Riccardo Monaco




Richard Freiherr von Weizsäcker




Richard Nicolaus de Coudenhove-Kalergi




Ridruejo Jiménez, Dionisio

R. (Burgo de Osma 1912-Madrid 1975) studia dai marinisti a Segovia, poi dai gesuiti a Valladolid, indi dagli agostiniani dell’Escorial. Nel 1933 si iscrive assieme a suoi tre fratelli alla Falange española, giungendo a occupare vari incarichi. Nel 1935 pubblica il suo primo libro di versi, Plural, mentre è già tra i più stretti collaboratori di José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange, con cui è in rapporti dall’agosto del 1935. Nella guerra civile combatte dalla parte dei militari ribelli per poi occupare il posto di direttore generale della stampa nel governo franchista. Negli stessi mesi ha modo di manifestare la propria contrarietà al decreto di unificazione tra falangisti e carlisti e di compiere un viaggio in Germania e uno in Italia, dove viene ricevuto da Mussolini. Nel novembre del 1940 fonda con Pedro Laín Entralgo la rivista “Escorial”, che all’interno del costituendo regime raccoglie, dandovi voce, una sorta di fronda giovanilista, se non proprio laicizzante, certo meno confessionale e modernizzante di altre componenti del franchismo. Non liberalizzante, come per troppo tempo si è scritto, quanto piuttosto interprete di una versione “rivoluzionaria” del falangismo.

Nel 1941 R. si arruola volontario nella División Azul e parte per il fronte russo. Ma le sue precarie condizioni di salute lo costringono a rientrare in Spagna nell’aprile del 1942. Nel giugno seguente invia una lettera a Franco nella quale si dimette da tutti gli incarichi politici, rompendo allo stesso tempo con la Falange. In ottobre è detenuto e mandato al confino a Ronda, che lascerà per varie località catalane, dove resta fino al 1947. Terminato il confino, nel 1948 soggiorna a Roma come corrispondente di “Arriba”, restandovi fino al giugno del 1951. Rientrato in patria e trasferitosi a Madrid, viene nominato direttore di Radio intercontinental. Nel 1956 prende parte alle manifestazioni studentesche, viene incarcerato e processato. Verso la fine del 1957 fonda il Partido social de acción democrática, venendo nuovamente processato per alcune dichiarazioni e condannato. Rispondendo a “Les Temps modernes” nel 1959 si dice favorevole all’adesione della Spagna alle istituzioni europee e a favore di un’Europa che favorisca la distensione, il disarmo e la convivenza sul piano internazionale.

Nel marzo del 1962 pubblica il volume autobiografico Escrito en España (Losada, Buenos Aires 1962), che incorre nei rigori della censura franchista. Nelle ultime pagine tratta dell’“Europa probabile”, auspicando un’integrazione politica reale, una democratizzazione a tappe forzate con riforme di tipo socialista e la creazione di un terzo potere (dopo USA e URSS), che sul piano internazionale competa nel porsi come interlocutore economico e politico dei paesi in via di sviluppo (v. anche Integrazione, teorie della). Il 7 e 8 giugno 1962 si celebra a Monaco di Baviera il IV Congresso del Movimento europeo al quale R. prende parte con altri 118 delegati spagnoli in rappresentanza di vari gruppi e partiti dell’opposizione. La delegazione spagnola vi propone una risoluzione, che sarà approvata, in base al quale si chiede alla Comunità economica europea (CEE) di non accettare la richiesta di adesione della Spagna finché questa non abbia omogeneizzato la sua forma di governo a quella degli altri paesi della Comunità. Il regime franchista accusa il colpo e definisce contubernio (“complotto”) di Monaco l’assise celebrata nella città bavarese. Con altri delegati, R. viene posto dalle autorità franchiste di fronte a un bivio: rientrare in patria per essere inviato al confino o prendere direttamente la via dell’esilio. Sceglie l’esilio e, trasferitosi a Parigi, vi resta fino al 1964.

Dal gennaio 1965 R. pubblica a Parigi la rivista di opposizione democratica “Mañana” che dirige assieme a Julián Gorkin. Un discorso alla facoltà di scienze politiche ed economiche di Madrid sulla situazione dell’Università, nel 1966, gli procura una nuova detenzione. Nel 1968 soggiorna negli USA impartendo lezioni di letteratura nell’Università di Wisconsin (Madison). Dopo altri soggiorni e Puerto Rico e cicli di lezioni ad Austin (Texas), rientra in Spagna nel 1970 prendendo posizione a favore dei detenuti dell’ETA (Euskai ta askatasuna) sottoposti a processo in un tribunale militare.

In un’intervista dell’aprile 1972, alla domanda se si sentisse europeista, R. risponde: «Europeista convinto, per evidenti ragioni: il mercato spagnolo risulta insufficiente se si vuole che continui a svilupparsi; d’altra parte, l’incorporazione nel continente significa una denazionalizzazione delle fatalità del paese. C’è anche una ragione psicologica. Viviamo un “complesso della vittima” che ci inibisce. L’ingresso in Europa ci restituirebbe la fiducia nelle nostre capacità; la sua sperimentazione ci libererebbe di tutte le inibizioni. Recupereremmo la fiducia in noi stessi» (intervista pubblicata in “Criba”, 1° aprile 1972, riproposta in Preguntas y respuestas, I, 1972-1974, p. 460).

Nel 1974 R. fonda la Unión social democrática española. Con il trascorrere del tempo dalla sua scomparsa, si diluisce il politico e si staglia il poeta. Un secondo scritto autobiografico uscirà postumo con il titolo Casi unas memorias.

Alfonso Botti (2010)




Rifusione dei testi legislativi

La rifusione è una delle tecniche utilizzate per rendere più accessibile, e quindi più chiaro, il Diritto comunitario, e più particolarmente il diritto comunitario secondario, o derivato, cioè quello creato dalla Comunità economica europea (CEE) attraverso le sue Istituzioni comunitarie. Esso subisce un numero elevato di modifiche, certamente più di quanto avvenga negli ordinamenti giuridici nazionali: ogni atto viene modificato in media 10 volte, ma ci sono casi in cui le modifiche sono più di 70. Migliorare l’accessibilità del diritto comunitario è dunque particolarmente importante.

La rifusione si differenzia dalle altre tecniche, la Codificazione dei testi legislativi e il Consolidamento dei testi legislativi, perché interviene in caso di modificazione sostanziale di un atto normativo precedente, e consiste nell’adozione di un unico testo legislativo che, al tempo stesso, introduce le modificazioni volute integrandole nelle disposizioni dell’atto precedente e abroga quest’ultimo, sostituendolo. In altri termini, invece di adottare una semplice modificazione di un atto esistente, si adotta un nuovo testo, cioè l’atto esistente modificato.

Consentendo di disporre di un solo atto giuridico, al posto di un atto di base e di uno o più atti modificativi, la rifusione evita la proliferazione di modifiche isolate che spesso rendono le regolamentazioni difficilmente comprensibili. La rifusione è dunque una “codificazione continua” del diritto per gli atti legislativi soggetti a frequenti modifiche. Se fosse praticata regolarmente, potrebbe assicurare in modo permanente e globale la leggibilità e quindi l’accessibilità della normativa.

La rifusione è una tecnica conosciuta sin dai primi anni della Comunità, ma non è stata praticata che sporadicamente. In particolare, in situazioni d’urgenza o di sovraccarico, i servizi della Commissione europea hanno preferito preparare modifiche puntuali, piuttosto che rifusioni. È solo verso la fine degli anni ’90 che la rifusione si è rivelata come uno strumento complementare rispetto alla codificazione. L’esperienza ha mostrato infatti che spesso, nonostante l’applicazione del metodo accelerato di codificazione previsto dall’accordo interistituzionale (v. Accordi interistituzionali) del 1994, continuavano a esserci ritardi. In realtà, la presentazione di proposte di codificazione da parte della Commissione e la loro adozione da parte del legislatore erano ritardate proprio dal fatto che nel frattempo erano state adottate nuove modificazioni degli atti di base, con conseguente riavvio dei lavori di codificazione. È quindi apparso opportuno, soprattutto per gli atti normativi oggetto di frequenti modificazioni, fare ricorso alla tecnica legislativa della rifusione. Le proposte di rifusione non solo riprendono il testo di base modificato, ma integrano egualmente le modifiche precedenti, se ce ne sono. La rifusione evita così di dover ricorrere a una codificazione ulteriore. Inoltre, qualora l’atto da modificare sia stato già codificato, evita il rischio di perdere rapidamente i benefici della codificazione.

L’accordo interistituzionale stipulato il 28 novembre 2001 tra Parlamento europeo, Consiglio dei ministri e Commissione determina le modalità di un ricorso più strutturato alla tecnica della rifusione degli atti normativi. Prevede, in particolare, le modalità di presentazione dell’atto di rifusione e le regole di tecnica legislativa da rispettare. C’è, in proposito, una sinergia con la tecnica del consolidamento: così, quando è necessario integrare, nella rifusione, modifiche intervenute precedentemente, è previsto che i servizi della Commissione lavorino su base del consolidamento effettuato dall’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee. L’accordo interistituzionale ha istituito, inoltre, un gruppo consultivo, composto dei servizi giuridici del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, che ha il compito di garantire che la proposta di rifusione non contenga modificazioni sostanziali al di fuori di quelle espressamente indicate come tali.

La rifusione si inserisce inoltre, come la codificazione e il consolidamento, nell’obiettivo più ampio di aggiornare e semplificare l’Acquis comunitario che la Commissione ha illustrato in una comunicazione del febbraio 2003.

Il rilancio della rifusione incontra tuttavia dei limiti. Questa tecnica richiede evidentemente un maggior investimento in risorse umane rispetto a un semplice atto modificativo. La decisione di intraprendere o meno una rifusione è lasciata, in pratica, ai servizi della Commissione competenti. Questi riservano generalmente la rifusione ai casi in cui avvertono una forte esigenza di semplificazione della regolamentazione che si vuol modificare (v. anche Semplificazione legislativa).

Giuseppe Ciavarini Azzi (2009)




Rinaldo Del Bo




Rinvio pregiudiziale

Ai sensi dell’art. 234 del Trattato istituivo della Comunità europea (CE) (v. Trattati di Roma), la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni concernenti il Diritto comunitario che sorgono nel corso di un giudizio pendente davanti a una giurisdizione di uno degli Stati membri. Tale competenza è esercitata mediante la cooperazione con il giudice nazionale, il quale, poiché il diritto comunitario ha una applicazione soprattutto decentrata a opera degli Stati membri e dei loro organi, è il vero e proprio giudice comune del diritto comunitario. Il rinvio pregiudiziale mette, infatti, in relazione il giudice nazionale con la Corte di giustizia (e nella prospettiva delle riforme al sistema giurisdizionale comunitario introdotte dal Trattato di Nizza, anche con il Tribunale di primo grado, limitatamente ad alcune materie specifiche), offrendogli il mezzo per sormontare le difficoltà che possono insorgere dall’imperativo di conferire al diritto comunitario piena efficacia nell’ambito degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Il relativo giudizio svolge due funzioni complementari: il rinvio pregiudiziale “per interpretazione” e quello “per accertamento di validità”.

Il rinvio pregiudiziale per interpretazione mira, in primo luogo, ad assicurare l’uniforme e corretta interpretazione e applicazione del diritto comunitario (v. Diritto comunitario, applicazione del) in tutti gli Stati membri. In secondo luogo, consente di verificare indirettamente (rispetto all’azione per inadempimento dell’art. 226 del Trattato CE) la compatibilità (o la legittimità) del diritto nazionale con il diritto comunitario. Dal canto suo, il rinvio pregiudiziale per accertamento di validità completa il sistema del controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti comunitari (rispetto all’azione di annullamento di cui all’art. 230 del Trattato CE, all’azione di responsabilità, di cui agli art. 235 e 288 del Trattato CE, e all’eccezione di invalidità di cui all’art. 241 del Trattato CE), conferendo soprattutto ai singoli una tutela rispetto agli atti di portata generale, che essi non possono impugnare, salvo ad esserne direttamente ed individualmente riguardati.

Secondo l’art. 234 del Trattato CE, il giudice nazionale ha la facoltà e, se di ultima istanza, l’obbligo di chiedere alla Corte una pronuncia sull’interpretazione ovvero sulla validità di una norma comunitaria quando siffatta pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui è investito.

L’oggetto del rinvio pregiudiziale per interpretazione riguarda il diritto comunitario inteso in senso ampio, e comprende, pertanto, le norme dei trattati e degli atti di pari rango, tutti gli atti adottati dalle Istituzioni comunitarie, anche non aventi carattere vincolante, i principi generali del diritto comunitario, gli accordi internazionali conclusi dalle Comunità, gli atti posti in essere da organi istituiti da accordi tra la Comunità e Stati terzi, e così via. L’accertamento di validità riguarda, invece, gli atti emessi dalle istituzioni comunitarie. Si tratta, in sostanza, degli atti vincolanti impugnabili con il ricorso previsto dall’art. 230 del Trattato CE.

In seguito alle modifiche apportate dal trattato di Amsterdam, la Corte può conoscere in via pregiudiziale anche degli atti adottati in materia di Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ai sensi dell’art. 35 del Trattato istitutivo dell’Unione europea (UE) (v. Trattato di Maastricht), qualora gli Stati membri abbiano specificamente accettato la competenza della Corte (l’Italia ha provveduto in tal senso). La Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle decisioni (v. Decisione) adottate dal Consiglio dei ministri che costituiscono il c.d. acquis Schengen (protocollo n. 2 allegato al Trattato CE). Infine, l’art. 68 del Trattato CE prevede che i giudici di ultima istanza possono richiedere in via pregiudiziale, con talune eccezioni, l’interpretazione e la validità degli atti in tema di visti, asilo, immigrazione (v. anche Politiche dell’immigrazione e dell’asilo) e altre politiche connesse alla Libera circolazione delle persone, di cui al titolo IV del Trattato CE.

Il rinvio pregiudiziale può essere richiesto da qualunque “giurisdizione nazionale”, la cui nozione “comunitaria” è stata ricostruita dalla Corte sulla base di determinati elementi (origine legale e non convenzionale dell’organo, stabilità, obbligatorietà, applicazione del diritto, indipendenza e terzietà). È il giudice nazionale a valutare la pertinenza del rinvio ai fini della decisione della causa. La Corte non può sindacare la motivazione della domanda di rinvio, a meno che non si tratti di controversie “fittizie”, di questioni puramente ipotetiche o senza sufficiente collegamento con l’oggetto della causa nazionale, ovvero l’ordinanza di rinvio non abbia definito il quadro di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni proposte e l’esigenza di una risposta della Corte ai fini della decisione della controversia pendente avanti al giudice nazionale, ovvero di situazioni puramente interne, cioè senza alcun nesso con il diritto comunitario.

Mentre il giudice non di ultima istanza ha facoltà di proporre un rinvio pregiudiziale per interpretazione, quello avverso le cui decisioni non è proponibile ricorso è obbligato al rinvio, salvo che la questione sia materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte oppure vi sia sul punto una giurisprudenza consolidata, ovvero non vi sia alcun dubbio interpretativo (cd. “atto chiaro”). Rispetto al rinvio per l’accertamento di validità la Corte ha ritenuto che pure il giudice di non ultima istanza sia obbligato (sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost), se la sua decisione dipende dalla illegittimità dell’atto in questione.

La sentenza “interpretativa” vincola il giudice del rinvio nel senso che, se egli applica la norma comunitaria, è tenuto a seguire l’interpretazione della Corte. Anche altri giudici e le amministrazioni nazionali sono vincolati, quando applicano le norme interpretate dalla Corte, ai punti di diritto da essa precisati (Corte cost. 113/1985, 168/1991) salvo, per i giudici, procedere a un nuovo rinvio pregiudiziale. La sentenza che accerta “l’invalidità” ha effetto di cosa giudicata sia formale che sostanziale, producendo un effetto sostanzialmente analogo alla sentenza di annullamento. Di regola, le sentenze pregiudiziali hanno efficacia ex tunc, estendendosi a rapporti sorti prima della sentenza, purché non esauriti.

Tuttavia, la Corte, per esigenze di certezza del diritto, ha esteso, a titolo eccezionale, alle pronunce pregiudiziali la possibilità, prevista dall’art. 231 solo per le sentenze di annullamento, di limitare gli effetti temporali della pronuncia, dichiarandone l’efficacia ex nunc (sentenza 22 maggio 1985, causa 33/84, Fragd).

Carlo Curti Gialdino (2009)




Ripa Di Meana, Carlo

Tra i Commissari italiani che si sono succeduti dal 1952, R. di M. (Marina di Pietrasanta 1929) occupa una posizione di rilievo non solo per la durata del suo mandato – nove anni – comparabile a quella dei due commissari più a lungo in carica a Bruxelles, Lorenzo Natali (1977-1989) e Mario Monti (1995-2004). La sua attività europea si segnala anche per il fatto di aver saputo mettere a profitto la favorevole congiuntura del decennio deloriano (v. Delors, Jacques) per dare legittimità e consistenza a nuove dimensioni e prospettive dell’integrazione comunitaria (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Da questo punto di vista l’iniziativa di R. di M. sui temi della cultura e dell’ambiente si apparenta all’azione di coloro che hanno tentato, a volte con successo, di allargare o di approfondire l’area di intervento delle istituzioni sopranazionali. È il caso di Altiero Spinelli, per quanto riguarda la Politica industriale, e di Delors per l’unificazione monetaria (v. Unione economica e monetaria). Politiche queste ultime senza dubbio più pesanti e centrali nella costruzione del mercato unico, tronco fondamentale dell’Europa comunitaria. Ciò nondimeno è pur vero che l’Unione europea (UE) una volta raggiunta la Libera circolazione delle merci e la Libera circolazione dei capitali, e introdotto con successo l’Euro, per consolidare il proprio assetto politico-istituzionale e soprattutto per renderlo più democratico e accettato, deve ricercare un consenso più largo per superare l’impasse in cui si è venuta a trovare. È opinione diffusa che una più marcata personalità e presenza internazionali, e una maggiore attenzione alla rilevanza europea di alcune questioni di generale interesse per i cittadini, quale l’ambiente e la cultura, possano assolvere al compito e contribuire ad assicurare al processo di integrazione un equilibrio adeguato alle sfide cui è confrontato.

Da questo punto di vista anticipa nelle proposte e nelle decisioni esigenze che troveranno, almeno come diagnosi, un ascolto più esteso in un periodo successivo

R. di M. assume le responsabilità brussellesi dopo una vivace militanza politica, prima nel PCI togliattiano e poi nel PSI di Bettino Craxi, che, liberatosi della tutela comunista, si muove su una linea di radicale contestazione delle tradizioni politiche e culturali della sinistra italiana.

In questa fase l’apporto di R. di M. è soprattutto rappresentato dalla sua presidenza della Biennale di Venezia, per la quale promuove e organizza, nel 1977, la Biennale del Dissenso, brillante episodio di una battaglia che è insieme nazionale ed europea.

La successiva e più diretta esperienza comunitaria è vissuta da R. di M. nelle vesti di parlamentare europeo. È infatti eletto a Strasburgo nel 1979, prime Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale. Durante tutta la legislatura si impegna particolarmente sui problemi delle relazioni esterne della Comunità, e si fa promotore di prese di posizione e iniziative a sostegno della lotta dei Fedayyìn afghani contro l’invasione sovietica. Questo impegno assorbente non gli impedisce di essere socio attivo di due club, L’Amigo, a iniziativa di Delors, e il Club del Coccodrillo di Altiero Spinelli.

Nel corso del suo primo mandato come Commissario (1985-1989), R. di M. è responsabile degli Affari istituzionali – incluso il negoziato che porterà all’Atto unico europeo – della cultura e della comunicazione, materie sprovviste di base giuridica nei Trattati istitutivi e comunque guardate con sospetto dai governi dei paesi membri, interessati a rivendicare al riguardo un’esclusiva competenza nazionale, o, come nel caso del Belgio e della Repubblica Federale Tedesca (v. Germania), le loro rispettive prerogative regionali di natura costituzionale.

Jaques Delors tuttavia, sin dall’inizio della sua presidenza, avverte l’importanza di accompagnare lo sforzo di rilancio del processo di integrazione con politiche e decisioni suscettibili di sviluppare il senso di appartenenza alla Comunità dei cittadini europei. Per queste ragioni incoraggia e sostiene i progetti di R. di M. intesi a identificare linee concrete di espansione della scarsa presenza comunitaria nel settore culturale e della comunicazione.

Quattro sono le direzioni principali dell’iniziativa di R. di M.

In primo luogo la ripresa e la valorizzazione di proposte già approvate, quali per esempio le capitali della cultura, la festa dell’Europa e il Fondo per il patrimonio architettonico, l’Orchestra dei giovani della Comunità europea, che sopravvivevano a fatica, con esiguo coinvolgimento di enti pubblici e privati.

In secondo luogo la “invenzione” di simboli europei. L’inno e la bandiera vengono adottati ufficialmente nel 1985 e nel 1986. Il significato e l’importanza dei quali sono dimostrati dalla loro successiva eliminazione nella versione definitiva del c.d. Trattato della riforma, firmato a Lisbona nel 2007 a seguito della bocciatura del Trattato costituzionale (v. Costituzione europea; Trattato di Lisbona).

Si comincia inoltre a dare attuazione alle Raccomandazioni che il Comitato Adonnino, costituito nel 1984 dal Consiglio europeo di Fontainebleau, aveva elaborato per dare seguito e prospettiva ad una “Europa dei cittadini”.

In questo modo, ben prima del Trattato di Schengen e del completamento del Mercato unico, si affrontano le questioni del diritto di ognuno a risiedere e a lavorare in ciascuno degli Stati membri nonché le questioni relative alla semplificazione dei controlli alle frontiere e del mutuo riconoscimento dei diplomi scolastici.

Infine, quarta direzione, una risoluta azione per promuovere la televisione senza frontiere (la direttiva arriverà in porto nel 1991), per mettere in cantiere un programma comunitario di aiuto dell’industria audiovisiva – il I Programma media diventerà operativo nel 1991 con il decisivo sostegno del presidente François Mitterrand – e per stimolare la nascita di un canale televisivo paneuropeo con risorse pubbliche e private.

Di quest’ultimo tentativo rimane oggi solo in funzione Euronews che – pur essendo di nicchia – rappresenta comunque l’unico strumento di comunicazione multilingue di cui dispone l’Europa (v. anche Politica europea delle telecomunicazioni).

A tutto questo si aggiunge che i propositi e gli obbiettivi di R. di M. trovarono una loro esposizione complessiva in una Comunicazione del 1987 dedicata appunto al rilancio dell’azione culturale. Tale Comunicazione fu approvata dal Consiglio cultura, che proprio allora fu istituzionalizzato, a seguito dell’entrata in vigore dell’Atto unico che all’art. G37, divenuto art. 128 del Trattato CE, menziona per la prima volta la cultura, e ne fa oggetto di possibile cooperazione intergovernativa tra gli Stati membri.

Nel 1989 R. di M. è confermato membro della Commissione e Delors gli affida il portafoglio dell’Ambiente, convinto di disporre dell’uomo giusto per assicurare un impulso innovativo a un settore di attività che l’Atto unico aveva di recente legittimato accanto alle altre politiche comunitarie (modifica degli articoli 2 e 3 dei Trattati di Roma e introduzione degli articoli 130R, 130S e 130T che compongono il titolo XVI espressamente dedicato all’ambiente).

R. di M. risponde alle aspettative, non limitandosi peraltro a migliorare l’organizzazione e l’efficienza della struttura amministrativa posta sotto la sua guida (la Direzione generale XI), ma cercando di sfruttare al massimo ogni possibilità di intervento in materia, reso possibile dalle norme comunitarie, quelle vecchie e quelle nuove dell’AUE.

Così, caratteristicamente, l’iniziativa si sviluppò su diversi piani.

Innanzitutto, attraverso un’intransigente verifica dell’applicazione delle Direttive (v. Direttiva) europee già in vigore, con il perseguimento delle infrazioni (v. Diritto comunitario, infrazione al), senza riguardi per il peso politico del governo eventualmente implicato.

In secondo luogo, R. di M., facendosi forte del nuovo articolo 100A che permetteva di affrontare i problemi ambientali connessi alle condizioni della concorrenza e all’attuazione delle politiche comuni con la procedura, in Consiglio dei ministri, del voto a Maggioranza qualificata, interviene sistematicamente nel programma di adozione delle direttive per il Mercato unico, affermando la pertinenza della dimensione ambientale.

Infine il capitolo relativo all’utilizzo dell’art. 235 del Trattato CE, valendosene per consolidare e accrescere una legislazione ambientale motivata da considerazioni esclusivamente ecologiche, indipendentemente cioè dalla realizzazione del Mercato Unico.

In tutti e tre gli ambiti R. di M. diede prova di una tale alacrità da turbare l’ordine delle priorità e il ritmo politico seguito dal presidente. È d’altra parte una nota distintiva dell’ambientalismo – anche di quello non fondamentalista o radicale – di non essere interamente riconducibile in una logica puramente pragmatica e di rappresentare comunque un fattore di disturbo in una dinamica politica prestabilita.

Ciò risulta ancora più vero in un contesto in cui erano in gioco contemporaneamente il progetto, senza precedenti comparabili, rivolto a dare validità a un ambientalismo transnazionale e la volontà deloriana di imperniare la costruzione di un’Unione coesa su solidarietà economico-sociali più tradizionali.

Inevitabile dunque il ripetersi di contrasti e di conflitti tra il presidente e il Commissario nei tre tipi di interventi che abbiamo richiamato, e che si tradussero innanzitutto in un certo numero di deferimenti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) di alcuni governi. Il Regno Unito si trovò così a dover fronteggiare denunce sul mancato rispetto di Direttive comunitarie, per esempio quella sulla purezza dell’acqua potabile.

La Spagna dovette rispondere di aver messo in pericolo fauna protetta attraverso il prosciugamento di zone paludose. Anche alla Repubblica Federale Tedesca, paese per molti versi all’avanguardia nella politica ambientale, fu imputata l’inosservanza di norme comunitarie. Il clamore sollevato da tali atti del Commissario fu grande, ma grande fu anche la reazione favorevole di larghi settori dell’opinione pubblica degli stessi paesi membri coinvolti nelle denunce.

I risultati più rilevanti e duraturi R. di M. li ottenne però nelle proposte collegate alla Armonizzazione legislativa resa necessaria dall’obbiettivo 1992, la realizzazione di un effettivo mercato unico. In particolare la richiesta di approvare norme di tipo americano per le autovetture, capaci cioè di ridurre in misura robusta i gas di scappamento, suscitò una tempesta di critiche e di attacchi. Le imprese automobilistiche, in specie le francesi e le italiane, accusarono il Commissario di mettere a rischio la loro produzione in prevalenza di vetture medio-piccole. Alla fine tuttavia le marmitte catalitiche furono approvate (EURO1), prima tappa di un programma progressivo di inasprimento delle norme non più contestate, che ai nostri giorni si avviano a superare anche il livello attualmente in vigore (EURO4).

Per quanto riguarda le norme nuove, fondate esclusivamente su esigenze ecologiche, il bilancio complessivo dell’azione del Commissario è principalmente legato a tre sue proposte. L’Agenzia dell’ambiente (EPA), la Carbon tax, la creazione di un Ispettorato comunitario dell’Ambiente.

Soltanto la prima ha visto la luce, mentre la seconda ha attraversato fasi di alterna fortuna, senza mai sparire del tutto dal dibattito e dal negoziato, comunitario e internazionale, ma neppure senza mai sconfiggere davvero le numerose esitazioni e diffidenze.

Forse il momento più alto – e più critico – fu raggiunto in occasione del Vertice della Terra, patrocinato dall’ONU, che si sarebbe tenuto nel giugno del 1992 a Rio de Janeiro. R. di M. era sul punto di presentare a Bruxelles il testo definitivo della proposta di direttiva il cui obbiettivo era naturalmente quello di ridurre l’effetto serra. Il Commissario contava di illustrarne il contenuto a Rio. Poiché però la Commissione, auspice Delors, si era già accordata per una conclusione poco impegnativa della Conferenza a proposito della Convenzione sul riscaldamento del pianeta, il Commissario dichiarò che non avrebbe partecipato alla riunione. E qualche giorno dopo si dimise diventando ministro per l’Ambiente del nuovo governo di Giuliano Amato.

Il dinamismo della Politica ambientale durante i quattro anni di gestione di R. di M si spiega certo in parte per la presenza di due circostanze favorevoli. La diffusa reazione dell’opinione pubblica europea in seguito a Chernobyl e più in generale il fatto che il cammino dell’integrazione aveva ripreso un passo accelerato quale effetto della presidenza di Delors.

Ciò riconosciuto, va subito aggiunto che la vivacità e la continuità dell’iniziativa di R. di M. era anche il risultato di un sapiente mix di ricorso alla stampa e di alleanza con il Parlamento europeo. Lo si vide con chiarezza in occasione della dura e vittoriosa battaglia condotta contro la progettata Esposizione universale di Venezia, sostenuta dall’Italia e dal suo governo e fondata sull’applicazione rigorosa delle norme europee sull’impatto ambientale.

Un altro significativo esempio del rapporto politico che il Commissario stabilì con il Parlamento europeo è costituito dalla presentazione del “Libro verde sull’ambiente urbano” (v. Libri verdi), che traeva origine da una Risoluzione parlamentare del 1988, e che fu approvato dal Consiglio dei ministri dell’Ambiente nel gennaio 1991. R. di M. aveva riconosciuto che i problemi erano innanzitutto di competenza (v. Competenze) nazionale e locale, ma che una azione comunitaria avrebbe potuto aiutare a identificare le questioni comuni e a stimolare lo scambio di esperienze nella ricerca di soluzioni più adeguate. Questa filosofia serviva da premessa e giustificazione di una serie di proposte e iniziative concrete, che sarebbero state accettate dalla Conferenza su L’avvenire europeo dell’ambiente urbano, tenutasi a Madrid nell’aprile del ’91.

Dopo il passaggio di R. di M. alla Commissione, la politica ambientale europea non sarebbe potuta più essere solo un elegante esercizio di stile.

Gerardo Mombelli (2012)




Rippon, Geoffrey Aubrey

R. (Londra 1924-ivi 1997) fu membro conservatore del Parlamento (1955-1964 e 1966-1987), cancelliere del Ducato di Lancaster (1970-1972) durante i negoziati britannici per l’adesione alle Comunità europee, ministro dell’Ambiente (1972-1974) e ministro ombra degli Affari esteri (1974-1975).

R. non affermò mai che il Regno Unito non avrebbe potuto sopravvivere fuori dalla Comunità economica europea (CEE), sebbene considerasse la Comunità uno strumento per evitare che l’Europa occidentale rimanesse emarginata, sia economicamente che politicamente. Il documento “Il nostro futuro in Europa”, pubblicato nel 1974 dal Centro politico conservatore, espone chiaramente la sua visione sul ruolo della CEE nel mondo e sul contributo del Regno Unito allo sviluppo di un’economia più forte e alla «promozione di politiche commerciali liberali e di un sistema monetario solido». Tra gli altri obiettivi citati nel documento figurano la definizione di strategie di difesa e di sicurezza, il miglioramento delle relazioni atlantiche e l’assistenza ai paesi in via di sviluppo.

Favorevole all’ingresso del Regno Unito nelle Comunità europee, R. guidò la delegazione britannica nei negoziati d’adesione. Creò gruppi specializzati responsabili del coordinamento e dell’Armonizzazione delle politiche europee e britanniche in vari ambiti e fu il principale coordinatore di diversi gruppi coinvolti in questa iniziativa. Gli venne generalmente riconosciuto un ruolo molto efficace nel promuovere scambi di informazioni e nel far progredire il processo negoziale.

R. sosteneva un approccio graduale allo sviluppo politico dell’Europa e riconosceva di non poter prevedere quali istituzioni sarebbero state necessarie mano a mano che l’integrazione fosse avanzata. Era favorevole ai piani più ambiziosi per la Comunità e approvò la proposta del ministro lussemburghese Pierre Werner di perseguire “obiettivi comuni” verso un’unione politica con una moneta unica e una politica di difesa comune.

Il coinvolgimento di R. nella politica estera e negli affari internazionali non si limitò alla CEE; fu anche membro del Monday Club, un gruppo di pressione fondato nel 1960 allo scopo di promuovere “i valori conservatori tradizionali” quali la monarchia, una forte capacità di difesa, l’indipendenza e la sovranità, il patrimonio culturale. Il gruppo si occupò anche di questioni inerenti alla politica internazionale, alla decolonizzazione e all’Irlanda del Nord. Tuttavia, non si riuscì a raggiungere una posizione comune sull’ingresso del Regno Unito nel mercato comune. R. fu anche presidente del European-Atlantic group, un forum politico apartitico che riuniva in modo informale membri del Parlamento britannico, imprenditori, diplomatici e giornalisti con l’obiettivo di rafforzare le relazioni tra gli Stati europei e quelli atlantici nonché tra Ovest ed Est raccogliendo e fornendo informazioni su organizzazioni quali il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) e la Commissione economica per l’Europa.

Tatiana Martins Pedro do Coutto (2012)




Risoluzione

Le risoluzioni rientrano tra gli strumenti di diritto derivato che possono essere adottati dalle Istituzioni comunitarie. Si tratta di atti privi, in linea generale, di efficacia vincolante per i loro destinatari e atipici, ossia non espressamente inclusi nell’elenco di cui all’articolo 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE) (v. Trattati di Roma). Tali caratteristiche non hanno, comunque, impedito un utilizzo sempre più frequente da parte delle istituzioni comunitarie di risoluzioni, così come di altri atti non previsti dal testo del Trattato CE – quali le comunicazioni, le conclusioni, i programmi d’azione, le dichiarazioni e altri. La Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) ha più volte ritenuto legittima l’adozione di tali atti atipici, purché non pongano disposizioni derogatorie rispetto alle norme del Trattato stesso (v. anche Trattati). Per quanto concerne, specificamente, le risoluzioni, esse sono adottate dal Consiglio dei ministri o dal Parlamento europeo.

In linea generale, una risoluzione approvata dal Consiglio può stabilire i principi fondamentali per l’evoluzione del Diritto comunitario in un determinato settore rientrante nella competenza della Comunità economica europea, ma può anche anticipare l’adozione effettiva di un atto vincolante da parte delle istituzioni comunitarie. È questo il caso, ad esempio, della risoluzione del 21 dicembre 1987 concernente la sicurezza, l’igiene e la salute sul luogo del lavoro, cui a distanza di pochi anni è seguita l’adozione della Direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali. Altro esempio è la risoluzione del 5 aprile 1993 relativa a una «futura azione comunitaria in materia di etichettatura dei prodotti nell’interesse del consumatore» che ha costituito il preludio alla direttiva 94/11/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 marzo 1994, sul Ravvicinamento delle legislazioni, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’etichettatura di determinati materiali destinati alla vendita al consumatore.

Le risoluzioni approvate dal Parlamento europeo, invece, si pongono come obiettivo primario quello di promuovere l’adozione di atti comunitari vincolanti con particolare riferimento, da una parte, alla tutela dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – compresi quelli noti come “di nuova generazione” – e alla piena attuazione dei principi di pari opportunità e di eguaglianza, e dall’altra alla Politica estera e di sicurezza comune. Per quanto riguarda il primo aspetto, si richiamano a titolo di esempio, tra le più recenti, la risoluzione 14 dicembre 2005 avente a oggetto la salvaguardia della privacy, e più precisamente la «conservazione di dati trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica» e la risoluzione 13 marzo 2007 relativa a una «Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010». Per quanto concerne la politica estera, si possono citare, da ultimo: la risoluzione del 10 maggio 2007 in vista del Vertice (v. Vertici) tra l’Unione europea e la Russia del 18 maggio dello stesso anno con cui, tra l’altro, il Parlamento europeo «invita la Commissione e il Consiglio a dar vita a iniziative comuni con il governo russo per rafforzare la sicurezza e la stabilità nel vicinato comune»; la risoluzione del 1° febbraio 2007 nella quale il Parlamento esorta le istituzioni comunitarie e gli Stati membri a promuovere l’adozione in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una mozione relativa a «un’immediata e incondizionata moratoria universale sulle esecuzioni capitali».

Con una sentenza del 1964 la Corte di giustizia ha escluso che potesse essere attribuito valore vincolante a una risoluzione del Consiglio con cui quest’ultimo aveva assunto l’impegno – soltanto politico, secondo la Corte – di adottare una propria Decisione entro una data prestabilita (sentenza 13 novembre 1964, Commissione c. Granducato di Lussemburgo, cause 90 e 91/1963, in “Raccolta della giurisprudenza”, p. 1217). Peraltro, la proliferazione nel diritto comunitario, in anni più recenti, di risoluzioni e di altri strumenti atipici deve essere valutata nel più ampio contesto del soft law, ossia di quel complesso di atti che, seppur non vincolanti, non hanno un valore solo ed esclusivamente politico, ma possono assumere rilevanza anche sul piano giuridico. Da questo punto di vista, alle risoluzioni sarebbero comunque riconosciuti alcuni effetti di carattere giuridico, consistenti, ad esempio, nell’idoneità a influenzare la condotta dei principali attori dell’ordinamento comunitario, ossia degli Stati membri e delle istituzioni europee o, ancora, a porsi quali «strumenti di regolazione di volta in volta alternativa, complementare o preparatoria ai tradizionali e formalizzati sistemi di produzione delle regole, così come previsti nei Trattati» (v. Poggi, 2005, in www.astrid-online.it).

Claudio Mandrino (2009)