Ruberti, Antonio

Laureato in ingegneria all’Università di Napoli, R. (Aversa 1927-Roma 2000), dal 1954 ricercatore presso la fondazione Ugo Bordoni, vinse il primo concorso italiano alla cattedra di Controlli automatici. Dal 1962 insegnato insegnò tale disciplina presso l’Università di Roma, passando poi, dal 1973, a insegnare teoria dei sistemi. Nel 1969 fondò, e diresse fino al 1976, l’Istituto di automatica presso l’Università di Roma, e il Centro dei sistemi di controllo e di calcolo automatico del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), i primi organismi di ricerca realizzati in Italia nei settori dell’informatica e dell’automatica. Ricoprì l’incarico di preside della facoltà di ingegneria all’Università di Roma dal 1973 al 1976 e di rettore dello stesso ateneo dal 1976 al 1987.

Il 28 luglio 1987 R. divenne ministro senza portafoglio per il Coordinamento della ricerca scientifica e tecnologica nel governo Goria. Fu poi ministro dell’Università e della ricerca scientifica nei successivi governi De Mita e di Giulio Andreotti VI e VII, fino all’aprile 1992. Durante i cinque anni trascorsi come ministro, R. seguì con attenzione le attività europee in materia di ricerca, partecipando personalmente ai Consigli dei ministri di settore e promuovendo la creazione presso il ministero di un Dipartimento preposto ai rapporti internazionali ed europei. Durante i negoziati per il Trattato di Maastricht si impegnò perché nel testo del Trattato si affermasse una concezione della ricerca ampia, non legata soltanto agli aspetti produttivi e di competizione economica. Dopo l’esperienza di governo, R. venne eletto deputato nelle liste del Partito socialista italiano (PSI) alle elezioni dell’aprile 1992.

Nel dicembre 1992 venne designato dal governo di Giuliano Amato come uno dei due membri italiani della Commissione europea della CE (v. Comunità economica europea). In un primo momento il presidente della Commissione, Jacques Delors, offrì a R. il portafoglio della Politica sociale, intendendo assegnare la ricerca al tedesco Martin Bangemann, commissario per l’Industria. R. rifiutò la proposta di Delors, essendo il suo impegno politico legato al settore della ricerca. Nel gennaio 1993 R. divenne commissario europeo per ricerca, sviluppo tecnologico, formazione, istruzione e gioventù. R. ricoprirà altresì la funzione di vicepresidente della Commissione tra il 1° luglio e il 21 dicembre 1993. Obiettivo di R. come commissario era quello di promuovere nel medio periodo l’istituzione di una politica europea della ricerca, disegno di cui pose le prime basi, ma il cui ulteriore perseguimento, per la troppo breve permanenza in carica, fu demandato ai successori (v. anche Politica della ricerca scientifica e tecnologica). Nell’immediato R. fu chiamato a predisporre il quarto programma quadro per la ricerca per il quinquennio 1994-1998. R. riuscì a far approvare un programma che prevedeva stanziamenti pari a più di 13 miliardi di ECU, con un sensibile aumento rispetto al passato, superando, grazie all’appoggio del Parlamento europeo, gli ostacoli opposti dagli Stati maggiori, meno interessati a una politica comune della ricerca data la qualità superiore dei loro sistemi rispetto agli altri paesi membri. Nel programma furono per la prima volta inseriti gli aspetti socio-economici, andando al di là del campo delle scienze naturali e della tecnologia cui fino allora erano rimasti limitati i Programmi comunitari. Inoltre, altro aspetto innovativo del quarto programma quadro, veniva introdotto il principio del collegamento tra ricerca e politiche settoriali europee.

Nel campo dell’istruzione e della formazione professionale (v. anche Politica dell’istruzione; Politica della formazione professionale), R. puntò a ricondurre i sette programmi comunitari esistenti a un unicum, sulla scia di quanto era andata elaborando la Commissione fin dall’inizio del decennio. A causa delle resistenze incontrate, sia di tipo burocratico e amministrativo da parte degli interessi costituiti esistenti, sia di tipo politico da parte degli Stati gelosi della loro autonomia nazionale in tali settori, l’obiettivo fu raggiunto solo parzialmente con l’istituzione di due programmi quinquennali: Programma Socrates per l’istruzione e Programma Leonardo per la formazione professionale. Altra iniziativa importante di R. come commissario fu l’istituzione dell’Assemblea europea delle scienze e delle tecnologie che, nelle sue intenzioni avrebbe dovuto riunire i due esistenti enti di consulenza scientifica della Commissione, il Comitato dello sviluppo europeo della scienza e della tecnologia (CODEST) e l’Industrial research and development advisory committee (IRDAC), in un solo organo di rappresentanza della comunità scientifica con ruoli di consulenza e proposta. Tali obiettivi furono raggiunti solo parzialmente: l’IRDAC, l’ente di consulenza per la ricerca in campo industriale, non fu assorbito dall’Assemblea. Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, R., dopo due anni come commissario, lasciò l’incarico.

Esaurita l’esperienza europea, R. divenne membro dell’Accademia dei Lincei. Nel 1996 fu eletto nelle liste del Partito democratico della sinistra (PDS) alla Camera dei deputati, dove divenne presidente della Commissione per le Politiche comunitarie.

Francesco Petrini 
(2010)




Rudolf Augstein




Rudolf Herman Adolf Kunst




Rudolf Kirchschläger




Rudolf Scharping




Rudolf Schuster




Rudolphus Franciscus Marie Lubbers




Rueff, Jacques

Alto funzionario dell’amministrazione finanziaria, economista, spirito speculativo dotato di capacità di persuasione e di talento didattico, R. nacque il 26 agosto 1896 a Parigi, ove morì il 23 aprile 1978. Durante il primo settennato di Charles de Gaulle influenzò la politica finanziaria e monetaria del governo e le sue idee sulla riforma del sistema monetario internazionale ancorato all’oro provocarono scalpore. L’ironia della storia, poi, fece sì che proprio lui, liberale e liberista, antikeynesiano e antidirigista, legasse la sua notorietà ai piani Poincaré e Pinay.

Cresciuto in un ambiente borghese e intellettualmente stimolante, R. frequentò dapprima i licei Charlemagne e Saint-Louis e, dopo la Prima guerra mondiale, i corsi dell’École polytechnique e dell’École des sciences politiques. A 25 anni pubblicò il suo primo saggio, Dalle scienze fisiche alle scienze morali, nel quale sostenne che alla base delle manifestazioni dello spirito umano vi erano leggi meccaniche non modificabili e garanti dei grandi equilibri. Il saggio riscosse gli elogi di Henry Bergson e di Paul Painlevé. Clément Colson, suo maestro, dichiarò allora che in Francia era nato «un economista matematico e un filosofo». A 27 anni R. entrò nell’Inspection des finances, iniziando così una carriera che doveva portarlo ai livelli più elevati dell’amministrazione finanziaria: nel 1934 direttore aggiunto e dal 1936 al 1939 capo della direzione del Movimento generale dei fondi (diventata nel 1940 direzione del Tesoro); nel 1939 vicegovernatore della Banca di Francia, carica da cui si dimise nel 1941.

Nella seconda metà degli anni Venti le vicende monetarie della Francia, indebolita da frequenti svalutazioni alle quali era ricorsa per finanziare le conseguenze dello sforzo bellico, videro R. al centro di un acceso dibattito che contrappose ai sostenitori del ritorno del franco al valore del 1914 coloro che invece, come R., ritenevano saggio, proprio per favorire la crescita di un’economia debole e chiusa, evitare di innescare subito un processo deflativo carico di rischi. Nel 1926, chiamato al Gabinetto di Raymond Poincaré, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze del governo di “unità nazionale” (nome, questo, che ricordava ai francesi la union sacrée degli anni della guerra e della quale Poincaré stesso, Presidente della Repubblica dal 1913 al 1920, era stato il simbolo), R. affrontò il compito di mettere ordine nelle dissestate finanze dello Stato. La legge 25 giugno 1928, da lui ispirata, reintroduceva la convertibilità con l’oro e si tradusse in una svalutazione di circa il 20% della moneta francese dell’anteguerra (il c.d. franc Poincaré o, come fu anche chiamato, in relazione all’entità della perdita del suo valore, franc a quatre sous).

Negli anni che precedettero lo scoppio della Seconda guerra mondiale R. affiancò alle funzioni di gran commis dello Stato l’attività scientifica attraverso saggi, conferenze, colloqui e, soprattutto, l’insegnamento all’Istituto di statistica dell’Università di Parigi e all’École des sciences politiques. Egli svolse altresì importanti incarichi ufficiali all’estero (addetto finanziario dell’ambasciata di Francia a Londra dal 1930 al 1936) e presso le organizzazioni internazionali (capo della delegazione francese al Comitato finanziario della Società delle Nazioni). Dopo la liberazione della capitale nel 1944, R. divenne consigliere economico del generale de Lattre de Tassigny, Comandante delle truppe francesi in Germania, rappresentò la Francia nel Comitato per le riparazioni di Mosca e, dopo avere presieduto dal novembre al dicembre 1945 la Conferenza internazionale di Parigi per le riparazioni, guidò fino al 1952 l’Agenzia interalleata di Bruxelles istituita da quella Conferenza.

Ma il “momento di gloria” di R. venne nel settembre 1958, allorché Antoine Pinay, ministro delle Finanze del Gabinetto di de Gaulle, lo chiamò a presiedere il Comitato di esperti per la riforma economica e finanziaria. I risultati dei relativi lavori, sotto forma di “raccomandazioni” presentate al governo in dicembre, suggerivano, da un lato, di rimediare attraverso misure drastiche al dissesto finanziario di un paese ancora alle prese con la guerra d’Algeria e, dall’altro, di preparare l’economia francese al nuovo scenario caratterizzato dall’adesione alle Comunità europee (avvenuta nel 1957 sotto il governo di Guy Alcide Mollet) (v. Trattati di Roma) e dalla conseguente forte spinta alla liberalizzazione degli scambi e alla concorrenza. Il “piano Rueff-Pinay”, entrato in vigore nel gennaio 1959, contemplava una svalutazione del 17% della moneta, l’entrata in vigore il 1° gennaio 1960 del nuovo franco (pari a cento vecchi franchi), la progressiva eliminazione delle restrizioni quantitative agli scambi (riguardanti il 90% delle importazioni), il progressivo ritorno all’equilibrio di bilancio (attraverso l’inasprimento della pressione fiscale), la riduzione della spesa sociale a carico dello Stato, l’aumento delle tariffe dei servizi pubblici e la soppressione di diverse sovvenzioni. Questo piano, su cui si concentrarono le critiche delle parti sociali e di diversi ministri i (che provocarono le dimissioni di Mollet oltre a quelle, respinte, di Pinay) venne considerato troppo liberale e, anzi, di pericolosa applicazione per un sistema fino ad allora fortemente protetto. Nonostante le opposizioni, il piano trovò attuazione grazie all’autorità e al prestigio dei quali godeva nelle circostanze di allora de Gaulle, per il quale mettere l’economia della Francia in grado di misurarsi con un ambito più vasto di quello dei suoi confini geografici significava liberarla dai lacci e dai lacciuoli del corporativismo, della demagogia, del controllo dei cambi e, soprattutto, della “assistenza dall’esterno”.

Grazie al “piano Rueff-Pinay”, la Francia fu dunque in grado di applicare il 1°gennaio 1959 le prime misure contemplate dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) per l’attuazione dell’Unione doganale senza dovere fare ricorso, contrariamente a quanto avevano temuto diverse personalità politiche quali Pierre Pflimlin e Pierre Mendès France, a deroghe o a clausole di salvaguardia. Certamente R. aveva ben presente l’opportunità di dare continuità ai suoi sforzi, e la costituzione di una Commissione, di cui erano presidente il primo ministro Michel Debré e vicepresidenti Louis Armand e R. stesso, aveva lo scopo di favorire la progressiva liberalizzazione prevista dal Trattato CEE. In una serie di articoli pubblicati su “Le Monde” nel giugno 1960 R. sostenne la necessità di un nuovo sistema monetario internazionale nel quale, a differenza di quello di Bretton Woods fondato sulla convertibilità del dollaro, il ruolo regolatore degli scambi sarebbe stato svolto soltanto dall’oro. Contrario ad affidare tale ruolo a un’autorità monetaria, governativa o sovranazionale, egli era convinto che la produzione di metallo prezioso sarebbe stata sufficiente ad assicurare il progressivo incremento degli scambi, evitando così che le banche centrali accumulassero liquidità eccessive, foriere, a loro volta, d’inflazione. Queste convinzioni furono fatte proprie da de Gaulle in una conferenza stampa del 1965.

Tuttavia, se, da un lato, le misure assunte per convertire in oro i dollari della Francia rappresentarono l’attuazione delle idee di R., dall’altro, quando si trattò di decidere dei diritti speciali di prelievo, la posizione del governo francese non fu contraria: un segno che per de Gaulle la creazione di nuova liquidità attraverso quei diritti assumeva il duplice significato di sostenere lo sviluppo del commercio internazionale e di ridimensionare il ruolo del dollaro.

Luigi Guidobono Cavalchini Garofali (2011)




Ruggiero, Renato

R. (Napoli 1930) consegue la laurea in giurisprudenza nel 1953 all’Università partenopea entrando ben presto nella carriera diplomatica. Dopo i primi incarichi al consolato italiano a San Paolo in Brasile e alle ambasciate di Mosca e Washington, torna nel 1964 a Roma come capo della Segreteria degli Affari politici del ministero degli Esteri. Nel 1966 viene assegnato come consigliere all’Ambasciata di Belgrado.

Nel 1969 è inviato alla Rappresentanza permanente d’Italia presso la Comunità europea, ove negozia il regolamento sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti. Nominato nel luglio 1970 capo di gabinetto del Presidente della Commissione europea, Franco Maria Malfatti, partecipa agli importanti negoziati che conducono all’entrata di Regno Unito, Danimarca e Irlanda nella Comunità economica europea (CEE), nonché allo sviluppo della prima definizione di unione monetaria e all’avvio ufficiale del progetto di Unione europea al Vertice europeo di Parigi del 1972 (v. Vertici). Dopo un breve periodo come consigliere politico del presidente della Commissione europea, Sicco Mansholt, viene designato direttore generale per la politica regionale alla Commissione europea a Bruxelles. In questo ruolo negozia e costituisce, insieme al commissario George Thomson, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), un importante strumento di supporto finanziario per le regioni meno sviluppate in Europa. Nel 1977 diviene portavoce del presidente della Commissione europea, Roy Jenkins, assistendolo nei negoziati per il Sistema monetario europeo (SME), cui l’Italia darà adesione, dopo un difficile voto del Parlamento, il 14 dicembre 1978. Prima del 13 marzo 1979, quando cioè il Consiglio europeo di Parigi decide l’entrata in vigore dello SME, R. – già tornato al ministero –partecipa per l’Italia agli intensi negoziati preliminari sugli importi compensativi monetari.

Nominato nel 1980 ambasciatore, torna a Bruxelles come rappresentante permanente dell’Italia presso la Comunità europea. In seguito diviene direttore generale per gli Affari economici al ministero degli Esteri a Roma (1984-1985), raggiungendo infine l’alto incarico di segretario generale del ministero degli Esteri (1985-1987). In questo periodo è anche il rappresentante personale del presidente del Consiglio a sette vertici del G7, nonché presidente della Commissione esecutiva dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (v. Organizzazione europea per la cooperazione economica) a Parigi. Divenuto ministro per il Commercio estero (1987-1991), R. completa l’applicazione del programma italiano di liberalizzazione del commercio estero e dei movimenti di capitale. Dopo aver lasciato la carriera diplomatica, assumendo nel frattempo incarichi di consulenza e dirigenza in molte compagnie non soltanto italiane (tra le quali la FIAT), R. viene eletto nel 1995 direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) rimanendovi sino al 1999. Si fa promotore in tale sede della liberalizzazione del commercio con i 48 paesi meno sviluppati e di quella su scala globale delle telecomunicazioni e dei servizi finanziari. Dopo un breve periodo di presidenza dell’ENI, viene nominato nel giugno 2001 ministro degli Esteri dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, anche per rassicurare i partner europei sulla continuità della linea europeista del nuovo governo. Il 5 gennaio 2002, in disaccordo con la politica europea del governo, lontana in realtà dal tradizionale europeismo caratterizzante gli esecutivi precedenti, e in seguito all’opposizione e alle critiche del ministro della Giustizia Roberto Castelli al mandato di cattura europeo, discusso e approvato con fatica dal Consiglio europeo di Laeken nel dicembre 2001, rassegna le dimissioni.

R., infine, è incaricato dal presidente del Consiglio Romano Prodi di seguire i lavori preparatori della Dichiarazione di Berlino sul futuro dell’Europa (25 marzo 2007) per il 50° anniversario della firma dei Trattati di Roma. In tale veste, ha sostenuto in più sedi come il rilancio del progetto europeo sia ormai una necessità senza valide alternative.

Alessandra Petrone (2009)




Ruiz-Giménez Cortés, Joaquín

R.-G. (Hoyo de Manzanares 1913-Madrid 2009) proviene da una famiglia borghese di solide tradizioni cattoliche. Laureatosi alla Facoltà di Diritto dell’Università di Madrid nel 1934, inizia a frequentare i corsi di Lettere e filosofia, senza giungere tuttavia alla laurea a causa del precipitare degli eventi. Militante dell’Azione cattolica, dopo aver conosciuto le carceri repubblicane, prende parte alla guerra civile dalla parte dei militari ribelli come ufficiale delle trasmissioni. Legato ad Ángel Herrera, il principale mentore del cattolicesimo politico spagnolo, nel 1939 è nominato presidente di Pax romana, l’organizzazione internazionale degli studenti cattolici fondata a Friburgo nel 1921, carica che avrebbe mantenuto fino al 1946. Discussa la tesi di dottorato nel 1940, due anni più tardi diventa ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università di Siviglia. Dal 1946 al 1948 dirige l’Instituto de Cultura hispánica. Dal 1948 al 1951 è ambasciatore presso la Santa Sede. Dal 1951 è Ministro dell’Educación nacional, in rappresentanza della componente cattolica che fa capo ad Alberto Martín Artajo, dicastero che abbandona il 16 febbraio 1956 in seguito ai moti studenteschi, che è incolpato di avere in vario modo assecondato, avendo dato impulso a una cauta liberalizzazione ed essendosi scontrato con la politica di espansione accademica dell’Opus Dei. Lo stesso anno passa a insegnare all’Università di Salamanca. Negli anni Cinquanta R.-G. è inoltre uno dei più autorevoli membri del Centro europeo de Documentación e información (CEDI), un’organizzazione europeista di stampo cattolico e conservatore fondata nel 1952 da Alfredo Sánchez Bella.

Risale a proprio a quel periodo l’avvio dell’allontanamento dal regime di R.-G., che lo avrebbe portato nelle file dell’opposizione moderata di segno democratico-cristiano: non sono estranei a tale scelta i suoi sentimenti europeisti sopra accennati. Dal 1960 passa a insegnare all’Università di Madrid. Nominato nel 1962 da papa Giovanni XXIII, partecipa ai lavori delle Commissioni del Concilio vaticano II come esperto in questioni sociali, giuridiche e politiche, mentre Paolo VI lo nomina membro del Consiglio dei Laici della Santa Sede (1967-1972). Nel frattempo fonda nel 1963 i “Cuadernos para el Diálogo”, rivista che avrebbe diretto fino al 1966, una delle più significative pubblicazioni critiche del regime sul piano interno, le cui pagine sono aperte a un ampio ventaglio di posizioni ideologiche e politiche. L’enciclica Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII esercita una notevole influenza su R.-G., che lo stesso anno ne pubblica un’edizione commentata, interpretando la lettera papale come un documento non solo contro la guerra, ma anche in favore della libertà. Nel 1965 R.-G. rinuncia quindi alla carica di procuratore alle Cortes, alla quale era stato designato personalmente dal Caudillo. Nel 1966 è nominato presidente mondiale di Pax romana. Nel 1967 viene eletto vicepresidente della Asociación española de cooperación europea (AECE), una delle principali organizzazioni europeiste del paese, nonché luogo privilegiato di confronto tra i diversi segmenti dell’opposizione al regime. Tale nomina risultava del tutto coerente con le posizioni europeiste assunte negli anni precedenti, a partire dai Cuadernos para el Diálogo, che da un lato informavano sugli avvenimenti comunitari, dall’altro non risparmiavano critiche a Franco, poiché la mancanza di democrazia nel paese rappresentava indubbiamente il principale ostacolo all’auspicato ingresso della Spagna nella Comunità economica europea (CEE). Nel 1969, dopo la morte di Manuel Giménez Fernández, R.-G. è chiamato alla guida della corrente Izquierda democrática cristiana, incarico che accetta facendo però togliere il riferimento religioso nella denominazione.

Dal 1974 al 1977 presiede Izquierda democrática, una forza politica d’orientamento democratico-cristiano che fallisce l’appuntamento con le prime elezioni democratiche del 15 giugno 1977, dove si presenta all’interno di un cartello insieme ad altri gruppi di simile orientamento (Grupo de Democracia cristiana): in quell’occasione, infatti, i cattolici moderati e conservatori optarono per la Unión de Centro democrático di Adolfo Suárez e per l’Alianza popular di Manuel Fraga Iribarne, mentre i cattolici progressisti non ebbero timore a sostenere il Partido socialista obrero español di Felipe González. Come presidente della Commissione nazionale spagnola di Justicia y paz (1971-1975) R.-G. promuove con altri, nel biennio 1972-1973, una raccolta di firme per un’amnistia che segni l’avvio della riconciliazione nazionale, facendo fatica a convincere molti vescovi, favorevoli a un meno compromettente indulto. Vicepresidente dell’Instituto internacional de derechos humanos, R.-G. ricoprirà inoltre la carica di Defensor del pueblo (1982-1987), di presidente del Comité español de Unicef (1988-2001) e di vicepresidente della Comisión española de ayuda al refugiado. R.-G. riceverà vari riconoscimenti, tra cui le lauree honoris causa dell’Università Carlo III di Madrid (1997) e dell’Università di Jaén (2001), oltre al Premio Pelayo, assegnato ai giuristi di chiara fama (2008).

Alfonso Botti (2012)