Kukan, Eduard

K. (Trnovec nad Váhom, Slovacchia 1939), per lungo tempo ministro degli Esteri, è stato il volto della politica estera dei governi di Dzurinda (v. Dzurinda, Mikuláš). Malgrado fosse ampiamente stimato per le sue abilità diplomatiche, il suo passato comunista e il suo stretto legame con Mikuláš Dzurinda contribuirono, nel 2004, a cancellare le sue aspirazioni presidenziali non riuscendo nemmeno ad arrivare al ballottaggio del secondo turno.

K. studiò all’Università statale di Mosca per le Relazioni internazionali e alla facoltà di Giurisprudenza della Università Carlo di Praga, prima di iniziare la carriera diplomatica nel 1964, che culminò nella nomina a rappresentante permanente della Cecoslovacchia alle Nazioni Unite, nel 1990. Dopo la divisione della Cecoslovacchia, egli rimase alle Nazioni Unite in qualità di rappresentante permanente della Slovacchia.

La carriera politica di K. nel suo paese iniziò nel marzo 1994, quando venne scelto dal nuovo primo ministro Jozef Moravčík come ministro degli Esteri. Le sue abilità diplomatiche e i suoi contatti furono utili per migliorare le relazioni con l’Unione europea e gli USA, ma la decisione del governo di indire elezioni anticipate determinò la fine del mandato di K. come capo del ministero degli Esteri slovacco. Invece di ritornare a svolgere il servizio diplomatico, K. venne candidato nella lista del partito dell’Unione democratica (Demokratická únia Slovenska, DU) per le elezioni del 1994.

Come principale portavoce dell’opposizione durante il governo 1994-1998, K. svolse un ruolo importante durante i dibattiti di politica estera, anche grazie ai suoi incarichi nelle Commissioni per gli Affari esteri e per l’Integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Il profilo internazionale di K. aumentò anche in seguito alle posizioni assunte in seno alla Commissione parlamentare mista dell’Unione europea e della Repubblica Slovacca e in quanto membro della Delegazione slovacca all’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO)

In seguito alla farsa del referendum del 1997 sull’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e alle elezioni dirette del presidente, K. divenne un accanito sostenitore di una cooperazione più stretta con altri partiti politici. Fu una figura di spicco nella creazione della Coalizione democratica slovacca (Slovenská demokratická koalícia, SDK), di cui diventò vicepresidente al congresso dell’SDK nel luglio 1998. Dopo le elezioni e le trattative per formare una coalizione, K. divenne ministro degli Esteri della Slovacchia.

L’integrazione nell’UE era il suo obiettivo primario, come anche quello del governo. L’adesione all’UE, tuttavia, non era l’unica componente: bisognava perseguire anche l’ingresso in altre due organizzazioni occidentali (NATO e Organizzazione per la cooperazione e sicurezza in Europa). K. sottolineava come le adesioni a tali organizzazioni fossero «reciprocamente complementari» (v. Kukan, 2000, p. 14). Il miglioramento delle relazioni tra la Slovacchia e i paesi confinanti fu al centro della strategia del governo. A tal fine, K. fu determinante nel rilanciare la cooperazione di Visegrad con Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. Grazie al suo operato come ministro degli Esteri, K. acquisì un’ottima reputazione negli ambienti internazionali e nel maggio 1999 gli fu affidato il ruolo di inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per i Balcani.

Grazie al ruolo all’interno dell’SDK e nel primo governo presieduto da Dzurinda, K. divenne uno stretto alleato del primo ministro. Insieme a Dzurinda, fu uno dei principali sostenitori della creazione di un partito al di fuori dell’SDK. Quando Dzurinda annunciò la formazione dell’Unione cristiano democratica slovacca (Slovenská demokratická a kresťanská únia SDKÚ), K. si schierò a fianco di Dzurinda, diventando nel novembre 2000 vicepresidente del nuovo partito per gli Affari esteri.

La Slovacchia fece grandi passi avanti negli anni 1998-2002. Non fu solo l’immagine della politica estera slovacca a cambiare, in parte grazie alle abilità diplomatiche di K., ma anche l’immagine generale della politica slovacca. Una politica a favore delle minoranze etniche, l’introduzione di una maggiore trasparenza nel processo di privatizzazione e la volontà da parte del governo di agire secondo i principi democratici, furono i fattori principali che spiegano il ritorno della Slovacchia nell’ambito europeo. Sebbene K. non si fosse occupato direttamente di molte di queste politiche, egli seppe comunicare efficacemente questo messaggio presso la comunità internazionale, anche grazie alla sua eccellente padronanza dell’inglese.

Benché si fossero raggiunti grandi progressi tra il 1998 e il 2002, la possibilità che la Slovacchia ricevesse l’invito ad aderire all’UE durante il Consiglio europeo di Copenaghen del dicembre 2002 (e quindi ad aderire alla NATO nel summit di Praga del novembre 2002) dipendeva soprattutto dal risultato delle elezioni parlamentari in autunno. Kukan era tra i membri più in vista della campagna elettorale dell’UDKS. L’ingresso nell’UE e nella NATO furono i temi centrali della campagna elettorale e l’immagine di K. apparve su manifesti elettorali che sottolineavano che il paese era sul punto di diventare membro di entrambe le organizzazioni, grazie al ruolo svolto dal governo e dal ministro degli Esteri. Nella manifestazione elettorale conclusiva del partito, svoltasi contemporaneamente a Bratislava e Košice, fu mostrato ai partecipanti un video di K. e del tanto amato comico Július Šatinský che conversavano nella piazza principale di Bruxelles. Il messaggio era chiaro per tutti: la Slovacchia era sul punto di aderire all’UE grazie soprattutto al ministro degli Esteri K. (v. Haughton, 2003).

Grazie ai risultati migliori di quelli previsti, l’SDKÚ divenne il pilastro del governo. K. conservò il proprio incarico di ministro degli Esteri, fatto che gli permise di partecipare al summit di Copenaghen e alla firma dei trattati di adesione nell’aprile 2003 ad Atene. Una volta assicurata l’adesione, le ambizioni di K. si rivolsero verso la presidenza. Come candidato della coalizione di governo, ci si aspettava che fosse lui a vincere le elezioni. Malgrado i sondaggi prevedessero che avrebbe vinto al secondo turno, K. non riuscì a ottenere i voti sufficienti per arrivare al ballottaggio. La sconfitta umiliante di K. fu in parte dovuta all’impopolarità del governo Dzurinda e dello stesso Dzurinda, ma anche al suo passato comunista che tornava a perseguitarlo. Dopo le elezioni presidenziali, K. rimase in carica come ministro degli Esteri, ma la sua carriera politica sembrava avviarsi alla conclusione.

Tim Haughton (2006)




Kulakowski, Jan

Ministro plenipotenziario, negoziatore principale della Polonia per i negoziati di Adesione all’Unione europea (UE), K. nacque a Myszkow nel 1930 da padre polacco e madre belga. Durante la Seconda guerra mondiale, all’età di quattordici anni, dopo la sua partecipazione nell’Insurrezione di Varsavia e la prigionia nel campo di Pruszkow, partì con sua madre alla volta del Belgio. Completati gli studi di giurisprudenza presso l’Università di Lovanio, nel 1953 ottenne la laurea in giurisprudenza all’Università cattolica di Lovanio.

Intermediario e negoziatore sin dalla giovinezza per la sua doppia nazionalità e per vocazione, K. fece ben presto da tramite tra la Polonia e l’Europa. In gioventù, in Belgio, era stato attivo all’interno della comunità di emigrati politici polacchi. Dal 1947 al 1954 organizzò in Belgio gruppi di giovani operai polacchi e collaborò con la Confederazione dei sindacati cristiani. Nel 1954 divenne membro del Segretariato generale della Federazione internazionale dei sindacati cristiani (International federation of chistian trade unions, IFCTU). Condusse negoziati con governi autoritari in Europa e in altri continenti per ottenere il rilascio di prigionieri perseguitati per le loro attività sindacali e una maggiore libertà per i sindacati in quei paesi. Nel 1962 fu eletto segretario generale dell’Organizzazione europea della Federazione internazionale dei sindacati cristiani. Dal 1974 al 1976 fu segretario della Confederazione europea dei sindacati.

Dal 1976 al 1985 K. venne eletto per quattro volte segretario generale della Confederazione mondiale del lavoro. Utilizzando la sua esperienza, i suoi contatti internazionali e la consolidata posizione di segretario generale della Confederazione mondiale per il lavoro, dal 1980 al 1989 K. partecipò attivamente alle iniziative del sindacato Solidarność, del quale è tuttora membro onorario.

In qualità di ambasciatore straordinario e plenipotenziario e di presidente della rappresentanza della Repubblica di Polonia presso le Comunità europee a Bruxelles, tra il 1990 e il 1996 K. fu uno degli architetti dell’accordo europeo (v. Accordi europei) che associava (v. Associazione) la Polonia alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), alla Comunità economica europea (CEE) e alla Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Fu uno degli autori della clausola del preambolo dell’accordo in base alla quale l’associazione della Polonia all’Unione europea (UE.) non era un fine in sé, bensì uno strumento per ottenere un’adesione a pieno titolo all’UE. Tuttavia, questa dichiarazione non venne accettata immediatamente come vincolante dalle Istituzioni comunitarie, e soltanto nel 1993 l’UE emise il parere favorevole per l’adesione polacca all’Unione europea. Nel 1996 K. fece ritorno in Polonia, dove divenne consulente del plenipotenziario del governo per l’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della) e l’assistenza estera, nonché membro del Comitato per l’integrazione europea. Nel 1998 il primo ministro Jerzy Buzek lo nominò segretario di Stato nella cancelleria del primo ministro e successivamente plenipotenziario del governo per i negoziati di adesione della Polonia all’Unione europea.

Come principale responsabile dei negoziati K. ebbe un ruolo chiave nelle relazioni da un lato tra la Polonia e l’UE, e dall’altro tra i partner della coalizione di governo Azione elettorale di Solidarność (Akcja wyborcza solidarność, AWS)/Unione liberale (Unia wolności, UW). La posizione negoziale di K. si trovò quindi limitata dai disaccordi all’interno dell’AWS e tra l’AWS e l’UW. Mentre i liberali all’interno della coalizione erano preoccupati del ritardo nel concedere la possibilità ai polacchi di lavorare nell’UE, e pertanto preferivano una posizione netta sul periodo di transizione in materia di libertà del lavoro, l’AWS era disposta a scendere a compromessi su tale questione in cambio di un lungo periodo di transizione per il provvedimento che avrebbe permesso agli stranieri l’acquisto di terreni polacchi. Il governo scelse una soluzione di compromesso, permettendo un periodo di transizione di cinque anni per investire nei terreni e un periodo di 18 anni per l’acquisto di terreni agricoli e di lotti edificabili. Tali conflitti intralciarono anche altre aree delle trattative, causando spesso posizioni negoziali inflessibili.

Nonostante le difficoltà interne, K. riuscì comunque a persuadere il governo della necessità di modificare le sue posizioni su un certo numero di capitoli difficili, quali occupazione e politica sociale, tassazione, trasporti, energia e ambiente (v. Kulakowski, 2001). Il suo ruolo fu anche decisivo nel mobilitare le élites per accelerare il processo di Armonizzazione legislativa (v. anche Ravvicinamento delle legislazioni). Tuttavia, dopo le elezioni parlamentari del 2001, quando il gruppo di negoziazione di K. fu sostituito da un altro gruppo dell’Alleanza democratica di sinistra (Sojusz lewicy demokratycznej, SLD), la Polonia risultò il paese più in ritardo nella conclusione di un certo numero di capitoli dei negoziati.

In qualità di responsabile del negoziato K. doveva spesso riferire in pubblico e in parlamento sulle questioni riguardanti l’integrazione europea. Nel corso del 2000 e del 2001 si tennero diversi dibattiti parlamentari nei quali egli dovette difendere la strategia negoziale del governo. In numerosi discorsi tenuti in parlamento in quel periodo K. tentò di ottenere il sostegno sia del governo sia dell’opposizione per l’avanzamento delle trattative. «Il progresso dei negoziati dipende sempre più dalla capacità del governo di prendere decisioni politicamente difficili. Tali decisioni dovrebbero ottenere l’appoggio di tutti i gruppi politici in Parlamento e del presidente Aleksander Kwaśniewski». (v. Kosc, 2001). In queste occasioni K. colse altresì l’opportunità di annunciare le trattative su temi spinosi quali l’acquisto dei terreni da parte di stranieri.

K. si servì del proprio ruolo di intermediario tra la Polonia e l’UE per esprimere la propria opinione su questioni relative all’integrazione europea di portata più generale. Già dal 1998 richiese che Varsavia venisse attivamente informata sui progressi delle riforme interne all’UE, in modo che la Polonia potesse prendere parte a tale processo. Sin dall’inizio indicò quale sarebbe dovuta essere la posizione polacca nell’Unione allargata a 25 paesi, all’interno della quale le élites politiche dei vari paesi avrebbero potuto svolgere un ruolo influente qualora avessero colto l’opportunità di definire i propri obiettivi a lungo termine.

Tra i contributi di K. a questo riguardo va ricordato il discorso sul tema “Federazione e un’Europa allargata”, pronunciato nel luglio 2000 a Berlino. K. era contrario alla proposta del ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher di affrontare l’Allargamento mediante la federalizzazione di quei membri dell’Unione europea che avessero dimostrato la volontà e la capacità di progredire ulteriormente sulla strada dell’integrazione (v. anche Federalismo). K. temeva che questo metodo di concepire un’ulteriore integrazione attraverso una maggiore flessibilità avrebbe creato divisioni all’interno delle istituzioni dell’Unione, rivelandosi pertanto un elemento distruttivo e non già costruttivo in relazione a un’ulteriore integrazione. «Il fatto stesso che la Federazione, in quanto organismo politico, sarebbe costretta a partecipare all’attività dell’Unione tramite i suoi componenti (ossia gli Stati membri) indebolirebbe la logica e la legittimazione delle istituzioni della Federazione, rendendo forse superflua la sua stessa esistenza». Nel suo discorso, K. manifestava inoltre il timore che i nuovi Stati membri, come la Polonia, aderissero all’Unione europea per poi venire esclusi dalla partecipazione al gruppo chiave del Processo decisionale. Esprimendo un timore diffuso tra i paesi candidati, K. affermò inoltre che l’idea di un “Nocciolo duro” dell’Europa avrebbe determinato un indebolimento della solidarietà tra i membri più ricchi al centro e quelli più poveri alla periferia dell’Unione (v. Kulakowski, 2000).

Madalena Pontes-Resende (2004)




Kunst, Rudolf Herman Adolf

K. (Ottersberg, Hannover 1907-Bonn 1999) nacque in una famiglia di operai in un piccolo villaggio della Renania Settentrionale-Vestfalia vicino a Hannover, di fede evangelico-luterana. All’età di tre anni si trasferì con la sua famiglia a Bocholt, all’epoca di maggioranza cattolica. Qui, durante gli anni della scuola superiore, prese parte a gruppi di studio della Bibbia. L’esperienza della diaspora protestante improntò sia la sua fede religiosa orientate al protestantesimo luterano, sia la sua abilità di mediatore anche in ambito politico.

Dopo la scuola superiore, K. fece pratica come impiegato di banca, ma quasi subito, nel 1926, iniziò gli studi di teologia protestante presso le università di Marburg, Berlino e Münster. Ebbe come docenti i teologi Rudolf Bultmann e Adolf von Harnack. Il suo più importante docente di filosofia fu Martin Heidegger.

Nel 1932, a soli 25 anni, iniziò la propria carriera ecclesiastica come pastore a Herford, in Renania Settentrionale-Vestfalia. Per tutta la vita considerò questo incarico come la sua missione ultima e in questa prospettiva pastorale percepì gli incarichi successivi. Quando giunsero al potere i nazionalsocialisti, K. aderì alla Chiesa confessionale di opposizione, influenzato soprattutto dal capo della chiesa regionale di Vestfalia, Karl Koch, opponendosi così al tentativo nazista di appropriarsi della Chiesa protestante tedesca e di collocare fedeli seguaci nazisti come “cristiani tedeschi” (Deutsche Christen) nelle posizioni di potere.

Durante la Seconda guerra mondiale fu cappellano militare negli anni 1939-40, durante l’invasione tedesca della Polonia e della Francia, e dal 1943 al 1945 sul fronte orientale con l’Unione Sovietica, dove alla fine della guerra venne fatto prigioniero (fino al settembre 1945). Il suo secondo incarico come cappellano militare fu pianificato dal funzionario ecclesiastico Wilhelm Philipps per evitare che K. venisse arruolato come soldato semplice, rischiando così di essere inviato al fronte. Per assumere l’incarico, come ogni altro soldato, K. giuro fedeltà ad Adolf Hitler. Secondo la sua stessa testimonianza, nel 1942 K. era in contatto con Eugen Gerstenmaier il quale a sua volta era legato a gruppi di opposizione: in questo modo K. venne informato in anticipo dei piani per assassinare Adolf Hitler. Fino a oggi non è ben chiaro in quale misura K. abbia partecipato all’opposizione e fino a che punto abbia invece mantenuto una posizione più moderata e collaborativa della quale, a guerra conclusa, venne sospettato. Tra coloro che propendevano per quest’ultima ipotesi c’era anche il leader popolare della chiesa confessionale, Martin Niemöller il quale, a causa della sua aperta opposizione al regime, era stato imprigionato in un campo di concentramento durante la Seconda guerra mondiale.

K. perseguì la sua carriera pastorale anche sotto il Terzo reich. Nel 1940, all’età di 33 anni, venne nominato sovrintendente della Chiesa protestante della diocesi di Herford, diventando un leader della chiesa di Vestfalia e un promettente candidato per ulteriori promozioni all’interno della gerarchia ecclesiastica. Appena due anni più tardi, nel 1942, fu nominato vice di Karl Koch, capo del concistoro della Chiesa di Vestfalia. Sempre nel 1942, fu nominato capo del gruppo di studiosi luterano “Minden-Ravensberger Kreis”. Dopo la sconfitta della Germania e al ritorno dalla sua prigionia nell’Unione Sovietica, divenne membro della dirigenza della Chiesa protestante di Vestfalia, ma la sua aspirazione di succedere a Karl Koch come presidente fallì quando, nel 1948, fu invece eletto il suo rivale Ernst Wilm.

Quella che all’inizio sembrò una sconfitta, risultò in seguito il punto di partenza per la futura carriera di K. come mediatore tra Chiesa e Stato. Nel 1949, in occasione della costituzione ufficiale della Repubblica Federale Tedesca e della Repubblica Democratica Tedesca come Stati eredi del Terzo reich, il Consiglio della chiesa protestante di Germania (Rat der Evangelischen Kirche in Deutschland), un’organizzazione che inglobava tutte le chiese protestanti tedesche e che fu fondata subito dopo la sconfitta del regime nazionalsocialista, nominò alcuni rappresentanti come funzionari di collegamento tra i due governi. Hermann K. fu nominato rappresentante del Consiglio delle chiese protestanti tedesche presso il governo occidentale di Bonn. A eccezione di un breve intermezzo, svolse questo incarico per 27 anni, fino al 1977. In questo ruolo, K. fu ufficialmente coinvolto in tutte le questioni inerenti alle relazioni tra Stato e Chiesa, come l’insegnamento, le tematiche pastorali e anche questioni direttamente connesse con la chiesa protestante. Tra le tante questioni, si occupò della legge sulla ripartizione degli oneri tra la popolazione locale e i profughi tedeschi dall’Est, sull’uguaglianza dei diritti uomo-donna, sulle regole dello stato sociale, sul matrimonio e sull’aborto.

È difficile valutare complessivamente l’influenza di K. sulla politica nazionale. Fu strettamente coinvolto nella creazione di Espelkamp, una città di circa 25.000 abitanti che iniziò come campo profughi per i tedeschi dall’Est. La città fu congiuntamente patrocinata dalle chiese e dallo Stato nazionale: fu K. a dirigere il comitato per la sua costruzione. Il suo impegno fu premiato con il riconoscimento di una cittadinanza onoraria nel 1971.

Nel fervore del dibattito pubblico riguardo al riarmo e agli armamenti nucleari che gli alleati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) prevedevano di installare sul territorio della Germania Ovest, K. negoziò con il governo tedesco occidentale l’accordo Stato-Chiesa riguardante la tutela religiosa per i militari protestanti. Questo accordo gli valse la nomina di vescovo militare nel 1957, carica che mantenne fino al 1972. K. fondò un gruppo di studio sull’impatto delle armi nucleari, che portò alla pubblicazione della Heidelberger Thesen nel 1959, un importante contributo alla posizione protestante sulla pace. Fu merito suo l’aver raggiunto l’unione delle chiese protestanti tedesche dopo anni di duri dibattiti teologici sulla legittimazione della politica bellica tradizionale, la quale procedeva lungo due posizioni contrapposte: una che teneva conto della storia tedesca molto recente, l’altra che si focalizzava sulla minaccia contemporanea di una possibile aggressione comunista. Dall’altra parte, fu in particolare questa posizione a rendergli possibile l’accesso a considerevoli risorse di bilancio.

Una componente essenziale dell’incarico di K. fu lo stanziamento di fondi per la Germania Est. In tale delicata materia egli mediò tra i due Stati tedeschi e anche tra le rispettive chiese protestanti. K. amministrò cospicue somme, provenienti dalle chiese della Germania Ovest, dal governo federale e anche da altre fonti quali Stato e imprese, tutte destinate a sostenere le chiese protestanti nella Germania Est comunista che erano state private di risorse economiche essenziali per svolgere le loro funzioni pastorali e diaconali. I programmi d’aiuto finanziario si attuavano tramite denaro contante, bonifici bancari e anche per mezzo di merci spedite nella Repubblica Democratica Tedesca (Deutsche Demokratische Republik, DDR). K. aveva convinto le autorità della Germania Ovest a permettere l’invio di generi di prima necessità tra i quali quelli alimentari, di cui le autorità della Germania Est necessitavano come aiuto concreto per le chiese tedesco-orientali (il cosiddetto “Kirchengeschäft A”). Lo Stato della Germania Est “acquistava” queste merci con marchi della Germania Est che consentivano alle chiese protestanti della Germania Est di perseguire i propri interessi e svolgere le proprie attività.

Nel 1962 K. autorizzò l’impiego dei canali finanziari della Chiesa per i trasferimenti di denaro verso il governo della Germania Est in cambio del rilascio di prigionieri appartenenti alla Chiesa. L’anno successivo, il modello ecclesiastico venne applicato alle relazioni tra gli Stati e il governo tedesco dell’Ovest iniziò a effettuare pagamenti tramite i canali ecclesiastici verso la Germania Est, per il rilascio di prigionieri politici e familiari dei profughi (“Kirchengeschäft B”). In tal modo K. diede inizio allo “scambio” di persone tra le due Germanie. Dall’altra parte, questo canale segreto rappresentò un continuo legame tra le due nazioni che rimasero ufficialmente ostili rivali agli occhi della comunità internazionale. Il numero di persone che furono rilasciate dalla Germania Est attraverso quel programma fino alla Riunificazione tedesca raggiunse la cifra di 33.755, a cui si aggiunsero 215.019 persone a cui fu concesso di ricongiungersi alle proprie famiglie nella Germania Ovest. Il trasferimento di denaro tra i due Stati tramite i canali delle chiese protestanti raggiunse l’incredibile somma di 3,5 miliardi di marchi della Germania Ovest (circa 1,8 miliardi di Euro).

Secondo alcuni K. Sarebbe riuscito a stabilire relazioni personali di fiducia e durature con tutti i principali protagonisti della Germania Ovest del dopoguerra. Il primo cancelliere della Repubblica Federale Tedesca (Bundesrepublik Deutschland, BRD), Konrad Adenauer, apparentemente lo invitò a far parte di uno dei suoi governi, offerta che venne fermamente respinta da K. La sua reputazione, nonché la sua posizione di rappresentante della Chiesa e di vescovo militare, andavano molto al di là di un ministero nel governo federale. K. era in stretto contatto con Konrad Adenauer e fu in rapporti di stretta amicizia con due politici molto importanti, i presidenti federali Gustav Heinemann e Heinrich Lübke. Ancora a distanza di anni, dopo il ritiro di Adenauer, K. venne nominato presidente della Commissione di mediazione alle elezioni parlamentari del 1979. La sua funzione di mediatore includeva contatti costanti con agenti segreti della DDR.

Oltre al suo ruolo di mediatore tra le Chiese protestanti e i due Stati tedeschi, K. rimase una figura di spicco all’interno della gerarchia protestante: diede origine a un gruppo protestante di studiosi per le questioni sociali a Friedewald, fu cofondatore dell’Agenzia centrale per lo sviluppo del protestantesimo che presiedette dal 1962 al 1978, costituì una fondazione tuttora esistente, sull’analisi dei testi del Nuovo testamento (1964) e codiresse un workshop ecumenico dal 1982 al 1986. Oltre a figurare come autore ed editore di numerose pubblicazioni su temi teologici, K. fu coredattore delle prime tre edizioni dell’Evangelisches Staatslexikon, un’enciclopedia che affrontava questioni sociali e collettive dal punto di vista della teologia protestante. Un altro coredattore fu Roman Herzog, successivo presidente federale della BRD. Successivamente K. sponsorizzò l’organizzazione “Aktion Sühnezeichen” (Azione di riparazione per i crimini nazisti) che fu costituita nel 1958 e che operava in entrambi gli Stati tedeschi e in ex paesi nemici della Seconda guerra mondiale, come Polonia, Cecoslovacchia, Paesi Bassi, Francia, Regno Unito, Norvegia e molti altri.

Anton Legerer (2012)




Kurt Georg Kiesinger




Kurt Schumacher




Kurt Waldheim