesegretario del Politburo Horst Dohlus, il viceministro presidente Günther Kleiber, il capo ideologo della SED Kurt Hager e il capo della sezione della SED nel Volkskammer, Erich Mückenberger, di responsabilità nelle morti avvenute nei pressi del Muro di Berlino e al confine con la Germania Ovest, quando i cittadini in fuga dall’Est vennero uccisi. K. negò ogni responsabilità e definì il processo “la giustizia del vincitore”, come incostituzionale e in violazione del diritto internazionale. In seguito K. difese se stesso e il regime della DDR, affermando la sovranità limitata dovuta al dominio sovietico sul regime. Durante la sua testimonianza di fronte alla corte, nella seduta del 24 luglio 1997, espresse il suo dispiacere per le vittime, ma nuovamente negò responsabilità personali per il cosiddetto “ordine di sparare”. Egli capovolse l’accusa originaria e presentò sé stesso come vittima della giustizia del vincitore, riferendosi in tal modo alla persecuzione di McCarthy negli USA durante la Guerra fredda. Sostenne che il processo contro la sua persona fosse spinto da motivi politici e pertanto violava il diritto internazionale. Evidenziò le proprie convinzioni dichiarando: «non ero né fatalista né una marionetta; ero e sono ancora un socialista». Un mese dopo, il 25 agosto 1997, K. fu condannato a 6 anni e mezzo di reclusione per omicidio colposo accertato in quattro casi. Il processo fu uno degli strumenti più importanti per i tedeschi per chiudere col passato del regime comunista nella zona est del territorio. Il processo si protrasse per oltre 115 giorni con molti testimoni e migliaia di pagine protocollate. Nella sentenza si riconosceva “il suo serio impegno” a limitare l’uso delle armi al confine e a rendere possibile una svolta politica pacifica (Wende) nella Germania Est nel 1989/90. L’appello alla sentenza presentato da K. e da altri fu respinto dall’Alta corte tedesca nel 1999. K., il quale non voleva o forse non poteva accettare la decisione di una corte non comunista, si appellò un’altra volta alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La sentenza della Corte stabilì che “non vi fu violazione dell’articolo 7 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (nessuna pena in mancanza di legge)”. La Corte affermò altresì all’unanimità che non vi era stata alcuna discriminazione che violasse l’Articolo 14 della Convenzione (proibizione della discriminazione).

Nella sua dichiarazione dopo la sentenza, letta dal figlio Carsten durante la conferenza stampa internazionale del 25 agosto 1997, K. fece di nuovo riferimento alla valenza politica del suo processo dichiarando: «entro in prigione non come criminale ma come politico della DDR che, grazie alle decisioni adottate contro lo stato d’emergenza il 9 novembre 1989, ha contribuito a evitare una guerra civile». K. non trascorse molti anni in carcere. Il decorso della sentenza fu interrotto dalle richieste di appello per quasi due anni e mezzo e dopo che egli entrò in carcere il 13 gennaio 2000, riuscì entro poco tempo a ottenere il privilegio della semilibertà, cioè gli fu permesso di uscire dal carcere durante le ore diurne per lavoro. Il 18 dicembre 2003 fu rimesso in libertà. Non accettò mai né la sentenza, né la pena e considerò entrambi come un prolungamento della «Guerra fredda nelle aule del Tribunale» e come una «privazione di libertà per motivi politici», formule con cui probabilmente aveva avuto fin troppa dimestichezza, considerati la sua mentalità politica e i suoi incarichi precedenti, semplicemente in una prospettiva ribaltata, dal punto di vista del partito al potere e dell’autorità di Stato. Fino a oggi, K. è stato uno dei pochi ex politici comunisti che hanno continuato a difendere la vecchia Germania Est.

Anton Legerer  (2012)




Kristensen, Thorkil

K. (Fløjstrup 1899-Copenaghen 1989) frequentò l’Università a Copenaghen nel 1922, riuscendo a conseguire la laurea in Economia nel 1927. Dal punto di vista politico, gli anni universitari lo videro accostarsi all’organizzazione giovanile del Partito liberale.

Dopo un periodo di insegnamento alla Business school di Aarhus, ottenne un incarico nell’organismo di controllo delle Casse di risparmio danesi, continuando, al tempo stesso, l’attività di giornalista per alcuni quotidiani e di saggista su tematiche economiche. Nel 1936 approfondì gli studi presso le università di Oxford e di Cambridge, dove rimase per quattro mesi e, ancora nel 1938, si recò in Gran Bretagna (v. Regno Unito) per seguire alla London School of Economics un seminario organizzato dalla Fondazione Rockefeller. Durante il soggiorno londinese fu nominato professore di Economia all’Università di Aarhus, incarico che mantenne fino al 1945.

Durante la Seconda guerra mondiale, alla Danimarca, sottoposta all’occupazione tedesca, fu concesso un ampio autogoverno tale da consentire l’assolvimento della maggior parte delle normali funzioni amministrative. Nel 1943 il governo danese poté pertanto istituire una commissione, composta dai più noti docenti di discipline economiche, cui conferì l’incarico di studiare e di elaborare quelle misure indispensabili per gestire il passaggio all’economia post-bellica. K. era uno dei membri più illustri di questo organismo. In controtendenza rispetto all’assestamento dei sistemi politici europei all’indomani della fine del conflitto, nel 1945 la Danimarca fece un passo a destra. Dopo la breve esperienza di un governo di unità nazionale, fondato su larghe intese, che seguì la liberazione del maggio, le elezioni tenute in ottobre portarono alla formazione di un governo liberal-conservatore. K. fu eletto deputato e, per quanto privo di esperienza parlamentare, fu nominato ministro delle Finanze nel nuovo gabinetto. In questa funzione dimostrò di essere un amministratore sicuro e risoluto, ma ben presto emersero motivi di dissenso politico con il primo ministro, Knud Kristensen. In particolare, K. sollevò obiezioni sulla linea di politica estera intrapresa dall’inesperto e poco ortodosso capo del governo, il quale avanzava pretese territoriali sullo Schleswig del Sud, un tempo ducato danese, poi divenuto parte della Germania; a preoccupare K. era però, ancor più, l’andamento negativo della bilancia commerciale verso la Gran Bretagna.

Gli osservatori politici non sbagliavano nell’osservare come K. fosse spesso più vicino alle posizioni dei socialdemocratici che non a quelle dei suoi colleghi di gabinetto. In particolare, nella seconda metà del 1947, in un dibattito politico totalmente incentrato sulla questione del Piano Marshall, egli fu tra i pochi politici danesi, oltre a quelli del Partito comunista, ad assumere posizioni apertamente critiche nei confronti delle condizioni poste dagli americani in cambio dei loro aiuti, ritenendo alcune di tali condizioni ingerenze indebite e lesive della sovranità dello Stato danese. Queste riserve tuttavia alla fine caddero e K. favorì l’accettazione da parte della Danimarca del Piano Marshall.

Le dimissioni del governo liberal-conservatore alla fine del 1947 aprirono la strada alla formazione di un gabinetto socialdemocratico che rese operativo il Piano Marshall e siglò, nel 1949, l’adesione della Danimarca all’alleanza atlantica (v. anche Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico). Dai banchi dell’opposizione, K. continuò a impegnarsi con slancio e passione sui temi caldi del dopoguerra, in particolare sulle questioni di politica internazionale, tanto da ricoprire, nel periodo 1948-1960, la carica di presidente della prestigiosa Società danese per la politica estera (Det Udenrigspolitiske Selskab, DUS). Tra gli argomenti verso i quali si rivolsero i suoi interessi, centrale fu quello dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della): l’ipotesi federalista (v. anche Federalismo), in quel periodo, assai accreditata in Europa, non riceveva nei paesi scandinavi grande credito e la Danimarca non faceva eccezione. Fu proprio K., in veste di primo presidente della piccola rappresentanza danese presso l’Unione parlamentare europea (UPE) a tentare di raccogliere le forze presenti in Danimarca a sostegno della causa europeista. In quella veste, egli guidò i 32 membri che componevano la combattiva delegazione danese al Congresso dell’Aia nel maggio 1948. Nello stesso anno egli ottenne l’adesione della delegazione danese UPE al Movimento per l’Europa unita (MEU) (v. Movimenti europeistici), che in breve avrebbe consumato la rottura con la leadership europea dell’UPE.

Quale delegato danese al costituendo Consiglio d’Europa nel 1949, egli insistette sulla necessità di un’ampia e intensa cooperazione tra gli Stati per risanare le ferite della guerra e per un’Europa occidentale politicamente ed economicamente forte. Per citare le sue parole, nel creare il Consiglio d’Europa era importante «mirare a un obiettivo veramente ampio. Si doveva puntare a un graduale trasferimento di sovranità dei singoli Stati d’Europa a questa nuova entità, poiché era impossibile concepire un’organizzazione unitaria senza che in prospettiva futura gli Stati fossero disposti a rinunciare a una parte della loro sovranità a beneficio dell’insieme».

Le aspirazioni europeiste di K. si andarono spegnendo nel corso degli anni Cinquanta, quando egli tornò a ricoprire la carica di ministro delle Finanze del governo liberal-conservatore al potere tra il 1950 e il 1953. Divenne progressivamente scettico nei confronti della vena protezionista che pervadeva non solo i piani europei di settore dei primi anni cinquanta, ma l’intera politica economica della Comunità economica europea (CEE) e proprio questo suo scetticismo verso l’istituzione economica comunitaria fu uno dei motivi che lo misero in rotta di collisione con la leadership del proprio partito, quello liberale. Così, in parlamento si dissociò dalla posizione ufficiale dei liberali, appoggiando invece il più cauto europeismo della coalizione a guida socialdemocratica, che in intendeva prendere in considerazione l’adesione alla CEE fino a quando anche la Gran Bretagna non fosse entrata. La contesa ingaggiata da K. con il leader del partito Erik Eriksen assunse sempre più la forma di una lotta per la leadership del partito stesso, lotta che alla fine K. perse. Di conseguenza, nel 1960 uscì dal partito e abbandonò l’incarico parlamentare.

Il suo addio alla politica danese si trasformò, tuttavia, nell’inizio di una prestigiosa carriera internazionale. Durante la permanenza a capo del dicastero delle Finanze tra il 1950 e il 1953, infatti, K. aveva preso parte a molti negoziati internazionali e all’attività dell’Organizzazione europea per la Cooperazione economica (OECE). Nell’ambito di tale organizzazione ebbe modo di dimostrare le sue grandi capacità di negoziatore e la sua alta competenza come economista: elementi questi che gli valsero non solo una solida reputazione a livello internazionale, ma anche, nel 1960, l’incarico di segretario generale dell’OECE (poi riorganizzata e nel 1961 trasformata in OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo in Europa) che durerà nove anni. Insieme all’impegno nel coordinamento e nella supervisione dell’enorme lavoro svolto dall’OCSE, egli partecipò anche all’attività di studio dell’istituzione stessa, dedicandosi con assiduità anche alle iniziative del Comitato per il sostegno allo sviluppo e dando prova di una non comune e profonda comprensione delle linee di tendenza dello sviluppo economico, sociale e politico su scala globale.

Nel 1969 K. fece ritorno in Danimarca dove divenne direttore del neonato Istituto di ricerca per lo sviluppo a Copenaghen, incarico che abbandonò nel 1972 quando si impegnò nella campagna referendaria a favore dell’ingresso della Danimarca – insieme alla Gran Bretagna – nella Comunità europea. Ormai in pensione, continuò a essere attivo nel mondo accademico e fece spesso sentire la propria voce nei dibattiti sull’Europa e sulle iniziative per gli aiuti allo sviluppo, come anche su più generali tematiche di carattere economico. Indiscutibilmente. K. fu il primo grande politico europeo della Danimarca, anche se la sua dedizione alla causa europea proveniva più dall’analisi intellettuale che dal cuore. Non fu infatti un politico in senso tradizionale. La sua comprensione e accettazione delle regole della politica parlamentare furono un elemento trascurabile, un fatto questo che contribuì paradossalmente a costruirne l’immagine di uomo imparziale e al tempo stesso affidabile.

Niels Wium e Thorsten B. Olesen (2010)