Le Monde

Per i lettori di quest’inizio del XXI secolo cosa c’è di più europeo del giornale “Le Monde”? Il quotidiano sembra difendere da molti anni l’idea della costruzione europea ed esaminando il tema relativo a “Le Monde” e l’Europa ci si aspetta di trovare una redazione di lunga data unanime nel sostenere il progetto europeo. Ma in realtà questa posizione non è così scontata. Si tratta piuttosto del risultato di una lunga maturazione disseminata di conflitti interni alla redazione e con una parte dei lettori. Inoltre riflette l’evoluzione delle mentalità delle élites francesi nella seconda metà del XX secolo.

“Le Monde” è un giornale destinato alle élites: succede al “Temps”, giornale “ufficiale” della III Repubblica, di cui adotta il tono sobrio e il modello austero, e almeno nei primi anni è realizzato dagli stessi giornalisti. Tuttavia, sotto la direzione di Hubert Beuve-Méry, “Le Monde” incrementa notevolmente il suo pubblico di lettori: mentre “Le Temps” diffondeva 60.000 esemplari al giorno, “Le Monde” ne vendeva 120.000 durante i primi dieci anni, poi ha inizio una forte crescita che lo porta da 369.000 copie nel 1969 e a 430.000 alla fine degli anni Settanta. Da una ventina d’anni oscilla fra 340.000 e 400.000 copie giornaliere. Una parte di questa diffusione (fra il 15 e il 20%) si realizza all’estero, rendendo così “Le Monde” il solo quotidiano francese che abbia un pubblico internazionale. Dal 1944 i suoi lettori sono rappresentativi delle élites politiche, economiche e culturali francesi: uomini politici, alti funzionari, imprenditori, quadri superiori e universitari, ai quali si aggiunge una forte percentuale di studenti, di responsabili di sindacati e associazioni, di ecclesiastici, di letterati e di artisti.

Queste élites sono fortemente provate dalle vicissitudini del periodo tra le due guerre e dell’occupazione, da cui non sono uscite indenni. Quindi appare necessario purgare gli effetti della guerra e di una vittoria poco gloriosa, che si traducono nell’ostilità verso la Germania e nel desiderio di restaurare la potenza della Francia. Inoltre le forze politiche che costruiscono l’Europa, la Democrazia cristiana e i partiti del socialismo democratico, in Francia sono condizionate dalla forte presenza dei gollisti e dei comunisti. L’idea europea che si va costruendo e si impone lentamente richiede in Francia più che altrove una forza persuasiva raddoppiata.

In questo contesto “Le Monde” beneficia di alcuni vantaggi. Innanzitutto il suo direttore Hubert Beuve-Méry, la cui esperienza europea è di lunga data (ha vissuto dieci anni a Praga, dove era corrispondente del “Temps”), insieme a quella di educatore dei quadri della nazione come direttore dell’École des cadres d’Uriage. Inoltre, “Le Monde” è realizzato da una redazione agguerrita, costituita al principio dagli anziani del “Temps”, poi lentamente sostituita dal reclutamento di Beuve-Méry. Certo gli equilibri interni alla redazione talvolta sono conflittuali: in generale i tradizionalisti del “Temps” seguono la politica del Quai d’Orsay, mentre i più giovani desiderano imprimere un maggior dinamismo. Ma in materia d’Europa si sviluppa rapidamente il consenso: fra le due potenze internazionali l’avvenire della Francia è in Europa. Basta leggere il Bulletin de l’étranger, l’editoriale della redazione sulla prima pagina del giornale (ad esempio quelli del 18 marzo 1948 sul Trattato di Bruxelles, del 9-10 maggio 1948 sul Congresso dell’Aia, o ancora le analisi politiche nel maggio 1949 all’atto della creazione del Consiglio d’Europa, nel maggio 1950 quando viene annunciato il Piano di Jean Monnet, nell’aprile 1951 in occasione della firma del Trattato di Parigi che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), per convincersi che “Le Monde” ha scelto di sostenere l’opzione europea. Del resto Jean Monnet è tra gli amici di Beuve-Méry, mentre la sensibilità democratico-cristiana è fortemente rappresentata all’interno della redazione.

Tuttavia la Guerra fredda introduce degli inceppamenti in questo slancio positivo. La disputa intorno al problema del neutralismo, l’antiamericanismo di una parte della redazione che rifiuta l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), infine i negoziati sul progetto di Comunità europea di difesa (CED) rivelano delle spaccature nella redazione e nella direzione di “Le Monde” e incrinano il consenso sull’Europa. Nell’autunno 1947, prima nel settimanale “Une semaine dans le monde”, poi dalle colonne del quotidiano, Beuve-Méry esalta le virtù di un’Europa forte e neutrale fra i due blocchi. I dibattiti si amplificano negli anni fra il 1948 e il 1950 con i contributi di Etienne Gilson e di altri. Questi scritti riguardano in gran parte i rapporti Est-Ovest, infatti “Le Monde” respinge la scelta fra i due blocchi affermando che bisogna promuovere un’Europa politicamente libera e socialmente giusta, tuttavia riflettono anche i dibattiti europei, in particolare la questione della CED, considerata da una larga parte della redazione un modo dissimulato per riarmare la Germania. In queste tematiche si insinua anche una forte dose di antiamericanismo e di non minore anticomunismo. Queste prese di posizione provocano una crisi significativa nel 1951: alcuni azionisti del giornale cercano di esautorare Beuve-Méry, che deve il mantenimento del suo incarico alla mobilitazione della redazione e a uomini politici influenti, fra cui Monnet.

In breve, se la redazione e il direttore di “Le Monde” hanno riposto parte delle loro speranze nell’Europa, i percorsi imboccati sono disseminati di insidie. Bisogna aspettare l’affossamento della CED nel 1954 e la firma dei Trattati di Roma nel 1957 perché “Le Monde” diventi il giornale “eurofilo” che conosciamo. È ugualmente necessario sottolineare il ruolo di Pierre Drouin, capo dei servizi economici dal 1961 al 1969 e uno dei sostenitori più fedeli di Beuve-Méry nella redazione, che considera la costruzione europea un’opportunità per l’economia francese. I progressi istituzionali sono seguiti in modo puntuale dalle colonne del giornale e danno vita a editoriali senz’altro equilibrati ma globalmente elogiativi: è il caso del disarmo doganale, il 2 gennaio 1959, della prima maratona agricola, il 16 gennaio 1962, o della realizzazione dell’Unione doganale, il 30 giugno-1° luglio 1968. L’opposizione del giornale alle reticenze golliste non fa che rinsaldare l’eurofilia della redazione, che raggiunge il culmine nel sostegno agli allargamenti (v. Allargamento), salutati in generale in prima pagina, come per esempio: L’Europe des Dix est née e nel “Bulletin”: Un grand jour (23-24 gennaio 1972).

Tuttavia, le lentezze della costruzione europea, la lunghezza dei dibattiti astrusi, l’assenza dell’espressione popolare o la questione sociale indispongono la redazione, che non manca mai di addentrarsi nelle tortuosità di Bruxelles e di Strasburgo e, all’occorrenza, di stigmatizzarle. Bisogna sottolineare che “Le Monde” è molto letto nelle cancellerie e nelle Istituzioni comunitarie e che mantiene un’importante rete di corrispondenti in Europa. L’ufficio del giornale a Bruxelles, che non smette di rafforzarsi, annovera giornalisti affermati, spesso dotati di grande talento. Anche gli affari europei sono seguiti e raccontati per filo e per segno. Attraverso le pagine di “Le Monde” questi temi hanno contribuito alla formazione dei responsabili francesi, passati in gran parte per le grandi scuole dove la lettura di questo giornale è quasi obbligatoria e dove hanno vissuto a fianco dei futuri redattori del quotidiano della sera. Queste élites che si sono formate alla scuola di “Le Monde” hanno largamente influenzato la redazione essendone al tempo stesso educate. In occasione dei referendum sulla ratifica del Trattato di Maastricht nel 1992 e, più ancora, del referendum costituzionale del maggio 2005 è emerso con chiarezza che il giornale e le stesse élites sono accomunati da un’identica sensibilità europea, ma che non sono riusciti a far condividere la loro visione alla maggioranza del popolo francese.

Patrick Eveno (2005)




Lech Wałesa




Lee, Frank

L. nacque nel 1903 a Colchester, in Gran Bretagna (v. Regno Unito), e morì nel 1971. Sia il padre, Joseph Godbould Lee, sia la madre, Florence Brown, erano insegnanti. Dopo aver frequentato la Brentwood School, Frank Lee vinse una borsa di studio presso il Downing college di Cambridge, dove conseguì una laurea in inglese nel 1923, e una laurea in storia nel 1924. Dopo gli studi entrò a far parte del Servizio civile indiano ma, su pressione dei genitori, tornò a insegnare alla Brentwood School per un anno. Successivamente L. si presentò nuovamente agli esami per essere ammesso al Servizio civile e ottenne di essere integrato nel Dipartimento coloniale britannico, dove ebbe l’opportunità di compiere importanti missioni diplomatiche a Cipro e in Bechuanaland, e dove conquistò la carica principale di funzionario distrettuale in Nyasaland. Dopo una breve esperienza presso il Collegio imperiale di difesa, nel 1940 L. venne richiamato dal governo britannico per servire presso il ministero del Tesoro, inizialmente come capo divisione per i problemi dell’approvvigionamento e, successivamente, come vicepresidente della delegazione inviata a Washington sotto la presidenza di Robert Henry Brand per contrattare i termini degli accordi sugli affitti e sui prestiti di guerra. L’esperienza statunitense fu per L. particolarmente significativa, sia perché gli offrì l’opportunità di entrare in stretto contatto con personalità di spicco del mondo economico e politico internazionale come John Maynard Keynes, sia perché gli permise di distinguersi per la prima volta come esperto di questioni finanziarie e come abile negoziatore.

Nel 1946 L. tornò nuovamente a Londra. In una prima fase svolse la funzione di sottosegretario al ministero per gli Approvvigionamenti. In una seconda fase, dopo un breve periodo trascorso in veste di ministro di ambasciata a Washington, ricoprì invece la carica di segretario permanente al ministero dell’Alimentazione. A questo punto la carriera di L. assunse una più definita e stabile connotazione in direzione dei temi commerciali e finanziari. Tra il 1951 e il 1960, occupò infatti la posizione di segretario permanente al ministero del Commercio, esercitando in questo modo un’influenza decisiva su tutte le scelte di politica economica assunte dal governo britannico durante l’intero decennio degli anni Cinquanta. In particolare, i suoi orientamenti politici incisero profondamente sulla decisione britannica di non partecipare ai negoziati sulla Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) e sulla Comunità economica europea (CEE), e sulla conseguente scelta di avviare i fallimentari negoziati per la creazione di una zona europea di libero scambio tra tutti i paesi membri dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE).

Le ragioni di una tale scelta possono essere lette alla luce della sua storia personale, intesa come emblematica di larga parte della classe dirigente britannica dell’epoca. L. apparteneva infatti a una generazione e aveva una formazione, un’esperienza e un percorso oggettivamente incompatibili con una concezione europea della Gran Bretagna. Aveva vissuto gran parte della propria vita in un paese orgogliosamente imperiale, non aveva mai avuto incarichi in sedi europee, non aveva conoscenza di alcuna lingua straniera, possedeva una mentalità, una visione, una cultura che avevano coltivato il fascino della superiorità anglosassone e il mito della separatezza dal continente. Tuttavia, tra il 1957 e il 1960, L. cominciò a rimettere in discussione le proprie convinzioni, giungendo gradualmente a maturare una posizione sostanzialmente filocomunitaria. Sensibile alle pressioni statunitensi, che spingevano verso una piena Adesione della Gran Bretagna alle Comunità europee, consapevole delle decrescenti potenzialità commerciali connesse ai rapporti preferenziali con il Commonwealth, impressionato dal ritmo forsennato con cui procedevano le riduzioni doganali all’interno dell’area comunitaria, L. si convinse che solo nella piena partecipazione all’impresa comunitaria poteva essere evitata la marginalizzazione economica e politica del proprio paese, e potevano essere trovate nuove opportunità di sviluppo e nuove capacità di influenza.

All’inizio del 1960 L. succedette a Roger Makins come segretario permanente al ministero del Tesoro. Assumendo la nuova carica, L. si trovava a gestire il difficile compito di tenere sotto controllo la rapida crescita dell’inflazione e le dinamiche degli aumenti salariali e, soprattutto, la delicata responsabilità di esaminare le possibili soluzioni alla questione europea attraverso un apposito comitato da lui presieduto. Il comitato fu in grado di produrre un rapporto tra il gennaio e l’aprile del 1960. Il testo ebbe una vasta risonanza perché, per la prima volta in un documento ufficiale britannico, si sosteneva in modo argomentato, chiaro e coraggioso come la migliore strada possibile per la Gran Bretagna non fosse né una richiesta di associazione tra Comunità economica europea e Associazione europea di libero scambio né tanto meno una riproposizione della vecchia proposta di zona europea di libero scambio. Secondo il rapporto, la risposta ai problemi economici e politici della Gran Bretagna andava piuttosto cercata in una domanda di piena adesione alle Comunità europee, pur nella convinta difesa negoziale degli interessi agricoli nazionali e dei sistemi di rapporti e di alleanze esterni e interni all’Europa. La proposta di L., ampiamente dibattuta negli ambienti governativi, burocratici, finanziari e industriali britannici, fu determinante nella scelta, compiuta dal primo ministro conservatore Harold Macmillan nel 1961, di presentare ufficialmente domanda di adesione alle Comunità europee.

Dopo aver partecipato a colloqui bilaterali con esperti di pari grado dei paesi comunitari, nel 1962 L. venne messo a capo del gruppo di esperti che, da Londra, avrebbe dovuto affiancare il gruppo di funzionari che operava a Bruxelles sotto la guida di Pierson Dixon. Tuttavia, nello stesso anno, dopo aver sovente espresso le proprie critiche sulle opposte rigidità negoziali e il proprio pessimismo sull’andamento e sull’esito delle discussioni, L. dovette abbandonare il servizio, colpito da un attacco cardiaco. In seguito, ricoprì gli importanti incarichi di preside del Corpus Christi College di Cambridge, e di presidente del Sindacato britannico della stampa.

S. Paoli  (2010)




Leendert Sicco Mansholt




Lemaignen, Robert

L. (Blois 1893-Parigi 1980) ebbe un ruolo importante nel commercio con le colonie africane francesi, e dedicò agli affari europei solo quattro anni della sua vita professionale in veste di commissario europeo: dal 10 gennaio 1958 al 9 gennaio 1962. Tuttavia i suoi interessi e le sue attività lo portarono molto presto a sviluppare una riflessione sul concetto di Eurafrica.

Proveniente da un’antica famiglia della borghesia del Loir et Cher, L. compì gli studi a Blois e poi a Parigi. Optando per la carriera militare si iscrisse alla scuola speciale militare di Saint-Cyr a Parigi, dove si diplomò nel 1913. Partecipò alla Prima guerra mondiale prima in cavalleria, raggiungendo il grado di capitano, in seguito nell’aviazione. Nel 1920, poco attratto dalla vita caserma militare e segnato dalle esperienze della Grande guerra, abbandonò l’esercito ed entrò nella Société commerciale d’affrètement e de commission (SCAC), una grande società che deteneva il monopolio dell’approvvigionamento di carbone e altri combustibili di tutti i porti francesi. Durante la Seconda guerra mondiale fu membro dello Stato maggiore dell’Aeronautica, poi viceaddetto dell’Aeronautica a Roma. Dopo la disfatta, nel 1940, si unì alla Resistenza. Continuava intanto la sua ascesa professionale, e nel 1941 divenne presidente e direttore generale della SCAC e della Société commerciale des ports africains. Dopo il 1945 L. diversificò le sue attività diventando, fra le altre cose, amministratore dell’Institut d’émission de l’Afrique occidentale e vicepresidente della Camera di commercio internazionale, nonché rappresentante delle camere di commercio d’oltremare ed estere nella compagnia Air France. Le sue attività si estesero anche agli scambi franco-africani e al commercio minerario, e grazie a esse L. acquistò una solida esperienza negli affari e una profonda conoscenza delle problematiche africane. Nel 1947 divenne membro di una delle 18 commissioni – la commissione d’oltremare – che lavoravano al Piano francese per la modernizzazione e le infrastrutture avviato su iniziativa di Jean Monnet.

Quando iniziarono i negoziati per i trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), L. divenne membro del CELPOM, sezione del Conseil national du patronat français (CNPF) per i territori d’oltremare, ma fece parte anche della Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Come Luc Durand Réville ed Edmond Giscard d’Estaing, L. apparteneva a quella generazione di grandi imprenditori liberali che avevano idee avanzate in materia di cooperazione euroafricana. Fu nell’esercizio delle sue funzioni che L. entrò in contatto per la prima volta con gli affari europei. Difatti, ansioso di assicurare la ratifica dei due trattati europei, il governo francese associò ai negoziati in corso le forze vive della nazione tramite consultazioni permanenti. Considerate le preoccupazioni di gran parte degli imprenditori francesi a fronte della realizzazione di un’Unione doganale che avrebbe messo fine al tradizionale protezionismo francese, l’adesione del CNPF era indispensabile. L. fu uno degli interlocutori privilegiati del governo francese all’interno del CNPF. Gradualmente l’opinione del CNPF si allineò a quella del suo presidente Georges Villiers, e il Consiglio finì per approvare le idee d’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). In seguito, all’interno del CNPF L. contribuì a convincere gli agricoltori e i sindacati dei benefici di un’unione doganale per l’economia francese. Quando, una volta firmato il trattato CEE (v. Trattati di Roma), la Commissione europea del Mercato comune (v. Comunità economica europea) entrò in funzione, nel gennaio 1958, ebbe inizio la carriera europea di L., che all’epoca aveva 65 anni.

In seguito alla rinuncia di Antoine Pinay e su proposta di Georges Villiers, il presidente del Consiglio Félix Barbezieux Gaillard propone propose L. come uno dei nove membri della Commissione CEE. Scegliendo una personalità che non era politica o giuridica, ma un grande imprenditore dotato di una solida conoscenza dei territori d’oltremare, Gaillard puntava a una Commissione efficace, in grado di rispondere rapidamente a problemi concreti. Fortemente sorpreso dalla nomina, L. l’accettò con entusiasmo, e venne incaricato della cooperazione con i territori d’oltremare. Si trattava di un settore capitale per la Francia: l’associazione dei territori d’oltremare era stata una delle concessioni accordate dai cinque partner europei della Francia al termine di aspri dibattiti. L. doveva dare attuazione alla Convenzione (v. Convenzioni) di applicazione relativa all’Associazione con i paesi e i territori d’oltremare (PTOM) (v. Regioni ultraperiferiche dell’Unione europea), inserita nel Trattato di Roma e sottoscritta per cinque anni soltanto. Il trattato CEE prevedeva la creazione di un Fondo europeo di sviluppo (FES), dotato di 581,25 milioni di UC e alimentato dai “Sei” in grado di investire oltremare su un piano di parità. I prodotti coloniali potevano entrare liberamente nel Mercato comune e la Francia accettò di annullare qualsiasi discriminazione per i prodotti dei Sei venduti oltremare. In questo quadro generale la commissione era incaricata di selezionare e di avviare i progetti di sviluppo proposti dal PTOM in funzione della loro urgenza ed efficacia.

Ma prima di dare attuazione a questa politica comunitaria L. dovette circondarsi di collaboratori di fiducia. Jacques Ferrandi fu nominato capo gabinetto, e divenne uno degli uomini chiave della Direzione generale (DG) Paesi e territori d’oltremare e direttore del FES. Ex amministratore coloniale, dal 1953 al 1958 Ferrandi era stato direttore generale dei Servizi economici dell’Africa Occidentale Francese (AOF) e, in questa veste, uno dei principali artefici del Fonds d’investissements pour le developpement economique et social (FIDES, un fondo creato dalla Francia per lo sviluppo dei suoi paesi e territori d’oltremare) in questa parte dell’Union française. Ferrandi era dunque il collaboratore perfetto per allestire il FES, l’equivalente europeo del FIDES. L. e il suo capo gabinetto dovettero innanzitutto dotarsi di una direzione generale incaricata di attuare i diversi aspetti dell’associazione con i PTOM. L. e Ferrandi approfittano della progressiva liquidazione dei servizi del vecchio ministero della Francia d’oltremare, conseguenza della decolonizzazione in corso, per recuperare un personale competente nei territori d’oltremare. Al termine di questo reclutamento la maggior parte dei funzionari della DG VIII Paesi e territori d’oltremare era costituita da ex coloniali che intrattenevano solidi rapporti con le élites africane. Questa presenza era indispensabile per imporre una concezione “alla francese” degli aiuti allo sviluppo, imperniata sulla preferenza accordata alle ex colonie degli Stati membri. Queste idee furono riprese da una direttiva del 24 aprile 1958. Ma questa concezione francese della cooperazione, contestata in particolare dai tedeschi e dagli olandesi, provocò una serie di attriti. Helmut Allardt, direttore generale della DG VIII, prese posizione a varie riprese a favore di una zona di libero scambio. Le sue dichiarazioni pubbliche, che contraddicevano la linea ufficiale della Commissione CEE in difesa del principio di preferenza accordata dalla Comunità ai soli paesi sottosviluppati associati, indussero L. a chiedere e ottenere le dimissioni di Allardt nel luglio 1960. L. svolse anche un ruolo cruciale per i suoi contatti personali con i nuovi capi di Stato africani quando avvenne il riconoscimento dell’indipendenza: grazie alla sua esperienza più che trentennale dell’Africa egli aveva infatti rapporti d’amicizia con la maggior parte di loro. Nei quattro anni del suo mandato L. intraprese diversi viaggi in quasi tutti i paesi associati. L’incarico non gli fu rinnovato e nel 1963 si ritirò. Nel 1964 pubblicò L’Europe au berceau, souvenir d’un tecnocrate (Plon, Paris 1964). Le sue carte e i suoi archivi sono conservati negli Archivi nazionali del Senegal.

Anaïs Legendre (2010)




Lemass, Seán Francis

L. (Ballybrack, Dublino 1899-Dublino 1971) venne arrestato nel 1920 per aver partecipato all’uccisione di diciotto soldati britannici. L’anno seguente, in seguito agli accordi anglo-irlandesi, venne rilasciato. Partecipò attivamente all’occupazione della corte suprema di giustizia irlandese, come protesta contro ogni tipo di accordo con Londra. Nuovamente imprigionato, venne rimesso in libertà in seguito alla fine della guerra civile irlandese.

Nel 1924 L. venne eletto per la prima volta parlamentare nelle file del Sinn Féin. Nel 1926 assieme a Eamon de Valera abbandonò il partito, che si rifiutava di riconoscere il parlamento e lo Stato Libero d’Irlanda, per fondare, insieme a Gerald Boland, il Fianna Fáil. Nel 1932 il nuovo partito vinse le elezioni politiche, formò il governo e L. occupò per vari anni incarichi governativi, soprattutto all’Industria e al Commercio, entrando però in contrasto, all’inizio degli anni Cinquanta, con il primo ministro de Valera e il suo nazionalismo economico.

Nel 1957 la situazione cambiò quando il Fianna Fáil ottenne una stabile maggioranza, per la prima volta dal 1944. L. ebbe un ruolo cruciale come principale portavoce del governo, assumendo il ruolo virtuale di primo ministro al posto di de Valera, che giorno dopo giorno perdette la sua influenza fino a quando, nel 1959, de Valera lasciò ufficialmente la carica di primo ministro a L. Con questo cambiamento, l’integrazione europea divenne finalmente un tema politico serio e venne sviluppato un piano strategico per lo sviluppo delle industrie irlandesi (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). La scelta di una riforma economica fu adottata da L. per aprire l’economia interna agli investimenti esteri, soprattutto con la creazione di filiali di multinazionali europee e statunitensi.

Tuttavia, egli dovette continuare una lotta interna al partito per evidenziare i vantaggi che sarebbero derivati da una maggiore integrazione con l’Europa. Con gli accordi commerciali anglo-irlandesi del 1960 fu evidente che l’Irlanda avrebbe dovuto guardare oltre la Gran Bretagna (v. Regno Unito), senza dimenticarne la sua importanza nella costruzione di un futuro economico per il paese.

Durante il governo L. si verificarono importanti cambiamenti economici, confermati dai dati statistici, che mostrarono l’apertura del paese all’abbattimento delle barriere tariffarie e al libero scambio dei beni. La tradizionale politica protezionista di de Valera era fallita e L. si convinse che l’Irlanda non poteva restare fuori dall’integrazione europea se i paesi con cui intensificava gli scambi commerciali avessero formato un’unione economica.

Anche se L. era coetaneo di de Valera e proveniva dallo stesso partito, fu immediatamente evidente che il suo predecessore apparteneva a una generazione differente in termini di visione politica. In politica estera, L. possedeva una mente critica, alla continua ricerca di miglioramenti anche attraverso il riesame di vecchie convinzioni. Sotto il nuovo primo ministro emerse un’energica e ambiziosa élite politica, fino a quel momento emarginata, e alla fine degli anni Cinquanta in Irlanda si ebbe un cambiamento generazionale atteso da tempo.

Se voleva sopravvivere come entità politica dinamica e legittima, il paese doveva uscire dalla posizione di dipendenza economica nei confronti del Regno Unito e, allo stesso tempo, dalla posizione di paese periferico nell’economia europea.

L. decise quindi di sollevare la questione europea anche nel suo paese, in modo da stabilire relazioni diplomatiche con la Comunità economica europea.

Il 26 luglio 1961, intanto, Harold Macmillan, primo ministro britannico, gli comunicò informalmente che il suo governo aveva deciso di entrare nella CEE come membro a tutti gli effetti.

Nell’ottobre 1962 L. organizzò una visita nelle principali capitali europee per convincere i leader dei Sei del desiderio dell’Irlanda di partecipare al processo d’integrazione europea, nella convinzione la CEE fosse vitale per il futuro dell’economia irlandese. Nonostante nel paese dominasse un clima di sfiducia e di paura per il futuro economico, L. si dimostrava fiducioso in un cambiamento a breve termine in senso positivo.

Il 29 gennaio 1963 dichiarò l’intenzione del governo di continuare nella politica riformatrice, spingendo sempre più verso un’economia basata sul libero mercato piuttosto che sul protezionismo. Parlando nel febbraio 1963 davanti al Dáil Éireann espresse la profonda delusione del suo governo per l’interruzione dei negoziati, affermando di sperare nel superamento della situazione di stallo che si era venuta a creare. Colse l’occasione per proclamare che il governo avrebbe comunque continuato a lavorare per preparare l’ingresso dell’Irlanda nella CEE. Inoltre, annunciò il taglio a partire dal 1°gennaio 1964 di un ulteriore 10% delle tariffe commerciali.

Il 5 novembre 1964, L. incontrò Harold Wilson, il neoeletto primo ministro britannico; in quell’incontro emerse il desiderio di migliorare i rapporti commerciali tra i due paesi e fu quindi il primo passo significativo per la creazione dell’area di libero scambio anglo-irlandese (AIFTA) a cui seguirono diversi incontri e negoziati.

Il 10 novembre 1966 L. annunciò ufficialmente il suo ritiro dalla vita pubblica.

Giovanni Pignataro (2010)




Lennart Meri




Léo Tindemans




Leon Brittan




Léon Daum