Llopis Ferrándiz, Rodolfo

L.F. (Callosa de Ensarriá, Alicante, 1895-Albi 1983) fu allievo della Escuela Normal de Magisterio e discepolo di Manuel B. Cossío nella Institución libre de enseñanza; con il sostegno della Junta de ampliación de estudios trascorse alcuni periodi di studio a Parigi durante la dittatura di Primo de Rivera. Fra il 1912 e il 1914 fu lettore di spagnolo alla École Normale di Auch. Fu assegnato alla Escuela de magisterio di Cuenca, dove insegnò geografia e storia. Fra le sue opere dedicate all’educazione devono essere menzionate La escuela del porvenir, según Angelo Patri (Madrid 1924), La revolución en la escuela. Dos años en la dirección general de Primera Enseñanza (Madrid 1933) e Hacia una escuela más humana (Madrid 1934).

Nel 1922 L.P. fu eletto consigliere comunale del Partido socialista obrero español (PSOE) nella città di Cuenca. Iscritto a questo partito dal 1917, fondò la Federación de trabajadores de la enseñanza. Presenziò come delegato spagnolo alle riunioni dell’Ufficio internazionale dell’educazione a Ginevra. Nel gennaio 1930 tenne un ciclo di conferenze nell’America del Sud, partecipando al suo ritorno alla cospirazione contro la monarchia di Alfonso XIII. Fu redattore dell’autorevole quotidiano “El Sol” fra il 1927 e il 1931.

Con la proclamazione della Seconda repubblica, L.F. fu nominato dal socialista radicale Marcelino Domingo direttore generale per la scuola elementare. In questo ruolo promosse la costruzione di numerose scuole che avrebbero compensato la proibizione dell’insegnamento religioso. In seguito fu professore di psicologia alla Escuela Normal di Madrid e direttore del Museo pedagógico nacional. Membro della massoneria dal 1923, la sua posizione anticlericale fautrice del laicismo e l’interesse pedagogico orienteranno tutta la sua vita professionale e politica.

Eletto deputato del PSOE per la provincia di Alicante nel 1931, 1933 e 1936, nel 1935 fu segretario della Camera dei deputati e, in seguito, della minoranza parlamentare socialista. Seguace della corrente sindacale del socialismo, il cui leader era Francisco Largo Caballero, fu nominato da quest’ultimo sottosegretario alla presidenza nel governo guidato dal leader dell’Union general de trabajadores (UGT) nel settembre 1936. Membro del gruppo interno della sinistra socialista, insieme a Luis Araquistáin e Carlos Baráibar, L.F. partecipò alle lotte interne al PSOE e nel 1937 al rifiuto dell’ingerenza sovietica nei confronti del governo di Largo Caballero. Accompagnò quest’ultimo a Ginevra per le riunioni dell’Ufficio internazionale del lavoro. Alla fine della guerra civile si incaricò dell’evacuazione dei repubblicani spagnoli di Alicante da Orano e dopo la guerra si stabilì ad Albi.

In seguito alla sconfitta della Francia il politico socialista alicantino fu soggetto a residenza vigilata a Chambon-le-Château fra l’agosto 1940 e il dicembre 1941. Oltre a essere minacciato dall’estradizione franchista, L.F. evitò di essere evacuato in Messico grazie al suo matrimonio con una cittadina francese e alla solidarietà nei confronti dei rifugiati spagnoli confinati nei campi di concentramento. Rischiò anche di essere internato nel campo di Vernet, ma alla fine fu nuovamente sottoposto a residenza vigilata a Marcols e Gaillac fino alla liberazione della Francia.

Partecipò alla riorganizzazione del PSOE in Francia nel 1944 fondando il gruppo di Tolosa, insieme agli ex deputati socialisti Enrique de Francisco, Gabriel Padal e Pascual Tomás. Fu eletto segretario generale del PSOE nel primo congresso che si tenne a Tolosa nel settembre 1944. Nel febbraio del 1945 ottenne che la federazione del PSOE del Nordafrica riconoscesse la sua autorità come segretario generale. Nel maggio del 1946, in occasione del secondo congresso del PSOE a Tolosa, consolidò la sua posizione di segretario generale di tutti gli esiliati.

La posizione possibilista di fronte alla soluzione della “questione spagnola” adottata in questo congresso aprì la strada alle critiche verso il governo del Frente popular di Giral in esilio, evidenziate dal rifiuto della collaborazione bilaterale con il PCE (Partido comunista de España). In questo modo l’esecutivo del PSOE diede mandato ai suoi ministri Trifón Gómez ed Enrique de Francisco di presentare le loro dimissioni come ministri del governo Giral, provocando la crisi del febbraio 1947. Di fronte all’impossibilità che un repubblicano liberale o Negrín assumessero la presidenza, L.F. ricevette l’incarico di formare il nuovo governo dal presidente della Repubblica in esilio Diego Martínez Barrio.

Il governo presieduto da L.F. ebbe però vita breve perché intervenne una crisi nell’agosto 1947. Come quello precedente di Giral, esso riuniva tutte le formazioni politiche e sindacali del vecchio Frente popular, incluso il PCE. L.F. cercò di coordinare l’azione del governo con la clandestina Alianza nacional de fuerzas democráticas e di adeguare la sua gestione alla Nota tripartita di Stati Uniti, Regno Unito e Francia sulla “questione spagnola”. Le divergenze fra la Confederación nacional del trabajo (CNT) e il PCE in merito ai colloqui con i monarchici furono sul punto di provocare la prima crisi del governo L.F. nella primavera del 1947.

L.F. dovette anche imporre la sua autorità come segretario generale nei confronti della minoranza parlamentare socialista di cui era leader Indalecio Prieto, che chiedeva che il nuovo governo si sottoponesse alla ratifica parlamentare, criticando l’ingresso del PCE nel gabinetto. L.F. cercava di seguire una politica della “terza via” fra i legalisti repubblicani intransigenti e i sostenitori del plebiscito. Nella Asamblea de grupos departamentales del PSOE del luglio 1947 Prieto impose la sua politica favorevole al plebiscito, ma evitò di esautorare l’esecutivo di Llopis Ferrándiz. Si trattava di disconoscere le istituzioni repubblicane in esilio, che erano considerate per la questione spagnola l’ostacolo maggiore per ottenere un concreto aiuto internazionale. Tuttavia, l’assemblea approvò anche che il PSOE si dichiarasse a favore della Repubblica in caso di elezioni o di un plebiscito. Questi accordi determinarono le dimissioni di L.F. di fronte al governo repubblicano in esilio, pur conservando il suo incarico di segretario generale del Partito socialista.

A partire da quel momento L.F. condivise la leadership delle organizzazioni socialiste con Indalecio Prieto fino alla morte di quest’ultimo nel 1962. Ciò nonostante l’austero L.F. mantenne la segreteria generale del PSOE per trent’anni (1944-1974), fino a poco prima della morte di Franco.

Il PSOE accettò la dichiarazione dell’Internazionale socialista ricostituita nel 1951. In essa si alludeva ad altre fonti d’ispirazione del socialismo democratico oltre al marxismo e si delineava una critica moderata del capitalismo. Invece L.F. prese nettamente le distanze dal “revisionismo” dei socialdemocratici tedeschi e dei laburisti britannici, quando alla fine degli anni Cinquanta postularono la condizione interclassista dei loro partiti, il rifiuto del marxismo e l’accettazione del mercato.

In fondo l’evoluzione del PSOE in esilio ebbe molti parallelismi con la SFIO (Section française de l’Internationale ouvrière) guidata da Guy Alcide Mollet. I due leader provenivano dalla sinistra ortodossa dei loro partiti, ma, impegnati in una politica quotidiana di centrosinistra e alle prese con questioni organiche, non ebbero né il tempo né la volontà di rivedere i temi essenziali dell’ideologia socialista. A causa della dittatura e della sua condizione di esiliato il discorso di L.F. insisteva sulla libertà e i Diritti dell’uomo più che sulla lotta di classe. Lungo il percorso compiuto nell’esilio il PSOE aveva subito anche una certa evoluzione ideologica.

Ancora nel 1949 la fermezza ideologica di L.F. lo induceva a chiedere il ritorno al marxismo, condividendo le illusioni della “terza via” di fronte alle prime revisioni neosocialiste dei partiti europei (v. anche Partiti politici europei). Inoltre, egli ricordava agli smemorati l’impegno dell’obiettivo finale di una rivoluzione socialista che non sarebbe stato, tuttavia, un mero passaggio dal capitalismo di Stato “pianificato” al socialismo. È soprattutto a partire dagli anni Cinquanta che il mito dello sciopero generale e della rivoluzione come azione scomparve dalla pratica del discorso ideologico del PSOE.

In conclusione, l’evoluzione del discorso ideologico del PSOE in esilio si manteneva lontana da qualsiasi revisione neosocialista e dalla “gestione socialdemocratica” del capitalismo. Si trattava di un socialismo nettamente anticapitalista, fedele alle sue fonti dottrinarie marxiste, ma che al tempo stesso si identificava con le libertà e l’idea di Europa. A differenza dei socialisti catalani, il PSOE non accettava le tesi federali (fino al congresso del 1964), né per la Spagna né per l’Europa (v. anche Federalismo), ma ammetteva al massimo le autonomie secondo il modello della Seconda repubblica e concepiva lo spazio europeo come una comunità sovranazionale di cittadini piuttosto che come una confederazione di popoli.

I socialisti spagnoli in esilio intuirono fin dagli inizi del dopoguerra l’importanza che i gruppi europeisti avrebbero avuto per il continente europeo. Nel giugno 1947 L.F. partecipò alla creazione del Movimiento por los Estados unidos socialistas de Europa (MEUSE) (v. anche Movimenti europeistici), che sosteneva l’esistenza di una “terza via” europea fra i due blocchi politico-militari. Insieme a Mariano Rojo (PSOE), L.F. fu membro dell’ufficio internazionale del MEUSE. Egli era fautore, come i socialisti francesi di sinistra, della creazione di una comunità sovranazionale che avrebbe socializzato le industrie chiave e avrebbe costituito un blocco europeo. Nel 1949 il MEUSE si trasformò in un movimento democratico e socialista, aperto a personalità e a gruppi non socialisti, che anteponeva la promozione degli Stati uniti d’Europa alla creazione di una comunità socialista europea. Una politica che prefigurava l’apertura politica del PSOE alle formazioni politiche democristiane europeiste di Manuel Giménez Fernández e José María nella seconda metà degli anni Cinquanta. In ogni modo la vocazione europeista di L.F. non gli faceva dimenticare l’obiettivo di un’Europa sociale e politica che non si sarebbe limitata a rappresentare gli interessi del capitalismo.

Nel 1948 L.F. partecipò alla creazione del Consejo federal español del Movimento europeo. Da allora il PSOE approfittò delle tribune europee per ricordare il “problema spagnolo”, per manifestare la sua vocazione europeista e denunciare i tentativi di avvicinamento della dittatura franchista alle Istituzioni comunitarie. Il richiamo di L.F. agli Statuti del Consiglio d’Europa, in cui si faceva riferimento al rispetto dei diritti dell’uomo come requisito preliminare per entrare nella Comunità economica europea (CEE), fu costante e contribuì a frenare, con l’appoggio di personalità come Guy Mollet e Paul-Henri Charles Spaak, le pretese franchiste. Nell’agosto 1950 L.F. ottenne che l’assemblea del Consiglio d’Europa rilasciasse una dichiarazione sulla Spagna nella quale si auspicava un regime democratico che le avrebbe consentito l’ingresso nella Comunità.

L.F. partecipò attivamente ai preparativi dell’incontro di Monaco del Movimento europeo, riuscendo a instaurare un dialogo con la nuova opposizione moderata liberale e democristiana, riunita nella Asociación española de cooperación europea (AECE) presieduta da José Maria Gil-Robles.

In occasione della richiesta franchista di Adesione alla CEE nel febbraio 1962 e della rinnovata richiesta del 1964, il segretario del PSOE ebbe personalmente una serie di colloqui con i ministri socialisti della Comunità, per ricordare loro l’opposizione dell’Internazionale socialista e della Confederazione internazionale delle organizzazioni sindacali libere (CIOSL). Sebbene ministri come Paul-Henri Spaak gli assicurassero il veto all’adesione della Spagna alla CEE, ciò non impedì i colloqui per arrivare ad un trattato commerciale, che fu firmato nel 1970. Il CFEME (Consejo federal español del Movimiento europeo), di cui era presidente in questo periodo L.F., denunciò il trattato commerciale sia per la natura antidemocratica del franchismo sia per il carattere svantaggioso delle concessioni economiche nei confronti della CEE. A suo parere questo trattato commerciale metteva in dubbio la sua concezione dell’Europa come spazio omogeneo democratico e comunità sovranazionale. In occasione dell’XI congresso del PSOE in esilio, nell’agosto 1970, L.F. sostenne la necessità di una trasformazione preliminare delle strutture economiche spagnole prima dell’ingresso nella CEE: «L’associazione come tappa preliminare all’integrazione, un’adesione negoziata con la forza che dà un popolo laborioso, le prospettive ottimistiche di un futuro politico garantito, la dignità di una democrazia, e non mendicando come fa la dittatura attuale».

Dal luglio 1968 L.F. fece parte del consiglio direttivo del Movimento europeo in rappresentanza della Spagna. Per rilanciare il Movimento, nel 1966 aveva proposto di caldeggiare l’idea di un progetto di difesa europea integrata che avrebbe evitato la firma di patti bilaterali tra paesi dell’Europa occidentale come la Francia con l’URSS. Inoltre, a suo giudizio, questo progetto avrebbe neutralizzato la crescita del rifiuto della sinistra verso l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO) e la CEE.

Nell’ottobre 1968, nella riunione della direzione del Movimento europeo, L.F. deplorò la mancata risposta della Comunità europea di fronte all’intervento sovietico in Cecoslovacchia (v. anche Repubblica Ceca; Slovacchia). Appoggiò la proposta dei rappresentanti del Benelux in favore della comunità politica europea (v. anche Comunità politica europea) che rilanciava l’idea dell’Europa come “terza via”.

Partecipò al congresso del Movimento europeo che si tenne a Bonn nel 1972, avanzando dubbi sulla attuabilità della proposta del segretario del CFEME, Gironella (v. Adroher I Pascual, Enrique), in merito a una pressione comune della CEE per l’apertura di un “processo irreversibile di democratizzazione” in Spagna. Per il veterano dirigente socialista, che era in procinto di lasciare la direzione del PSOE, solo una democratizzazione preliminare alla domanda di adesione poteva portare la Spagna ad entrare nella CEE.

Nel 1974, una volta riconosciuta la corrente rinnovatrice del PSOE da parte dell’Internazionale socialista, L.F. lasciò la segreteria generale del partito. Subito dopo la morte di Francisco Franco L.F. rientrò in Spagna. Nel giugno 1977 fu capolista del PSOE nelle elezioni per il Senato nella sua terra d’origine, Alicante. Ma dopo la sconfitta elettorale la crisi del PSOE storico, con il passaggio di un certo numero dei suoi quadri al PSOE, indusse L.F. a ritirarsi dalla politica per tornare nella casa dove aveva vissuto in esilio, ad Albi. Amareggiato e gravemente malato dal 1979, non volle riconciliarsi con i nuovi dirigenti socialisti.

In conclusione, l’eredità europeista di L.F. fece sì che il nuovo gruppo dirigente, guidato dal 1974 da Felipe Màrquez González, trovasse le porte aperte in Europa beneficiando della politica di presenza internazionale ed europea che gli esiliati avevano promosso per oltre tre decenni.

Abdón Mateos López (2010)




Lloyd, Selwyn

Nato a Liverpool nel 1904, L. veniva eletto al Parlamento nel 1945 nelle file del partito conservatore, dove con il trascorrere del tempo acquisì un ruolo di qualche rilievo. Nell’autunno del 1951, quando i conservatori tornarono al potere con Winston Churchill come primo ministro e Anthony Eden quale segretario di Stato, L. venne nominato ministro di Stato al Foreign Office, un compito che lo pose in costante contatto con gli affari internazionali e con la diplomazia del proprio paese. Nell’aprile del 1955 Churchill, ormai stanco e malato, si dimetteva lasciando aperta la strada alla nomina di Eden quale primo ministro; nel nuovo governo L. riceveva l’importante incarico di ministro della Difesa, mentre Harold Macmillan andava alla guida del ministero degli Esteri. In questo stesso periodo stava per riprendere con la Conferenza di Messina la costruzione europea di stampo funzionalista (v. Funzionalismo) che avrebbe condotto alla firma dei Trattati di Roma. Le autorità inglesi in una prima fase non prestarono particolare attenzione ai progetti per una Comunità economica europea (CEE) e per una comunità per lo sfruttamento dell’energia atomica (v. Comunità europea dell’energia atomica). D’altro canto l’attenzione dei leader inglesi, incluso L., si concentrava, da un lato, sulle speranze che Londra potesse giocare un ruolo centrale nella prima distensione, in particolare il vertice di Ginevra del luglio, dall’altro sulla complessa situazione mediorientale, nel cui ambito l’Egitto di Gamal Abd el-Nasser sembrava voler sfidare il ruolo esercitato dal Regno Unito.

Nel dicembre del 1955, a seguito di un rimpasto ministeriale derivante da frizioni all’interno della leadership conservatrice, Macmillan lasciava la guida del ministero degli Esteri che Eden affidava a L., da lui considerava suo fedele. Quando L. giunse al vertice della diplomazia inglese la Gran Bretagna aveva già preso la decisione di non prendere parte al processo avviato con la conferenza di Messina. D’altronde, L. fu ben presto costretto a concentrare la sua attenzione sulle vicende mediorientali che culminarono nella crisi di Suez, per quanto in questo periodo sembrasse condividere la visione negativa che a Londra si era affermata circa l’eventuale costituzione di un’Europa dei Sei. Il fallimento britannico a Suez condusse alle dimissioni di Eden, che venne sostituito da Macmillan. Nonostante le critiche subite per l’andamento della crisi di Suez, L. mantenne l’incarico al Foreign Office. Nel gennaio del 1957 egli fu l’artefice di un progetto presentato al gabinetto, un grand design, come venne definito, che aveva al centro un nuovo orientamento della politica estera britannica e che avrebbe dovuto trovare espressione in un maggiore impegno di Londra nei confronti del continente attraverso l’utilizzazione delll’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e la formazione di un “polo” europeo occidentale che si ponesse accanto agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica. L. escludeva comunque qualsiasi tipo di sviluppo di natura sovranazionale. Il progetto del ministro degli Esteri non parve sollevare l’entusiasmo del governo, e venne lasciato cadere.

Successivamente L. parve puntare sull’ipotesi di un ampio negoziato che avrebbe finto con il far convergere la CEE all’interno di un’area di libero scambio fondata sull’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). Questa ipotesi venne comunque rifiutata nel 1958 da Charles de Gaulle, appena ritornato al potere. L. svolse quindi un ruolo di un qualche rilievo nel processo che condusse la Gran Bretagna, a puntare sulla creazione dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). In realtà queste decisioni furono in ampia misura opera del primo ministro, che giocò una parte fondamentale nell’evoluzione delle posizioni britanniche verso la costruzione europea. Nel 1960 Macmillan spinse L. ad abbandonare la guida del Foreign Office per assumere l’incarico di cancelliere dello Scacchiere, una funzione che egli accolse con scarso entusiasmo. Nella primavera del 1962, a seguito di quella che venne definita la “notte dei lunghi coltelli” (un radicale mutamento all’interno della compagine governativa voluto dallo stesso Macmillan), L. venne allontanato dall’incarico ministeriale ricoperto per assumere il compito di leader del partito conservatore alla Camera dei Comuni. Tra il 1971 e il 1976 L. esercitò con successo la funzione di speaker della Camera. Scompariva nel 1978, lasciando alle sue spalle soprattutto il ricordo della fallimentare esperienza britannica a Suez.

 Antonio Varsori (2010)