Scarascia Mugnozza, Carlo

Dopo aver svolto servizio militare in Africa Settentrionale negli anni della guerra, e aver ottenuto una medaglia d’argento e una Croce di Guerra al Valor militare, S.M. (Roma 1920-ivi 2004) si laurea in giurisprudenza per iniziare, nel 1945, la carriera di avvocato a Brindisi.

Qui si iscrive alla Democrazia cristiana (DC), della quale è segretario provinciale politico dal 1946 al 1948, e segretario provinciale amministrativo dal 1948 al 1953. Nello stesso periodo viene eletto consigliere comunale, carica che mantiene per molti anni e che riprenderà negli anni Ottanta, una volta ritiratosi dalla politica nazionale ed europea. Nei primi anni al Comune di Brindisi assumerà anche il ruolo di assessore alle finanze.

È consigliere di amministrazione della Cassa di Risparmio di Puglia dal 1945 e commissario, e poi presidente, del Consorzio agrario di Brindisi fra il 1946 e il 1953. Dal 1948 è inoltre presidente dell’Associazione provinciale agricoltori di Brindisi. Tali esperienze gli conferiscono una conoscenza profonda dei problemi dell’agricoltura italiana e gli permettono di seguirne direttamente le principali fasi evolutive, prime fra tutte le trasformazioni seguite all’applicazione della riforma agraria.

Le questioni agricole rappresentano quindi il suo ambito primario d’interesse nel momento in cui, nel 1953, viene eletto deputato nel collegio Lecce-Taranto-Brindisi, dove sarà confermato anche nelle tre legislature successive (mentre alle elezioni del 1948, pur candidato, non aveva ottenuto voti sufficienti all’elezione). Alla Camera dei deputati è spesso portavoce per le questioni di bilancio della commissione Agricoltura, a nome della quale presenta anche importanti progetti di legge concernenti lo sviluppo rurale del Mezzogiorno. Non mancano del resto occasioni di collaborazione con la commissione Affari esteri, con quella per gli Affari costituzionali, con la commissione Lavoro e previdenza sociale e con la commissione Difesa, dovute in parte alla sua partecipazione alla Commissione speciale della Camera per l’elaborazione e l’applicazione delle norme dei Trattati di Roma. Vicepresidente e segretario del gruppo parlamentare della DC fra il 1958 e il 1962, in virtù di tale carica diviene membro del Consiglio nazionale del partito. Presso la direzione centrale democristiana è responsabile nazionale per il settore della pesca.

In qualità di sottosegretario alla Pubblica istruzione del IV governo di Amintore Fanfani, fra il febbraio 1962 e il giugno 1963, S.M. è nominato capo della delegazione italiana alla XII conferenza internazionale dell’United Nations educational, scientific and cultural organization (UNESCO). Nella compagine del successivo governo Leone (giugno-novembre 1963) ha invece l’incarico di sottosegretario alla Giustizia. Presidente del Comitato interministeriale per le questioni ambientali, all’inizio degli anni Settanta guida la delegazione italiana nella fase preparatoria della Conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) di Stoccolma sui problemi dell’ambiente, nonché di una Conferenza organizzata dall’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e dedicata agli stessi temi.

Per quanto riguarda la politica europea, nel 1954 S.M. è membro della delegazione parlamentare, guidata da Alcide De Gasperi, al Congresso federalista europeo di Parigi (v. Federalismo), dove ha occasione di conoscere anche gli altri “padri” della costruzione europea, come Jean Monnet, Robert Schuman e Konrad Adenauer.

Dal 1961 al 1972 è membro del Parlamento europeo, nel gruppo democratico cristiano. Fra il 1967 e il 1969 presiede la commissione Energia e ricerca scientifica, nel cui ambito promuove soprattutto misure volte a tracciare le linee di una politica comunitaria in materia di educazione e di formazione professionale dei giovani, fondamentale ai fini dell’unificazione, particolarmente funzionale alle esigenze italiane, dei mercati del lavoro dei paesi membri.

Nel 1969 succede a Mario Scelba alla presidenza della Commissione politica, nel cui ambito svolge un ruolo di primo piano come portavoce sui problemi relativi ai progetti di Unione politica, di grande attualità soprattutto dopo il “rilancio europeo” dell’Aia del dicembre dello stesso anno. Un suo rapporto sull’avvenire politico delle Comunità europee, presentato nel settembre 1971 a nome della commissione, diverrà un riferimento fondamentale nelle discussioni in materia degli anni successivi. Nel dibattito in assemblea plenaria successivo alla presentazione del documento, S. sollecita una riforma dei meccanismi di Cooperazione politica europea stabiliti nel 1970 dal “Rapporto Davignon”, indicando i tre ambiti, all’ordine del giorno nelle riunioni dei ministri degli Esteri, sulle quali i paesi membri della Comunità economica europea (CEE) dovranno rapidamente esprimere una linea comune di politica estera: il Medio Oriente, il bacino Mediterraneo e la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE).

Tale vicenda aumenterà notevolmente il prestigio di S., tanto che, a seguito delle dimissioni di Franco Maria Malfatti dalla presidenza della Commissione europea (v. anche Presidente della Commissione europea), voci autorevoli come quelle di Walter Hallstein e del presidente degli europarlamentari democristiani Luker lo propongono come nuovo vicepresidente italiano dell’esecutivo di Bruxelles. Dal marzo 1972 al gennaio 1973, nella Commissione presieduta da Sicco Mansholt, S., primo (e finora unico) italiano in tutta la storia del processo d’integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), è responsabile delle questioni agricole. In tale veste dedica una particolare attenzione ai problemi della ricerca agronomica.

Nei quattro anni successivi, nella compagine presieduta da François-Xavier Ortoli, S. ha la responsabilità delle politiche dell’Ambiente e dei consumatori, appena inserite fra le competenze comunitarie dalla conferenza al Vertice di Parigi dell’ottobre 1972, alla quale si aggiungono la delega ai Trasporti e le responsabilità dei Rapporti con il Parlamento europeo e dell’Informazione. In virtù di quest’ultima si fa promotore dell’istituzione dell’Eurobarometro, un sistema di sondaggi d’opinione periodici fra le popolazioni degli Stati membri su diversi argomenti di interesse generale europeo. Agendo in stretta intesa sia col collega Altiero Spinelli, responsabile delle Politiche industriali, sia con la Farnesina e la rappresentanza italiana a Bruxelles, riesce inoltre a imprimere una parziale correzione allo squilibrio di “nazionalità” fra gli alti funzionari comunitari, che a lungo ha visto gli italiani particolarmente sottorappresentati.

Fra le altre tematiche alle quali S. dedica particolare attenzione in veste di commissario europeo spiccano i temi legati all’elaborazione e all’avvio della politica regionale comunitaria (v. anche Politica di coesione), sui quali è spinto anche dalla volontà di facilitare l’adattamento alla realtà europea delle neoistituite regioni italiane.

L’aspetto principale su cui si concentra l’azione politica di S. a Bruxelles sono comunque i problemi del bacino mediterraneo, interesse dettato in parte dal suo retroterra anagrafico e politico, ma che egli concepisce anche come un’estensione naturale delle responsabilità in materia di politica agricola europea ottenute nella prima fase del suo commissariato (v. Politica agricola comune). Contribuisce del resto a incentivare tale interesse anche l’esperienza maturata in qualità membro della Commissione politica del Parlamento europeo. Non a caso la sua proposta principale in materia, che avrà un’eco profonda nell’ambito delle Istituzioni comunitarie e che rimane tutt’oggi uno dei suoi contributi più importanti alla vita comunitaria, è quella relativa al varo di una “politica mediterranea globale”, che orienterà l’atteggiamento della Comunità verso l’area per il successivo quindicennio, e che fornirà la base sulla quale venti anni dopo, sia pure in forme diverse, sarà varato il Partenariato euro-mediterraneo.

Fra i fondatori, nel 1976, del Partito popolare europeo, negli anni dell’impegno comunitario S. si dedica anche ad attività non strettamente legate alla vita politica, assumendo ad esempio la presidenza dell’Accademia nazionale di danza, che manterrà per oltre vent’anni, e quella dell’Istituto del Nastro azzurro tra decorati al valor militare.

Grazie all’esperienza acquisita in Italia e nelle istituzioni europee, fra il 1982 e il 1990 S. assume inoltre la carica di presidente del Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei di Parigi.

Lorenzo Mechi (2010)




Scelba, Mario

S. nacque a Caltagirone, in provincia di Catania, nel 1901. Sin da giovane si avvicinò al movimento cattolico, in particolare all’esponente di punta del neonato Partito popolare, don Luigi Sturzo, di cui divenne nel primo dopoguerra uno stretto collaboratore. Ostile al fascismo, come altri giovani esponenti del PPI, visse con amarezza la decisione di vari esponenti popolari di allinearsi al fascismo, nonché il cauto atteggiamento assunto dalla Chiesa cattolica nei confronti del regime. Durante gli anni della dittatura decise di rinunciare a un’attività politica aperta. Nel 1942 fu comunque uno dei primi esponenti cattolici a favorire la nascita nella clandestinità del nuovo partito che avrebbe assunto il nome di Democrazia cristiana (DC). Fin dalle prime fasi di vita della DC S. si collocò su moderate una linea moderata; le sue posizioni si rifacevano a quelle espresse da Alcide De Gasperi, tanto da essere nominato nel 1944, in occasione del primo congresso democristiano tenutosi a Napoli, vicesegretario del partito.

Con la formazione del governo guidato da Ferruccio Parri, il ruolo di S. quale esponente di rilievo della DC era confermato dalla sua nomina a ministro delle Poste e Telecomunicazioni, incarico che egli mantenne nei due governi, guidati da De Gasperi tra la fine del 1945 e il 1946. In quest’ultimo anno S. veniva eletto all’Assemblea costituente e nel 1948 sarebbe divenuto deputato, restando membro dell’assemblea di Montecitorio sino al 1968 (da quell’anno fino al 1979 avrebbe ricoperto il ruolo di senatore). Nel 1947, con la fine dell’esperienza di coalizione antifascista e con l’uscita dal governo del Partito comunista italiano (PCI) e del Partito socialista italiano (PSI), De Gasperi formava un primo governo centrista, che avrebbe tra l’altro dovuto affrontare la difficile prova delle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana nell’aspro clima di scontro, accentuato dall’emergere della Guerra fredda. In tale contesto la fiducia riposta da De Gasperi in S. era confermata dalla decisione presa dal leader trentino di affidargli la delicata carica di ministro dell’Interno, un ruolo che l’uomo politico siciliano avrebbe mantenuto ininterrottamente per tutta l’“era degasperiana” sino al 1953.

Quale responsabile dell’ordine pubblico in anni particolarmente difficili e di gravi scontri politico-sociali, S. fu al centro di feroci critiche e di duri attacchi a opera delle forze dell’opposizione, sia di destra sia di sinistra. In particolare, il PCI e il PSI individuarono nel ministro dell’Interno il responsabile dell’atteggiamento duro assunto spesso dalle forze di pubblica sicurezza nel fronteggiare manifestazioni organizzate dai partiti di sinistra o dal sindacato social-comunista. In realtà la volontà di S. di affrontare con fermezza quelle che egli considerava forze “antisistema” si esprimeva non solo nei riguardi del PCI e del PSI, ma anche del Movimento sociale italiano (MSI). La posizione di S. si rivelò d’altronde più “sfumata” e “cauta” di quanto allora non venisse affermato dai partiti d’opposizione e, pur essendo animato da un fermo anticomunismo, S. si mostrò abbastanza scettico nei confronti dei suggerimenti che, soprattutto a partire dal 1953, sarebbero pervenuti a opera dell’amministrazione del presidente americano Dwight Eisenhower affinché il governo italiano assumesse un atteggiamento ancor più rigido verso il PCI e i suoi alleati.

Nel corso del 1953 S. fu uno dei principali promotori della legge elettorale maggioritaria – ben presto definita dall’opposizione di sinistra come “legge truffa” – nella convinzione che solo tale provvedimento avrebbe potuto garantire all’esecutivo una solida maggioranza parlamentare. Come è noto, in occasione delle consultazioni politiche del 1953 il meccanismo previsto dalla legge non ebbe modo di scattare e De Gasperi, il quale era stato uno dei sostenitori del provvedimento, fu costretto ad abbandonare la leadership del governo. Sino a quel periodo S. non era stato coinvolto direttamente nelle questioni di politica estera, per quanto avesse sostenuto le maggiori scelte di De Gasperi: dalla adesione al Piano Marshall e al Patto atlantico, alla partecipazione nel processo di costruzione europea avviato con il Piano Schuman e successivamente con il Piano Pleven. Dopo la breve parentesi del governo monocolore guidato da Giuseppe Pella – che si caratterizzò per le prese di posizione in senso nazionalista, fino al punto di subordinare la ratifica della Comunità europea di difesa (CED) a un diverso atteggiamento di Washington e di Londra sulla questione di Trieste – tra la fine del 1953 e gli inizi del 1954 S. procedeva alla costituzione di un governo centrista, al quale prendevano parte, oltre alla DC, il Partito socialdemocratico italiano (PSDI) e il Partito liberale italiano (PLI).

Fra le questioni di politica internazionale che il nuovo esecutivo si trovò ad affrontare vi fu la posizione dell’Italia in merito al futuro del trattato CED e la sorte di Trieste. S., il quale era coadiuvato da un altro democristiano, Attilio Piccioni alla guida del ministero degli Esteri, intese sottolineare il ritorno alle linee guida della politica perseguita da De Gasperi, in particolare la fedeltà nei confronti dell’alleanza atlantica e l’impegno verso il processo di integrazione (v. Integrazione, metodo della). In tal senso S. avviò la procedura parlamentare di ratifica del trattato CED, alla cui sorte si legava la realizzazione del progetto di Comunità politica europea (CPE), che stava particolarmente a cuore a De Gasperi. Il nuovo presidente del Consiglio non poteva però ignorare le difficoltà che la CED stava affrontando in Francia, nonché il difficile clima politico interno e l’incerta situazione internazionale determinata dalla morte di Stalin e dalla comparsa di una nuova leadership in Unione Sovietica. L’esecutivo italiano si mosse dunque con prudenza nell’attesa di un chiarimento da parte delle autorità francesi; nel frattempo si puntava su una rapida soluzione del problema giuliano, anche se ciò avrebbe finito con il porre fine alle speranze italiane di recuperare, non solo Trieste, ma anche la Zona B del Territorio libero di Trieste.

Una volta caduta la CED a causa del voto del Parlamento francese, il governo S. si preoccupò soprattutto del mantenimento degli stretti legami esistenti tra l’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Il leader DC non si mostrò favorevole in una prima fase al progetto avanzato dal segretario di Stato britannico Anthony Eden per la nascita di un’alleanza europea occidentale fondata sull’allargamento del Patto di Bruxelles all’Italia e alla Germania Ovest. Ciò infatti avrebbe posto fino agli ideali degasperiani che si fondavano su un approccio federalista alla costruzione europea (v. Federalismo). In occasione della visita di Eden a Roma nel settembre del 1954 S. e Piccioni finirono però con l’accettare il progetto inglese come l’unico in grado di risolvere la grave crisi che aveva scosso il sistema occidentale. Successivamente nell’autunno, a causa delle dimissioni di Attilio Piccioni dalla carica di ministro degli Esteri, S. favorì la nomina dell’esponente liberale, Gaetano Martino, noto per le sue posizioni filo occidentali e favorevoli alla costruzione europea. L’Italia accettava dunque gli accordi di Parigi del 1954 che restituivano la sovranità alla Repubblica Federale Tedesca, ne sancivano l’ingresso nella Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e davano origine alla Unione dell’Europa occidentale (UEO). Quasi contemporaneamente, con il memorandum d’intesa di Londra si poneva fine alla occupazione anglo-americana di Trieste con il ritorno della città alla sovranità italiana.

Nella primavera del 1955 il governo S. esaminava le proposte provenienti dai paesi del Benelux affinché si prendesse in considerazione l’ipotesi di creare una comunità economica europea e una comunità europea per l’energia nucleare. Fu sotto la guida di S. che nel maggio di quell’anno il governo di Roma decise di considerare con favore, benché con un atteggiamento prudente e ponendo alcune importanti condizioni a difesa degli interessi italiani, il progetto delle nazioni del Benelux. Agli inizi di giugno del 1955 si teneva a Messina la conferenza dei ministri degli Esteri dell’Europa dei “Sei” dalla quale avrebbero avuto origine la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) (v. anche Conferenza di Messina). Alla fine di quello stesso mese, anche a causa dei crescenti dissidi all’interno della DC e del progressivo cambiamento di equilibri nella Democrazia cristiana simboleggiato dalla elezione di Giovanni Gronchi a Presidente della Repubblica, S. era costretto a rassegnare le dimissioni. Pur restando uno degli esponenti di spicco della DC, il leader siciliano non avrebbe più svolto ruoli di particolare rilievo, ove si escluda la nomina a ministro dell’Interno nel III governo di Amintore Fanfani dopo la parentesi del gabinetto di Fernando Tambroni. Parve invece rafforzarsi, sulla scia delle posizioni che erano state di Alcide De Gasperi, l’interesse di S. nei riguardi del processo di integrazione; egli era pur sempre uno dei maggiori rappresentanti di un partito – la DC – che fin dagli anni Quaranta si era espresso a favore della costruzione europea. Questo impegno risultò confermato dalla sua nomina nel 1969 alla carica di presidente del Parlamento europeo, ruolo che egli avrebbe mantenuto sino al 1971. S. moriva a Roma nel 1991 all’età di novant’anni.

Antonio Varsori (2010)




Scharping, Rudolf

S. nacque il 2 dicembre 1947 nel villaggio di Niedelbert, nella regione del Reno-Palatinato, primogenito dei sette figli del commerciante di mobili Albert Scharping e della moglie Hilde, assistente ecclesiastica. S. crebbe nelle difficili condizioni economiche del dopoguerra nella piccola città conservatrice di Lahnstein, dove la famiglia si trasferì dal 1949. Nel 1971 sposò Jutta Kraus, assistente in un laboratorio chimico, con la quale ha avuto tre figli. Separatosi dalla moglie nel 2000, sposerà in secondo nozze nel 2003 l’avvocato Kristina Pilati.

Poco prima di conseguire il diploma delle scuole superiori a Lahnstein, nel 1966, S. entrò nel Partito socialdemocratico (Sozialdemokratische Partei Deutschlands, SPD). Nello stesso anno entrò come volontario nell’esercito, ma già dopo sei mesi fu riformato per la forte miopia. Studiò allora scienze politiche, sociologia e diritto all’Università di Bonn dal 1966 al 1974. Ancora studente lavorò come assistente per alcuni parlamentari. Terminati gli studi, divenne politico a tempo pieno. Sebbene la sua carriera subisse una piccola battuta d’arresto dovuta a una speculazione dell’organizzazione giovanile del partito (Jungsozialsten, JuSos), che gli costò anche l’espulsione temporanea dalla SPD, dal 1968 al 1969 S. divenne presidente regionale dei Giovani socialisti dal 1969 al 1974, e vicepresidente federale dell’organizzazione dal 1974 al 1976.

Dal 1975 al 1994 fu membro del parlamento del Reno-Palatinato. Nel maggio 1991 la SPD vinse le elezioni in questo Land per la prima volta dopo 44 anni, e S. divenne primo ministro, conservando la carica sino all’ottobre 1994, quando passò all’arena federale e venne eletto nel parlamento tedesco (Bundestag).

Nel 1993 succedette a Björn Engholm alla carica di presidente della SPD, con una votazione a scrutinio segreto nel partito a suo favore. Era il primo presidente della SPD nato dopo la Seconda guerra mondiale, e a quarantacinque anni il presidente più giovane nella storia del partito. Il suo principale avversario nel referendum interno fu il primo ministro della Bassa Sassonia Gerhard Schröder. Il voto fu sorprendente nella misura in cui i media in genere giudicavano S. un uggioso bigotto. Nondimeno, S. fu lo sfidante del cancelliere Helmut Josef Michael Kohl nel 1994, e quando la SPD perse le elezioni federali del 15 ottobre di quell’anno, divenne capo dell’opposizione sino al 1998. Nel marzo del 1995 diventò anche presidente del Partito socialista europeo (PSE). Tuttavia fu sostituito alla guida del partito da Oskar Lafontaine quando perse un voto cruciale nel novembre 1995 all’assemblea del partito, e divenne solo uno dei cinque vicepresidenti. Fu rieletto nel direttivo varie volte, fino a quando la sua candidatura non venne riproposta nel 2003.

Quando la SPD vinse le elezioni federali nel settembre del 1998 e governò assieme ad Alleanza 90/Verdi, S. divenne ministro della Difesa. Fu il primo responsabile di questo ministero sotto il quale il Bundeswehr, l’esercito della Germania occidentale, partecipò a una missione di guerra, quella nella ex Iugolsavia del 1999. S. giustificò la missione guidata dall’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organisation, NATO), severamente criticata dalla sinistra tedesca, adducendo alcune rivelazioni relative a un presunto piano serbo la cosiddetta “operazione ferro di cavallo” e gli sconvolgenti crimini di guerra commessi dai serbi.

Poco dopo le elezioni federali del 2002 S. fu costretto alle dimissioni a causa di una serie di servizi giornalistici che rivelavano come il ministro avesse ricevuto 140.000 marchi tedeschi (70.000 euro) e abiti costosi dal consulente di pubbliche relazioni Moritz Hunziger. Già nel 2001 la sua reputazione era stata seriamente macchiata dal cosiddetto “scandalo Majorca”, quando nella stampa scandalistica erano apparse alcune fotografie di S. nella piscina della sua casa di villeggiatura in Spagna in compagnia della contessa Pilati, all’epoca sua amante. Questa pubblicità non contribuì certo a migliorato l’immagine di S., trasformando come egli avrebbe voluto il “brutto anatroccolo” (così lo aveva definito un colonnello tedesco) in bon vivant, ma provocò invece l’indignazione popolare e richieste di dimissioni, considerato che il parlamento era in procinto di inviare contingenti tedeschi in una missione in Macedonia.

S. è tuttora membro del Consiglio federale (Bundesrat) e vicepresidente della SPE.

Elke Viebrock (2010)




Schäuble, Wolfgang

S. nasce il 18 settembre 1942 a Friburgo, nella Germania sudoccidentale. Il padre era un contabile. Sposato dal 1969 con Ingeborg (nata Hensle), ha quattro figli.

Dopo il diploma. S. studia diritto ed economia ad Amburgo e a Friburgo sino al 1961. Nel 1966 passa il primo esame di Stato in giurisprudenza e lavora nei due anni successivi come assistente all’Università di Friburgo. Dal 1969 al 1970 è avvocato in una corte locale. Nel 1970 passa il secondo esame di Stato in giurisprudenza. Due anni dopo consegue il dottorato con una tesi sui revisori dei conti. Successivamente, è assunto nell’ufficio fiscale dello Stato federale di Baden-Württemberg. Nel 1978 diviene procuratore legale alla corte federale di Offenburg.

Nel 1962 S. entra nella Junge Union, l’organizzazione giovanile della Unione cristiano-democratica (Christlich-demokratische Union, CDU), e nel 1963-64 è presidente dell’organizzazione studentesca del partito ad Amburgo e poi a Friburgo. Dal 1965 diviene membro della CDU, e dal 1969 al 1972 presidente federale della Junge Union del Baden. È eletto al parlamento (Bundestag) per la prima volta nel 1972, e vi resterà ininterrottamente. Nel 1973 viene eletto nel direttivo regionale del partito, e nello stesso anno è corrispondente della CDU nella commissione d’inchiesta del Bundestag sul caso Steiner-Wienand, incaricata di chiarire se il delegato socialdemocratico Karl Wienand avesse corrotto il delegato della CDU Julius Steiner affinché rifiutasse il suo voto al candidato della CDU Rainer Barzel nella fallita mozione di sfiducia contro Willy Brandt nell’aprile del 1972. La presentazione dei risultati dell’indagine dal punto di vista della CDU l’anno successivo costituisce la prima, significativa apparizione di S. di fronte al Bundestag.

Dal 1976 al 1984 S. dirige la Commissione tecnica federale per gli sport della CDU. Nel 1978 è incaricato di riferire alla Commissione della Difesa gli esiti delle indagini sul caso di spionaggio in cui era coinvolto Renate Lutze. Segretario al ministero della Difesa, Lutze era accusato di aver effettuato per anni attività di spionaggio per conto dei servizi segreti della Repubblica Democratica Tedesca (RDT).

S. è stato attivo anche nell’ambito della politica europea. Dal 1975 al 1984 diviene membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Tra il 1979 e il 1982 è presidente del Gruppo di lavoro delle regioni europee di confine. Per quanto riguarda la politica europea, S. appoggia la linea favorevole all’integrazione europea sostenuta da Helmut Josef Michael Kohl, abbracciando l’idea che il processo di unificazione europea sarebbe stato completo solo con la riunificazione della Germania (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

La costante ascesa di S. nei ranghi del partito conservatore è strettamente legata a quella di Kohl. Quando questi diviene il nuovo leader della CDU all’opposizione, nel 1976, S. è uno dei suoi primi, fermi sostenitori. Nel 1981 diviene uno dei segretari del gruppo parlamentare della CDU e della sua controparte bavarese, l’Unione cristiano-sociale (Christlich-soziale Union, CSU), dopo che Kohl propone la sua candidatura. Quando, nell’ottobre 1982, Kohl riesce a far passare la mozione di sfiducia nei confronti di Helmut Schmidt e diviene il nuovo cancelliere, S. è eletto primo segretario del gruppo parlamentare CDU/CSU.

Dal 1984 al 1989 assume la carica di ministro federale per incarichi speciali e capo dell’ufficio del cancelliere. In questo modo S. diviene il consigliere particolare di Kohl, e assiste regolarmente alle sessioni del comitato direttivo della CDU. Tra le altre cose è responsabile per le questioni relative ai rapporti tra le due Germanie, e in questo ruolo cerca di stabilire contatti con vari funzionari della RDT. Nel dicembre del 1985 incontra per la prima volta il dirigente del cosiddetto “Coordinamento commerciale” (Kommerzielle Koordinierung, KoKo) della RDT, Alexander Schalck-Golodkowski, con il quale negozia questioni relative al rapporto tra i due Stati tedeschi. Successivamente, nel 1987, S. prepara la prima visita ufficiale nella Repubblica federale del capo di Stato e di partito della RDT, Erich Honecker. A sua volta, un anno dopo, S. incontra a Berlino est Honecker e il ministro degli Esteri della RDT, Oskar Fischer.

Nel frattempo, alla metà degli anni Ottanta, nella Repubblica federale scoppia lo scandalo del finanziamento ai partiti, il cosiddetto “scandalo Flick”, dal nome della società che a partire dagli anni Settanta aveva procurato finanziamenti illeciti per milioni di marchi a tutti i principali partiti tedeschi. Nel 1984 S. elabora per conto della coalizione di governo conservatrice-liberale un progetto di amnistia retrospettiva in favore dei finanziatori e dei funzionari di partito coinvolti, ma l’indignazione dell’opinione pubblica per lo scandalo fa fallire l’iniziativa.

Quando Kohl nel 1989 attua un rimpasto di governo, S. è nominato ministro degli Interni. Grazie alla sua esperienza dei rapporti tra Germania Est e Germania Ovest, dopo il crollo del Muro di Berlino gli vengono affidati incarichi relativi ai negoziati sull’imminente unificazione tedesca. Nei mesi di luglio e agosto del 1990 S. è così incaricato di definire i dettagli del Trattato di unificazione tra la Repubblica federale e la RDT.

Nel settembre dello stesso anno S. è eletto nel consiglio direttivo della CDU. Una svolta significativa nella sua carriera si verifica il mese successivo. Il 12 ottobre, durante una campagna elettorale, uno squilibrato lo ferisce gravemente con un colpo di pistola. S. rimane paralizzato, ma pur costretto alla sedia a rotelle riprende ben presto la sua attività politica, e dal 1991 al 2000 assume la guida del gruppo parlamentare della CDU/CSU.

Nel dibattito del 1991 sulla futura capitale della Germania, di fronte alla scelta se lasciare il parlamento a Bonn o trasferirlo a Berlino S. si pronuncia a favore di Berlino in un discorso molto seguito di fronte al Bundestag. Nello stesso anno pubblica altresì lo scritto Der Vertrag. Wie ich über die deutsche Einheit verhandelte (“Il Trattato: come ho negoziato l’unificazione tedesca”), sui negoziati per l’unificazione tedesca. Inoltre, negli anni successivi riceve numerosi premi e tributi, diventando uno dei politici tedeschi più rispettati del momento. Il riconoscimento più significativo è stato il conferimento della Gran croce al merito, la massima onorificenza concessa dalla Repubblica Federale Tedesca.

Nel 1994 pubblica un altro scritto Und der Zukunft zugewandt (“Verso il futuro”, ironica allusione all’inno nazionale dell’ex RDT), in cui deplora l’atteggiamento individualistico e passivo di molti cittadini tedeschi, auspicando l’affermarsi di nuovi valori più orientati alla dimensione sociale.

Già nel settembre del 1992 il cancelliere Kohl indica pubblicamente S. come suo potenziale successore, senza però specificare quando avrebbe dato le dimissioni. Di fatto Kohl, nato nel 1930 e al governo dal 1982, non solo si ripresenta alle elezioni per il cancellierato nelle successive votazioni del 1994, ma nel 1997 preannunciò anche la sua candidatura per le elezioni del 1998. Nello stesso tempo, tuttavia, ribadisce che avrebbe visto volentieri S. come suo successore alla carica di cancelliere. Per il momento, dunque, S. resta il visionario estensore di programmi del partito. Ad esempio, nel 1996 presiede una commissione della CDU sul futuro del sistema fiscale. Il 1° settembre 1994, in qualità di capo del gruppo parlamentare del CDU/CSU, S. assieme a Karl Lamers, portavoce del gruppo della CDU per le Politiche internazionali, pubblica un documento intitolato “Considerazioni sulla politica europea”, in cui viene prefigurato un trattato costituzionale che avrebbe potuto condurre l’Unione europea a una riforma istituzionale. Il modello proposto è di tipo federale (v. anche Federalismo), con la Commissione europea nel ruolo del governo e il potere legislativo diviso tra il Parlamento europeo e il Consiglio dei ministri, con funzioni analoghe a quelle della Camera dei deputati statunitense. Nel documento, S. e Lamers auspicano la creazione di un “nocciolo duro” formato dai paesi fondatori (eccettuata l’Italia) che avrebbe dovuto porsi alla guida del processo di integrazione. L’attenzione dei due politici si focalizza sulle politiche esterne e la sicurezza comune (v. Politica estera e di sicurezza comune), sulla stabilizzazione nell’Europa centrale e orientale, sul rafforzamento della cooperazione con la Russia, su una politica comune nell’area mediterranea e sui rapporti con la Turchia.

Solo dopo la sconfitta elettorale contro Gerhard Schröder, nel settembre del 1998, Kohl lascia via libera a S. come leader della CDU, dimettendosi dalla carica di presidente del partito. S. è eletto nuovo presidente e si conferma capogruppo parlamentare della CDU. Nel suo discorso inaugurale sottolinea il ruolo della CDU come partito che raccoglie tutte le forze di centrodestra.

Sebbene la CDU abbia subito una sconfitta devastante alle elezioni del 1998, si riprende abbastanza rapidamente grazie ad alcuni errori da principianti commessi dalla nuova coalizione di Berlino formata dai Verdi e dalla sinistra. Quando il governo federale progetta una riforma delle norme sull’acquisizione della cittadinanza tedesca mirata a facilitare la naturalizzazione degli stranieri, S. e la CDU iniziano una raccolta di firme contro l’iniziativa, in particolar contro la possibilità di una doppia cittadinanza a date condizioni. Di fatto, nelle elezioni provinciale in Assia del marzo 1999 questa strategia sembra la mossa vincente, e consente alla CDU di soppiantare il precedente governo socialdemocratico in questo Stato.

Tuttavia, il ritorno del partito non è di lunga durata. Alla fine del 1999 la rivelazione in merito all’esistenza di conti segreti, finanziamenti illeciti al partito e donatori anonimi nell’era di Kohl sfociano in un ennesimo scandalo di vaste proporzioni che coinvolse la CDU. Inizialmente, a essere messo sotto accusa è principalmente l’ex leader del partito Kohl, che peggiora la situazione rifiutando ostinatamente di rivelare i nomi dei finanziatori. Ciò accresce i sospetti che le somme in questione non siano contributi legali, bensì tangenti. Il caso esplode quando i pubblici ministeri cominciano a indagare sul contributo di un milione di marchi (circa 500.00 euro) alla CDU da parte di un trafficante d’armi, Karheinz Schreiber, nel 1991. Le indagini effettuate nel 1999 fanno emergere il sospetto che il finanziamento sia connesso alla vendita di componenti di carri armati all’Arabia Saudita. Si sospetta inoltre che la vendita ai francesi della raffineria di petrolio Leuna della Germania orientale all’inizio degli anni Novanta fosse associata a tangenti percepite dai politici tedeschi dell’amministrazione Kohl. Lo scandalo si allarga a novembre, quando l’ex tesoriere della CDU, Walther Leisler Kiep, è accusato di evasione fiscale relativamente a finanziamenti al partito corrisposti da Scheriber e usati per scopi personali. Kiep si difende affermando di aver depositato il denaro in un conto fiduciario intestato alla CDU. Kohl, all’epoca presidente onorario della CDU, invoca un rapido chiarimento e dichiara che sia lui sia la direzione del partito, e quindi anche S., erano all’oscuro delle somme erogate nel 1991. Questa affermazione è peraltro smentita dall’ex responsabile delle campagne elettorali della CDU Heiner Geisler, il quale rivela che il partito teneva conti segreti per il finanziamento di dirigenti di partito locali. Alla fine di novembre, Kohl è costretto ad ammettere di aver utilizzato un sistema di conti segreti parallelo ai registri ufficiali per ricevere finanziamenti per la campagna elettorale, ma continua a negare di aver ricevuto tangenti.

Il Bundesrat decide all’unanimità di avviare un’inchiesta parlamentare sulla vicenda, e l’anziano uomo di Stato è attaccato dal suo stesso partito. Infine, a metà dicembre, Kohl ammette di aver ricevuto contributi in contanti per due milioni di marchi (circa 1 milione di euro), rifiutando però di identificare le fonti dei finanziamenti, e finisce così per essere indagato di reato.

Nonostante la sua vicinanza a Kohl in tutti quegli anni, a novembre S. promette una approfondita indagine del partito sulla vicenda. Tuttavia, all’inizio del gennaio 2000, lo scandalo comincia a travolgere anche lui. Politici di spicco lo accusano di essere a conoscenza di un finanziamento illecito di 1,1 milioni di marchi in contanti effettuato dal gruppo parlamentare della CDU in favore di alcuni dirigenti del partito, risalente al 1997. Inizialmente S. nega le accuse, ma quando le prove contro di lui diventano schiaccianti inizia tardivamente ad ammettere ciò che ormai era impossibile negare, analogamente a quanto aveva fatto in precedenza Kohl. Il 10 gennaio ammette di aver incontrato nel 1994 l’uomo d’affari al centro dello scandalo, Schreiber, a un evento organizzato dal partito per la raccolta di fondi, e di aver accettato un contributo di 100.000 marchi (50.000) in contanti dal trafficante d’armi senza ricevuta. Afferma inoltre di aver passato la somma in questione a Brigitte Baumeister, all’epoca tesoriere della CDU. Il 31 gennaio, in contrasto quanto aveva dichiarato in precedenza, ammette un altro incontro con Schreiber nel 1995. Inoltre, Brigitte Baumaister contraddice la sua versione in merito alla consegna del denaro fornito da Schreiber. Nel complesso la vicenda contribuisce a screditare enormemente S.

Ribadendo di non aver fatto nulla di male, S. dichiara di non vedere motivo di dare le dimissioni, accusando i funzionari di partito per non aver dichiarato le somme in questione. Inoltre, S. esorta nuovamente Kohl, senza successo, a fare i nomi dei presunti finanziatori del partito. Ciò provoca in ultimo una rottura tra i due uomini politici, in passato alleati.

Il 15 febbraio 2000 il parlamento infligge alla CDU una astronomica sanzione pecuniaria di 20 milioni di euro per le irregolarità commesse, creando un crescente malcontento nel gruppo parlamentare, in particolare relativamente alla versione data da S. sul contributo erogato da Schreiber. Le ammissioni di quest’ultimo lo avevano costretto a mutare la posizione assunta inizialmente riguardo allo scandalo, che era stato quella di negare ogni responsabilità nelle vicende avvenute sotto il governo di Kohl. Alla fine, le crescenti pressioni soprattutto da parte dei media inducono S. ad annunciare, il 16 febbraio, che non si sarebbe ricandidato né alla presidenza del partito né alla carica di capogruppo al parlamento. Al parlamento il suo posto è preso da Friedrich Merz, mentre Angela Merkel diviene il nuovo presidente della CDU.

In una intervista televisiva dell’aprile del 2000 S. parla di un intrigo contro di lui in cui sarebbero stati coinvolti elementi criminali. Di fronte a una commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sullo scandalo dei finanziamenti illeciti alla CDU, insiste nell’affermare che il governo sotto Kohl non era corrotto. Esponenti di spicco del partito sostengono nel complesso S., che può così continuare la carriera politica, sebbene con un profilo più basso. Quando Angela Merkel è eletta presidente del partito il 10 aprile, S. rimane membro del direttivo della CDU.

S. conferma costantemente le sue dichiarazioni relative alle somme corrisposte da Schreiber, che contrastano con la versione di Baumeister, ma nel giungo del 2000 Schreiber lo denuncia per falsa testimonianza relativamente al contributo di 100.000 marchi. Nell’ottobre dello stesso anno, nella sua autobiografia Mitten im Leben (“Al centro della vita”), S. illustra il suo punto di vista sull’evoluzione della CDU dopo la sconfitta elettorale del 1998, focalizzando l’attenzione sullo scandalo dei finanziamenti, ma anche sul corso politico generale del partito. Pur dichiarando di non volere pareggiare i conti con Kohl, la discordia tra i due ex compagni domina l’amara conclusione di S., che ribadisce la sua teoria della cospirazione chiamando in causa potenti figure politiche intenzionate a distruggere la sua carriera.

Una volta pagata dalla CDU la multa comminatagli dal parlamento e lo scandalo che aveva scosso il maggior partito tedesco e l’intero sistema democratico cade più o meno nell’oblio, S. ritorna al centro della scena. Come vice capogruppo alla camera diviene responsabile della politica estera della CDU. In questa funzione accusa il governo federale di aver distrutto le relazioni amichevoli tra la Germania e gli Stati Uniti, nonché il rapporto con la Polonia e altri paesi che aspiravano a entrare nell’Unione europea con la sua opposizione alla guerra in Iraq nel 2003.

S. torna al centro dell’attenzione quando diviene il discusso candidato della CDU/CSU alle elezioni per il nuovo presidente della Germania federale nel maggio 2004. Mentre il leader della CSU Edmund Stoiber favorisce apertamente S., il presidente della CDU Angela Merkel dichiara in pubblico che tra i due partiti conservatori non è ancora stato raggiunto un accordo in merito.

I sospetti che ancora circondano la figura di S. danneggiano definitivamente la sua reputazione. Secondo alcuni si tratta di una strategia deliberata di Angela Merkel, che preferisce un candidato più vicino al proprio schieramento. Nondimeno, se non fosse stato per il rifiuto del partito liberale (Freie demokratische Partei, FDP), il cui sostegno era necessario per ottenere la maggioranza nell’assemblea elettorale, S. probabilmente sarebbe potuto diventare il futuro capo di Stato tedesco. Tuttavia, la FDP pone il veto sul suo nome nelle fasi preliminari dei negoziati, all’inizio di maggio del 2004, adducendo come motivo il suo coinvolgimento nello scandalo dei finanziamenti al partito.

Così, alla fine, S. rimane una figura in un certo qual senso tragica nel suo ruolo di eterno “principe ereditario”, destinato a non diventare mai né cancelliere, né presidente.

Elke Viebrock (2008)




Schaus, Lambert

S. (Lussemburgo 1908-ivi 1976) fin dall’adolescenza è membro attivo, anche presidente e segretario, di diverse associazioni cattoliche, fra cui Pax romana e l’Association luxembourgeoise des universitaires catholiques.

Diplomatosi nel 1927, studia giurisprudenza frequentando i corsi superiori del Granducato e le università di Tolosa, Algeri, Grenoble, Parigi e Bonn. Si laurea in legge a Lussemburgo nel 1932. Quindi lavora alla Corte d’appello di Lussemburgo fino al 1952. La carriera politica di S. inizia nel 1936, quando viene eletto nel consiglio comunale della città di Lussemburgo.

In seguito all’invasione nazista del paese, S. è uno degli animatori della Resistenza nell’ambiente forense. Rifiuta di aderire alla Volksdeutsche Bewegung (Movimento nazionale tedesco) e al Deutscher Rechtswahrerbund (Unione tedesca dei giuristi). A causa di quest’opposizione nel 1941 viene destituito dalle funzioni e radiato a vita dal Foro e deve quindi chiudere il suo studio. Costretto a partecipare alla costruzione di un’autostrada a Wittlich in Germania, viene deportato in Slesia dove lavora fino al 1943 a Cochem come assistente in un servizio subalterno, responsabile in particolare della gestione delle tasse sui cani.

Richiamato in Lussemburgo nel 1943, S. è di nuovo deportato. In un primo tempo lavora come falegname nel Sudetengau, poi come contabile in una piccola fabbrica di viti e bulloni nella Foresta nera.

Liberato dalle truppe del generale Leclerc, S. è rimpatriato nel maggio 1945 e riprende il lavoro di avvocato e nel consiglio municipale. Grande difensore dei diritti universali, è cofondatore della World federation of U.N. associations. Nel 1945 è eletto deputato nelle liste del Partito popolare cristiano-sociale (Chrëschtlech Sozial Vollekspartei, CSV). Fra il 1945 e il 1946 e dal 1948 al 1951-1952 è segretario generale del CSV.

Nel corso del 1946 è nominato vicepresidente della World federation of U.N. associations e sindaco della capitale. Entra anche nel governo come ministro degli Affari economici e poi nel 1947 come ministro della Difesa.

L’anno successivo lascia il governo in seguito a un rimpasto ministeriale ed entra a far parte del Consiglio di Stato, funzione che svolge fino al 1952-1953.

Prima di diventare vicepresidente delle Nouvelles équipes internationales fra il 1951 e il 1952, è membro del Conseil de l’Ordre du barreau dal 1949 al 1951. Nel dicembre 1952 è nominato inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Granducato a Bruxelles, carica che mantiene fino al 1958. Nel 1955 gli viene attribuito il titolo di ambasciatore. Aggiunge a questo incarico quello di osservatore presso il Comitato dei ministri del Benelux.

S. presiede la delegazione lussemburghese, di cui fa parte anche Pierre Pescatore, alla Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) per l’elaborazione dei Trattati di Roma fra 1955 e 1957. Con il ministro degli Esteri Joseph Bech firma i Trattati per il Lussemburgo nel 1957 e rappresenta il suo paese nel comitato provvisorio della Comunità economica europea (CEE) incaricato dell’applicazione degli accordi.

Nel 1958 S. è il primo rappresentante permanente lussemburghese presso le Comunità europee a Bruxelles (v. anche Comitato dei rappresentanti permanenti).

Dopo la morte del commissario europeo lussemburghese Michel Rasquin nello stesso anno, S. gli succede nel mese di giugno e guida la Direzione generale dei Trasporti nella Commissione europea della CEE. È uno dei commissari, come Hans von der Groeben o Robert Marjolin, che partecipano all’elaborazione dei Trattati. Europeo convinto, cerca di risolvere i problemi istituzionali per rendere la Comunità più efficiente, forte, equilibrata e rispettosa degli Stati membri piccoli e medi. A suo parere la costruzione europea è sinonimo di una grande opera di pace, che dev’essere dotata di solide basi giuridiche. Nel 1967 S. lascia la Commissione ed è sostituito da Victor Bodson.

Torna alla carriera diplomatica come ambasciatore in Belgio e rappresentante permanente del Lussemburgo presso l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) fra il 1968 e il 1973.

S. si ritira nel 1973. Esercita la professione di avvocato alla Corte d’Appello del Lussemburgo fino al 1976. Inoltre tiene corsi su questioni d’attualità relative al diritto europeo, in particolare il diritto dei trasporti, all’Università cattolica di Lovanio. Viene anche invitato regolarmente dall’Università di Trieste perché dopo la guerra ha fondato e presieduto l’associazione Amitiés italo-luxembourgeoises.

S. è autore di numerose opere, studi e articoli sul diritto pubblico, penale e sociale, tra cui Considérations sur le droit positif luxembourgeois en matière de protection de la nature (Luxembourg, 1949), L’apport du Grand-Duché de Luxembourg à l’œuvre coloniale belge (Luxembourg, 1951), Contribution à l’étude du droit pénal luxembourgeois. Le Code Pénal. Les principales lois répressives (Luxembourg, 1954), Les fondements du statut international du Luxembourg 1944-1957 (Luxembourg, 1958), Die Aufgaben der Kommission der EWG auf dem Gebiete des Verkehrs in Europa-Verkehr(Darmstadt, 1959), La politica comune dei trasporti nel 1964 in Il Mezzogiorno e le Comunità europea (Bari, 1964), Le Conseil de l’Atlantique Nord: son fondement et ses structures, ses compétences et ses missions (Bruxelles, 1971), Considérations autour du Parlement européen (Luxembourg, 1975) e Le droit des transports dans la CEE (Louvain, 1976).

Corinne Schroeder (2012)




Scheel, Walter

S. (Solingen, Renania 1919), figlio di un operaio e di una casalinga, crebbe in un ambiente familiare sereno. Dai genitori avrebbe appreso quella semplicità e quel senso dell’ordine che avrebbe conservato anche dopo essere assurto ai massimi onori della Repubblica Federale Tedesca (v. Germania). Questo ambiente ispirato all’onestà e alla parsimonia si caratterizzava per la sostanziale assenza di forti connotazioni politiche. Ciò si riverberò sull’atteggiamento del giovane Walter, il quale mantenne una sorta di distacco nei confronti degli estremismi politici. Furono anni in cui alla frequentazione della scuola si accompagnava quella della chiesa evangelica, con l’inserimento nel Bund Deutscher Jugend. Ma si trattò di un momento di transizione, cancellato dall’inclusione di S. nei ranghi della Hitlerjugend.

Il completamento degli studi superiori vedeva S. proiettato nel perfezionamento nei campi dell’economia e del diritto d’impresa. Arruolato nel 1939, nei cinque anni in cui fu in guerra Walter S. servì nella Luftwaffe. Inviato sul fronte orientale, si distinse per il coraggio e l’abnegazione, ottenendo i gradi di tenente e ricevendo, tra i vari riconoscimenti, due Croci di ferro per azioni di eroismo. Rilasciato da un campo di raccolta inglese nello Schleswig-Holstein ritornò a Solingen dalla famiglia, dove si adoperò per rimettere in sesto la ditta Kronenberg, danneggiata dagli eventi bellici. A questa attività principale di imprenditore affiancò l’impegno nelle associazioni imprenditoriali che si erano ricostituite, diventando tesoriere dell’Unione dei produttori di rasoi e membro del consiglio di amministrazione dell’Associazione dei produttori di coltelli.

La posizione ricoperta da S. in ambito imprenditoriale rappresentava un richiamo per i rinati partiti della zona britannica, interessati a cooptare un così valido elemento. Nonostante le offerte della Christlich-demokratische Union (CDU), la scelta di S. andò ai liberali della Freie demokratische Partei (FDP), per i quali accettò di candidarsi alle elezioni comunali nel 1948. L’insieme di valori, dal successo dell’imprenditore privato all’eroismo del combattente, che il non ancora trentenne S. riassumeva nella sua persona, gli fruttò un risultato elettorale lusinghiero: il 22,5% delle preferenze.

Già durante il primo cimento nel consiglio comunale di Solingen, S. manifestò alcuni dei caratteri distintivi del suo pensiero politico: pragmatismo e mancanza di posizioni preconcette, fiducia nell’opera di modernizzazione e soprattutto attaccamento al tradizionale principio liberale di estraneità dello Stato e dell’autorità politica rispetto alla vita privata e alla morale dei singoli. L’esperienza di Solingen ebbe fine nel luglio 1952, quando un decreto del consiglio comunale revocò il suo mandato, motivandolo con il trasferimento di S. a Düsseldorf. Dal 1950, infatti, S. sedeva nel Landtag del Nord Reno-Vestfalia, dove sarebbe rimasto sino al 1953.

Gli anni trascorsi a Düsseldorf videro S. impegnato, oltre che sul fronte politico, anche in campo economico, con la fondazione di due società di consulenza e del centro di ricerca Intermarket e l’assunzione della guida della Deutsche Gesellschaft für Personalführung. Il panorama politico esistente a Düsseldorf vedeva intanto l’operare del gruppo dei cosiddetti “giovani turchi” della FDP, guidato da figure come Wolfgang Döring e Willy Weyer. Pur non ricoprendo un ruolo di primo piano, S. condivise i valori e le istanze di questo gruppo che avrebbe giocato per oltre un ventennio un ruolo decisivo sia a livello comunale che regionale e la cui esperienza avrebbe costituito un modello per sperimentazione a livello federale dell’intesa tra liberali e socialdemocratici.

Le elezioni del 1953 lo fecero approdare al Bundestag, dove sedette sino alla elezione a presidente federale. Sebbene nei primi anni la posizione di S. nel parlamento federale e anche in quello europeo non fosse di particolare rilievo, egli lottò affinché il partito liberale sopravvivesse alle nuove sfide e riuscisse a diventare l’ago della bilancia degli equilibri di governo del paese. Quando Konrad Adenauer impose la riforma della legge elettorale, quel Grabenwahlrecht che minacciava l’esistenza stessa del partito liberale, fu proprio S. a coordinare la strategia per garantire la sopravvivenza al partito e per renderlo un elemento stabile della coalizione governativa. Dopo le fatiche del 1956 e l’affermazione della formula della “piccola coalizione” come formula naturale di governo, S. ritornò nei ranghi, lasciando agli esponenti più in vista del partito gli incarichi di maggiore rilevanza.

Si trattava però di un arretramento solo temporaneo e dettato da considerazioni di opportunità: per l’ex consigliere comunale di Solingen il momento di fare il suo ingresso nella grande politica non avrebbe tardato. Nel 1961 fu nominato ministro federale per la cooperazione economica, incarico che tenne fino al passaggio dei liberali all’opposizione, nel 1966. Fu lo stesso S. a intervenire presso Willi Weyer al fine di essere posto al capo di un dicastero che si occupasse di aiuti allo sviluppo, un ministero che la prassi istituzionale della Repubblica federale ancora non conosceva. L’operazione si doveva però rivelare più ardua del previsto, a causa dell’opposizione di Ludwig Erhard, il quale prese apertamente posizione sia contro l’istituzione di un tale ministero e sia contro la candidatura di S. I tentativi del presidente liberale, Erich Mende, di indurre Erhard ad accettare una soluzione di compromesso si erano rivelati vani. La situazione fu sbloccata da Adenauer: dopo aver inizialmente avallato le richieste del suo delfino, Adenauer finì per acconsentire alla creazione del ministero, al fine di non alienarsi l’appoggio dei liberali. Erhard accettò di rimanere nel governo, a patto che i poteri del nuovo ministero per la cooperazione economica fossero fortemente limitati: era l’inizio di una piccola guerra con il dicastero dell’economia per la ripartizione delle competenze. Il bilancio della prima esperienza governativa di S. è sicuramente positivo. Il neoministro fu capace di dare fisionomia alla sua creatura, che nel 1964 riuscì a ottenere, tra l’altro proprio dal nuovo cancelliere Erhard, competenza esclusiva in materia di definizione delle linee guida, programmazione e coordinamento in materia di aiuti allo sviluppo, oltre che nell’attuazione degli aiuti tecnici. Il suo merito maggiore fu però quello di aver permesso la diffusione, a livello non solo politico ma anche di opinione pubblica, della convinzione che le fortune della Germania non dipendessero dal mantenimento di quella staticità che aveva caratterizzato la politica estera della Bundesrepublik nel primo decennio del confronto bipolare, ma dall’assunzione in prima persona di iniziative internazionali rilevanti. L’avvio di una politica di aiuti allo sviluppo rappresentava la prima tappa di un più ampio disegno, di cui l’Ostpolitik avrebbe rappresentato l’approdo ultimo, nel quale la Germania occidentale assurgeva a motore della distensione e si affermava come potenza civile.

Con la caduta del gabinetto Erhard, nella quale S. aveva avuto una parte rilevante, e l’affermazione della formula della Grosse Koalition ebbero inizio i difficili anni della transizione, sul piano sia umano che politico. L’intesa tra democristiani e socialdemocratici e il passaggio dei liberali all’opposizione faceva apparire ancora prematuro quell’accordo tra liberali e socialdemocratici che S. auspicava sin dal 1953. Il 31 gennaio 1968 fu eletto presidente del partito. Nel suo discorso di insediamento delineò una nuova strategia per il partito in vista delle elezioni del 1969, dove spiccava la priorità attribuita ai temi europei rispetto a quelli della politica interna. La promozione dell’Europa, di cui la Germania doveva farsi carico, non doveva più limitarsi al potenziamento economico e militare della parte occidentale del continente, bensì estendersi alla normalizzazione dei rapporti con la parte orientale di esso: solo attraverso la distensione la Germania sarebbe riuscita a uscire dall’impasse in cui era stata condotta dall’ultima politica di Adenauer e rispetto alla quale i governi che si erano fino a quel momento succeduti non erano stati in grado di elaborare una valida soluzione di ricambio. Corollario per la realizzazione della nuova politica liberale era l’accordo con i socialdemocratici e a tal fine S. si avvalse del suo legame con Willy Brandt, un legame che si era rinsaldato proprio negli anni in cui il partito liberale era rimasto all’opposizione. Che l’intesa potesse funzionare lo si comprese con l’elezione del socialdemocratico Gustav Heinemann alla presidenza della repubblica nel marzo del 1969, resa possibile dall’appoggio dei liberali. Fu comunque una scelta non condivisa né da tutti i membri né da tutti gli elettori del partito liberale, come dimostrato dalla riduzione del partito nelle elezioni per il Bundestag del 28 settembre dello stesso anno, dove fu raggiunto solo il 5,8% delle preferenze, al limite della soglia di esclusione.

Il 1969 vide la realizzazione del tanto atteso Machtwechsel, con l’affermazione di un governo di coalizione tra socialdemocratici e liberali. All’interno della nuova formula di governo il leader liberale assunse il doppio incarico di vicecancelliere e ministro degli affari esteri. In questa veste si fece carico di mettere in pratica quanto da lui auspicato in materia di rapporti con i paesi d’oltre cortina e di portare a compimento il lavoro impostato da Brandt durante la sua permanenza alla guida dell’Auswärtiges Amt. Forte dell’appoggio del cancelliere, con il quale, oltre alla visione politica, condivideva l’impostazione pragmatica dell’azione, riuscì innanzitutto a portare a compimento con successo le trattative con i sovietici. Fu proprio nel momento chiave della costruzione della Ostpolitik che S. palesò le sue capacità di negoziatore internazionale, riuscendo a imporre ai sovietici il collegamento tra l’accordo in corso di negoziazione e l’intesa quadripartita su Berlino. Non meno difficili dovevano dimostrarsi i negoziati con Polonia e Cecoslovacchia, poiché con entrambi i paesi permanevano, al dì là dei contrasti dei contingenti, problemi insoluti risalenti al passato: il riconoscimento della linea Oder-Neisse come confine nei confronti della Polonia e la nullità degli accordi di Monaco del 1938 nei confronti della Cecoslovacchia. La capacità di risolvere questi problemi senza farsi condizionare da quelle pregiudiziali che avevano ingessato l’azione di Adenauer e dei suoi successori, gli permise di superare questi ostacoli e raggiungere il suo obiettivo principale: la stipula, il 21 dicembre 1972, del trattato che ristabiliva le relazioni tra i due Stati tedeschi.

La politica di normalizzazione dei rapporti con l’Est rappresenta senza dubbio l’aspetto di maggiore rilevanza dell’attività di S. come ministro degli Esteri. Egli stesso ne era convinto, al punto di definire la politica di distensione e di integrazione come l’attuazione dei principi politici incarnati dai partiti liberali. Nel discorso del 23 febbraio 1972, che accompagnava la presentazione degli Ostverträge al Bundestag, S. giungeva a rivendicare per il suo partito e per i piccoli partiti liberali europei il ruolo di promotori delle istanze europeiste: al pari dei liberali inglesi, che si battevano per l’ingresso del Regno Unito in Europa, i liberali tedeschi dovevano farsi promotori della distensione sul continente. Sebbene il momento della normalizzazione con l’Est rispetto a quello dell’integrazione comunitaria fosse nell’equipe Brandt-S. (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), contrariamente a quanto sarebbe accaduto per la coppia formata da Helmut Schmidt e Hans-Dietrich Genscher, prevalente, bisogna comunque ricordare come in S. l’interesse per la tradizionale politica europea non fosse assente: prova ne è l’attivismo negoziale con cui ha affrontato alcuni momenti chiave, dall’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità economica europea (CEE) alle trattative per lo sviluppo del Mercato comune. Al di là delle valutazioni sulla politica estera di S., quel che giova sottolineare è che fu una politica rispondente alle aspirazioni dei tedeschi, come dimostrato dal risultato elettorale del 19 novembre 1972: in un clima di estrema polarizzazione del confronto politico, l’FDP raggiungeva un risultato estremamente positivo, con l’8,4% dei suffragi.

Con il successo dell’Ostpolitik e l’affermazione del partito sia a livello elettorale che di governo, il successo di S. era completo. Ormai ai vertici della gerarchia di governo ed essendogli precluso il cancellierato, S. avanzò la sua candidatura alla massima carica della Repubblica federale di Germania: la presidenza della repubblica. Non era certo l’ambizione al coronamento di una carriera di successo, quanto piuttosto l’aspirazione a continuare a dare il proprio contributo al consolidamento dei risultati raggiunti negli anni di governo. L’idea che S. aveva della carica presidenziale differiva infatti in misura sostanziale dall’immagine che la prassi aveva delineato: lungi dall’esaurirsi nell’espletamento di mere funzioni rappresentative, la figura del presidente federale acquisiva, nella visione del leader liberale, nuova linfa, assurgendo a soggetto attivo di politica estera, con un particolare ruolo in ambito europeo.

Lo scrutinio del 15 maggio 1974 sanciva la prevalenza di S. su Richard von Weizsäcker, schiudendo le porte di Villa Hammerschmidt al figlio dell’operaio di Solingen. L’elezione di S. alla presidenza federale concludeva definitivamente il ricambio generazionale nel mondo politico della Repubblica federale, con l’affermazione di una generazione che non aveva vissuto l’esperienza della repubblica di Weimar e che, cresciuta all’ombra del regime hitleriano, aveva iniziato a svolgere attività politica solo dopo la caduta di esso. S. ricoprì il suo incarico con la dignità e l’autorevolezza necessarie per guidare il paese in un momento difficile come la seconda metà degli anni Settanta, quando il cancro del terrorismo colpiva anche la Repubblica federale. Tramontata l’ipotesi di una rielezione, S. terminò il suo mandato presidenziale nel 1979. Nonostante l’età non avanzata (S. aveva 60 anni) la natura dell’ultima carica ricoperta gli impedì di far ritorno alla politica attiva.

Nominato presidente onorario del FDP ricoprì diversi incarichi, tra cui la presidenza, dal 1980 al 1989, della Europa-Union Deutschland. In quest’ultimo ambito si dimostrò particolarmente attivo e coerente con quanto affermato nel suo discorso di insediamento, pronunciato a Monaco il 14 dicembre 1980, nel quale rilanciava l’idea di una Europa politica che doveva andare oltre i pur importanti traguardi di integrazione raggiunti con il mercato comune, l’Unione doganale e la Politica agricola comune.

Federico Niglia (2010)




Schema Gymnich (riunioni ministeriali “tipo Gymnich”)

Le riunioni ministeriali di tipo “Gymnich” o il “metodo Gymnich” sono incontri informali fra i ministri degli Esteri dei paesi membri dell’Unione europea (fino all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht della Comunità economica europea) che si svolgono due volte all’anno nel paese che detiene la presidenza del Consiglio dei ministri.

La prima riunione di questo tipo si svolse nel castello di Gymnich, situato nelle vicinanze di Bonn, dal 20 al 21 aprile 1974, durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio (v. anche Presidenza dell’Unione europea), allo scopo di preparare un vertice dei capi di Stato e di governo (v. Vertici) dei nove paesi membri delle Comunità europee che avrebbe dovuto aver luogo a Bonn nel giugno dello stesso anno.

Il castello di Gymnich fu fatto costruire da Heinrich I von Gymnich – capostipite della famiglia – nel 1354; divenuto di proprietà del Governo tedesco, dal 1971 al 1990 venne utilizzato come sede di incontri e fu poi ceduto alla famiglia di musicisti Kelly nel 1998.

I capi di Stato e di governo dei Nove si erano lasciati a Copenaghen il 15 dicembre 1973 con la decisione di mettere rapidamente a punto i primi elementi di una politica comune dell’energia e di istituire il Fondo europeo di sviluppo regionale prima del 1° gennaio 1974. Nei giorni che seguirono il vertice, il Consiglio delle Comunità non riuscì a dare seguito a queste direttive politiche, creando uno stato di tensione nelle Comunità.

Le tensioni aumentarono all’inizio del 1974 con l’uscita del franco francese dal “Serpente monetario” (21 gennaio), con la richiesta del Partito laburista britannico di “rinegoziare” l’adesione del Regno Unito alle Comunità (8 febbraio), con l’incapacità del Consiglio di decidere il passaggio alla seconda tappa dell’Unione economica e monetaria prevista dal Rapporto Werner e con i contrasti legati alle relazioni Europa-USA.

Alle tensioni fra i paesi membri si aggiunse l’urgenza di stabilire una comune strategia verso i paesi arabi, e più in generale verso il Medio Oriente, in vista dell’apertura del Dialogo euro-arabo il 31 luglio 1974 e la necessità di creare un ponte fra le riunioni informali dei capi di Stato e di governo e le riunioni formali dei ministri degli Affari esteri nell’ambito del Consiglio delle Comunità europee. Questa necessità era legata all’impegno preso a Copenaghen di dare il via alla prassi di “regolarizzazione” le riunioni al vertice, prassi immaginata dal Presidente della Repubblica francese, Georges Pompidou.

Il semestre gestito dalla Germania, dal gennaio al giugno 1974, fu uno dei più infausti dalla fine del periodo transitorio (1969), in quanto alle tensioni sopra ricordate si sovrapposero la drammatica sostituzione di Willy Brandt con Helmut Schmidt alla cancelleria tedesca, la morte di Georges Pompidou agli inizi di aprile e l’elezione di Valéry Giscard d’Estaing alla presidenza della Repubblica francese a metà maggio 1974.

Il Vertice di Bonn del successivo giugno non ebbe dunque luogo, ma la successiva presidenza francese, dal 1° luglio 1974, fu caratterizzata da una controffensiva sui problemi europei e in particolare dall’organizzazione di un nuovo Vertice a Parigi nel dicembre dello stesso anno per dare vita al Consiglio europeo.

La convocazione del nuovo, settimo e ultimo, Vertice informale fra capi di Stato e di governo fu considerato un importante elemento per mantenere e rendere periodiche le riunioni informali dei ministri degli Affari esteri secondo la formula sperimentata a Gymnich.

Il mantenimento e la regolarizzazione delle riunioni “tipo Gymnich” apparve del resto utile nel quadro dello sviluppo della Cooperazione politica europea sulla base delle decisioni prese a Londra (1970), nell’ambito del primo Rapporto Davignon, e poi a Parigi (1972), con il mandato per la redazione di un secondo Rapporto Davignon.

A partire da quel momento e con scadenza biennale, i responsabili governativi delle diplomazie dei paesi membri delle Comunità europee e, dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, dell’Unione europea, si incontrano durante un week-end per discutere in modo informale e confidenziale dei principali temi all’ordine del giorno ed in vista della successiva riunione del Consiglio europeo.

Il “metodo Gymnich” – inizialmente consacrato a riunioni dei soli ministri (accompagnati da un solo collaboratore), destinate a concludersi senza decisioni o conclusioni della presidenza – si è progressivamente ampliato ad altri settori di competenza del Consiglio, e ogni presidenza del Consiglio convoca, durante il proprio periodo semestrale, numerose riunioni informali di ministri per settore anche se il termine “Gymnich” viene attribuito alle sole riunioni informali dei ministri degli Affari esteri.

La vecchia regola della mancanza di decisioni si è progressivamente erosa nel tempo lasciando il campo a decisioni informali – soprattutto su questioni relative alle relazioni esterne e alla cooperazione nel settore della politica estera – poi formalizzate nella successiva sessione del Consiglio.

Questo duplice sviluppo – più riunioni e più decisioni informali – è stato accolto con preoccupazione dalle diplomazie nazionali e in particolare dal Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), per il timore di perdere potere all’interno delle Istituzioni comunitarie e vedere erosi i diritti attribuiti al COREPER dall’articolo 151 del Trattato (preparare le riunioni e le decisioni del Consiglio). Più in generale, l’ampliamento del numero delle riunioni informali di ministri ha suscitato la preoccupazione di mettere in pericolo la consistenza del metodo comunitario.

Le diplomazie nazionali e in particolare il COREPER hanno visto progressivamente riconosciuta una parte delle loro prerogative poiché un numero maggiore di collaboratori ministeriali partecipa ora alle riunioni informali dei ministri degli Affari esteri.

Pier Virgilio Dastoli (2008)




Schengen

Introduzione

L’Accordo e la Convenzione di Schengen inizialmente hanno per oggetto l’eliminazione dei controlli alle frontiere tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda. Sia l’Accordo, firmato il 14 giugno 1985, sia la Convenzione (v. Convenzioni), firmata il 19 giugno 1990, vengono successivamente estesi a tutti i paesi membri dell’Unione europea (UE), con l’eccezione del Regno Unito e Irlanda. Inoltre, aderiscono in un secondo tempo all’Accordo e alla Convenzione anche Islanda e Norvegia, che non fanno parte dell’UE.

Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (v. Trattati di Roma) prevede, all’articolo 3, che «l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal presente Trattato […] l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali» (v. Libera circolazione delle persone; Libera circolazione dei servizi; Libera circolazione dei capitali). Tuttavia, fino alla metà degli anni Ottanta, il processo di eliminazione dei controlli alle frontiere interne comunitarie si trova in una situazione di stallo. È solamente il 13 luglio 1984, infatti, che Francia e Germania decidono di sottoscrivere l’accordo di Saarbrucken, che prevede «di giungere alla soppressione dei controlli» alle frontiere sulle persone, e di «facilitare» quelli sulle merci (v. Libera circolazione delle merci).

Successivamente, Belgio, Olanda e Lussemburgo si associano a Francia e Germania al fine di procedere a un abbattimento dei controlli alle frontiere interne, costituendo, di fatto, il “gruppo Schengen”. Il 14 giugno 1985 i cinque paesi pervengono a un accordo, denominato Accordo di Schengen, dal nome della località lussemburghese dove esso viene firmato. In realtà, tale accordo riveste un carattere eminentemente programmatico, nel senso che procede all’elencazione dei settori in cui i cinque paesi firmatari devono armonizzare le rispettive politiche e avviare forme di cooperazione ad hoc tra le amministrazioni. In sostanza, l’accordo di Schengen non detta disposizioni specifiche. Per queste si deve attendere la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, che i cinque paesi firmano il 19 giugno 1990.

Principi e applicazione della Convenzione di Schengen    

A livello giuridico, la Convenzione di Schengen è un trattato internazionale tra cinque paesi membri dell’UE, che inizialmente si pone al di fuori del quadro giuridico comunitario. Esso consta di 142 articoli, divisi in otto titoli, nei quali vengono definite le misure di Armonizzazione necessarie per procedere all’abolizione definitiva dei controlli alle frontiere interne tra questi cinque paesi. Il principio cardine della Convenzione di Schengen, enunciato all’articolo 2, è che «le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque luogo senza che venga effettuato il controllo delle persone». Tuttavia, uno Stato che ha aderito alla Convenzione può, previa consultazione con le altre parti contraenti, decidere l’effettuazione di controlli di frontiera nazionali, se così esige l’ordine pubblico o di sicurezza nazionale. La durata dei controlli deve, comunque, essere commisurata alla situazione. L’insieme dei territori dei paesi aderenti agli accordi di Schengen, all’interno dei quali sono aboliti i controlli alle frontiere, costituisce il cosiddetto “spazio Schengen”. I controlli continuano naturalmente a essere effettuati quando si attraversa la frontiera esterna unica che divide un paese appartenente allo spazio Schengen da un paese terzo.

La Convenzione di Schengen contiene anche le cosiddette “misure compensative”, intese a migliorare il coordinamento tra polizia, dogane e amministrazioni giudiziarie e a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.

In sintesi, le principali misure previste dagli accordi di Schengen sono le seguenti:

  • soppressione dei controlli alle frontiere comuni e loro trasferimento alle frontiere con paesi terzi;
  • definizione comune delle condizioni per l’attraversamento delle frontiere con i paesi terzi;
  • separazione, negli aeroporti e nei porti, dei viaggiatori che si muovono all’interno dello spazio Schengen da quelli che prevengono da paesi terzi o che vi si dirigono;
  • armonizzazione delle condizioni di ingresso e di concessione dei visti per i soggiorni di breve durata;
  • istituzione di un coordinamento tra le diverse amministrazioni nazionali per la sorveglianza delle frontiere;
  • assegnazione e definizione del ruolo dei trasportatori nella lotta contro l’immigrazione illegale;
  • previsione di una dichiarazione obbligatoria per tutti i cittadini di paesi terzi che si spostino da un paese all’altro;
  • definizione di norme sulla responsabilità delle domande di asilo (Convenzione di Dublino);
  • istituzione di un diritto di pedinamento e di inseguimento da un paese all’altro, all’interno dello spazio comune di Schengen;
  • rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e un migliore sistema di trasmissione da un paese all’altro dell’esecuzione delle sentenze penali;
  • creazione del Sistema d’informazione Schengen (SIS).

Quest’ultima misura è di grande importanza: il SIS prevede che i paesi firmatari della Convenzione di Schengen mettano a disposizione, in maniera reciproca, segnalazioni relative a persone e cose. Tali segnalazioni sono consultabili automaticamente sia a livello di controlli alle frontiere esterne sia a livello di controlli di polizia e dogana all’interno del paese. Gli Stati membri contribuiscono al SIS attraverso reti nazionali (N-SIS) collegate a un sistema centrale (C-SIS) integrato da una rete di informazioni complementari richieste all’ingresso nazionale, denominata SIRENE. Tale rete è composta da esponenti della polizia civile e militare, delle dogane e della magistratura.

Nel 1999 gli Stati firmatari degli accordi di Schengen decidono di non prorogare il contratto relativo alla rete SIRENE, che termina il 23 agosto 2001. SIRENE è sostituita da una nuova struttura di comunicazione denominata Signal in space through Internet (SISNET), la quale, a sua volta, dovrà trasformarsi in una sorta di sistema d’informazione europeo integrato anche dai dati sull’immigrazione.

Al fine di evitare che le misure prese nel quadro degli accordi di Schengen e, in particolare, quelle relative al SIS, comportino abusi ai danni dell’individuo, gli Stati aderenti alla Convenzione hanno deciso di adottare delle disposizioni tali da garantire un livello di protezione pari almeno a quello sancito dai principî enunciati dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del gennaio 1981, relativa alla protezione dell’individuo in relazione alla registrazione elettronica di dati personali. Con la Convenzione di Schengen, inoltre, viene istituito un Comitato che si fa garante della corretta interpretazione degli accordi di Schengen, cioè dell’Accordo e della Convenzione di applicazione. Tale Comitato, che delibera all’unanimità, è competente ad adottare disposizioni esecutive più particolareggiate.

La Convenzione di applicazione stabilisce altresì che le sue disposizioni siano applicabili solo in quanto compatibili con il Diritto comunitario e che ogni Stato membro della Comunità economica europea (CEE) possa aderire agli accordi. Tale disposizione è fondamentale, in quanto ha di fatto permesso l’estensione dell’accordo di Schengen dai cinque paesi iniziali alla quasi totalità dei paesi membri dell’UE. Infatti, l’Accordo e la Convenzione di Schengen si sono estesi progressivamente a tutti gli Stati membri. Gli accordi vengono firmati dall’Italia il 27 novembre 1990, dalla Spagna e dal Portogallo il 25 giugno 1991, dalla Grecia il 6 novembre 1992, dall’Austria il 28 aprile 1995 e da Danimarca, Finlandia e Svezia il 19 dicembre 1996.

La Convenzione di Schengen entra in vigore il 26 marzo 1995 per Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Spagna. In realtà, la Convenzione di Schengen doveva entrare in vigore il primo gennaio 1993, in coincidenza con l’avvio del Mercato unico europeo. Il ritardo di oltre due anni rispetto alla data preventivata è riconducibile alle difficoltà relative alla creazione del sistema SIS. Per quanto riguarda l’Italia, l’accordo diventa operativo solo il 26 ottobre 1997, benché l’Italia abbia ratificato l’Accordo e la Convenzione di Schengen già con la legge n. 388 del 30 settembre 1993. L’Italia aderisce agli accordi di Schengen solamente nel 1997 a causa di due problemi: da un lato, la mancata approvazione di una legge sulla protezione dei dati personali da parte del parlamento, dall’altro le difficoltà incontrate nella partecipazione al SIS.

Il Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen

Dal punto di vista giuridico, fino all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, avvenuta il 1° maggio 1999, gli accordi di Schengen rappresentano meri accordi intergovernativi (v. anche Cooperazione intergovernativa), nonostante ben 13 dei 15 paesi membri dell’Unione europea li abbiano sottoscritti. A partire da quella data, invece, gli accordi di Schengen entrano a far parte del quadro comunitario. Lo strumento giuridico attraverso cui gli accordi di Schengen vengono integrati nei Trattati comunitari è il Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, allegato al Trattato di Amsterdam. Con l’espressione “acquis di Schengen” ci si riferisce all’insieme delle disposizioni da rispettare e delle misure da attuare nell’ambito delle materie regolate dall’Accordo e dalla Convenzione di applicazione di Schengen. Concretamente, fanno parte dell’acquis di Schengen l’Accordo e la Convenzione di applicazione di Schengen, unitamente alle dichiarazioni del Comitato esecutivo. L’elenco completo di tutti gli atti che formano l’Acquis comunitario è definito da una Decisione del Consiglio dei ministri del 20 maggio 1999.

L’inclusione dell’acquis di Schengen nel quadro giuridico dell’Unione europea comporta:

  • l’estensione della competenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) a tutte le decisioni prese come misure di attuazione degli accordi di Schengen, escluse quelle relative al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna;
  • l’obbligo per gli Stati che in futuro decidano di aderire all’Unione di accettare integralmente le disposizioni contenute nell’Accordo e nella Convenzione di applicazione, nonché le decisioni di attuazione emanate dal Consiglio;
  • il subentro del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, nella sua formazione Giustizia e affari interni (GAI), nelle attività e funzioni svolte dal Comitato esecutivo;
  • l’integrazione del Segretariato di Schengen nel Segretariato generale del Consiglio e l’istituzione di nuovi Comitati e gruppi di lavoro per coadiuvare il Consiglio a gestire la situazione.

Il Consiglio dell’Unione europea ha determinato anche la base giuridica di tutte le disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen. Alcune di queste misure, come quelle relative ad asilo, immigrazione e libera circolazione delle persone, trovano la propria base giuridica nel Titolo IV del Trattato della comunità europea, cioè nel primo pilastro (v. Pilastri dell’Unione europea). Altre misure, invece, come quelle relative alla Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, trovano la propria base giuridica nel Titolo VI del Trattato sull’Unione europea (v. Trattato di Maastricht), cioè nel terzo pilastro.

Bisogna tuttavia ricordare nuovamente che, al momento dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, erano solo tredici i paesi – mancavano, infatti, Gran Bretagna e Irlanda – che avevano aderito agli accordi di Schengen. Lo strumento giuridico che rende possibile l’inclusione nei Trattati di disposizioni che non si applicano a tutti gli Stati membri, ma solo a una parte di essi, benché ne costituiscano la maggioranza, è la cooperazione rafforzata. L’articolo 1 del Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea allegato al Trattato di Amsterdam recita, infatti, che i tredici paesi sopra menzionati, «firmatari degli accordi di Schengen, sono autorizzati a instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel campo di applicazione di tali accordi e delle disposizioni collegate». Lo strumento delle cooperazioni rafforzate, istituzionalizzato con il Trattato di Amsterdam, consente infatti agli Stati membri che intendano perseguire determinate politiche comuni di procedere anche in assenza della volontà unanime dei paesi membri.

Paesi europei ancora estranei agli Accordi di Schengen

Gli unici paesi membri che non hanno ancora aderito agli accordi di Schengen sono il Regno Unito e l’Irlanda. Essi non sono, dunque, vincolati dall’acquis di Schengen. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 4 del Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, essi «possono, in qualsiasi momento, chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle disposizioni di detto acquis». Su tale richiesta, il Consiglio decide con Voto all’unanimità degli Stati firmatari degli accordi e del rappresentante del governo dello Stato interessato. Il Regno Unito si avvale di questa possibilità nel marzo 1999, quando chiede di poter partecipare alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, alla Lotta contro la criminalità internazionale e contro la droga e al SIS. La richiesta presentata dagli inglesi viene accolta con una decisione del Consiglio, presa solamente nel maggio 2000. Questo ritardo nella decisione del Consiglio (decisione 2000/365/CE) si spiega con gli attriti fra Regno Unito e Spagna, causati dal problema di Gibilterra.

Anche l’Irlanda chiede di poter partecipare ad alcune disposizioni dell’acquis di Schengen tramite due lettere inviate al presidente del Consiglio dell’Unione (v. Presidenza dell’Unione europea), il 16 giugno 2000 e il 1° novembre 2001. Nei pareri espressi in merito, il Consiglio e la Commissione europea evidenziano il fatto che la partecipazione parziale dell’Irlanda non debba, comunque, impedire la coerenza dell’insieme delle disposizioni costitutive dell’acquis. Inoltre, l’Irlanda chiede di partecipare alla totalità delle disposizioni sull’attuazione e il funzionamento del SIS. La decisione positiva del Consiglio relativa alla partecipazione irlandese ad alcuni aspetti dell’acquis di Schengen (decisione 2002/192/CE) entra in vigore il 1° aprile 2002.

Inoltre, la partecipazione agli accordi di Schengen è complicata dall’appartenenza di alcuni paesi membri dell’UE che hanno firmato gli accordi di Schengen – cioè Danimarca, Finlandia e Svezia – all’Unione nordica dei passaporti, della quale fanno parte anche paesi non membri, come Islanda e Norvegia. L’Unione nordica dei passaporti prevede l’abolizione dei controlli alle frontiere comuni tra questi cinque paesi. Il 19 dicembre 1996 Danimarca, Svezia e Finlandia firmano gli accordi di Schengen, mentre Islanda e Norvegia vi si associano solamente. L’associazione agli accordi di Schengen consente a questi ultimi paesi di esprimere pareri e formulare proposte, senza però disporre del diritto di voto nel Comitato esecutivo. In seguito all’integrazione dell’acquis di Schengen nel quadro comunitario si rende necessario un accordo tra Islanda e Norvegia – che non fanno parte dell’Unione europea – e l’UE stessa. Tale accordo determina una proroga dell’associazione di questi paesi agli accordi di Schengen. Questi paesi, dunque, possono prendere parte all’elaborazione dei nuovi strumenti giuridici relativi allo sviluppo dell’acquis di Schengen. A livello istituzionale, l’associazione di Islanda e Norvegia agli accordi di Schengen si concreta in un comitato misto formato da rappresentanti dei due paesi, dai membri del Consiglio dell’Unione e della Commissione. Tale comitato adotta il proprio regolamento interno il 29 giugno 1999.

Anche i paesi entrati nell’Unione europea il 1° maggio 2004 hanno dovuto conformarsi a una serie di misure relative all’abolizione dei controlli alle frontiere interne, alla cooperazione giudiziaria e di polizia e al SIS, previste dall’acquis di Schengen. L’elenco delle disposizioni dell’acquis di Schengen integrate nell’ambito dell’Unione europea e degli atti basati su di esso, che saranno applicabili nei nuovi Stati membri a decorrere dall’adesione e saranno vincolanti per questi Stati, si trova nell’allegato 1 al Trattato di adesione all’Unione europea di Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia, firmato ad Atene il 16 aprile 2003.

L’adozione da parte di questi paesi dell’acquis di Schengen si è resa necessaria ai fini dell’Allargamento dell’area di libera circolazione e dell’armonizzazione delle regole tra tutti i paesi membri dell’Unione. D’altra parte, però, occorre constatare come lo spostamento dei cittadini dei paesi confinanti con i nuovi Stati membri verso questi ultimi paesi sia stato sottoposto a forti limitazioni, con ripercussioni negative anche a livello di traffico commerciale, soprattutto transfrontaliero.

Michele Pomelli (2006)




Schmid, Carlo

S. (Perpignan 1896-Bonn 1979) è considerato uno dei padri fondatori della Repubblica federale di Germania, nonché uno dei più autorevoli esponenti della socialdemocrazia tedesca del secondo dopoguerra. Di padre svevo e madre francese, il giovane S. partecipò come volontario al primo conflitto mondiale. Finita la guerra, studiò scienze giuridiche, indirizzandosi successivamente alla carriera accademica. Nel 1940 S. fu chiamato dalla Wehrmacht, anche in virtù della sua precedente esperienza di giurista del tribunale del Württemberg, a prestare servizio come consulente presso il Comando superiore militare di stanza a Lille. Qui entrò in contatto con alcuni dei principali esponenti della resistenza tedesca, con i quali collaborò attivamente fino ai falliti attentati contro Hitler del 1943-1944. L’esperienza della guerra e del nazismo fu determinante rispetto alla scelta di S. di dedicarsi successivamente alla ricostruzione politica e spirituale del suo paese (v. Weber, 1999, pp. 129-140).

La sua familiarità con la potenza di occupazione francese gli consentì un rapido ingresso nella politica. Chiamato sin dal 1945 a ricoprire nel Land Württemberg-Hohenzollern il doppio incarico di capo del governo provvisorio e di responsabile dei dicasteri della Giustizia e della Cultura, S., che aveva aderito al partito socialdemocratico tedesco (Sozialdemokratishe Partei Deutschlands, SPD), si trovò nel giro di poco tempo a disporre di amplissimi poteri, che dispiegò per contribuire a quella che egli considerava una necessaria, quanto auspicabile, “politica di educazione” dei tedeschi alla democrazia. Tale atteggiamento pedagogico-prescrittivo, nutrito dal desiderio di non ripetere gli errori di Weimar, trovò esplicita espressione soprattutto nel suo operato di costituente e, in particolare, nel suo sostegno all’idea della “democrazia protetta”. Come segretario della principale commissione del Consiglio parlamentare, istituito nel 1948, S. si adoperò con determinazione per immunizzare la futura democrazia tedesca e i suoi principi fondamentali contro gli eventuali cambiamenti della maggioranza, favorendo inoltre l’introduzione di quei meccanismi di razionalizzazione della forma di governo (come in particolare la “sfiducia costruttiva”), cui si associa generalmente anche l’idea del cancellierato. Sempre a S. va, inoltre, riconosciuta la paternità del termine “legge fondamentale” (Grundgesetz), che i costituenti tedeschi finirono per preferire al più impegnativo concetto di “costituzione” (Verfassung) per affermare il carattere provvisorio della neonata Repubblica federale e, nella fattispecie, la loro indisponibilità ad accettare la divisione del paese come definitiva. D’altra parte, la questione nazionale ebbe per S. un’importanza centrale nel corso di tutta la sua carriera politica, anche in considerazione del fatto che dal 1949 al 1966 fu chiamato a ricoprire l’incarico di presidente prima e di vicepresidente poi della Commissione parlamentare del Bundestag per le questioni di politica estera. In questo ambito S. si distinse nei primi anni dal leader carismatico Kurt Schumacher e da molti altri suoi colleghi di partito per le sue idee meno intransigenti espresse nei confronti della politica filo occidentale di Konrad Adenauer. Soprattutto sul tema dell’integrazione europea, S. manifestò apertamente, senza tuttavia giungere a contestare la linea ufficiale del partito al momento del voto, la sua contrarietà a qualsiasi atteggiamento di opposizione pregiudiziale. In tal senso, egli fu, insieme a Willy Brandt, tra coloro i quali all’interno della SPD per primi rifuggirono dalla tentazione di opporre alla Europa “cristiano-democratica”, “capitalista”, “clericale” e “cartellista” (Schumacher) un’ideologia europea socialdemocratica, ritenendo che il processo d’integrazione europea rappresentasse una necessità a sé stante, che prescindeva dalle contrapposizioni di tipo ideologico (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Coerentemente con queste posizioni, S. aderì nel 1949 sia all’associazione europeista Europa Union che al Movimento europeo e, nel 1950, accettò di entrare a far parte dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa di Strasburgo. Per S. il fatto che la divisione del paese rendesse impossibile per la Repubblica federale partecipare sin dall’inizio alla costruzione europea non doveva, infatti, esimere la SPD dal sostenere il processo d’integrazione (v. Schmid, 1949). Tuttavia, le sue posizioni s’irrigidirono, così anche i toni dei suoi interventi parlamentari divennero più aspri, allorché con il progetto della Comunità europea di difesa (CED) i tentativi di costruzione dell’Europa sconfinarono dalla sfera economica verso la dimensione politico-militare (v. Paterson, 1974, pp. 86 e ss.) S. riteneva, infatti, che tra l’alternativa neutralista e l’ingresso della Repubblica federale nella CED vi fosse posto per una terza opzione: «legarsi all’Occidente con forme che non siano percepite dall’Est come minacciose e instaurare con l’Est un rapporto di libero scambio, che rafforzi l’Occidente invece di indebolirlo» (discorso di S. davanti al Bundestag del 9/7/1952). Sulla base di questa convinzione, S. si fece portavoce della proposta di sostituire l’alleanza militare con l’Occidente con un «sistema di sicurezza collettiva»; una soluzione strategica che, a partire dal Congresso di Dortmund del settembre 1952, avrebbe fortemente influenzato il dibattito sulla politica estera e sulla questione nazionale fino alla riunificazione del paese (v. Weber, 1996, pp. 458 e ss.) Tale proposta avrebbe ben presto definito la posizione ufficiale della SPD, paradossalmente proprio nel momento in cui l’influenza di S. all’interno del partito iniziava a declinare (v. Paterson, 1974, pp. 86 e ss.). Sempre sullo sfondo di questa terza “opzione”, S. si unì al coro di quanti condannarono l’atteggiamento di chiusura assunto da Adenauer in risposta alla “nota Stalin” e accolse, invece, molto positivamente l’invito rivoltogli nell’estate 1955 dal cancelliere ad accompagnarlo nel corso della prima visita ufficiale del governo tedesco a Mosca. Con il suo appello alla «magnanimità del popolo russo», S. svolse un ruolo non secondario nell’operazione che avrebbe portato al rilascio dei prigionieri di guerra tedeschi (v. Schmid, 1979, pp. 575 e ss.). Secondo la testimonianza raccolta da Paterson, S. rimase, peraltro, molto impressionato nel corso del viaggio dalla indisponibilità dei sovietici a mostrarsi malleabili sulla questione della riunificazione tedesca (v. Paterson, 1974, p. 120). Nondimeno, S. continuò anche nel periodo successivo a sostenere la normalizzazione dei rapporti con l’Est, nel quadro di un sistema di sicurezza collettivo, come l’unica strategia politicamente e moralmente sostenibile, fino a ventilare l’ipotesi di un riconoscimento di fatto della Deutsche Demokratische Republik (DDR); una proposta che all’epoca in cui fu avanzata suscitò perplessità e imbarazzo anche all’interno del suo partito. In questa prospettiva, egli può essere considerato anche come un precursore della Ostpolitik. Quando, tuttavia, negli anni della Grosse Koalition (1966-1969) la prospettiva di una ridefinizione dei rapporti con l’Est si fece concreta, a S. fu negata la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano, dal momento che gli fu affidato il ministero per i rapporti con il Consiglio federale. Grazie alla sua popolarità e al suo prestigio intellettuale, S. fu chiamato a ricoprire, in patria e all’estero, importanti incarichi istituzionali; i posti chiave del potere, però, gli furono preclusi: dal 1949 al 1966 e dal 1969 al 1972 fu vicepresidente del Bundestag, dal 1963 al 1966 presidente dell’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale a Parigi e dal 1969 al 1969 coordinatore delle relazioni franco-tedesche nell’ambito degli accordi dell’Eliseo (v. Trattato dell’Eliseo). Nel 1959 S. arrivò ad un passo dalla presidenza della Repubblica federale: quale candidato di punta della SPD, fu, infatti, sconfitto con uno scarto minimo di voti dal cristiano-democratico Heinrich Lübke.

Con un misto di sentimenti di orgoglio per il suo passato e di sconforto per il presente, nelle ultime pagine delle sue memorie S. rivendicherà, del resto, l’appartenenza a una particolare generazione di politici: «Di questi nessuno era entrato in politica per brama di potere o nella prospettiva di fare carriera, ma perché credevano che il mondo in cui vivevano potesse essere migliorato, se solo gli uomini si fossero adoperati con maggiore buona volontà, con maggiore comprensione e con maggiori sentimenti umanitari» (v. Schmid, 1979, pp. 852 e ss.).

Gabriele D’Ottavio (2010)




Schmidhuber, Peter

S. (Monaco1931) è un uomo politico della Christlich-Soziale Union (CSU), il partito politico cristiano democratico tedesco bavarese. S. ha lavorato per quasi dieci anni presso la Commissione europea nel settore della politica regionale, dell’economia di mercato e del controllo sul bilancio.

S. ha seguito gli studi giuridici ed economici presso l’Università Ludwig-Maximilian di Monaco dal 1951 al 1955, ottenendo poi l’abilitazione alla professione di avvocato. Iscritto alla CSU nel 1952, nel 1960 viene eletto nel Consiglio della città di Monaco, incarico ricoperto fino al 1966. Dal 1965 al 1969 e dal 1972 al 1978 fa parte del Bundestag.

Dal 1987 al 1995 S. è chiamato a far parte della Commissione europea sotto le Commissioni Jaques Delors I, II e III. Inizialmente è commissario per la politica regionale e l’economia di mercato; a partire dal 1989 è incaricato delle competenze nel settore del bilancio e del controllo finanziario. Negli anni trascorsi a Bruxelles, S. ha sottolineato più volte che il mercato interno deve e può diventare il motore di crescita dell’Europa. I provvedimenti per il completamento del mercato interno, l’Armonizzazione del sistema impositivo, la creazione di un mercato comune per i lavori pubblici, sono stati soltanto alcuni punti cruciali su cui S. ha lavorato. I vantaggi economici di un mercato interno dovrebbero garantire una crescita economica generale all’interno dell’Unione europea (UE), ha dichiarato S. in una relazione tenuta presso la Commissione europea. Tuttavia, parallelamente, anche il processo di crescita macroeconomico deve funzionare senza difficoltà secondo S.

Durante la sua permanenza a Bruxelles, S. si è anche battuto per la creazione e il buon funzionamento di un’unità di coordinamento della lotta contro la frode. Nel 1988 la Commissione europea, a seguito di insistenti richieste formulate dal Parlamento europeo circa l’intensificazione dell’azione di contrasto alle frodi a danno del bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea), ha istituito l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) che, per circa dieci anni, ha promosso lo sviluppo delle reti, mediante le quali è possibile ricevere e trasmettere informazioni in tempo reale sia tra le varie amministrazioni doganali sia tra queste e la Commissione europea, e delle banche dati informative antifrode, nonché ha raccolto e analizzato le informazioni necessarie all’attività investigativa.

Dopo il suo ritorno in Germania nel 1995, S. diventa membro del Comitato direttivo della Banca federale tedesca a Francoforte sul Meno. Attualmente presiede anche la rete degli “Amici dell’ERA”. Fondata nel 1990 come “Associazione per la promozione dell’Accademia di diritto europeo” (Europäische Rechtsakademie, ERA) con sede a Treviri in Germania, la rete degli “Amici dell’ERA” è una rete di persone e organizzazioni che sostiene le attività e la missione dell’ERA attraverso donazioni finanziarie e materiali. L’Accademia di diritto europeo ha avviato le proprie attività nel marzo del 1992 con l’obiettivo di stare al passo con i mutamenti registrati nell’ambito dell’integrazione europea negli anni Ottanta e Novanta.

Insignito di varie onorificenze e premi, tra cui la Croce al merito federale nel 1982, attualmente S. lavora per lo studio legale Gassner, Stockmann und Kollegen (GSK), specializzato nel settore del diritto economico. Si occupa soprattutto del diritto monetario, bancario, finanziario, europeo e della concorrenza.

Elisabeth Alber (2012)