ME

Movimento europeo (ME)




Mečiar, Vladimir

M. (Zvolen 1942) ha dominato la scena politica slovacca negli anni Novanta. Per tre volte primo ministro e per due volte candidato presidenziale sconfitto, M. è una figura controversa, che suscita polemiche e preoccupazioni in patria e all’estero anche a cinque anni e mezzo di distanza dalla fine del suo terzo mandato come primo ministro slovacco. Quando M. vinse il primo turno delle elezioni presidenziali nell’aprile 2004 e sembrò pronto a vincere anche il secondo, la stampa internazionale parlò di “figura dittatoriale”, ricordando i numerosi e imbarazzanti episodi avvenuti durante il suo mandato come primo ministro slovacco, soprattutto il sequestro del figlio dell’ex presidente Michal Kováč (v. Anderson, 2004).

Nel 1989 M. era relativamente sconosciuto. Praticante avvocato e per breve tempo (1967-1968) presidente del comitato locale dell’Unione cecoslovacca dei giovani comunisti, venne espulso dal comitato dopo l’invasione delle forze del Patto di Varsavia a causa delle sue critiche per la repressione della “primavera di Praga”, e fu estromesso dal Partito comunista nel 1970. Grazie alla sua esperienza di avvocato, alla sua attività a favore del nascente partito social-democratico e ai legami con Vladimir Krajči, che era in stretto contatto con Alexander Dubček, M. divenne ministro degli Interni nel gennaio 1990 (v. Leško, 1996, pp. 24-25).

M. giunse alla alta politica slovacca negli anni Novanta grazie a una serie di mosse scaltre e di errori strategici commessi dai suoi avversari. Oratore carismatico, usò la propria posizione di ministro degli Interni per costruire la sua base di sostegno.

Si è anche insinuato che il suo accesso in qualità di ministro degli Interni ai documenti della polizia segreta lo abbia aiutato a rafforzare la propria posizione nei confronti dei potenziali rivali (v. Williams, 2001). Candidato come primo ministro slovacco dall’organizzazione “ombrello” contro il regime comunista Verejnosť proti násiliu (VPN), M. mantenne il suo premierato dal giugno 1990 all’aprile 1991. Le tensioni interne al VPN e le critiche sempre più numerose nei confronti del suo presunto stile autocratico, portarono a una votazione interna al VPN, che determinò le dimissioni di M. da primo ministro e la formazione di un nuovo raggruppamento politico, il Movimento per la Slovacchia democratica (Hnutie za demokratické Slovensko, HZDS).

L’HZDS si rivelò la macchina elettorale vincente degli anni Novanta e un prezioso strumento delle ambizioni di M. per tutto il decennio. Nel 1989 esistevano, nella politica slovacca, quattro schieramenti con una chiara definizione ideologico-politica: i nazionalisti, gli ungheresi etnici, la sinistra (sia quella dei postcomunisti che quella socialdemocratica) e il centrodestra cristiano democratico. Tuttavia, paradossalmente, fu una quinta forza a diventare il maggiore partito. Il successo dell’HDZS si deve alla sua abilità nell’ottenere il sostegno di tre di quegli schieramenti sopraccitati (i nazionalisti, la sinistra e i cristiano-democratici), a una pluralità di politiche e a un popolare e carismatico uomo politico alla guida (v. Haughton, Rybář, 2004). M. e il suo partito trassero vantaggio dalla sua destituzione dal potere e dalle politiche di un governo sempre più impopolare, vincendo nelle elezioni del 1992 che portarono direttamente alla scissione dello stato federale e, considerato il ruolo di protagonista di M. nella vicenda, gli permisero di dipingersi come il “padre della nazione” e di far apparire i suoi avversari come nemici della Slovacchia (v. Mečiar, 2000).

È difficile disgiungere M. dal partito da lui fondato. Sin dalla sua creazione, l’HDZS diventò lo strumento delle sue ambizioni. Coloro che dissentivano dal leader del partito, come i sostenitori dei ministri degli esteri Milan Kňažko nel 1993 e Jozef Moravčík nel 1994 reagirono abbandonando il partito. Inoltre, M. è stato spesso accusato di aver deciso praticamente tutto quando era primo ministro, specialmente durante il suo terzo mandato (1994-1998; v. Fish, 1999), ma un’osservazione più attenta sembra indicare che egli non fosse così onnipotente come alcuni hanno suggerito (v. Haughton, 2002).

M. fu sempre a favore dell’adesione della Slovacchia all’Unione europea (UE), sia quando era al potere (negli anni 1992-1994 e 1994-1998), sia all’opposizione (durante l’amministrazione di breve durata di Moravčík del 1994 e dopo aver perso il potere nel 1998). Egli era molto orgoglioso del fatto che fosse stato il suo governo a presentare la candidatura ufficiale della Slovacchia per l’adesione all’UE, al Consiglio europeo di Cannes nel giugno 1995 (v. anche Paesi candidati all’adesione). Il partito e il suo leader ribadirono le proprie credenziali europee su manifesti e dichiarazioni del partito stesso (v. HZDS, 1994 e 2002). M. e il suo partito, tuttavia, per gran parte degli anni Novanta erano apparsi “euroconfusi” (v. Haughton, 2004). L’adesione all’UE era un obiettivo da perseguire, ma non rappresentò mai una priorità del partito. Di fronte alla scelta tra soddisfare i “criteri di Copenaghen” (v. Criteri di adesione) riguardo all’adeguatezza costituzionale, ai diritti delle minoranze e via dicendo, e curare gli interessi della gerarchia di partito e dei suoi sostenitori, il partito optò per la seconda, pur volendo perseguire entrambe. La posizione di M. negli anni Novanta (perlomeno se si prendono per vere le dichiarazioni espresse in quegli anni da lui e dal suo partito) può essere classificata come euro-entusiasta. Sia M. che il partito erano favorevoli ai principi fondamentali dell’integrazione e allo sviluppo attuale dell’UE (v. Integrazione, teorie della), e tuttavia la gerarchia del partito non comprese mai le condizioni poste dall’UE e non volle mai rendere prioritari i requisiti per l’adesione all’UE rispetto ai problemi interni.

M. svolse un ruolo centrale controversie nei quattro episodi che causarono il rifiuto dell’UE alla Slovacchia nel 1997 (v. Henderson, 1999), e misero in evidenza la sua incapacità di apprezzare il dare e avere della politica democratica. Il primo si verificò quando M. e i suoi alleati contestarono al nuovo partito, l’Unione democratica, formato in parte da transfughi dell’HZDS (che aveva ottenuto l’8,6% alle elezioni di quell’anno), il diritto di sedere in parlamento, mettendo in discussione la validità delle firme raccolte per partecipare alle elezioni. Il secondo riguardò un altro ex alleato, il presidente Kováč, che divenne il bersaglio di una campagna denigratoria sui media a favore dell’HZDS e al quale nel 1995 fu sequestrato il figlio a quanto pare da persone vicine a M. e ai suoi alleati. Il terzo episodio si ebbe quando M. e i suoi alleati, violando la decisione della Corte costituzionale, rifiutarono a František Gaulieder, un altro deputato transfuga dell’HZDS che voleva sedere in parlamento come indipendente, di prendere il proprio posto. Infine, l’irregolare referendum sull’adesione all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e sull’elezione diretta del presidente nel 1997, sembrò mostrare un totale disprezzo verso la correttezza della politica democratica. È difficile stabilire il ruolo che lo stesso M. svolse in ognuna di queste vicende. Anche se non è dimostrabile la sua responsabilità diretta nel sequestro del figlio di Kováč, la sua reazione quasi compiaciuta alla notizia, la concessione di amnistie a quanti furono accusati di aver partecipato al sequestro e agli avvenimenti successivi, non fecero altro che evidenziare un suo forte coinvolgimento.

Il possibile ritorno di M. al potere nel 2002 provocò preoccupazioni nelle capitali degli Stati membri dell’UE e della NATO, e la maggioranza degli slovacchi si rese conto che la presenza di M. era inaccettabile per le due organizzazioni. Il timore di un ritorno di M. e le sue probabili conseguenze incisero molto sui risultati delle elezioni del 2002, che condussero alla formazione di un secondo governo guidato da Mikuláš Dzurinda, con il quale la Slovacchia aderì all’Unione europea (v. Henderson, 2002; Haughton, 2002).

Tim Haughton (2012)




Medi, Enrico

M. (Porto Recanati 1911-Roma 1976) compì gli studi nel collegio Santa Maria di Roma e all’Istituto Massimo, dove fu tra i fondatori della Lega missionaria studenti. Nel 1932 si laureò a Roma in fisica pura con Enrico Fermi. A 26 anni ottenne la libera docenza in fisica terrestre, a 31 anni vinse la cattedra di fisica sperimentale presso l’Università di Palermo. Dal 1949 fu direttore dell’Istituto nazionale di geofisica. Dal 1972 fu titolare della cattedra di fisica terrestre all’Università di Roma. Nel 1946 fu eletto alla Costituente nelle liste della Democrazia cristiana (DC) nel collegio di Palermo e divenne poi deputato nelle elezioni politiche dell’aprile 1948. In questi anni ricoprì l’incarico di segretario regionale della DC in Sicilia; successivamente divenne vicesegretario politico e segretario organizzativo centrale del partito. Già componente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e delle poste e telecomunicazioni, fu membro del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).

Nel giugno 1952 M. entrò a far parte, come membro designato, insieme a Edoardo Amaldi deal Centro nazionale delle ricerche (CNR), dell’appena costituito Comitato nazionale ricerche nucleari (CNRN) presieduto da Francesco Giordani. Secondo l’opinione di Felice Ippolito, segretario del CNRN, M. entrò a far parte del Comitato «non tanto per il suo valore scientifico, […] ma per il fatto che egli, ex deputato democristiano, rappresentava un certo legame col mondo cattolico. M., oltre a essere un democristiano, era una persona molto vicina a papa Pacelli» (v. Pio XII) (F. Ippolito, Intervista sulla ricerca scientifica, Laterza, Bari 1978, p. 31).

Scaduto nel 1955 il decreto istitutivo del primo CNRN, M. fu confermato come membro anche del secondo. In questa veste assunse la presidenza di una Commissione di studio sulla difesa passiva e partecipò alla definizione del Piano quinquennale 1958-1962 per lo sviluppo dell’energia nucleare. Nel gennaio 1958 fu scelto dal governo italiano come rappresentante italiano nella Commissione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) di cui divenne vicepresidente. In questa veste partecipò alla stipula di numerose intese internazionali, tra le quali la legge internazionale per la protezione sanitaria dalle radiazioni, recepita poi da altre organizzazioni internazionali. M. fu poi riconfermato nel gennaio 1962 vicepresidente nella seconda commissione della CEEA, presieduta dal francese Pierre Chatenet. Obiettivo primario di M. come vicepresidente dell’Euratom fu di realizzare, attraverso l’organizzazione e il finanziamento di un centro comune di ricerche, una vera e propria politica nucleare comunitaria che portasse alla nascita di una grande industria europea del settore. In polemica con i deludenti risultati ottenuti dalla Comunità in questo senso, M. si dimise prima della fine del suo secondo mandato, nel dicembre 1964, e venne sostituito da Antonio Carrelli, già presidente della Rai-TV. Le dimissioni di M. trovarono vasta eco sui giornali italiani, e M. ne approfittò per perorare una costruzione europea che vedesse una partecipazione maggiore del popolo, ossia l’istituzione dell’elezione a suffragio universale di un Parlamento europeo dotato di maggiori poteri.

In seguito M. fu membro di molteplici commissioni tecniche e scientifiche per la realizzazione di complessi industriali di interesse economico e sociale e nel 1966 costituì e divenne il presidente della società di ingegneria industriale COMING. Nello stesso anno venne nominato dalla Santa Sede membro della Consulta dei laici per lo Stato della Città del Vaticano. Fu anche chiamato dal ministero degli Interni e da quello dei Lavori pubblici a studiare i problemi connessi alla protezione della vita dei cittadini e della natura dagli eventi naturali, in particolare nel campo dei fenomeni sismici e degli inquinamenti. Ripreso l’impegno politico diretto, il 13 giugno 1971 fu eletto al Consiglio comunale di Roma nelle liste DC di cui fu poi capogruppo in Consiglio comunale. Il 7 maggio 1972 si presentò alle elezioni politiche, sempre con la DC, e fu eletto deputato. Entrò a far parte della Commissione industria e commercio.

Importante fu l’attività di divulgazione scientifica svolta da M. attraverso la stampa e la televisione, dove condusse dal 1954 al 1956 un programma in seconda serata dedicato alle questioni scientifiche. A M. fu anche affidato, assieme a Tito Stagno, il commento televisivo dell’allunaggio nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969. Il 26 maggio 1996 la Chiesa cattolica ha avviato un procedimento di beatificazione per M.

Francesco Petrini (2010)




Mediatore europeo

Il Mediatore europeo è un organo introdotto nell’ordinamento dell’Unione europea dal Trattato di Maastricht del 1992, come supervisore e difensore dei diritti dei cittadini nei confronti delle Istituzioni comunitarie. La sua figura si è ispirata ampiamente a quella dell’Ombudsman di tradizione scandinava, tradotta in Italia a livello regionale nella figura del Difensore civico.

Caratteristica fondamentale del suo istituto è la completa indipendenza e imparzialità. L’organo, inoltre, è sostanzialmente privo di poteri coercitivi ed esercita la sua funzione disponendo del solo potere di indagine e di elaborazione di relazioni. Questi tratti definiscono il suo ruolo di conciliazione e intermediazione tra le istituzioni e i cittadini.

Il Mediatore europeo è nominato dal Parlamento europeo dopo ogni elezioni di quest’ultimo. Il Parlamento ne fissa inoltre lo statuto, come è avvenuto per la prima volta nel marzo del 1994. Il primo mediatore designato dal Parlamento nel luglio del 1995 è stato Jacob Söderman, ex difensore civico parlamentare finlandese.

Compito del Mediatore è quello di raccogliere le denunce per i casi di cattiva amministrazione delle istituzioni o degli organi comunitari, a eccezione della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) e del Tribunale di primo grado nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.

Secondo quanto stabilito dal Parlamento, si è in presenza di cattiva amministrazione quando un organismo pubblico non opera conformemente a una norma o a un principio per esso vincolante. Generalmente ciò avviene quando questa agisce in maniera irregolare o illegittima, o omette di compiere un atto dovuto.

I soggetti posti di fronte a una situazione di questo tipo, non risolta attraverso il normale iter amministrativo, possono presentare il proprio reclamo al Mediatore tramite una lettera o un apposito questionario. Sono ammesse le denunce di tutti i cittadini dell’Unione o di qualunque persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro. Non sono ammesse, al contrario, denunce su fatti che siano o siano stati in precedenza oggetto di un procedimento giudiziario.

Proprio in seguito alle denunce o anche di propria iniziativa, il Mediatore avvia quindi una serie di indagini per verificare l’esistenza di cattiva amministrazione. Le istituzioni hanno l’obbligo di fornirgli le informazioni necessarie e possono rifiutare solamente per ragioni di segreto professionale.

Nella prassi, se le indagini del Mediatore rivelano un caso di cattiva amministrazione, egli cerca, per quanto possibile, di addivenire a una soluzione amichevole volta eliminare il caso di cattiva amministrazione e a soddisfare il denunciante.

Se una soluzione di questo tipo non è raggiungibile o se la ricerca di quest’ultima non ha esito positivo, il Mediatore chiude il fascicolo rivolgendo un’osservazione critica all’istituzione o all’organo interessato, oppure formula progetti di Raccomandazione.

L’invio di un’osservazione avviene nei casi in cui la cattiva amministrazione non risulta avere implicazioni generali e non appare necessaria un’azione ulteriore da parte del Mediatore.

Al contrario, nei casi più gravi in cui si renda necessaria un’azione ulteriore, il Mediatore invia all’istituzione o all’organo interessato una decisione corredata di progetti di raccomandazione. Ne deriva per l’istituzione l’obbligo di trasmettere entro tre mesi un parere circostanziato. Quest’ultimo può essere costituito dall’accettazione della decisione del Mediatore e da una descrizione delle misure adottate per attuare le raccomandazioni.

Se un’istituzione o un organo comunitario non rispondono in modo soddisfacente a un progetto di raccomandazione, il Mediatore ha il potere in ultima istanza di trasmettere una relazione al Parlamento europeo.

Risulta quindi evidente come l’organo non disponga di reali poteri coercitivi; ciò nonostante, come dimostrano i rapporti annuali presentati al Parlamento europeo, la maggior parte delle denunce a esso rivolte tende a risolversi positivamente e sono rari i casi in cui le istituzioni rifiutino di dare seguito alle sue raccomandazioni. Nei fatti, questo avvalora l’efficacia persuasiva e preventiva dell’istituto, che rappresenta fondamentalmente uno strumento di avvicinamento tra le istituzioni e i cittadini.

Flavia Zanon (2007)




MEF

Mouvement éuropeenne France (MEF)




Menasse, Robert

M. (Vienna 1954), scrittore affermato a livello internazionale, è anche traduttore e saggista politico. Ha compiuto la sua preparazione nelle università di Vienna, Salisburgo e Messina, perfezionandosi in germanistica, filosofia, storia e scienze politiche. Ultimati gli studi nel 1980, ha lavorato, dal 1981 al 1988, all’università di San Paolo in Brasile presso l’istituto di letteratura e filosofia. Il suo primo romanzo, Sinnliche Gewißheit (1988), la storia di un austriaco in Brasile, è la trasposizione autobiografica di questa esperienza. Nei successivi romanzi – Selige Zeiten, brüchige Welt (1991), Schubumkehr (1995) – lo scrittore ha ampliato la sua prospettiva tematica e interpretativa. Successo ha poi ottenuto con il romanzo Die Vertreibung aus der Hölle (2001), centrato sul tema dell’identità ebraica, letta attraverso le vicende personali di un rabbino del 1622 e del suo discendente del 1972, entrambi posti a confronto con le due manifestazioni storiche della persecuzione, l’inquisizione e il nazismo. È interessante rilevare come M., che oggi vive tra Vienna e Amsterdam, continui a risentire dell’influsso della cultura brasiliana e portoghese, che si vivifica attraverso l’opera di traduzione e che continua a essere presente in modo palpabile nei suoi scritti.

Nell’ambito della saggistica politica M. si è affermato come analista impietoso e fortemente critico delle vicende nazionali dell’Austria. La sua invettiva si è rivolta principalmente contro la tendenza al compromesso esistente nella politica come nella società austriache: nel volume Die sozialpartnerschaftliche Ästhetik. Essays zum österreichischen Geist (1990) egli giunge a individuare un legame tra la letteratura e le modalità esistenti in Austria e il patto sociale tra le due maggiori forze politiche del paese, socialisti e popolari. La sua critica verso la sistematica spartizione proporzionale di impieghi ed incarichi tra soggetti legati ai due partiti dominanti – il cosiddetto “Proporz” – lo ha portato ad assumere una posizione non collimante con quella prevalente nel mondo intellettuale di fronte alla ricomparsa, sulla scena politica austriaca, del nazionalismo, incarnato dal partito liberale di Jörg Haider. Operando una lettura dialettica delle dinamiche politiche austriache, M. ha visto in Haider, la cui prima reale affermazione è del 1999, il mezzo per scardinare l’equilibrio consociativo che a suo avviso stava avvelenando il paese. È entrato in polemica con diversi intellettuali, ai quali ha rinfacciato di perpetrare, in nome della difesa dei principi democratici, gli assetti precostituiti del potere tradizionale. Di contro, ha prestato il fianco alle critiche di coloro che vedevano, nell’attribuzione di un ruolo dialettico a Haider, un mero gioco di parole. A parte questa polemica bisogna rilevare come la critica dell’equilibrio di potere in Austria continui a rappresentare ancora oggi un argomento di riflessione per M.: nel 2005, in occasione del cinquantesimo anniversario del trattato di stato, egli ha pubblicato la raccolta di saggi Das war Österreich. Gesammelte Essays zum Land ohne Eigenschaften, che si colloca in controtendenza rispetto all’atmosfera celebrativa imperante nel paese.

M. si è confrontato anche con le grandi problematiche del mondo globalizzato, leggendole però sempre alla luce del proprio sapere filosofico. La commistione tra l’aspirazione a intervenire sulle principali tematiche di attualità e il bisogno di inquadramento filosofico dei problemi è osservabile, con tutte le sue contraddizioni, scorrendo la lezione poetica Die Zerstörung der Welt als Wille und Vorstellung, che lo scrittore ha tenuto nel 2005 nella sala intitolata a Theodor Adorno della università di Francoforte sul Meno. In essa i grandi temi politici, economici e culturali – dal processo costituzionale europeo alla guerra al terrorismo – vengono riletti alla luce delle grandi categorie e figure della filosofia e della letteratura, da Marx a Hegel, dall’illuminismo al liberalismo. Molte delle teorie espresse in quella sede, indubbiamente accattivanti per l’uditorio, hanno suscitato non poche perplessità, in particolare quelle sulle origini del terrorismo e sulla spiegazione degli attentati suicidi.

M. ha dedicato diverse riflessioni anche all’Europa e al processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), di cui non ha mancato di sottolineare i vantaggi: con una certa dose di ironia, lo scrittore austriaco ha definito l’Unione europea (UE) la perfetta realizzazione del programma marxista, in quanto essa ha contribuito all’abbattimento dello Stato nazione e delle frontiere, all’accrescimento della coscienza sociale e alla creazione di una rete di tutela del cittadino e del consumatore. Al contempo M. ha messo in rilievo come anche l’Europa sia minacciata da una globalizzazione corrosiva che ne sta intaccando i valori fondanti.

Federico Niglia (2008)




Mendès France, Pierre

Sebbene M.F. abbia svolto un ruolo importante in numerosi episodi della costruzione europea, sarebbe eccessivo farne un sostenitore deciso dell’Europa. Tuttavia il suo caso appare particolarmente illuminante per illustrare le incertezze e le esitazioni francesi nei confronti dell’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), tanto più che si tratta senz’altro di una delle personalità di maggior spicco della vita politica francese nella seconda metà del XX secolo e di uno degli uomini di Stato più aperti alla modernità.

M.F. nasce a Parigi l’11 gennaio 1907 in una famiglia ebrea di origine portoghese stabilitasi in Francia dal XVII secolo. Si diploma a quindici anni, inizia subito gli studi giuridici e a diciannove anni è già avvocato. Ma fin dalla prima giovinezza si sente attratto dalla politica. Durante gli studi universitari è anche uno degli animatori della Ligue d’action universitarie républicaine et socialiste (LAURS), che riunisce gli studenti di sinistra radicali e socialisti. Dopo essere diventato avvocato aderisce subito al Partito radicale, secondo la tradizione di ardente repubblicanesimo della sua famiglia e sotto l’influenza di Édouard Herriot, che lo colpisce per l’eloquenza e la profonda cultura e di cui condivide le convinzioni repubblicane. Ma fin da subito il brillante giovanotto sembra destinato a svolgere un ruolo di primo piano all’interno della sinistra francese. Nel 1927 diventa segretario generale della LAURS, poi presidente nel 1928. A capo della Lega si batte al Quartiere latino contro i Camelots du Roy, le truppe d’assalto dell’Action française, violentemente nazionalista e antisemita, anima le riunioni politiche della sinistra e pubblica i suoi primi articoli. Nel 1928 ottiene consegue il dottorato in diritto con una tesi che rapidamente fa testo sul risanamento delle finanze francesi a opera di Raymond Poincaré nel 1926-1928; subito dopo comincia a scrivere una nuova opera sulla Banca internazionale pubblicata nel 1930. Diviene così un esperto di questioni finanziarie, orientato verso la finanza pubblica e gli affari finanziari internazionali.

Entra come praticante nello studio d’avvocato di Georges Bonnet, uno dei principali dirigenti del Partito radicale, anch’egli esperto di questioni finanziarie. M.F. sembra destinato a una brillante carriera nell’avvocatura a Parigi, ma sceglie un’altra strada. Nel 1929 si stabilisce a Louviers nell’Eure aprendo un ufficio e con il sostegno dei dirigenti radicali parigini avvia subito un’intensa campagna politica nei giornali locali: la scelta della circoscrizione legislativa di Louviers vuol essere il punto di partenza della carriera politica sognata dal giovane avvocato, già preannunciata dalle sue precoci scelte del periodo studentesco. Questa strategia è coronata dal successo: infatti nel maggio 1932, a 25 anni, M.F. diventa deputato di Louviers, il più giovane degli eletti in Francia.

Nell’arco di alcuni anni il nuovo deputato consolida le sue posizioni politiche. A Palais Bourbon tutela gli interessi dei suoi elettori contadini colpiti dalla crisi economica e per raggiungere l’obiettivo fa parte della Commissione delle dogane che difende le tariffe protezionistiche. Con i suoi interventi in seduta plenaria si crea la reputazione di esperto di questioni finanziarie ed economiche in un’epoca in cui queste competenze sono rare fra gli uomini politici. A Louviers rafforza la sua posizione conquistando il municipio nel 1935, poi un seggio al Consiglio generale dell’Eure. Nel Partito radicale fa parte del gruppo dei “Jeunes turcs” a fianco di altri giovani parlamentari schierati a sinistra, fra cui i più noti sono Jean Zay e Jean-Pierre Cot. Ma sarebbe sbagliato confondere (come spesso accade) i “Jeunes turcs” con l’ala sinistra del Partito radicale. I capifila della corrente, di cui è ispiratore Joseph Caillaux e fondatore Emile Roche, si situano piuttosto a destra del Partito radicale, com’è il caso di molti altri quadri ed eletti che partecipano al movimento. Ciò che caratterizza l’identità dei “Jeunes turcs” è la volontà di modernizzare una dottrina radicale che ormai ai loro occhi appare largamente superata dalle conseguenze della Prima guerra mondiale. Questo rinnovamento si articola intorno a tre assi: una riforma dello Stato sulla base del rafforzamento del potere esecutivo, una migliore rappresentanza degli interessi economici – sia con la creazione di un’assemblea economica consultiva, sia con il rafforzamento dei poteri del Consiglio nazionale economico – e infine, sul piano internazionale, il progetto di creazione di una federazione europea (v. Federalismo). Il gruppo a cui appartiene M.F. ha assorbito una parte degli aderenti alle associazioni favorevoli alla Società delle Nazioni e vede nella costruzione di questa federazione la realizzazione di un’organizzazione regionale che assecondi gli ideali della Società delle Nazioni e, soprattutto, una garanzia per scongiurare nuovi conflitti europei. Questo comporta una riconciliazione franco-tedesca e, di conseguenza, un appoggio senza riserve alla politica briandista.

Tuttavia, nel gruppo dei “Jeunes turcs” M.F. appare più come un esperto di questioni finanziarie che uno specialista in affari europei. Nel 1936 è rieletto come candidato del Front populaire e fa parte della nuova maggioranza di sinistra che sostiene il governo di Léon Blum, anche se da esperto di problemi finanziari solleva ampie riserve, al pari di molti radicali, sulla politica monetaria promossa da Vincent Auriol. Ma a differenza della gran parte dei radicali resta fedele al Front populaire. Quest’attaccamento, durante l’effimero secondo governo Blum (marzo-aprile 1938), gli procura il suo primo incarico ministeriale come sottosegretario al Tesoro, con il compito di preparare con la massima cura un programma economico destinato a combattere la disoccupazione, a risanare l’economia e ad assicurare il finanziamento del riarmo.

Alla caduta del governo dopo tre settimane, M.F. pagherà le conseguenze della sua scelta politica. Considerato con sospetto nel Partito radicale, coinvolto da Édouard Daladier nel rinnegamento del Front populaire, viene richiamato come tenente dell’aviazione in Libano e rientra in Francia nella primavera del 1940, nel pieno della disfatta. A Bordeaux, dove si trovano i pubblici poteri, si imbarca a bordo del Massilia alla volta del Marocco per continuare da lì la lotta contro la Germania. Ma in Marocco il governo di Vichy lo fa arrestare il 30 agosto con l’accusa di diserzione. Essendo ebreo M.F. è radiato dal Parlamento. Nel maggio 1941 è giudicato da un tribunale militare a Clermont Ferrand e viene condannato a sei anni di prigione, degradato e privato dei diritti civili. Ma un mese più tardi evade, raggiunge Londra ed entra a far parte del gruppo di aviazione “Lorraine” come ufficiale navigatore. Nel novembre 1943 il generale Charles de Gaulle lo richiama ad Algeri e lo coinvolge nel Comité français de libération national (CFLN) come commissario alle finanze incaricato di preparare gli aspetti economici e finanziari della Liberazione. Nel settembre 1944 porta avanti questo compito come ministro dell’Economia nazionale del governo provvisorio della Repubblica. Tuttavia, il rigore delle misure che propone per combattere l’inflazione galoppante (cambio dei biglietti bancari che consenta il controllo della moneta in circolazione e blocco generale delle fortune che sarebbero state sbloccate progressivamente con la ripresa della produzione) è respinto da de Gaulle, che giudica una politica così restrittiva intollerabile per una popolazione provata da quattro anni di privazioni sotto l’occupazione. M.F. si dimette il 5 aprile 1945 denunciando «la mancanza di coraggio e d’immaginazione della finanza pubblica» e acquistandosi la reputazione di uomo rigoroso e di carattere.

Continua a essere membro del Partito radicale, deputato dell’Eure e sindaco di Louviers, ma ormai si tiene in disparte dalla vita politica, sentendosi a disagio in un partito che ha rotto con la sinistra, e si orienta verso il centrodestra. Dunque dedica essenzialmente la sua attività a missioni di carattere economico alle Nazioni Unite e al Fondo monetario internazionale. Saranno i problemi coloniali a riportarlo alla ribalta. Infatti dopo la disfatta del corpo di spedizione francese in Indocina a Cao-Bang, nel 1950, M.F. critica la politica del governo in Estremo Oriente, accusandolo di non saper scegliere fra la prosecuzione della guerra investendo i mezzi necessari a sostenerla e l’accettazione di un negoziato con gli avversari per riportare la pace. Nel 1953 è designato come presidente del Consiglio dal Presidente della Repubblica Auriol: gli manca solo un pugno di voti, ma il suo discorso d’investitura colpisce l’opinione pubblica per la novità dei toni e il coraggio delle proposte. Allo stesso tempo M.F. trova nel settimanale “L’Express” una tribuna per divulgare le sue idee.

La disfatta francese in Vietnam a Dien Bien Phu, il 7 maggio 1954, segna l’ora dell’ascesa al potere di M.F. Il 18 giugno 1954 è nominato presidente del Consiglio e mantiene l’incarico per sette mesi e diciassette giorni, fino al febbraio 1955. In questo periodo riesce a concludere la guerra francese in Indocina firmando gli accordi di Ginevra in luglio, dopo un mese di negoziati; ad avviare il processo di decolonizzazione promettendo alla Tunisia l’autonomia interna; a rilanciare la ricerca nucleare e sviluppare la ricerca scientifica; a stabilire in accordo con il ministro delle Finanze Edgar Faure le misure destinate a preparare l’economia francese a un’apertura europea ponendo l’accento sui criteri di redditività e sulla produttività; a gettare le basi della politica di riassetto del territorio. L’opinione pubblica è sedotta da questo presidente del Consiglio attivo, che tiene saldamente in mano il suo gruppo di governo, spiega la sua politica ai francesi attraverso conversazioni trasmesse dalla radio e soverchia con la sua forte personalità il grigiore dei predecessori.

Tuttavia il bilancio della sua attività è offuscato da due avvenimenti. Il primo è lo scoppio dell’insurrezione algerina sotto il suo governo, nel novembre 1954. M.F. risponde con una duplice azione: repressione e rifiuto di qualsiasi negoziato con il Fronte di liberazione nazionale nell’immediato e, in un secondo tempo, volontà di realizzare delle riforme in Algeria affidandone l’incarico al governatore generale Jacques Soustelle, etnologo e gollista.

Il secondo avvenimento rappresenta una delle sconfitte più cocenti della costruzione europea: il rifiuto da parte del Parlamento francese del progetto di Comunità europea di difesa (CED). Il progetto era stato lanciato nel 1950 in risposta alla richiesta degli Stati Uniti di un riarmo della Germania. Per evitarlo la Francia propone, su iniziativa del presidente del Consiglio René Pleven e dietro suggerimento di Jean Monnet, di inserire il futuro esercito tedesco in un quadro europeo mediante la costituzione di un esercito integrato che comprenda contingenti dei sei Stati, ricalcando il modello della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), e posto, come quest’ultima, sotto il controllo di un’Alta autorità sovranazionale. Il Trattato sulla CED è firmato a Parigi fra i Sei nel maggio 1952, ma dev’essere ratificato dai parlamenti nazionali. Ora la CED, decidendo l’integrazione di uno strumento essenziale della sovranità statale come l’esercito, comporta la costituzione a termine di un potere politico sovranazionale per definire le sue missioni e, di conseguenza, rappresenta un punto di non-ritorno verso un’integrazione politica dell’Europa. In Francia l’argomento solleva un vivace dibattito fra i suoi sostenitori, in cima ai quali si collocano i democratico-cristiani del Mouvement républicain populaire (MRP), e i suoi avversari guidati dai gollisti, che denunciano l’abbandono della sovranità nazionale, e dai comunisti che vedono nella CED uno strumento di aggressione contro l’URSS. Anche tutti gli altri partiti sono divisi tra favorevoli e contrari alla CED. La disputa sulla CED rende impossibile la costituzione di maggioranze durature e i governi sono rovesciati dagli anti CED quando propongono la ratifica del trattato, dai pro CED quando cercano di guadagnare tempo rinviando la ratifica.

Arrivato al potere, M.F. promette di liberare la Francia da quest’ingombrante problema. L’ex “giovane turco” è favorevole all’intesa fra i popoli europei sul modello briandista, ma il patriota radicale diffida dell’idea di sovranazionalità. Per di più, il vecchio combattente della Francia libera nutre forti riserve nei confronti del riarmo tedesco. Ma M.F. si rende anche conto che i francesi sono profondamente divisi sulla questione e quindi desidera voltare pagina a qualsiasi costo. Tenta un ultimo sforzo incontrando a Bruxelles i partner europei della Francia, nell’agosto 1954, allo scopo di proporre alcuni emendamenti al Trattato che offrano ai francesi nuove garanzie per renderlo accettabile. Ma si scontra con il rifiuto dei partner europei, convinti dai sostenitori francesi della CED che si potrà trovare una maggioranza parlamentare che ratifichi il Trattato. In questo contesto M.F. decide di far discutere all’Assemblea nazionale la ratifica, in quanto il governo rifiuta di impegnarsi a favore della ratifica ponendo la questione della fiducia. Il 30 agosto 1954, adottando una questione preliminare sostenuta dal presidente a vita del Partito radicale Édouard Herriot, l’Assemblea nazionale respinge la ratifica senza dibattito. Gli europeisti convinti (soprattutto il MPR) non perdoneranno mai a M.F. quello che definiscono «il crimine del 30 agosto». Tuttavia nei mesi seguenti M.F. riesce a far votare, il 30 dicembre 1954, gli Accordi di Parigi che accontentano gli Stati Uniti, permettendo la creazione di un esercito tedesco, l’ingresso della Germania nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e il ripristino della sovranità tedesca. Il riarmo tedesco che i francesi avevano voluto evitare alla fine è stato attuato, ma senza il quadro previsto dalla CED di un esercito europeo integrato sotto un’autorità sovranazionale.

Dopo la caduta del suo governo, nel febbraio 1955, M.F. esce definitivamente dalle sfere del potere. Il suo tentativo di “impadronirsi” del Partito radicale nel 1955 si conclude due anni dopo con un fallimento, perché il partito diviso in “clan” contrapposti si mostra recalcitrante all’imposizione di qualsiasi disciplina. L’avvento al potere del generale de Gaulle nel 1958 emargina M.F., che ne è un deciso oppositore e non accetterà mai le istituzioni create dalla V Repubblica. Ma il suo ruolo continua a essere importante. Intorno a lui, difatti, si organizza una corrente politica che cerca confusamente le vie di una sinistra moderna distinta sia dal comunismo stalinista sia dalla sclerosi del Partito socialista guidato da Guy Alcide Mollet. Questa corrente si esaurisce rapidamente, tuttavia le sue idee alimentano una serie di club, di convegni come quello di Grenoble nel 1967, il pensiero di alcuni sindacalisti e di intellettuali che tentano di definire cosa possa rappresentare la sinistra all’interno di una democrazia liberale come la Francia. M.F. partecipa a questa ricerca pubblicando nel 1962 La République moderne, che costituisce la sola alternativa seria al sistema politico gollista; aderisce al Partito socialista unificato (PSU) in cui si ritrovano molti gruppi che propongono nuove versioni del socialismo rinnovato, poi al nuovo Partito socialista fondato a Epinay nel 1971 e guidato da François Mitterrand.

Serge Berstein (2010)




Mercato comune del Sud

MERCOSUR (Mercado común del Sur) è un accordo di integrazione economica siglato da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Venezuela, che prevede la libera circolazione di beni, servizi e fattori produttivi tra i paesi membri. Si tratta di uno dei maggiori raggruppamenti economici mondiali, dopo North American free trade agreement (NAFTA) e Unione europea (UE). Istituito nel 1991 dal Trattato di Asunción (poi aggiornato dall’Intesa di Ouro Preto nel 1994), MERCOSUR ha in realtà origini che risalgono a circa vent’anni prima.

Negli anni Settanta, infatti, l’Uruguay aveva approfondito le proprie relazioni commerciali con il Brasile e l’Argentina, sottoscrivendo con questi paesi rispettivamente il Protocollo de expansión comercial e il Convenio argentino uruguaio de cooperación economica. Negli anni Ottanta anche Argentina e Brasile siglarono tra loro 24 protocolli bilaterali che facevano riferimento a diversi ambiti.

Nel 1985 il presidente argentino Raoul Alfonsin e quello brasiliano José Sarney sottoscrissero la dichiarazione di Foz do Iguazù con la quale si istituiva la Commissione mista per l’integrazione tra i due paesi.

Nel 1990 sempre Argentina e Brasile siglavano l’Acuerdo de complementación económica (Asociación latinoamericana de integración, ALADI), attraverso cui regolavano le precedenti intese di natura commerciale. Contemporaneamente, rappresentanti del governo argentino e brasiliano incontravano personalità uruguaiane e paraguaiane, dal momento che anche gli altri due paesi del Cono Sur avevano manifestato il proprio interesse a essere inclusi nel processo di integrazione in corso.

Nel 1991 venne firmato il già citato Trattato di Asunción. All’interno di questo accordo di integrazione economica si sanciva la costituzione di un’unione doganale che prevedeva un programma di coordinamento delle politiche macroeconomiche dei paesi membri e l’istituzione di una tariffa doganale comune nei confronti dei paesi terzi.

Oltre agli Stati già citati, dal luglio 2006, è membro di tale unione anche il Venezuela, mentre Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù conservano il ruolo di associati. Il Messico svolge la funzione di paese osservatore.

MERCOSUR si basa su una struttura istituzionale piuttosto complessa. Esistono tre organismi dotati di capacità decisionale: il Consejo del mercado común (CMC), l’organo principale del MERCOSUR, incaricato della direzione politica del processo di integrazione, il Grupo de mercado común (GMC), con funzione esecutiva rispetto alle decisioni prese all’interno del GMC e la Comisión de commercio del MERCOSUR (CCM), preposta al controllo dell’applicazione degli strumenti di politica commerciale comuni, concordati dai paesi membri. Esistono, poi, due istituzioni di natura rappresentativa: la Comisión parlamentaria conjunta (CPC), che riunisce parlamentari di ciascun paese membro, presenti in numero uguale per ognuno degli Stati, e il Foro consultivo económico-social (FCES), che rappresenta il settore economico e quello sociale di ciascun paese, formato anch’esso da un numero uguale di rappresentanti per ogni Stato. Si tratta dell’unico organismo del MERCOSUR che è costituito anche da rappresentanti del settore privato. Esiste, infine, un organo amministrativo, la Secretaría administrativa de Mercosur (SAM), con sede permanente a Montevideo.

L’evoluzione del progetto espresso da MERCOSUR ha subito una forte battuta d’arresto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio in occasione delle crisi valutarie che hanno colpito rispettivamente il Brasile e, soprattutto, l’Argentina.

Inoltre, a dispetto di quanto statuito nei Trattati di Asunción e Ouro Preto, continuano a sussistere controversie tra i paesi membri riguardanti le rispettive politiche commerciali che, di fatto, molto spesso impediscono un reale processo di integrazione economica.

Per quanto riguarda le relazioni con l’Unione europea, nel 1995 quest’ultima firmava un accordo con MERCOSUR (entrato in vigore nel 1999) che prevedeva tre assi di collaborazione: la costituzione di un partenariato tra le due parti su questioni politiche e di sicurezza, l’istituzione di un processo rafforzato di cooperazione nel settore economico e in quello istituzionale, nonché la creazione di una zona di libero scambio per merci e servizi, sempre in ossequio alle norme della Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

José Luis Rhi-Sausi (2007)




Mercato unico europeo

Profili storico-politici

Le civiltà europee di ogni tempo hanno generato o proposto processi di unificazione dei popoli del vecchio continente nella consapevolezza che gli europei hanno in comune un patrimonio di valori identitari – spirituali, etici, religiosi, culturali, sociali – che hanno plasmato il nostro “essere europei”, la nostra “europeità. Componenti spesso dominanti di questi processi sono state le relazioni economiche e sociali intrecciate tra i diversi paesi: scambi di beni, di esperienze e di strumenti produttivi, Libera circolazione delle persone, creazione di una moneta unica (v. Euro), attuazione di strategie e politiche comuni (v. Strategie comuni) perché questi scambi e queste libertà fossero tutelati e si intensificassero.

Questi processi di integrazione sono stati tanto più profondi quanto più unificato è stato il “mercato” (v. anche Integrazione, metodo della). La storia ci insegna che ogniqualvolta le relazioni economiche e sociali tra i popoli europei si sono intrecciate e sviluppate, esse hanno immancabilmente generato pace, prosperità, solidarietà, rafforzando nei popoli la consapevolezza di avere un comune modo di pensare e di operare, di vivere e di sentire. Le epoche più pacifiche e prospere dell’umanità sono coincise con quelle durante le quali le relazioni economiche sono state intense e feconde. Ogniqualvolta invece gli uomini hanno chiuso le porte dei loro mercati, le hanno poi chiuse agli uomini, quindi alle libere manifestazioni del pensiero. È così che, storicamente, sono iniziati tutti i regimi totalitari, come quelli che hanno trascinato l’Europa nel baratro della Seconda guerra mondiale. Accenneremo ora brevemente alle civiltà europee che hanno generato questi processi e alle loro componenti.

L’Europa della Roma antica è fondata su uno spazio economico unificato, all’interno del quale le libertà di circolazione di beni e persone sono assicurate grazie, segnatamente a uno jus gentium universalis, applicabile tuttavia nel rispetto delle tradizioni locali, alla cittadinanza romana estesa nel 212 d.C. a tutti i cittadini dell’Impero, alla creazione di una moneta comune (il denarium), alla realizzazione di una rete di infrastrutture eccezionalmente sviluppata per l’epoca, ecc.

L’Europa giustinianea e carolingia prolunga per molti secoli i fasti della Roma antica per quanto attiene in particolare alle libertà e alla loro tutela. Monumentale è l’opera di codificazione del diritto romano – il Corpus juris civilis – operata dall’imperatore Giustiniano, codificazione che tuttavia tiene conto delle esigenze di una società che è profondamente cambiata dopo l’avvento del Cristianesimo. Carlo Magno attua le c.d. leggi capitolari, sorta di “direttive quadro” che integrano tradizioni e leggi locali, e ne assicura l’osservanza istituendo i missi dominici“, che prefigurano i futuri funzionari europei. Il commercio è fiorente sia all’interno del “mercato unificato” che all’esterno, facilitato da una moneta comune accettata anche dai paesi terzi (il bisante all’interno del mercato comune giustinianeo, la lira in quello carolingio).

L’Europa medioevale con la sua Lega anseatica della quale fanno parte oltre 90 città europee, dalla Francia all’Ucraina, dall’Italia alla Norvegia, prefigura l’Europa del Mercato unico del terzo millennio. Lo sviluppo degli scambi è favorito dall’assenza di frontiere e da misure di protezione garantite ai mercanti nei loro lunghi viaggi. Lo sviluppo degli scambi commerciali è fiorentissimo. La Lega è dotata di una propria organizzazione, di sue regole e di una capacità decisionale autonoma (le decisioni sono adottate dalle Diete) rispetto agli Stati ai quali appartengono le città aderenti.

L’Europa umanistico-rinascimentale, una delle quattro “età d’oro” di ogni tempo, secondo Voltaire, promuove non soltanto gli scambi di “beni artistici” ma anche quelli dei “beni di consumo” all’interno di un mercato senza frontiere. Mai come in quest’epoca i mercanti, anche se non mecenati, contribuiscono a diffondere arte e cultura, e il libero scambio dei prodotti nutre quello delle idee. È durante quest’epoca, inoltre, che si manifestano sulla scena dell’intero continente spiriti autenticamente europei e sono lanciati i primi progetti d’unificazione europea. Citeremo, in particolare, i progetti di Emeric Crucé e dell’Abbé de Saint-Pierre, che propongono di creare un’unione europea fondata, tra l’altro, su un mercato comune che assicuri le libertà di circolazione delle persone e dei beni.

L’Europa degli illuministi e dei romantici genera anch’essa spiriti visionari che propongono progetti di unificazione europea fondati, in particolare, sul concetto del “libero mercato”, dello “sviluppo degli scambi” e dell’affermazione del “principio di solidarietà”. Ricorderemo il più lirico di questi spiriti eletti, Victor Hugo, il quale, al Congresso della pace che si tiene a Parigi il 21 agosto 1849, annuncia: «Giorno verrà in cui i campi di battaglia dell’Europa si trasformeranno in un grande mercato che si aprirà al commercio […] e vedremo questi due mondi immensi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, tendersi la mano, l’uno di fronte all’altro, al di là dei mari e scambiarsi i propri beni, il loro commercio, la loro industria, le loro arti […]. Allora, tu Francia, tu Inghilterra, tu Italia, tu Germania, e voi tutte nazioni del continente, senza perdere le vostre distinte qualità e la vostra gloriosa identità, vi unirete in una superiore entità e costituirete la fraternità europea […]». Una visione profetica.

L’Europa di Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Paul-Henri Charles Spaak conferma nel suo atto di nascita del 9 maggio 1950, la visione unificatrice “strumentalista” di circa venti secoli di storia. Nella Dichiarazione letta da Schuman (v. anche Piano Schuman) nel Salon de l’Horloge di Parigi si legge infatti: «L’Europa si farà attraverso realizzazioni concrete che creino dapprima una solidarietà di fatto […]. La messa in comune delle produzioni di carbone e d’acciaio garantirà immediatamente la fissazione di basi comuni di sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea […]. Questa proposta realizzerà le prime assise concrete di una Federazione europea […]». Ricorderemo inoltre che Monnet, redattore della precitata Dichiarazione e grande architetto del progetto europeo, ricorda nelle sue Memorie che lo strumento scelto – il mercato – persegue una finalità politica ben precisa: «aprire una breccia nelle dure muraglie delle sovranità nazionali, una breccia sufficientemente limitata per unire i consensi, sufficientemente profonda per portare, attraverso i suoi felici risultati, gli Stati verso la strada progressiva dell’unità e della pace».

In conclusione, il Mercato unico europeo non va considerato come un “valore e neppure come una “finalità“, ma piuttosto come uno “strumento” necessario per portare a compimento un grande disegno politico: l’unificazione europea.

La dimensione economica

Il progetto ambizioso di realizzare un mercato unico europeo, foriero di progresso e di avvenire, fu lanciato, il 14 gennaio 1985, da Jacques Delors, presidente della Commissione europea. Nel suo discorso al Parlamento europeo Delors dichiarò: «Agli occhi di tutti, cittadini e imprese, si presenta una sorta d’Europa feudale che offre soltanto barriere, dogane, formalità, intralci burocratici. Occorre far esplodere tutte le forme esplicite o implicite d’opposizione alla libera circolazione. È forse presuntuoso manifestare, e quindi prendere la decisione di eliminare tutte le frontiere all’interno dell’Europa entro il 1992? […]. L’Europa deve trovare il cammino dell’immaginazione e dell’offensiva! Chi non ha nulla da proporre è presto dimenticato, fors’anche vilipeso. A chi non dispone dei mezzi necessari per realizzare le proprie ambizioni, non resta che l’aggressività verbale e procedere in balia di altri».

Perché un Mercato unico europeo? Il Trattato che istituiva la Comunità economica europea (CEE) (v. Trattati di Roma) non aveva già previsto la creazione di un mercato comune entro la fine del periodo transitorio fissata per il 31 dicembre 1969? In realtà, si era constatato che gli Stati membri, privati ormai degli strumenti classici di protezione economica (dazi doganali, divieti o calendari di importazione, contingentamenti, ecc.) e confrontati, negli anni Settanta, con la prima grande crisi economica della Comunità, piuttosto che coniugare i propri sforzi per fronteggiarne le conseguenze, avevano preferito seguire i “riflessi nazionali” di un tempo, ricorrendo a nuove forme di protezionismo economico, più sofisticate e occulte, e attuando strategie di riconquista del mercato nazionale tanto miopi quanto inefficaci, innalzando nuove barriere e rischiando di pregiudicare l’Acquis comunitario sino ad allora realizzato. Si precipitava verso quella che veniva definita la non-Europa, il cui costo, come sottolineava il “Rapporto Cecchini”, ammontava a circa 200 miliardi di Unità di conto europea (ECU), costo (che occorre ovviamente rapportare al valore-mercato dell’epoca) derivante dalla compartimentazione dei mercati e dalla frammentazione delle risorse e delle iniziative produttive. Un esempio eclatante: i soli costi derivanti dalla esistenza delle frontiere interne (controlli, formalità amministrative e tempi d’attesa imposti al passaggio delle dogane intracomunitarie) erano valutati tra i 13 e i 24 miliardi di ECU.

Le conseguenze di questa non-Europa non tardarono a manifestarsi: calo preoccupante della crescita e della competitività nei settori delle nuove tecnologie (telecomunicazioni, informatica, trasporti, chimica); stagnazione nei settori tradizionali (tessile, abbigliamento, agroalimentare); debole crescita industriale; disoccupazione in aumento costante. Occorreva pertanto invertire la tendenza, far uscire la Comunità dal circolo vizioso “protezionismo-crisi economica” nel quale si era fuorviata, ridare fiducia agli operatori, rilanciare gli investimenti. Per fare ciò, occorreva smantellare le barriere fisiche, tecniche e fiscali erette e instaurare nuove regole del gioco.

Per raggiungere un obiettivo così ambizioso occorreva dotarsi di un programma e di strumenti appropriati. Le istituzioni furono all’altezza delle loro ambizioni: il 14 giugno 1985 la Commissione europea pubblicava il suo programma d’azione sotto forma di un Libro bianco (v. Libri bianchi) per il completamento del mercato interno; il 28 e 29 giugno, il Consiglio europeo l’approvava e incaricava la Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) di avviare immediatamente i lavori per l’elaborazione dell’Atto unico europeo. Quest’ultimo era firmato il 17 febbraio dell’anno seguente: meno di dodici mesi per lanciare un progetto, preparare un programma così ambizioso, approvarlo, iniziare i lavori, elaborare e firmare un Trattato! La “cura Delors” aveva dato i suoi frutti.

Il Libro bianco coniugava la “delegificazione organizzata” (fondata sul principio del mutuo riconoscimento) con un programma legislativo minimale e flessibile: circa 300 nuovi atti normativi per adattare il vasto contesto economico-sociale, fiscale, doganale, finanziario e monetario delle imprese alle esigenze del mercato unificato. Il numero di atti normativi da adottare appare, a prima vista, impressionante. In realtà, queste trecento “leggi europee” coprono soltanto il 15% dei settori economici nei quali occorreva intervenire. Per il resto, l’approccio seguito coniuga liberalismo economico organizzato e autogestione dell’impresa, grazie soprattutto all’applicazione del principio di mutuo riconoscimento generato dalla giurisprudenza innovatrice Cassis de Dijon, di cui parleremo brevemente più avanti.

L’attuazione del programma ottenne un’approvazione politica senza riserve (Delors non aveva mancato di sottolineare che la realizzazione di detto programma non avrebbe comportato alcun aggravio per il bilancio degli Stati membri) nonché il più incondizionato appoggio del mondo industriale.

Dal 1° gennaio 1993 beneficiamo di un grande spazio economico unificato, sempre più omogeneo, che consente ai cittadini e alle imprese di toccare con mano, nella loro quotidianità, un’Europa concreta nella quale è possibile, senza restrizioni, circolare, dialogare, comunicare, scambiare. I cittadini europei possono circolare senza ostacoli, stabilirsi nel paese prescelto beneficiando in tal modo delle migliori possibilità d’impiego e delle condizioni di vita e di lavoro più soddisfacenti. Le imprese hanno l’opportunità di operare, senza restrizioni, in uno spazio economico che, dal 1° gennaio 2007 (con l’adesione della Romania e della Bulgaria) sarà costituito da più di 483 milioni di consumatori.

Benché permangano ancora alcune zone d’ombra, i risultati economici rilevati nell’Europa dei 15, nel 2002, in occasione del decimo anniversario dell’“evento 1992”, sono indubbiamente confortanti: creazione di due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro; 877 miliardi di euro di ricchezza supplementare; investimenti stranieri sul mercato comunitario quadruplicati negli ultimi dieci anni, mentre la percentuale degli scambi intracomunitari rispetto al volume complessivo degli scambi degli Stati membri passa dal 22% a oltre il 70%.

Il Mercato unico europeo ha reso l’Europa più libera. Il suo considerevole potenziale economico e tecnologico, paralizzato da secoli di divisioni interne, è stato affrancato dai vincoli del passato. L’Europa del mercato unico ha acquisito questa dimensione economica continentale che le ha consentito di divenire la più grande potenza commerciale del mondo.

Aspetti giuridico-istituzionali

Ai sensi dell’articolo 14, par. 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea (qui di seguito Trattato CE), «il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali è assicurata alle condizioni previste dal presente Trattato». Le nozioni di “mercato interno” e “mercato unico europeo” sono sostanzialmente simili fra loro. La prima è senza dubbio più corretta dal punto di vista giuridico perché figurante come tale nell’Atto unico e nei successivi Trattati. La seconda corrisponde a quella più comunemente utilizzata a livello sia istituzionale che mediatico. La nozione di “mercato comune” va intesa invece nella sua accezione angusta del passato, e cioè di un mercato unico che implica la soppressione di ogni forma di ostacolo (v. anche Unione doganale), ma che nondimeno conservi le frontiere doganali interne. Discende da detta definizione, nonché dagli orientamenti giurisprudenziali tracciati in materia dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (qui di seguito Corte di giustizia) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), che il mercato unico europeo va definito come un grande spazio economico che ha progressivamente integrato i mercati dei diversi Stati membri, e all’interno del quale le libertà fondamentali dell’Unione europea sono progressivamente assicurate mediante lo smantellamento delle frontiere interne; la soppressione degli ostacoli al libero esercizio delle libertà fondamentali; l’attuazione di politiche di accompagnamento; l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento.

L’elemento innovatore, diremmo “rivoluzionario”, che l’Atto unico ha introdotto nella nozione di “mercato interno” è rappresentato dallo smantellamento delle frontiere doganali esistenti tra gli Stati membri e, conseguentemente, dall’eliminazione delle servitù doganali, fiscali, amministrative e tecniche che esse comportavano. La soppressione delle frontiere interne non è stata dettata né da forme di idealismo legate alle apparenze, né dall’affermazione di principi astratti. Rispondeva a una doppia motivazione, d’ordine economico e politico. Da un canto, le frontiere costituivano un pesante fardello per l’industria e il commercio: comportavano formalità burocratiche (i formulari richiesti dalle dogane dei 15 Stati membri erano oltre 70) e oneri aggiuntivi (dovuti ad attese, controlli, analisi, ecc.) il cui costo complessivo fu stimato dal “Rapporto Cecchini” tra i 13 e i 24 miliardi di ECU.

D’altro canto, le frontiere doganali rappresentavano per il cittadino comunitario la manifestazione più eclatante delle nostre divisioni e il ricordo delle guerre fratricide del passato. La lettura delle denunce introdotte negli anni Settanta e Ottanta dai cittadini e dalle imprese della Comunità consente di rendersi conto dei controlli vessatori da questi subiti da parte dei doganieri nazionali. Queste considerazioni spiegano perché la realizzazione del Mercato unico non s’identificava, agli occhi dell’opinione pubblica, con l’adozione dei 300 atti normativi del Libro bianco, ma, soprattutto, con l’eliminazione delle frontiere interne e dei controlli che esse comportavano.

Detta soppressione, immediatamente operativa per quanto riguarda le merci, ha trovato il suo completamento con l’Accordo di Schengen predisposto il 14 giugno 1985 dai paesi del Benelux, dalla Francia e dalla Germania – ai quali si aggiungeranno negli anni successivi tutti i paesi della Comunità dei 15 a eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda –, accordo finalmente stipulato il 16 giugno 1990 con la firma della Convenzione d’applicazione di tale Accordo, convenzione (v. anche Convenzioni) che prevede l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne della Comunità per tutti i cittadini comunitari.

La “comunitarizzazione”, con il Trattato di Amsterdam, dell’Accordo “intergovernativo” di Schengen ha permesso di integrare nell’ordinamento giuridico dell’Unione questo importantissimo acquis, di assicurarne la tutela a livello comunitario, offrendo quindi ai cittadini europei uno spazio economico all’interno del quale è possibile circolare liberamente, come all’interno del territorio nazionale, consentendo così di cogliere un segno tangibile di appartenenza all’Europa riunificata (v. anche Libertà di circolazione e di soggiorno e diritto alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea).

La Libera circolazione delle merci consta di un complesso di norme che hanno per scopo quello di creare un unico mercato all’interno del quale le merci comunitarie devono circolare liberamente in condizioni analoghe a quelle esistenti su un mercato nazionale. In primo luogo, vi sono le norme del Trattato CE relative all’abolizione delle normative nazionali atte a ostacolare gli scambi intracomunitari, e cioè agli articoli 23 e seguenti che prevedono il divieto dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente, gli articoli 28, 29 e 30 che sanciscono il divieto delle restrizioni quantitative e delle misure d’effetto equivalente, l’articolo 31 che afferma il divieto dei diritti di esclusiva in materia di importazione ed esportazione e prevede il riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale, e gli articoli 90 e 91 che sanciscono il divieto delle discriminazioni fiscali.

In secondo luogo, vi sono misure di trasparenza in materia di prevenzione degli ostacoli agli scambi e alle procedure di controllo ex post previste rispettivamente dalla direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, che impone agli Stati membri l’obbligo di notificare alla Commissione, per un esame previo di Diritto comunitario, i progetti di regolamentazioni tecniche che essi si propongono di adottare, e dalla Decisione 3052/95/CE del 13 dicembre 1995, che impone agli Stati membri di notificare alla Commissione, per un esame ex post di conformità con il diritto comunitario, le misure nazionali che derogano al principio di libera circolazione delle merci all’interno della Comunità, adottate dagli Stati membri per motivi di interesse generale quali la salute pubblica, la sicurezza pubblica, ecc.

La libera circolazione dei lavoratori è disciplinata dagli articoli 12 e da 39 a 42 del Trattato CE, nonché da una vasta regolamentazione comune il cui asse portante si situa nel regolamento 1612/68 del 15 ottobre 1968 quale modificato dalla direttiva 2004/ 38 del 29 aprile 2004, entrata in applicazione il 30 aprile 2006 (“Gazzetta ufficiale delle Comunità europee” L 158 del 30 aprile 2004). Questa libertà garantisce a ogni lavoratore salariato della Comunità il diritto di svolgere la propria attività economica in qualsiasi Stato membro, di soggiornarvi e di beneficiare, con i membri della sua famiglia, delle stesse condizioni di vita e di lavoro e degli stessi vantaggi sociali e fiscali di cui godono i lavoratori nazionali.

Il diritto di Libertà di stabilimento (articoli 12 e da 43 a 48 del Trattato CE) garantisce a ogni cittadino comunitario la libertà di stabilirsi nello Stato membro di proprio gradimento, di svolgervi un’attività economica indipendente alle stesse condizioni previste per i cittadini nazionali e di soggiornarvi con i membri della propria famiglia. L’attività economica di cui trattasi deve comportare un’istallazione materiale durevole che può prendere sia la forma di un trasferimento completo dell’intera attività produttiva (si ha in tal caso la cosiddetta “istallazione a titolo principale”) sia la creazione di filiali, succursali o agenzie (si ha in tal caso una “istallazione a titolo secondario”). Il diritto di stabilimento è esteso alle società che, ai sensi del diritto civile e commerciale di ogni Stato membro, sono come tali configurate. Perché possa beneficiare del diritto di stabilimento una società deve rispondere ai tre seguenti requisiti: essere costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro, essere localizzata nella Comunità, avere cioè la propria sede statutaria oppure la sede centrale o il principale stabilimento sul territorio di quest’ultima, e perseguire uno scopo di lucro.

Per quanto riguarda in particolare le libere professioni, va ricordato che la direttiva sulle qualifiche professionali, adottata dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento europeo il 7 settembre 2005 (GUCE L 255 del 30 settembre 2005), codifica la vasta normativa preesistente in materia di libero esercizio delle attività professionali e reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, arricchendola di principi giurisprudenziali particolarmente innovativi. Questa direttiva costituisce pertanto una pietra miliare nel campo del diritto di stabilimento.

Disciplinata dagli articoli 12 e da 49 a 55 del Trattato CE, la libera prestazione dei servizi contempla le attività economiche non salariate, prestate a titolo occasionale e attraverso le frontiere intracomunitarie. La libera prestazione dei servizi contempla quattro ipotesi di prestazioni transfrontaliere di servizi: spostamento del prestatore dell’attività; spostamento del destinatario dell’attività; spostamento sia del destinatario che del prestatore dell’attività; spostamento della prestazione.

L’articolo 56 del Trattato prescrive il divieto di tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e dei pagamenti fra Stati membri, nonché fra Stati membri e paesi terzi. La prima fase di liberalizzazione dei capitali (Libera circolazione dei capitali), attuata nel 1960 e nel 1962, ha consentito di abolire le restrizioni relative alle operazioni in capitali direttamente collegate con l’esercizio delle altre libertà fondamentali (investimenti diretti, garanzie e crediti commerciali, movimenti di capitali a carattere personale, acquisti di titoli negoziati in borsa, ecc.). Il 24 giugno 1988, la Comunità ha adottato una Direttiva (entrata in vigore il 1° luglio 1990) che liberalizza tutti gli altri movimenti di capitali (operazioni monetarie a breve termine, operazioni di deposito, conti correnti, prestiti finanziari, crediti, ecc.) completando in tal modo l’azione avviata nel 1960 e 1962 e proseguita nel 1986 con una direttiva che aveva liberalizzato i prestiti a lungo termine, i valori non quotati in borsa e l’emissione di titoli esteri.

I Trattati di Roma del 1958, istitutivi della Comunità economica europea, avevano ignorato il cittadino in quanto tale e cioè spoglio della sua qualità di homo oeconomicus. Una forte presa di coscienza di questa sorta di “peccato originale” dell’Europa comunitaria dava avvio alla “lunga marcia” del cittadino europeo verso la conquista di diritti e libertà che gli consentono oggi di partecipare pienamente al processo di integrazione del nostro continente. È stata la Corte di giustizia ad avviare questa “lunga marcia” affermando i primi diritti del “cittadino europeo”. Tre direttive adottate dal Consiglio il 28 giugno 1990 e, successivamente, il Trattato di Maastricht del 1992, hanno consentito al cittadino europeo di beneficiare, tra l’altro, della Cittadinanza europea, della libertà di circolazione e di soggiorno in tutti i paesi dell’Unione europea, del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui il cittadino risiede nonché, alle stesse condizioni, del diritto di voto e di eleggibilità alle Elezioni dirette del Parlamento europeo. Grazie alla precitata direttiva 2004/38, il cittadino europeo ha concluso la sua “lunga marcia”, acquisendo il diritto di circolare senza restrizioni nei paesi dell’Unione europea, di soggiornarvi liberamente, di beneficiarvi dello stesso trattamento accordato ai cittadini dello Stato ospitante insieme ai membri della sua famiglia (tra i quali figura anche il partner riconosciuto).

Il Mercato unico europeo si è arricchito, lungo il suo progressivo completamento, di nuove “dimensioni”, nella consapevolezza che sarebbe illusorio realizzare uno spazio economico unificato senza tutta una gamma di cosiddette “politiche di accompagnamento”, necessarie ad un suo ordinato funzionamento. Si tratta di politiche miranti a raggiungere obiettivi degni di tutela a livello comunitario quali, ad esempio, la protezione della salute pubblica (v. Politica della salute pubblica), della sicurezza pubblica, del patrimonio artistico nazionale, dell’ambiente (v. Politica ambientale), del consumatore (v. politica dei consumatori), della lealtà dei negozi commerciali, ecc. La maggior parte di queste politiche sono espressamente contemplate dal Trattato CE con specifiche norme previste per la loro attuazione.

L’articolo 3 lettera h del Trattato CE prevede inoltre una specifica politica di carattere generale, la politica di Armonizzazione delle legislazioni nazionali (v. Ravvicinamento delle legislazioni), quale strumento per realizzare gli obiettivi contemplati dall’articolo 2 dello stesso Trattato, nella misura in cui detta politica sia necessaria al buon funzionamento del mercato interno.

Questa politica, fondata sugli articoli 94 e 95 del Trattato CE, ha per oggetto l’eliminazione degli ostacoli al libero esercizio delle libertà fondamentali di cui sopra, che non possono essere soppressi sulla base delle norme del Trattato relative a dette libertà. Si pensi ad esempio a ostacoli la cui introduzione o il cui mantenimento siano giustificati da ragioni di tutela della salute pubblica, della sicurezza pubblica, dell’ambiente, del consumatore, ecc.

Ravvicinando tra loro, senza quindi uniformizzarle, le normative nazionali che provocano tali ostacoli, la politica di armonizzazione assicura un ordinato funzionamento del Mercato unico europeo, garantendo nel contempo un livello elevato di tutela delle esigenze imperative (salute pubblica, ambiente, ecc.) di cui si è detto.

Una percentuale preponderante dei 300 atti normativi previsti dal Libro bianco sul Mercato unico europeo sono stati adottati sulla base dell’articolo 95 del Trattato CE relativo alla politica di armonizzazione delle legislazioni nazionali, articolo introdotto a tale scopo dall’Atto unico europeo, il cui primo paragrafo prevede il voto a maggioranza qualificata, grazie al quale è stato possibile adottare un numero così ragguardevole di “leggi europee” (v. anche Diritto comunitario).

Il principio del mutuo riconoscimento derivante dalla giurisprudenza Cassis de Dijon costituisce il punto di riferimento costante dell’azione svolta a livello comunitario sia nell’ambito della soppressione e prevenzione degli ostacoli agli scambi, che in quello del completamento del mercato interno in generale.

Per quanto riguarda la libera circolazione delle merci, tale principio comporta l’accettazione, da parte di ciascuno Stato membro, dei prodotti legalmente fabbricati in ogni altro Stato membro, anche se fabbricati secondo specifiche tecniche diverse, sempre che tali prodotti soddisfino in modo adeguato l’obiettivo legittimo perseguito dalla regolamentazione dello Stato importatore. Inoltre, nella sentenza Foie gras del 22 ottobre 1998, la Corte di giustizia ha stabilito che gli Stati membri hanno l’obbligo di inserire in ogni normativa commerciale nazionale una clausola di mutuo riconoscimento dei prodotti legalmente fabbricati negli altri Stati membri.

In materia di diritto di stabilimento e di Libera circolazione dei servizi, la Corte ha delineato principi altrettanto progressisti: lo Stato membro ospitante deve riconoscere le capacità professionali e tecniche, le conoscenze nonché i titoli e gli altri certificati di cui dispongono i cittadini di altri Stati membri, nella misura in cui tali qualifiche consentano di svolgere un’attività economica con garanzie equivalenti a quelle richieste a livello nazionale.

L’affermazione e l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento hanno consentito di abbandonare la concezione uniformizzatrice imperante in passato, quella di uno “Stato-provvidenza” con pretese interventiste. Il principio del mutuo riconoscimento ha tradotto in termini operativi i valori intrinseci della sussidiarietà (v. Principio di sussidiarietà), inducendo le istanze responsabili, nazionali e comunitarie, a revisionare le proprie politiche e strategie e ad avviare così un profondo cambiamento operativo.

La concezione di una Unione europea legiferante a oltranza è stata perciò abbandonata sin dagli anni Ottanta a vantaggio di una Comunità che intende preservare le identità, le specificità, le tradizioni nazionali, regionali e locali, un patrimonio europeo inestimabile che secoli di storia ci hanno lasciato in eredità.

Alfonso Mattera (2008)




MERCOSUR

Mercato comune del Sud (MERCOSUR)