Rabier, Jacques-René

R. (Parigi 1919) tra il 1937 ed il 1940 compie studi di economia e diritto all’università e allo stesso tempo frequenta l’École libre des Sciences politiques. Nel maggio del 1940 entra alla scuola di cavalleria di Saumur e, poche settimane dopo, tra il 18 e il 20 giugno, combatte sulle rive della Loira contro i tedeschi. Nel 1943 torna a Parigi per riprendere gli studi interrotti di diritto pubblico ed economia. In questo periodo studia sotto la direzione dell’economista François Perroux. Dopo la Liberazione entra al ministero dell’Economia nazionale.

Nel 1945, volendo contribuire alla ricostruzione e alla modernizzazione economica della Francia e convinto della necessità di dare un orientamento globale all’economia, R. chiede di poter lavorare nell’amministrazione del Commissariato alla Pianificazione che alla fine di quell’anno Jean Monnet propone al governo presieduto da Charles de Gaulle. Il 3 gennaio 1946 è creato il Commissariat général du Plan de modernisation et d’équipement, posto sotto l’autorità diretta del presidente del governo. Questo organismo gioca nei fatti un ruolo molto importante nell’elaborazione della pianificazione francese. R., presentato al vicecommissario Robert Marjolin, entra come “chargé de mission” nella divisione economica del Commissariato. Alla fine dell’anno Monnet lo chiama a dirigere il suo gabinetto in sostituzione di Félix Gaillard, che si accinge a presentarsi come candidato alle elezioni legislative.

Fino al 1952 il giovane R. accompagna alle riunioni Monnet e ne prepara i discorsi. È il periodo in cui frequenta “Esprit”, la rivista di Emmanuel Mounier, dalla cui filosofia personalista egli è particolarmente influenzato; dal 1945 R. fa parte della redazione. Negli anni del dopoguerra “Esprit”, che pure non ha un orientamento europeista, costituisce uno dei primi ponti intellettuali tra francesi e tedeschi. R., inoltre, milita nel gruppo La Vie nouvelle, movimento non confessionale creato da cattolici con l’obiettivo di fornire una formazione negli ambiti economico-sociale, culturale, politico, frequentato anche da Jacques Delors. Dopo la partenza da Parigi (1953), R. lascia la redazione di “Esprit”, pur mantenendo i contatti con gli intellettuali della rivista, e milita nei gruppi Esprite Vie nouvelle in Lussemburgo e a Bruxelles, dai quali però si distacca ritenendo incompatibile tale impegno con la carica di responsabile dell’informazione europea.

Nell’estate del 1952, quando Monnet si trasferisce in Lussemburgo per presiedere l’Alta autorità della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), egli propone a R. di far parte della sua équipe lussemburghese. In un primo momento R. rifiuta, ma nel gennaio del 1953 raggiunge l’amministrazione dell’Alta autorità, dove è prima chargé de mission, poi direttore di gabinetto del suo presidente. È incaricato di stilare rapporti mensili e rapporti annuali sull’attività dell’Alta autorità, di informare gli altri organismi della CECA e più in generale di curare i rapporti con la stampa, che Monnet ritiene debba essere costantemente informata. L’attività di informazione di R. si specializza progressivamente, sviluppando anche una sezione di informazione sindacale per tenere costantemente al corrente gli ambienti sindacali. R. è, dunque, tra coloro che creano e ampliano il servizio stampa e informazione della CECA. Negli anni della permanenza di Monnet all’Alta autorità R. lavora a stretto contatto con Max Kohnstamm, segretario dell’Autorità.

Dopo le dimissioni di Monnet dall’incarico di presidente dell’Alta autorità della CECA, nel giugno del 1955 R. diventa il capo di gabinetto del suo successore, il francese René Mayer. Dal 1958 R. è a capo del Servizio informazione dell’Alta autorità della CECA, dal 1960 del Servizio informazione comune ai tre Esecutivi delle Comunità europee e, infine, direttore generale dell’Informazione della Commissione europea dopo la fusione dei tre esecutivi. Con l’unificazione del Servizio informazione delle tre Comunità e con la distinzione tra questo e i portavoce degli esecutivi l’azione del Servizio di R. si concentra sulla strategia generale d’informazione, si specializza e si estende agli ambienti agricoli, a quelli universitari, ai giornali per il pubblico femminile e per i giovani.

In quegli anni R. sostiene la necessità di elaborare progressivamente una «politica comunitaria dell’informazione, sia per gli europei stessi sia per far conoscere e, se possibile, apprezzare, la Comunità all’esterno» (v. Rabier, 1966, p. 61). A suo parere l’informazione sull’Europa non si deve limitare alla diffusione di “notizie”, ma implica l’affermazione e la circolazione di valori europeisti e, se possibile, personalisti, e l’uso di simboli per veicolarli. In attesa che i governi degli Stati membri si facciano carico di questa necessità, egli ritiene che le Istituzioni comunitarie debbano sforzarsi di agire come supplenti in vista di due obiettivi: nell’immediato, far conoscere le proprie attività all’interno e all’esterno dei sei paesi membri; sul lungo termine, «risvegliare nei cittadini dei sei paesi un nuovo modo di pensare e agire, una coscienza europea, grazie alla quale i popoli di questi Stati potranno esercitare in modo sempre più efficace le loro responsabilità democratiche» (ivi, p. 62).

Nel 1973 R. è consigliere speciale della Commissione europea con l’incarico degli studi d’opinione pubblica, ruolo che ricopre per tredici anni. R. è da tempo studioso dei problemi di psicologia sociale e conoscitore delle tecniche d’inchiesta americane che ha studiato nell’Università del Michigan, nonché amico di Jean Stoetzel, creatore dell’Institut français d’opinion publique. In risposta alla sollecitazione dell’Assemblea della Comunità, da tempo interessata a conoscere le opinioni dei cittadini europei, nel 1973 R. crea l’“Eurobarometro”, ossia un sistema di monitoraggio dell’evoluzione dell’opinione pubblica tramite sondaggi. La creazione di R. dà continuità a sondaggi già tentati dalle istituzioni europee in precedenza, una prima volta nel 1962 e poi agli inizi degli anni Settanta. Egli collabora strettamente con Stoetzel e con Ronald Inglehart, ricercatore americano specialista della scienza politica quantitativa.

I sondaggi sono svolti ogni sei mesi in ogni paese della Comunità da istituti selezionati tramite gara d’appalto e sono coordinati da un istituto centrale. I risultati sono poi presentati in conferenza stampa dallo stesso R. e messi a disposizione del pubblico (in particolare giornalisti, ricercatori, parlamentari). L’obiettivo dell’Eurobarometro è quello di fornire alle istituzioni comunitarie e nazionali e agli organi di informazione di ogni paese membro della Comunità una panoramica quanto più precisa possibile degli atteggiamenti degli europei nei confronti del processo di integrazione europea e dei suoi diversi aspetti (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Sul lungo periodo R. ritiene che l’Eurobarometro sia un valido strumento di formazione di un’opinione pubblica europea.

Nel gennaio del 1987 lascia il ruolo di Consigliere speciale della Commissione europea ed è incaricato di una ricerca sugli atteggiamenti e i comportamenti del pubblico nell’ambito del programma “L’Europa contro il cancro”, della quale si occupa per cinque anni.

Dopo la fine della sua carriera professionale, R. consacra il proprio tempo ad attività in alcune organizzazioni non governative; è vicepresidente del gruppo di ricerca sull’integrazione europea dell’Association mondiale de Sciences politiques, è vicepresidente di “De l’Europe à l’Europe. Mythes, symboles”, associazione che si occupa della ricerca sui simboli dell’Europa. È membro del Forum permanente della società civile europea.

Lucia Bonfreschi (2012)




Raccomandazione

La raccomandazione è uno degli atti delle Istituzioni comunitarie che non hanno efficacia vincolante, a eccezione di quanto previsto all’art. 14 del Trattato CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) (v. Trattato di Parigi), dove la raccomandazione è un atto vincolante considerato nella prassi al pari della direttiva prevista dal Trattato CE (Comunità europea) (v. Comunità economica europea; Trattati di Roma), in quanto comporta un obbligo negli scopi che prescrive pur lasciando ai destinatari la scelta dei mezzi atti a conseguirli. Il Trattato sull’Unione europea (UE) (v. Trattato di Maastricht), invece, all’ art. 189 indica due tipologie di atti non vincolanti: la raccomandazione e il Parere.

Pur non essendo netta la distinzione tra i due tipi di atti, in realtà i pareri sono comunemente emanati da un’istituzione e rivolti al destinatario, che può essere un’altra istituzione, uno Stato membro o privati cittadini, al fine di valutare determinate circostanze o far conoscere il proprio punto di vista in ordine a una specifica questione. Si tratta quindi della manifestazione di un’opinione o di un orientamento, soprattutto di natura tecnica, volti spesso alla preparazione di ulteriori atti giuridici. Le raccomandazioni, invece, hanno carattere più incisivo: esse sono rivolte di solito da un’istituzione agli Stati membri, ma anche, se pure raramente, alle altre istituzioni comunitarie o a soggetti di diritto interno, ed esprimono un invito o un’esortazione a tenere un certo comportamento suggerito, senza tuttavia porre alcun obbligo di risultato. Le raccomandazioni, che non sono sottoposte ad alcuna forma particolare, possono essere emanate dal Consiglio dei ministri e dalla Commissione europea alle condizioni contemplate dal Trattato (v. anche Trattati). Di questo strumento, in realtà, si avvale di frequente la Commissione, alla quale l’art. 155 attribuisce un potere generale di formulare raccomandazioni sia quando il Trattato lo prevede esplicitamente, sia quando la Commissione stessa lo ritenga necessario per puntualizzare la propria posizione in merito agli sviluppi futuri della propria azione.

Nello specifico, la raccomandazione ha il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere una determinata condotta perché giudicata più rispondente agli interessi comuni. Per questo motivo l’efficacia non vincolante delle raccomandazioni non implica necessariamente che esse siano totalmente sprovviste di effetto giuridico: essendo atti non soggetti normalmente a controllo giurisdizionale di legittimità essi non potrebbero, in via di principio, formare oggetto di interpretazione pregiudiziale, né la loro inosservanza può portare a un ricorso per infrazione o inadempimento contro il destinatario che non vi si è conformato. Tuttavia la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) si è riconosciuta competente a pronunciarsi sulla loro interpretazione e ha posto in evidenza come le raccomandazioni non possono essere considerate del tutto prive di conseguenze giuridiche, almeno indirette.

I settori in cui i Trattati prevedono esplicitamente l’impiego della raccomandazione non sono molti: si tratta della Libera circolazione delle merci e della Libera circolazione dei capitali, la libera prestazione di servizi, la. Politica comune dei trasporti della CE, la Politica commerciale comune, le politiche economica e monetaria (v. Unione economica e monetaria). Ma la raccomandazione viene di frequente utilizzata in settori particolarmente caratterizzati dalla collaborazione tra la Commissione e gli Stati membri, quali la Politica sociale e la Politica europea di concorrenza, le procedure di Infrazione al diritto dell’Unione europea, il Ravvicinamento delle legislazioni. In altri casi si ricorre alla raccomandazione là dove una particolare situazione renda difficile o prematura l’emanazione di norme comuni: non ritenendosi ancora mature le condizioni per fare ricorso ad atti quali la Direttiva, si ricorre quindi alla raccomandazione. La Corte ha anche affermato che i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni per la soluzione delle controversie loro sottoposte e per procedere all’interpretazione degli altri atti vincolanti emanati dalle istituzioni comunitarie e delle norme nazionali. Anche la dottrina ha evidenziato come le raccomandazioni producano sia un effetto di liceità, nel senso che è da considerarsi pienamente lecito un atto, di per sé illecito, posto in essere per rispettare una raccomandazione di un’istituzione, sia una sorta di obbligo generale di cooperazione. Le raccomandazioni, infatti, stimolando i destinatari ad agire in una determinata direzione o ad astenersi da comportamenti contrastanti con l’interesse generale della Comunità, creano una forte aspettativa che i destinatari facciano il possibile per conformarsi all’impegno morale che ne deriva.

Roberto Santaniello (2008)




Radio e Televisione nazionale lituana

La Radio e Televisione nazionale lituana (Lietuvos nacionalinis Raijas ir Televizija), o LRT, è una società pubblica no-profit per la diffusione di programmi. La LRT opera con due reti televisive nazionali, due programmi radiofonici nazionali e ha fornito regolari servizi (radiofonici fin dal 1926 e televisivi dal 1957). A partire dal 1993 la LRT è membro dell’Unione radiotelevisiva europea. Poiché sia la Radio lituana (Canale 1) sia la Televisione lituana (Canale 1) costituiscono le due divisioni principali dello stesso ente radio-televisivo pubblico (la LRT riceve il 75% circa dei suoi fondi dal governo lituano), e lavorano congiuntamente per lo sviluppo della consapevolezza del pubblico circa l’integrazione nella Unione europea (UE), esse vengono menzionate in un’unica voce.

Risultò naturale da parte della LRT, come emittente nazionale, assumere la funzione di uno dei principali promotori del processo di integrazione europea. Essa trasmise una serie di programmi focalizzati sull’adesione della Lituania all’UE, specialmente nel corso di questi ultimi anni, prima che il paese divenisse membro dell’Unione europea, nel 2004.

I programmi

Uno dei programmi, intitolato Tarp Rytų ir Vakarų (“Tra l’Est e l’Ovest”), era destinato a tutte le fasce di pubblico interessate all’integrazione UE, che approvavano o disapprovavano i tentativi della Lituania di far parte dell’Unione europea. Lo scopo principale del programma era quello di fornire un’immagine chiara e obiettiva di ciò che avveniva nell’Unione europea e discutere i problemi relativi all’integrazione della Lituania nella UE. Ogni puntata, trasmessa dalla Radio nazionale lituana, ogni lunedì alle 11:05 del mattino, ospitava diversi esperti di questioni europee, pronti a rispondere alle domande, anche le più difficili, poste dagli ascoltatori “in diretta”.

Le questioni economiche relative all’integrazione nell’UE venivano trattate in un altro programma d’opinione, Litas prie Lito, in onda il giovedì pomeriggio alle 16:05 e in replica lo stesso giorno alle 20:20. Tra le questioni discusse vi erano l’impatto dei requisiti UE e le decisioni del governo nazionale su affari, società e privati cittadini, le prospettive per l’economia nazionale e il tenore di vita dei cittadini a seguito dell’adesione all’UE, l’impatto dell’adesione sui prezzi, sui salari e sulle tasse.

Ryto garsai (“I suoni del mattino”), uno dei più popolari programmi mattutini della Radio nazionale Lituana, ascoltato da un terzo della popolazione, conteneva una rubrica speciale, Labas Rytas Europa (“Buongiorno Europa”), trasmessa alle 9:05 del mattino.

Prima del referendum sull’ingresso della Lituania nell’Unione europea, la LRT produsse una quantità di programmi destinati ad aumentare la consapevolezza del pubblico e a incoraggiare i cittadini a votare al referendum.

Uno dei programmi, Būkime Europiečiai (“Diventiamo europei”) fu trasmesso dalla Radio nazionale lituana a intervalli di pochi giorni dal marzo al maggio 2003. Tra gli argomenti trattati: la sovranità dello Stato dopo l’adesione della Lituania all’Unione europea, i problemi rurali e agricoli, le conseguenze del Trattato di adesione per la Lituania, la democrazia, l’Unione europea, e la Lituania, il futuro della nazione, della lingua e della cultura lituani dopo l’adesione, nonché confronti di opinioni tra favorevoli e contrari all’adesione.

Al referendum UE fu anche dedicata una serie di programmi del longevo talk show della LRT, Paskutinė Kryžkelė (“L’Ultimo crocevia”), trasmesso il lunedì sera alle 21 cui prendevano parte molti politici, sia europessimisti, sia euro ottimisti, per mantenere acceso il dibattito.

Una serie di programmi speciali, dedicati all’ingresso nell’UE e al referendum UE, prodotti dal popolare talk show della LRT Spaudos Klubas (“Circolo della Stampa”), mandati in onda per la prima volta nel 1998, venne votato come migliore talk show del 1999 e ospitò famosi politici quali Václav Havel, Romano Prodi, J. Primakov, A. Kvasnievsky e altri. Ai programmi partecipavano di solito politici di differenti opinioni per assicurare una discussione interessante e per dare agli spettatori l’opportunità di ascoltare vari punti di vista sull’argomento.

Infine, il 24 aprile 2003, il programma della LRT Prašau Žodžio (“Per favore, posso avere la parola”) ospitò il presidente del Parlamento studentesco lituano che parlò del referendum UE organizzato dal parlamento degli studenti insieme al Centro per le iniziative civiche, al ministro dell’Educazione e della Scienza, e dal Sindacato degli studenti lituani. Scopo del referendum era di aiutare gli studenti lituani a sviluppare un’opinione obiettiva sull’Unione europea e a esprimere la loro volontà circa questa questione strategica per la Lituania. Inoltre si sperava che questo referendum avrebbe favorito dibattiti, sulle questioni relative alla UE, nelle famiglie degli studenti e, di conseguenza, aumentato il numero dei cittadini votanti nel referendum del 10-11 maggio 2003.

Jolanta Stankevičiūtė (2006)




Rafael Calvo Serer




Raimundo Bassols




Ralf Gustav Dahrendorf




Rallis, Georgios

R. (Atene 1918-Corfu 2005) discendeva da una famiglia con un notevole passato politico. Entrambi i nonni, Dimitrios Rallis e Georgios Theotokis e suo zio, Ioannis Theotokis, erano stati primi ministri e il padre, Ioannis Rallis, era stato il terzo primo ministro collaborazionista (1943-1944) della Grecia durante l’occupazione tedesca. Questa sarebbe stata una questione delicata che R., tuttavia, avrebbe sempre affrontato con dignità. Nonostante i loro passati disaccordi, quando il padre fu giudicato traditore dopo la liberazione ne prese le difese. Nel 1946, dopo la morte del padre in prigione, cercò di spiegarne le scelte in uno scritto apologetico che uscì subito dopo. Prestò servizio come soldato dell’esercito greco durante la guerra greco-italiana del 1940-1941 e nuovamente in seguito durante la guerra civile. Durante l’occupazione dell’Asse esercitò la sua professione ad Atene.

La carriera politica di R. ebbe inizio nel 1950 con l’elezione come deputato nel Parlamento greco. Da allora in poi venne eletto regolarmente e fu ministro nei governi postbellici della destra greca. Come ministro della Presidenza del governo di Field-Marshal Papagos (1954-1956), fu il primo a gettare le basi del programma per lo sviluppo del turismo in Grecia. Fu anche ministro dei Trasporti e delle Opere pubbliche (1956-1958), negoziò la creazione della compagnia aerea Olympic airways con Aristotelis Onassis, e fu ministro degli Affari interni (1961-1963) nei governi di Konstantinos Karamanlis. In qualità di ministro dell’Ordine pubblico nel governo di Panagiotis Kanellopoulos (1967), cercò invano di mobilitare l’esercito contro il colpo di Stato dei colonnelli.

Durante la dittatura (1967-1974) fu posto agli arresti domiciliari e in seguito arrestato e deportato. Quando venne liberato continuò a esprimere apertamente la sua opposizione al regime, soprattutto come direttore della rivista “Politika Themata”.

Alla caduta della dittatura divenne ministro nei governi di Konstantinos Karamanlis. Tra il 1974 e il 1980 assunse le cariche di ministro della Presidenza del Consiglio (1974-1976), poi dell’Istruzione (1976-1977), del Coordinamento (1977-1978) e degli Affari esteri (1978-1980). Come ministro dell’Istruzione, sovrintese alla riforma con cui si raggiunse un obiettivo di lunga portata: la lingua ufficiale delle scuole e dell’amministrazione sarebbe stata da quel momento in poi il demotiki, il greco parlato, e non più il formale e antiquato katharevousa. Come ministro degli Affari esteri si impegnò a favore del grande progetto europeo di Karamanlis e negoziò efficacemente le condizioni di adesione alla Comunità economica europea (CEE) della Grecia. R. credeva fermamente nella necessità da parte della Grecia di partecipare al processo d’integrazione europea, come mezzo anche per consolidare la democrazia nel paese (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Quando Karamanlis si ritirò, gli succedette come leader del partito Nea Dimokratia nonché come primo ministro fino al 1981. Durante il suo mandato, la Grecia riaffrontò le questioni militari dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), dalla quale il paese si era ritirato dopo l’invasione militare turca di Cipro nel 1974 e la divisione dell’isola.

Dopo la schiacciante vittoria dei socialisti di Andreas Papandreu alle elezioni del 1981, R. perse la leadership del partito. Fu soprattutto durante la leadership di Konstantinos Mitsotakis (1984-1993), politico liberale di centro, che R., proveniente dalla destra tradizionale e stretto collaboratore di Karamanlis, si ritrovò emarginato. Tuttavia, in caso di profonde divergenze, non si rese mai disponibile al compromesso. Già in passato, tra il 1958 e il 1961, non prese parte all’attività politica a causa di un dissenso con Karamanlis. Sospese inoltre temporaneamente la sua partecipazione alla direzione del partito per un breve periodo nel 1989. Nel 1993 si dimise dalla carica di deputato per un forte disaccordo sulla gestione, a suo avviso irresponsabile, delle relazioni bilaterali della Grecia con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Da allora in poi abbandonò l’attività politica.

Sofia Papastamkou (2012)




Ramadier, Paul

R. (La Rochelle 1888-Rodez 1961), avvocato, laureato in legge, appartiene a una famiglia di notabili cattolici del Gévaudan. Massone, militante socialista dal 1904 e attivo nel Mouvement coopératif international, il suo feudo elettorale è il bacino carbonifero di Aubin-Decazeville. Nel 1919 è eletto sindaco di Decazeville, nel 1928 è deputato; esercita queste funzioni fino al 1940, ma nel 1933 lascia la Section française de l’Internationale socialiste (SFIO) con i neosocialisti. Fra giugno 1936 e aprile 1938 si susseguono responsabilità ministeriali: come esperto in questioni energetiche è sottosegretario di Stato all’energia nel governo Blum nel giugno 1936; riorganizza il mercato carbonifero e dà un forte impulso allo sviluppo delle altre fonti di energia. Il 10 luglio 1940 rifiuta di votare i pieni poteri al maresciallo Pétain. Nell’aprile 1941 è destituito dalle funzioni di sindaco; solo dopo la Liberazione recupera tutti i suoi mandati e aderisce nuovamente alla SFIO. Tra settembre 1944 e maggio 1945 è ministro per gli Approvvigionamenti del governo guidato da Charles de Gaulle, nel 1946 è relatore del progetto di nazionalizzazione del gas e dell’elettricità.

Nel 1947, nel contesto del Piano Marshall e dell’inizio della Guerra fredda, R., all’epoca primo presidente del Consiglio della IV Repubblica, comincia a manifestare le sue convinzioni europeiste. Fino all’estate del 1947 concepisce un’Europa che includa l’URSS ed è favorevole all’apertura a Est del Piano Marshall, rifiutando l’allineamento sulla politica del contenimento voluta dagli americani. I limiti internazionali e la situazione interna della Francia modificano la sua concezione dell’Europa, che limita gradualmente all’area occidentale (v. Bossuat, 1990). Alla delusione segue la speranza: come frutto delle contingenze storiche l’Europa diventa un orizzonte nuovo, il solo che consenta di uscire dal marasma economico e di assicurare la pace. Presentata come una garanzia di indipendenza, gli permette di giustificare l’adesione al Piano Marshall. Da allora R. difende l’idea di un’Europa che sia la terza forza internazionale fra le due grandi potenze, il fattore di equilibrio che il fallimento dell’ONU rende indispensabile.

Vicepresidente del Conseil français pour l’Europe unie, R. afferma concretamente il suo ruolo nella costruzione europea quando, nel maggio 1948, presiede la commissione politica del Congresso dell’Aia, contro la volontà della SFIO (v. Guillen, 1990). Nel suo rapporto sul progetto di risoluzione pone alcune condizioni all’unione, urgente, dell’Europa: giudicando indispensabile la partecipazione del Regno Unito e sostenendo una politica della porta aperta nei confronti dell’Est europeo, R. sottolinea tuttavia la necessità per i suoi membri di rispondere ai criteri della democrazia politica e sociale, di elaborare una carta europea dei Diritti dell’uomo che includa quelli dei lavoratori e di assicurare lo sviluppo dei paesi d’oltremare. In merito alle istituzioni, ai due eccessi rappresentati ai suoi occhi dal rifiuto di qualsiasi delega della sovranità, da una parte, e dal Federalismo assimilato a “una sorta di colpo di Stato internazionale”, dall’altra, R. oppone la creazione di un’autorità sovranazionale dalle competenze ben definite che prenda le decisioni a maggioranza. Infine si pronuncia a favore della costituzione di un’assemblea europea eletta dai Parlamenti nazionali, consultiva e non legislativa, organo della “voce popolare”, capace di dare impulso alla costruzione europea e di superare le resistenze, giudicate legittime, dei governi.

R., nominato presidente della Commissione istituzionale del Movimento europeo, è al centro dei dibattiti che portano alla nascita del Consiglio d’Europa e nel contempo è un presidente molto attivo del gruppo parlamentare internazionale del Movimento europeo fino al 1951. Il ritorno alle responsabilità ministeriali, in particolare alla Difesa, dal settembre 1948 al novembre 1949 nel governo Queuille, lo porta a partecipare ai negoziati del Patto atlantico, che approva pur insistendo sulla necessità di mantenere il Patto di Bruxelles, presentato come «il principio della creazione di un’unità storica»: nell’ottobre 1949 chiede ai governi una dichiarazione sul mantenimento dei suoi principi essenziali (v. Du Réau, 1990).

L’atteggiamento di R., dal Piano Schuman del maggio 1950 ai Trattati di Roma, presenta due costanti: l’insistenza sulla partecipazione della Gran Bretagna, giudicata indispensabile per equilibrare la potenza della Germania, e le riserve espresse in merito alla sovranazionalità, considerata brutale e irrealistica. Ritenendo impossibile ignorare l’esistenza delle nazioni, R. adotta una «concezione federalista graduale» (v. Gégot, 1990, p. 80). Considera il Piano Schuman «un gesto di portata storica», ma il 26 luglio 1950 comunica all’Assemblea nazionale le sue riserve sul testo in discussione: critica il carattere non democratico dell’Alta autorità, composta di tecnocrati e in pratica priva di responsabilità, mentre manifesta i timori del mondo minerario e siderurgico, si preoccupa delle disparità strutturali tra Francia e Germania e delle conseguenze economiche e sociali di una concorrenza che l’industria francese non è in grado di sostenere. Quindi chiede protezioni e un’integrazione a tappe, per lasciare alle industrie il tempo di adeguarsi. Pur moltiplicando i moniti, riconosce all’atto della ratifica che il progetto primitivo è stato migliorato e, malgrado “le vive preoccupazioni”, finisce per aderirvi.

R. adotta un atteggiamento analogo nei confronti della Comunità europea di difesa (CED). Opponendosi alla ricostituzione di un esercito tedesco, sottolinea il rischio di un’egemonia tedesca all’interno dell’esercito europeo. L’esigenza di contenere la Germania rende necessario dotare l’esercito europeo di un’autorità politica. Quindi accoglie con favore il progetto di comunità politica, per coordinare il “mosaico” delle integrazioni settoriali, ma la cui costituzione, pur ineluttabile, non dev’essere precipitosa. Alla fine R. si associa alla decisione dell’Ufficio esecutivo internazionale del Movimento europeo: rifiutare il trattato metterebbe in pericolo l’idea europea. Quindi è meglio adottarlo e lavorare in seguito per migliorarlo.

Le riserve di R. sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e la CED non passano inosservate: nel 1955 la sua candidatura alla successione a Jean Monnet a capo della CECA viene ritirata dal governo di Edgar Faure. Ma in qualità di ministro degli Affari economici e finanziari nel governo di Guy Mollet, fra 1956 e 1957, è di nuovo in prima linea nei negoziati sui Trattati di Roma. Diffida dell’Euratom e sostiene lo sforzo atomico francese, ma appoggia la creazione del Mercato comune (v. Comunità economica europea), pur esigendo delle garanzie in una congiuntura preoccupante e di fronte alle inquietudini degli ambienti economici: l’Armonizzazione degli oneri sociali, dei costi di produzione, delle politiche monetarie e fiscali, la possibilità di ritirarsi se le difficoltà diventano eccessive e inoltre un periodo di transizione di 20-30 anni. D’altra parte, insiste perché il Mercato comune sia esteso alla politica agricola (v. Politica agricola comune) e difende energicamente l’associazione dei paesi d’oltremare, per suddividere fra i Sei un onere finanziario diventato insostenibile per il bilancio del paese. L’accelerazione dei negoziati all’indomani della crisi di Suez e il loro orientamento liberale lo preoccupano: ricorda con fermezza a Christian Pineau i punti “essenziali” sui quali la Francia non può transigere (v. Guillen, 1990). Gli interessi francesi non possono essere sacrificati sull’altare dell’Europa, un’Europa che per R. dev’essere sociale.

L’avvento della V Repubblica segna la fine della sua carriera politica. «L’Europa non si farà in un giorno», era solito dichiarare. Realismo, pragmatismo e costanza nella prudenza sono le tre parole chiave di R., che pur non avendo nulla del visionario non è per questo meno profondamente europeo.

Anne-Laure Ollivier (2012)




Ramón Tamames




Rapporto Cecchini

Il Rapporto Cecchini, intitolato La sfida del 1992. Una grande scommessa per l’Europa, è stato presentato nel 1988 e ha fornito i risultati di uno studio compiuto da un gruppo di lavoro al cui vertice venne posto un Comitato direttivo presieduto da Paolo Cecchini, all’epoca Consigliere speciale presso la Commissione europea. Scopo della ricerca, voluta dal vicepresidente della Commissione stessa Lord Francis Arthur Cockfield, era quello di fornire una solida base di analisi scientifica dei costi della frammentazione del mercato europeo e dei vantaggi che avrebbe potuto offrire la rimozione delle barriere secondo quanto previsto dal Libro Bianco (v. Libri bianchi) sul completamento del mercato interno – comunicazione COM (1985) 310 def. –, adottato dalla Commissione il 14 giugno 1985 ed esaminato dal Consiglio europeo di Milano del 28 e 29 giugno 1985. Si intendeva, in altri termini, calcolare quali fossero i c.d. costi della non Europa, cioè a dire i benefici economici e sociali persi da ciascuno degli Stati comunitari a causa della mancata instaurazione di uno spazio europeo omogeneo.

Il gruppo di lavoro, costituitosi nel 1986, si avvalse del contributo di funzionari della Commissione, appartenenti alla Direzione generale II (Affari economici e finanziari) e alla Direzione generale III (Mercato interno e affari industriali) nonché del supporto di eminenti esperti esterni, provenienti dall’Università Bocconi di Milano; dal Ministero dell’economia, delle finanze e del bilancio francese; dal Centre d’études prospectives et d’informations internationales di Parigi; dalla Banca europea per gli investimenti; dall’Institut für Wirtschaftsforschung di Monaco di Baviera; dall’Università del Sussex; dall’Università cattolica di Lovanio; e dall’Istituto europeo di amministrazione pubblica di Maastricht. All’inizio, il Comitato direttivo scelse di limitare l’ambito dell’indagine agli ostacoli agli scambi e al commercio (che il Libro bianco del 1985 si proponeva di superare) e di far sì che gli studi individuali da avviare nel corso del progetto coprissero, tra gli allora dodici Stati membri delle Comunità, i quattro Stati maggiori, lasciando aperta la possibilità di ampliare poi caso per caso questa matrice geografica. Il Comitato medesimo dedicò inoltre particolare attenzione alla messa a punto di strumenti rigorosi che permettessero l’identificazione e la valutazione quantitativa degli effetti dinamici prodotti dall’eliminazione degli ostacoli non tariffari (v. Cecchini, 1988, p. 207 e ss.).

Il Rapporto ha espresso vari aspetti di originalità: la portata delle sue finalità; la novità della materia esplorata; le difficoltà metodologiche nell’accertamento e nel confronto delle cifre.

Nella sua prima parte, il Rapporto Cecchini si è preoccupato di illustrare nel dettaglio quali fossero i problemi causati dal gran numero di barriere che ancora sussistevano nell’Europa comunitaria a trent’anni dalla stipula dei Trattati di Roma. Esso è giunto, in conclusione, a confermare l’obiettivo politico del Libro bianco del 1985: la necessaria soppressione delle barriere non tariffarie per far sì che imprese, consumatori e governi godessero appieno del grande Mercato unico europeo.

Le barriere da smantellare sono state riunite in tre grandi categorie: le barriere fisiche (controlli alle frontiere intracomunitarie con i relativi ritardi e con le duplicazioni nella documentazione richiesta); le barriere tecniche (ad esempio, l’obbligo per l’esportatore di beni e servizi di soddisfare normative tecniche nazionali divergenti; l’obbligo per le imprese di sottostare a legislazioni societarie differenti e confliggenti tra loro; le difficoltà connesse all’ingresso nei mercati protetti degli appalti pubblici); le barriere fiscali (differenze tra gli Stati membri nelle aliquote dell’Imposta sul valore aggiunto e delle accise).

Si è pertanto proceduto ad analizzare i costi del carico amministrativo e dei ritardi dovuti alle formalità burocratiche alle frontiere; delle pratiche protezionistiche negli appalti pubblici; della confusione dovuta a normative tecniche discordanti per prodotti analoghi; di regolamentazioni disuguali in materia di tassazione e diritto societario tali da ostacolare l’attività transnazionale delle imprese sul mercato comunitario. Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’impatto della frammentazione del mercato sull’economia dei servizi finanziari, alle imprese e di telecomunicazioni; e quali fossero le conseguenze per i settori manifatturieri delle apparecchiature per telecomunicazioni, delle automobili, dei prodotti agroalimentari, dei materiali per l’edilizia, del tessile e abbigliamento, e dei prodotti farmaceutici (v. Cecchini, 1988, p. 28 e ss.).

Presa nel suo insieme, la prima parte del Rapporto denota il tentativo di capire e conteggiare gli effetti della non Europa, e lascia emergere un quadro inequivocabile di spese inutili e di occasioni mancate.

La seconda parte del Rapporto Cecchini è incentrata sulla misurazione del giovamento globale che l’abbattimento delle barriere avrebbe comportato per l’insieme dell’economia comunitaria. L’ordine di grandezza delle convenienze realizzabili è stato stimato per mezzo di due approcci distinti e complementari: uno microeconomico, l’altro macroeconomico.

L’approccio microeconomico ha avuto come punto di partenza l’impatto che l’eliminazione delle barriere non tariffarie avrebbe provocato sui singoli attori dell’economia comunitaria (imprese, consumatori, governi), cercando di stabilire quali profitti sarebbero per essi derivati. Ne è risultato un tornaconto sostanziale per i consumatori, dal momento che i prezzi dei beni sarebbero calati mentre sarebbero aumentate, sotto la spinta della concorrenza, la scelta e la qualità dei prodotti. Quanto al sistema delle imprese nel suo complesso, la riduzione dei ricavi (specie se derivanti da monopoli o da posizioni protette) immaginabile nel breve periodo, avrebbe poi suscitato, nel lungo periodo, un adeguamento al nuovo contesto della concorrenza, ad esempio elevando il volume della produzione, sperimentando in proposito tecniche più confacenti, eliminando le inefficienze manageriali e migliorando la capacità di innovazione (v. Cecchini, 1988, pp. 138 e ss., p. 141 e ss.; Scherer, Ross, 1990, p. 12 e ss.). I vantaggi connessi a questi e ad altri aggiustamenti sarebbero confluiti nell’innalzamento della ricchezza generale della Comunità europea, il cui incremento avrebbe costituito il guadagno netto di benessere indotto dal completamento del mercato interno.

L’approccio macroeconomico ha invece riguardato il modo in cui lo choc sul versante dell’offerta, provocato dall’abbattimento delle barriere non tariffarie, si sarebbe ripercosso sui principali indicatori dell’economia della Comunità, come il prodotto nazionale lordo, l’inflazione, l’occupazione, il deficit pubblico, il saldo esterno. Il meccanismo sarebbe stato avviato dal calo dei costi di produzione e dallo sviluppo del rendimento (effetti primari dell’accresciuta integrazione dei mercati). A essi sarebbero seguite le riduzioni dei prezzi, che a loro volta avrebbero stimolato sensibilmente i principali ingranaggi macroeconomici del sistema. Ne sarebbero scaturiti una estensione del potere di acquisto; una modifica della posizione competitiva di ciascuno Stato membro della Comunità rispetto ai rispettivi partner e della Comunità stessa rispetto al resto del mondo; un’azione durevole contro la disoccupazione; uno stimolo della domanda senza che venisse alimentata l’inflazione (v. Catinat, 1988, p. 1 e ss.; Cecchini, 1988, pp. 139 e ss., 171 e ss.). Si sarebbero così determinate prospettive e traiettorie del tutto nuove per una crescita economica fino alla fine del XX secolo.

Lo studio condotto dal gruppo di lavoro guidato da Paolo Cecchini ha dunque inteso verificare quale fosse la situazione del mercato interno della Comunità europea nella seconda metà degli anni Ottanta del Novecento e quali fossero le sue prospettive per gli imminenti anni Novanta. L’intento, come detto, era quello di individuare i costi della mancata realizzazione di un vero mercato interno e di mettere in risalto i benefici che si sarebbero al contrario avuti, in seguito alla eliminazione dei costi medesimi, per l’economia dei dodici Stati membri (a favore di imprese e consumatori ma anche, più ampiamente, a livello politico e sociale). La cancellazione delle barriere non tariffarie venne ritenuta la chiave di volta che avrebbe impresso una scossa salutare all’intera economia della Comunità e portato al rilancio dell’integrazione (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della). Il mercato unico avrebbe eliminato gradualmente le strozzature macroeconomiche che avevano vincolato fino a quel momento la crescita dell’economia europea. Ne sarebbero derivati effetti positivi non soltanto per imprese e consumatori ma anche per il deficit pubblico, per l’inflazione e per l’occupazione.

I vantaggi del mercato unico, conseguenti all’abbattimento entro il 1992 delle barriere non tariffarie agli scambi intracomunitari secondo quanto previsto dal Libro bianco sul completamento del mercato interno del 1985, furono valutati approssimativamente in 200 miliardi di ECU (ai prezzi del 1988) (v. Unità di conto europea) e ritenuti aumentabili con l’aiuto di politiche economiche cautamente positive; vennero altresì stimate la creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro e una crescita supplementare del prodotto interno comunitario pari al 5% (v. Cecchini, 1988, p. 12 e ss.).

Pierluigi Simone (2012)