Uffe Ellemann-Jensen




Ufficio del comitato per l’integrazione europea

L’Urząd komitetu integracji europejskiej, Ufficio del comitato per l’integrazione europea (UKIE) è il segretariato permanente del Comitato per l’integrazione europea (Komitet Integracji Europejskiej, KIE), la massima autorità con competenze statutarie in materia di coordinamento delle politiche europee della Polonia. Istituito il 10 ottobre 1996 con un rimpasto governativo, esso portò avanti l’attività dell’Ufficio per gli Affari europei. Quest’ultimo era stato fondato nel 1991 come cellula dell’Ufficio del Consiglio dei ministri in sostegno all’attività del plenipotenziario per l’integrazione europea (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della).

L’UKIE, un ibrido tra un comitato di gabinetto e un organo collettivo supremo, fu fondato con lo scopo di istituzionalizzare e coordinare ulteriormente le attività governative in merito all’integrazione europea. Come dichiara la legge dell’8 agosto 1996 istituiva del KIE, «il Comitato per l’integrazione europea è l’organo amministrativo supremo del governo a cui spetta la programmazione e il coordinamento delle politiche legate all’integrazione della Polonia nell’Unione europea (UE), la programmazione e il coordinamento delle misure della Polonia per adeguare [il paese] agli standard europei nonché il coordinamento delle misure dell’amministrazione statale nel campo dell’assistenza ricevuta dall’estero».

Danuta Hübner, il primo segretario del KIE, mantenne l’incarico a partire dalla sua creazione nel 1996 fino al suo scioglimento, nel 1997. Il suo successore, Rychard Czarnecki, che fu nominato nel 1997 dal governo maggioranza guidato dall’Azione elettorale di Solidarność (Akcja Wyborcza Solidarność, AWS), fu ritenuto responsabile di aver indebolito l’autorità dell’UKIE. L’euroscettico Czarnecki (v. Euroscetticismo), dimostratosi un ministro debole a causa della sua giovane età e della sua relativa inesperienza, ebbe poca cura delle funzioni formali dell’istituzione. Inoltre, dopo le dimissioni di Czarnecki nel giugno 1998, un lungo periodo di instabilità istituzionale, dovuta a un’impasse della coalizione, impedì al primo ministro di nominare un segretario permanente del KIE. Riguardo alla trasposizione giuridica, il ruolo dell’UKIE si limitò all’approvazione del Programma nazionale per l’adozione dell’Acquis comunitario (PNAA) nel maggio 1998. Esso monitorava i progressi e riferiva annualmente sull’implementazione del PNAA, sebbene ulteriori controlli venissero esercitati a margine delle istituzioni dellAccordo europeo (v. Accordi europei), o del contributo polacco alla relazione della Commissione sui progressi. Le debolezze dell’UKIE in quel periodo fecero sì che nel 1999 l’Unione europea dichiarasse che il ritmo lento della trasposizione costituiva il principale ostacolo della Polonia.

All’epoca l’UKIE era composto dal Dipartimento per l’Armonizzazione giuridica (Departamentu harmonizacji prawa, DHP), con un personale di circa 20 giuristi che si occupavano di controllare che tutti i progetti di legge proposti dal governo fossero conformi alla legislazione dell’Unione europea. Il Dipartimento per la politica di integrazione, il quale aveva alle proprie dipendenze circa 18 persone principalmente con competenze in ambito economico, sosteneva l’UKIE nella pianificazione e nel monitoraggio della trasposizione giuridica. A partire dal 1997-1998 lo strumento principale dell’UKIE per influenzare il processo legislativo furono i pareri legali sulla compatibilità con le normative UE che venivano preparati dai giuristi del DHP. Ai pareri legali venivano anche allegati commenti più generali degli economisti del Dipartimento per la politica di integrazione sulla conformità dei progetto progetti di legge con le priorità in materia di integrazione della Polonia. Alcuni critici sottolinearono come, durante il biennio 1997-1998, questi strumenti fossero inadeguati a guidare i ministeri nella trasposizione legislativa. Erano infatti troppo generici o troppo specifici e assumevano la forma di rapporti in materia legale e di pareri in tema di trasposizione giuridica commissionati all’esterno.

Nel 1999, per rendere la trasposizione giuridica più efficace, la cancelleria del primo ministro rilevò il coordinamento della trasposizione della legislazione UE. Il nuovo interesse della Cancelleria per la trasposizione coincise con gli sforzi dei funzionari dell’UKIE per stabilire un nuovo sistema di pianificazione e di monitoraggio che avrebbe integrato l’NPAA e le attività dei negoziati, fissando scadenze precise e occupandosi della distribuzione dei compiti. A metà del 2000 avvenne un cambiamento nell’organizzazione del KIE/UKIE allorché il primo ministro nominò Jacek Saryusz-Wolski, suo consulente ed ex ministro degli affari UE, segretario permanente del KIE e direttore dell’UKIE. La nomina fu resa possibile grazie a una significativa mobilitazione d’élite che ebbe luogo all’inizio del 2000. Potenziando gli strumenti sviluppati dalla cancelleria del primo ministro e dallo staff dell’UKIE, Sariusz Wolski riportò la responsabilità del coordinamento della trasposizione dalla Cancelleria al KIE/UKIE, rafforzando in tal modo la posizione istituzionale dell’UKIE in seno al governo. Nel maggio 2000, il KIE approvò una risoluzione formale che conteneva un elenco dettagliato delle leggi da trasporre in sospeso con le relative scadenze. Il segretario del KIE fu incaricato formalmente di monitorare i progressi. Due mesi dopo fu approvata un’altra risoluzione per trasformare il KIE in un comitato che si occupasse della legislazione relativa all’UE (v. Zubek, 2001).

Negli anni 2001-2002 il nuovo governo di sinistra integrò l’UKIE nel ministero degli Affari esteri (Ministerstwo Spraw Zagranicznych, MSZ). I cambiamenti ministeriali miravano a riavvicinare le varie istituzioni preposte ai negoziati di adesione, agli affari esteri e all’adeguamento nazionale. Il risultato fu l’integrazione delle principali istituzioni esecutive. Il nuovo segretario dell’UKIE, Danuta Hübner, fu nominata viceministro degli Affari esteri e il negoziatore capo venne trasferito dalla cancelleria del primo ministro per diventare il diretto sottoposto nel ministero degli Esteri. Integrati grazie al doppio ruolo istituzionale della Hübner, l’UKIE e il dipartimento per l’UE dell’MSZ iniziarono a operare come “Segretariato europeo”. L’integrazione istituzionale avvenne anche a livello di dipartimenti. Il gruppo del negoziatore capo della cancelleria del primo ministro e il Dipartimento per l’adesione dell’UKIE vennero fusi con il dipartimento per l’UE dell’MSZ (v. anche Paesi candidati all’adesione). Alcuni analisti dell’UKIE e della cancelleria del primo ministro formarono nell’UKIE un nuovo Dipartimento per le analisi socio-economiche (v. Zubnek, 2001). Le risorse del centro per il monitoraggio della trasposizione e la gestione della regolamentazione furono potenziate quando i giuristi del Dipartimento per la legislazione europea si unirono al DHP, creando così il secondo dipartimento, in ordine di grandezza, dell’UKIE (con circa 40 membri del personale). Fu formata una nuova unità di coordinamento, il Dipartimento di sostegno del KIE, per gestire il flusso di documenti dai ministeri all’UKIE/KIE.

Prima dell’adesione si aprì un dibattito all’interno del governo e dell’élite sul futuro dell’UKIE nel quale alcuni sostennero che esso avrebbe dovuto essere sostituito da un nuovo Segretariato europeo. Tuttavia, prevalse l’opzione a favore della continuità istituzionale del coordinamento delle politiche nazionali sull’UE. In seguito all’adesione della Polonia nell’UE nel maggio 2004, lo statuto e l’organizzazione dell’UKIE sono stati modificati per adattarsi alle nuove condizioni di Stato membro della Polonia. Quando la Hübner divenne commissario delle Politiche regionali in seno alla Commissione europea, Jaroslaw Pietras le succedette come segretario di Stato dell’UKIE. La riforma dell’UKIE in merito al suo ruolo post adesione ha determinato uno spostamento di obiettivo dalla trasposizione dell’acquis comunitario al coordinamento della partecipazione polacca nel processo legislativo dell’UE, sia nel Consiglio dei ministri che nel Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER). Il compito dell’UKIE è inoltre quello di monitorare il lavoro dei comitati, così come la delegazione polacca davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Inoltre, l’UKIE è responsabile dell’analisi dei nuovi sviluppi, strategie e tendenze nell’UE e della gestione dei fondi strutturali (v. anche Fondo di coesione).

Madalena Pontes-Resende (2012)




Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee

L’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee (UPUCE) è la casa editrice dell’Unione europea (UE). Le sue origini risalgono al servizio pubblicazioni della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), istituito nel 1952. L’UPUCE è stato formalmente creato come organo indipendente nel 1969, ma la sua struttura e il suo funzionamento sono stati riorganizzati nel 2000. È gestito da un comitato di direzione in cui ciascuna istituzione dell’UE (v. Istituzioni comunitarie) è rappresentata dal suo segretario generale. L’Ufficio conta 635 dipendenti e si appoggia, per gli aspetti amministrativi, alla Commissione europea. Ha sede a Lussemburgo.

L’Ufficio delle pubblicazioni è responsabile della produzione e della distribuzione delle pubblicazioni dell’UE. Pur mantenendo attività editoriali su carta (in media, più di 50 milioni di copie diffuse ogni anno, a titolo oneroso o gratuito), l’Ufficio è all’avanguardia nel campo della diffusione elettronica. Le principali pubblicazioni sono in tutte le Lingue ufficiali dell’Unione (23 nell’UE a 27, fenomeno unico al mondo nell’attività editoriale), il cui numero è destinato ad aumentare con gli ulteriori allargamenti (v. Allargamento). Pubblicazioni più specializzate sono in un numero più ridotto di lingue, in alcuni casi solo in inglese. La pubblicazione di alcuni titoli, come la “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o la Relazione generale sull’attività dell’Unione europea”, annuale, costituisce un obbligo giuridico sancito dai Trattati europei. Le altre pubblicazioni vengono realizzate perché considerate importanti per la conoscenza dell’Unione, delle sue politiche o dell’attività delle sue istituzioni, a livello generale o specialistico. Il grande bisogno di informazione in una UE in fieri e l’esigenza del plurilinguismo attribuiscono all’UPUCE una responsabilità e un ruolo superiori a quelli che hanno generalmente gli istituti corrispondenti a livello nazionale.

Tra le circa 7000 pubblicazioni dell’Ufficio, periodiche o meno, alcune vanno citate per il loro interesse generale. Prima tra tutte la “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, che svolge un ruolo importante tanto per gli Stati membri quanto per i cittadini dell’Unione. È da sottolineare la tempestività dell’intervento di questo strumento dell’Unione, malgrado le difficoltà dovute al plurilinguismo integrale che esso pratica. La “Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, pubblicata tutti i giorni lavorativi in tutte le lingue ufficiali dell’Unione e, se necessario, in altre lingue, si articola in varie serie: L per gli atti legislativi dell’Unione; C per le comunicazioni e le informazioni; CE per gli atti preparatori dei processi legislativi, come le posizioni comuni del Consiglio; S per i supplementi relativi ai bandi di appalto. Le serie L e C esistono su supporto cartaceo, ma sono anche disponibili nella “base dati EUR-Lex”, che fornisce servizi a valore aggiunto nel campo del diritto comunitario, o su cd-rom mensili. La serie CE è disponibile solo nella base EUR-Lex o su cd-rom mensili. I supplementi S sono disponibili su cd-rom, ma sono anche accessibili on line attraverso la “base dati TED”.

La pubblicazione dei trattati comunitari in tutte le lingue ufficiali è anch’essa compito dell’Ufficio. La raccolta completa dei trattati e dei loro emendamenti, aggiornata periodicamente, comporta vari volumi. A questa raccolta “ufficiale” si aggiunge la pubblicazione rapida, per le necessità degli utilizzatori, dei testi dei trattati appena firmati e in attesa di ratifica, come pure delle versioni consolidate dei trattati di base, in coincidenza con l’entrata in vigore dei trattati modificativi. Attività questa relativamente intensa, se si considera il gran numero di revisioni intervenute nei vent’anni che hanno fatto seguito all’Atto unico europeo del 1986.

La “Relazione generale sull’attività dell’Unione europea” (annuale), già citata, corredata da una dettagliata cronologia e da utili indici tematici, costituisce una delle fonti più affidabili per seguire gli avvenimenti dell’Unione. È pubblicata in tutte le lingue ufficiali. Maggiori dettagli si trovano nel “Bollettino dell’Unione europea” (mensile, edito in tedesco, inglese e francese), a cui la Relazione generale fa utilmente riferimento. Queste pubblicazioni possono essere consultate sul portale EUROPA. Tra le numerose altre relazioni annuali pubblicate dall’Ufficio, vanno citate quelle sulla Politica europea di concorrenza, sulla situazione dell’agricoltura nell’Unione, sul controllo dell’applicazione del Diritto comunitario, sui fondi strutturali, sull’economia europea.

In campo giuridico, va ricordata la monumentale “Raccolta della giurisprudenza della Corte (dal 1954), con le pubblicazioni che le sono collegate (v. Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea). In campo statistico, oltre all’“Eurostat yearbook” (disponibile solo in tedesco, inglese e francese) (v. Ufficio statistico delle Comunità europee), esistono almeno settanta pubblicazioni di settore.

Utili strumenti per gli utenti sono il catalogo “Pubblicazioni chiave dell’Unione europea”, selezione edita annualmente, su carta, in tedesco, inglese, francese, e il servizio on-line EU-Bookshop, che permette ai cittadini di accedere al catalogo e ordinare pubblicazioni o scaricare gratuitamente file in formato PDF.

Giuseppe Ciavarini Azzi (2009)




Ufficio europeo di polizia

L’Europol, agenzia dell’Unione europea preposta alla cooperazione tra le forze di polizia degli Stati membri, ha base giuridica nel titolo VI del Trattato sull’Unione europea recante disposizioni sulla “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”. Nel Trattato di Maastricht del 1992 si parla di cooperazione di polizia «in connessione con l’organizzazione a livello dell’Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno a un Ufficio europeo di polizia (Europol)» (articolo K.1 punto 9). Attualmente ci si deve riferire in particolare agli articoli 29-32 del Trattato sull’Unione europea.

La Convenzione Europol, firmata il 26 luglio 1995, ha base giuridica nell’articolo K.3 punto 2 lettera c) del Trattato di Maastricht. Ratificata dagli Stati membri dell’Unione europea, è entrata in vigore il 1° ottobre 1998 permettendo l’operatività della struttura dal 1° luglio 1999. La Convenzione, che attribuisce personalità giuridica all’Europol (articolo 26: «In ciascuno degli Stati membri l’Europol ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalla legislazione nazionale»), prevede che esso sia responsabile nei confronti del Consiglio Giustizia e affari interni (GAI), il quale all’unanimità decide le linee guida e le regolamentazioni per l’attuazione delle stesse. Il Consiglio nomina inoltre il direttore e approva il bilancio che, assicurato dagli Stati membri in funzione del PIL, ammonta per il 2005 a circa 63,4 milioni di euro.

A livello direttivo il consiglio d’amministrazione, composto da un rappresentante per ogni Stato membro – ognuno dei quali dispone di un voto, mentre la Commissione europea assiste alle riunioni senza diritto di voto (Convenzione Europol, articolo 28) – si riunisce almeno due volte l’anno per decidere all’unanimità le direttive di attuazione e ampliamento degli obiettivi dell’Europol, e adottare i relativi rapporti annuali da sottoporre all’approvazione del Consiglio GAI e al parere consultivo del Parlamento europeo.

L’Ufficio ha sede a L’Aia e si divide in tre Dipartimenti (Informazione e tecnologie, Criminalità grave, Governance aziendale) che operano mediante un personale locale di circa 490 persone, di cui 80 ufficiali di collegamento distaccati dagli Stati membri.

L’Europol lavora per la prevenzione e il contrasto di reati definiti dal combinato disposto dell’art. 2 della Convenzione e di un allegato approvato nel 2002: terrorismo, reati contro la vita, l’integrità fisica e la libertà delle persone, commercio illecito e criminalità ambientale (come traffico illecito di stupefacenti e di materie nucleari e radioattive), reti di immigrazione clandestina (v. anche Politiche dell’immigrazione e dell’asilo), tratta di esseri umani e pornografia infantile, contraffazione e riciclaggio di denaro (v. anche Lotta al riciclaggio di denaro sporco, Lotta contro la criminalità internazionale e contro la droga) e di altri mezzi di pagamento, reati contro il patrimonio e frode. Si tratta di un mandato ampio, che comprende anche i reati connessi.

Le fattispecie devono avere una rilevanza internazionale, essendo perseguibili dall’Europol «purché esistano indizi concreti di una struttura o di un’organizzazione criminale e purché due o più Stati membri siano lesi dalle summenzionate forme di criminalità in modo tale da richiedere, considerate l’ampiezza, la gravità e le conseguenze dei reati, un’azione comune degli Stati membri» (Convenzione Europol, articolo 2 comma 1).

Le competenze dell’Europol consistono principalmente nella gestione delle informazioni. L’articolo 3 della Convenzione Europol, tuttavia, non elenca le funzioni in maniera esaustiva, bensì prioritaria. Ad esempio, l’Ufficio europeo di polizia lavora anche all’armonizzazione delle tecniche investigative tra gli Stati membri.

Il personale locale, in collaborazione con le unità nazionali, coadiuva lo scambio, la raccolta e l’aggiornamento dei dati, fornendo inoltre analisi delle informazioni e tempestive comunicazioni a fini investigativi ai servizi nazionali competenti. Si tratta dunque di fondamentali funzioni di supporto alle attività operative vere e proprie, che restano di competenza e responsabilità giuridica degli Stati membri coinvolti – anche se la possibilità di una vera e propria cooperazione investigativa/operativa è aperta al Consiglio dei ministri dall’articolo 30 comma 2 del Trattato sull’Unione europea.

Il sistema di informazione, gestito dall’Europol con le dovute garanzie di sicurezza, è un sistema informatizzato per “inserimento, accesso e analisi” di dati che, recentemente, ha raggiunto una piena operatività delle tre suddette componenti. Il 10 ottobre 2005 è stata dichiarata la disponibilità nei 25 Stati membri dell’Unione del Sistema informativo Europol.

Non mancano proposte volte a una sempre più efficace ed efficiente funzionalità dei mezzi a disposizione dell’Europol. È il caso, ad esempio, dell’elaborazione di un modello comune di intelligence cui ha contribuito l’introduzione, dal 1° gennaio 2006, di un nuovo compito riguardante le valutazioni della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata (Organised crime threat assessment, OCTA; al riguardo cfr. le conclusioni del Consiglio GAI del 12 ottobre 2005).

In questo processo evolutivo si rilevano due tendenze contrapposte: da una parte un allargamento istituzionale delle competenze e dei mezzi per assolverle, dall’altra le note difficoltà legate alla sovranità. La complessità dei meccanismi di scambio di informazioni sensibili e la ritrosia degli Stati membri ad attuarlo, ancora limitano la piena operatività dell’Europol, che si trova ad affrontare problemi di vario tipo. A volte si tratta di problemi più contingenti, come la scelta dell’attuale direttore della struttura, il tedesco Max-Peter Ratzel, individuato solo dopo otto mesi di negoziati nell’aprile 2005, a volte più strutturali, come la mancata stabile attuazione della task force antiterrorismo creata in seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Riattivata una prima volta dopo gli attentati di Madrid del marzo 2004, la task force è stata nuovamente oggetto di critiche: ancora nel luglio 2005 si constatava l’invio di Ufficiali di collegamento ed esperti di soli 2 Stati membri su 25.

Federica Di Camillo (2007)




Ufficio europeo per la lotta antifrode

Per comprendere il ruolo dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Office européen de lutte anti-fraude, OLAF), occorre considerare che il bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) è finanziato dai contribuenti ed è adottato, su proposta della Commissione europea, dall’autorità di bilancio (Parlamento europeo e Consiglio dei ministri).

Le politiche europee, così finanziate, mirano alla realizzazione di progetti di interesse generale; di conseguenza l’evasione dei dazi e delle imposte che alimentano il bilancio comunitario o l’utilizzazione impropria di finanziamenti comunitari danneggia i contribuenti europei.

La tutela degli interessi finanziari della Comunità (v. Comunità economica europea) assume, quindi, un rilievo essenziale per le Istituzioni comunitarie: rientra tra i doveri di queste ultime, infatti, garantire nei confronti del contribuente il migliore impiego del suo denaro e, in particolare, promuovere azioni volte a perseguire il più efficacemente possibile la lotta contro la frode. La responsabilità della Commissione in materia è, d’altronde, strettamente legata alla sua funzione di esecuzione del bilancio di cui all’art. 274 del Trattato istitutivo della Comunità europea (CE) (v. Trattati di Roma) ed è stata confermata dall’art. 280 del Trattato CE.

Nel 1999, al fine di intensificare tale azione, la Commissione ha istituito l’OLAF, la cui missione consiste nella protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea, nella lotta contro la frode, la corruzione e ogni altra forma di attività illegale; l’OLAF persegue quest’obiettivo effettuando le indagini amministrative antifrode interne alle istituzioni europee ed esterne alle stesse in base ad uno statuto speciale d’indipendenza (Decisione della Commissione n. 1999/352/CE, CECA del 28 aprile 1999, “Gazzetta ufficiale della Comunità europea” n. L 136 del 31/5/1999; decisione della Commissione n. 1999/394/CE e decisione del Consiglio n. 1999/396/CE, entrambe in GUCE n. L 149 del 16/6/1999).

L’Ufficio sviluppa ugualmente una stretta e regolare cooperazione con le autorità competenti degli Stati membri in vista di un miglior coordinamento delle attività comuni, fornendo agli Stati membri il supporto e le conoscenze tecniche necessarie al fine di assisterli nelle loro attività antifrode.

L’azione dell’OLAF deve uniformarsi ai criteri di indipendenza, integrità, imparzialità e professionalità e in ogni caso deve svolgersi nel rispetto della legalità, dei diritti e delle libertà individuali; in tale quadro, l’OLAF cerca anche la collaborazione delle istituzioni e di tutti i funzionari europei che hanno l’obbligo di comunicare all’Ufficio qualsiasi informazione relativa a eventuali casi di frode o di corruzione o a qualsiasi altra attività illegale di cui sono venuti a conoscenza.

L’Ufficio è entrato in funzione il 1° giugno 1999, data di entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 (GUCE n. L 136 del 31/5/1999), e del regolamento (Euratom) n. 1074/1999 del Consiglio del 25 maggio 1999 (GUCE n. L 136 del 31/5/1999), relativi alle indagini svolte dall’OLAF; esso ha sostituito la Task Force “Coordinamento della lotta antifrode” (Unité de coordination de la lutte anti-fraude, UCLAF) del Segretariato generale della Commissione creata nel 1988.

Pur avendo uno speciale statuto di indipendenza per quanto riguarda le funzioni investigative, l’OLAF fa sempre parte della Commissione europea e contribuisce, quindi, all’ideazione e all’elaborazione dei metodi di prevenzione e di lotta contro le frodi.

Al fine di coordinare l’azione degli Stati membri nella lotta contro le frodi a danno degli interessi delle Comunità, l’OLAF apporta loro il contributo della Commissione per organizzare una collaborazione stretta e regolare tra le autorità nazionali competenti.

L’esecuzione delle funzioni investigative dell’OLAF è svolta sotto la responsabilità del suo direttore generale, designato dalla Commissione per un periodo di cinque anni (rinnovabili una volta), previo parere favorevole del comitato di vigilanza e in concertazione con il Parlamento europeo e il Consiglio. Nell’intento di garantire l’indipendenza dell’OLAF nelle sue funzioni d’indagine, il legislatore ha fatto obbligo al direttore generale dell’Ufficio di non chiedere né accettare istruzioni da alcun governo o istituzione (compresa la Commissione); qualora egli ritenga che la Commissione abbia preso un provvedimento che metta in causa la propria indipendenza, il direttore generale dispone di un potere di ricorso contro la Commissione dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea).

A garanzia di tale indipendenza, l’Ufficio è soggetto al controllo regolare delle funzioni d’indagine da parte di un Comitato di vigilanza, formato da cinque personalità esterne alle istituzioni comunitarie, indipendenti e particolarmente qualificate nei settori di competenza dell’Ufficio; dietro richiesta del direttore o di propria iniziativa, il comitato di vigilanza fornisce al direttore pareri sulle attività dell’Ufficio, senza tuttavia interferire nello svolgimento delle indagini in corso.

È stato altresì istituito il comitato consultivo per il coordinamento della lotta antifrode (COCOLAF), che costituisce una piattaforma di scambio sulle questioni generali relative alla tutela degli interessi finanziari tra la Commissione e i suoi principali partner in materia di tutela degli interessi finanziari; il Comitato, in stretta cooperazione con i servizi della Commissione e con gli Stati membri, fornisce orientamenti alle autorità nazionali e documenti di riferimento sulle frodi e sulle altre irregolarità, ed elabora la relazione annuale della Commissione.

Al fine di potenziare la lotta contro le frodi, l’OLAF esercita la competenza di indagine esterna, conferitagli dal regolamento relativo ai controlli e alle verifiche sul posto effettuati dalla Commissione ai fini della tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee contro le frodi e altre irregolarità (regolamento Euratom, CE n. 2185/96 del Consiglio dell’11 novembre 1996, GUCE n. L 292 del 15/11/1996); ove esistano accordi di cooperazione, l’OLAF può esercitare tale competenza anche nei paesi terzi.

Nell’ambito delle sue funzioni di indagine, l’Ufficio effettua anche i controlli e le verifiche previsti dal regolamento relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (regolamento Euratom, CE n. 2988/95 del Consiglio del 18 dicembre 1995, GUCE n. L 312 del 23/12/1995) e dagli altri regolamenti di settore.

Nella pratica, le frodi e le altre irregolarità sono quasi sempre individuate in stretta cooperazione tra l’OLAF e i servizi investigativi nazionali: rileva, infatti, della competenza degli Stati membri la raccolta delle risorse proprie tradizionali (vale a dire le entrate del bilancio dell’UE) per conto della Comunità e l’amministrazione di circa l’80% delle spese del bilancio comunitario.

L’Ufficio dispone di tutta una serie di poteri (esempi: accesso alle informazioni e ai locali delle istituzioni comunitarie, facoltà di verificare la loro contabilità e di ottenere estratti di qualsiasi documento), tra cui quello di chiedere direttamente alle persone interessate le informazioni che ritiene utili ai fini delle sue indagini; con le modalità previste dal regolamento Euratom, CE n. 2185/96 del Consiglio dell’11 novembre 1996 (GUCE n. L 292 del 15/11/1996), può effettuare controlli in loco presso gli operatori economici interessati.

I responsabili delle indagini dell’OLAF devono svolgere le loro funzioni e regolare la propria condotta esclusivamente nell’interesse delle Comunità, senza accettare istruzioni da alcun governo, autorità, organizzazione o persona esterna all’istituzione; per svolgere tali specifiche mansioni, la maggior parte del personale dell’OLAF ha una solida esperienza professionale, acquisita nei servizi investigativi, giudiziari e di polizia nazionali.

È stato creato anche un numero telefonico verde che offre l’opportunità di mettersi gratuitamente in contatto con l’OLAF da tutti gli Stati membri (dall’Italia il numero 800 878 495), al fine di fornire informazioni che siano interessanti per l’Ufficio.

Alberto Colabianchi (2009)




Ufficio governativo per gli Affari europei della Slovenia

In Slovenia, il coordinamento generale delle questioni legate all’Unione europea (UE) è di competenza del primo ministro, del Consiglio dei ministri e dell’Ufficio governativo per gli Affari europei (UGAE) in accordo con la delegazione di negoziatori per l’adesione della Repubblica di Slovenia all’Unione europea (v. anche Criteri di adesione; Paesi candidati all’adesione). Essi hanno tutti svolto un ruolo fondamentale nell’integrazione della Slovenia, essendo coinvolti in tutte le decisioni strategiche e responsabili della gestione generale degli affari UE.

In primo luogo, il primo ministro sloveno guida, dirige e coordina l’attività e si occupa del corretto funzionamento dell’intero governo. Quindi, tra i vari compiti, si è anche direttamente occupato dell’adesione della Slovenia all’UE e della cooperazione.

In secondo luogo, va riconosciuta l’importanza del ruolo del Consiglio dei ministri, che è rimasto il principale organismo nazionale di policy-making in materia di politiche UE. E in ultimo, ma non meno importante, vi è l’Ufficio governativo per gli Affari europei, al quale è stato affidato ufficialmente il ruolo di leader nella gestione di tutte le questioni UE.

Il processo di europeizzazione ha apportato alcuni cambiamenti strutturali, sebbene non radicali, nella struttura amministrativa slovena. Quando si concluse la fase di preadesione (v. Strategia di preadesione) e iniziarono concretamente i negoziati di adesione all’UE, il governo sloveno creò, tra l’altro, la delegazione di negoziatori e istituì uno specifico Ufficio indipendente per gli Affari europei. l’UGAE fu fondato nel dicembre 1997, a seguito della legge sull’organizzazione e la competenza dei ministeri. Dopo l’adozione di questa legge, il nuovo Ufficio rilevò il personale, il lavoro incompiuto e gli edifici principali dell’ex Ufficio per gli Affari europei presso il ministero degli Affari esteri. In altre parole, rispetto al precedente sviluppo delle relazioni tra UE e Slovenia, il suo ruolo e le sue responsabilità erano per certi versi cambiati ed erano stati ridotti. L’Ufficio per gli Affari europei fu istituito per due motivi principali: in primo luogo, per migliorare l’efficienza del coordinamento delle questioni riguardanti l’UE a livello nazionale sloveno; in secondo luogo, perché i protagonisti politici (il Consiglio dei ministri) ritenevano che le questioni relative all’UE non dovessero essere trattate come le tradizionali questioni diplomatiche. Quindi, in linea con l’istituzione dell’UGAE – come unità centrale di coordinamento per la gestione degli affari europei a livello nazionale sloveno – si è assistito a un sostanziale cambiamento di direzione nella gestione degli affari esteri verso una sistematica internazionalizzazione degli affari europei. Questa trasformazione ha anche comportato un avanzamento verso un sistema centralizzato di gestione degli affari UE a livello nazionale e la scomparsa del precedente ruolo (informale) di coordinamento del ministero degli Esteri.

L’UGAE ha gestito e coordinato il processo generale dell’adesione slovena all’UE, svolgendo attività importanti nell’ambito del coordinamento ministeriale delle relazioni con l’UE. L’ufficio non ha approvato leggi o altri atti amministrativi, ma si è limitato a coordinarne l’armonizzazione con l’acquis comunitario e i relativi standard europei. Le aree speciali d’attività dell’UGAE sono state: l’armonizzazione, il coordinamento, il monitoraggio e la supervisione dei preparativi per l’integrazione slovena nell’UE (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). L’Ufficio ha inoltre gestito i preparativi interdipartimentali per i negoziati con l’UE e ha coordinato i medesimi; ha altresì coordinato l’implementazione degli accordi firmati con l’UE e le attività di organismi comuni (autorità miste) costituite in base ai suddetti accordi; ha inoltre definito le priorità, controllato i contenuti e coordinato l’attuazione dei programmi di assistenza alla Slovenia nel processo d’adesione all’UE; ha anche coordinato il processo di partecipazione all’attività delle istituzioni e degli organismi UE (v. Istituzioni comunitarie); ha svolto inoltre compiti speciali relativi al coordinamento ministeriale delle relazioni con l’UE.

L’UGAE guida la Commissione interministeriale per le relazioni con l’UE a livello dei ministri, e coordina inoltre i gruppi di lavoro della Commissione. Quindi rappresenta anche le unità centrali di coordinamento per la gestione degli affari europei e ha prestato un’attenzione costante alle questioni UE e a quelle concernenti la capacità organizzativa nazionale in merito alle questioni europee.

Quando fu costituito nel dicembre 1997, l’UGAE iniziò la sua attività con 17 impiegati, che arrivarono a essere 123 nel dicembre 2002. Attualmente vi lavorano 120 persone. I problemi maggiori per l’UGAE sono stati (e continuano a essere tuttora) l’assunzione di specialisti in affari europei. Parte del personale dell’UGAE proveniva dall’ex Ufficio per gli Affari europei presso il ministero degli Affari esteri; il personale più anziano proveniva da differenti ministeri e da altri dipartimenti, mentre la maggior parte del personale assunto recentemente è composto da persone giovani senza alcuna precedente esperienza (in campo UE). L’assunzione del personale avviene tramite concorso pubblico, e i criteri di scelta riguardano soprattutto il livello di istruzione e la conoscenza delle lingue straniere. Inoltre, ogni anno l’UGAE offre da 6 a 8 borse di studio per il Collegio d’Europa di Bruges, mentre gli specialisti neoassunti prendono continuamente parte a numerosi corsi di istruzione e formazione, a seminari, dibattiti e conferenze, in patria o all’estero.

L’istituzione dell’UGAE comprendeva la carica di ministro per gli Affari europei senza portafoglio. Il ministro per gli Affari europei aveva essenzialmente le medesime responsabilità degli altri ministri, e il primo ministro gli affidava il coordinamento giornaliero degli affari europei. Il negoziatore principale, Janez Potočnik, fu nominato consigliere ministeriale per gli Affari europei presso il Gabinetto del primo ministro sloveno (Il primo ministro può nominare un consulente ministeriale per coordinare l’attività di singoli segmenti governativi in merito a specifici progetti governativi) nel giugno 2001 e rimase in carica fino al febbraio 2002, quando Igor Bavčar, l’allora ministro per gli Affari europei, decise di lasciare la politica e continuare la propria carriera nel settore privato. Per questo motivo, la posizione di consigliere ministeriale per gli Affari europei scomparve e furono accorpate le due funzioni di ministro per gli Affari europei e di negoziatore principale. Ciò fu politicamente possibile poiché l’allora negoziatore principale, Janez Potočnik, divenne anche ministro per gli Affari europei. Potočnik divenne Commissario europeo verso la fine del mandato della Commissione, nel maggio 2004 e fu sostituito in Slovenia da Milan M. Cvikl, il quale mantenne la posizione di ministro per gli Affari europei fino all’insediamento del nuovo governo sloveno, nel dicembre 2004.

Nel corso dei negoziati, la struttura interna dell’UGAE era diretta dal ministro per gli Affari europei ed era sostenuta da quattro dipartimenti principali: Integrazione I, Integrazione II, Aiuti esteri e Traduzioni, tra cui erano stati ripartiti i ruoli principali e le attività connesse agli affari UE. Il Dipartimento per l’integrazione I aveva il compito principale di coordinare il mercato interno e monitorare alcune politiche settoriali dell’UE. Le funzioni del Dipartimento si concentravano sull’attuazione della strategia di preadesione e in misura ridotta anche sul processo negoziale relativo all’adesione stessa. Nella strategia di preadesione, questo Dipartimento ha svolto un ruolo chiave preparando il Programma per l’adozione dell’acquis entro il 2002 e monitorandone l’applicazione attraverso relazioni periodiche. È stato anche di fondamentale importanza nel preparare i resoconti sui progressi della Slovenia verso l’adesione, in relazione agli obiettivi dell’implementazione del partenariato di adesione. Tali relazioni furono alla base di quelle pubblicate dalla Commissione sui progressi della Slovenia verso l’adesione. Di conseguenza, a seguito dei rapporti della Commissione, il Dipartimento I ha anche svolto i necessari compiti di coordinamento nelle aree in cui i progressi sono stati giudicati insufficienti. Esso ha inoltre preparato e organizzato le attività dei Comitati di associazione, collaborato ai preparativi (insieme al ministero degli Affari esteri e agli altri dipartimenti interessati) per il Consiglio di associazione e ha partecipato agli incontri dei singoli sottocomitati. Ha inoltre monitorato e controllato l’attuazione di particolari clausole dell’Accordo europeo. In aggiunta, ha fornito il supporto tecnico alla delegazione di negoziatori nella preparazione delle posizioni negoziali e ha avuto rappresentanti in tutti i 31 gruppi di lavoro durante lo svolgimento dei negoziati nell’ambito dello screening legislativo. Ha così assicurato collegamenti orizzontali tra i diversi gruppi di lavoro. Il Dipartimento integrazione II ha monitorato e analizzato lo sviluppo e l’allargamento dell’UE. Inoltre, ha avuto l’incarico di supervisionare lo sviluppo della Politica estera e di sicurezza comune dell’UE, nonché lo sviluppo nel settore della Giustizia e affari interni in seno all’UE. In quel contesto ha fornito assistenza a ministeri specifici (quello della Giustizia e degli Interni) quando venivano coinvolti nel dialogo con l’UE. In collaborazione con altri organismi statali e istituzioni esterne alla pubblica amministrazione, ha anche coordinato ed elaborato la redazione finale dei documenti per i negoziati e ha fornito altre forme d’assistenza specializzata alla delegazione di negoziatori sloveni. Il Dipartimento aiuti esteri ha svolto funzioni operative tecniche e specialistiche nel quadro dell’assistenza alla cooperazione nazionale, fornendo tempestive informazioni alla pubblica amministrazione sulle opportunità e gli orientamenti nell’ambito degli aiuti UE e delle procedure del Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE), e informando regolarmente il governo sloveno sui risultati dei programmi di assistenza UE. Il quarto dipartimento, Traduzioni, si è occupato principalmente del vasto e impegnativo compito delle traduzioni prima dell’adesione della Slovenia all’UE. Oltre a tradurre le normative UE e la Costituzione slovena, che riconosce lo sloveno come lingua ufficiale della Slovenia (articolo 11) (v. anche Lingue minoritarie dell’Unione europea), il Dipartimento di traduzione fornisce i testi legislativi sloveni, necessari per il processo di ravvicinamento legislativo e per i negoziati di adesione. Tra i compiti più importanti vi è anche quello riguardante l’introduzione e la creazione della nuova terminologia giuridica in lingua slovena nell’ambito delle questioni europee. Nel dicembre 2002, qualche anno dopo la sua fondazione, l’UGAE aveva 37 impiegati a tempo pieno in questo dipartimento, che sono arrivati a essere 50; vi si trovano traduttori, revisori-traduttori, revisori-giuristi, revisori linguistici per la lingua Slovena ed esperti di terminologia. Va anche aggiunto che dopo l’adesione all’UE, la Slovenia avrebbe avuto urgente bisogno di circa 150-200 impiegati tra traduttori esperti, specialisti di terminologia e revisori linguistici per l’immediata traduzione di vari documenti in lingua slovena.

All’interno dell’UGAE, in aggiunta a questi quattro dipartimenti principali, è stato istituito un dipartimento speciale, il Dipartimento per i negoziati, il cui scopo è stato quello di fornire varie forme di assistenza, tra cui un’assistenza tecnica completa, e dare sostegno al Capo negoziatore e alla sua delegazione. Questo dipartimento si è occupato di coordinare e sostenere l’intero processo negoziale e ha collaborato con gli Uffici di pubbliche relazioni e di promozione mediatica, con l’Ufficio legislativo, con i ministeri e altre istituzioni e organizzazioni coinvolte nel processo negoziale. Tra i compiti principali vi erano l’organizzazione e il coordinamento della preparazione e presentazione delle posizioni negoziali, dei pareri per le conferenze sull’adesione, gli incontri e le visite in Slovenia e all’estero, il monitoraggio dell’assolvimento degli impegni sloveni fissati nelle condizioni dei negoziati, e le informazioni da dare al pubblico sull’andamento e sui progressi dei negoziati con dati accurati e aggiornati. Poiché il lavoro dell’UGAE, e in particolare quello del Dipartimento per i negoziati, era strettamente collegato a quello della delegazione di negoziatori, essi collaboravano costantemente tra loro e organizzavano frequenti incontri attraverso i vari organi collegiali. Al termine dei negoziati della Slovenia con l’UE, il gruppo di negoziatori è stato formalmente sciolto nell’aprile 2003, il Dipartimento è stato chiuso e il personale trasferito ad altri (nuovi) dipartimenti dell’UGAE riorganizzato.

Dopo la decisione adottata dal governo sloveno nel febbraio 2003 (il governo sloveno ricevette la relazione sul Coordinamento degli Affari europei nell’ambito dei criteri di adesione all’UE e incaricò l’UGAE di avanzare proposte per adattare leggi e regolamenti ai criteri stessi durante il processo di adesione) il ruolo centrale di coordinamento della gestione degli affari UE dopo la conclusione dei negoziati rimane sotto la giurisdizione dell’UGAE parzialmente riformato. L’obiettivo principale delle sue attività resta l’efficiente promozione degli interessi sloveni nell’ambito dell’UE e il contributo della Slovenia al policy-making delle istituzioni europee.

Con l’adesione all’Unione europea, nel maggio 2004, sono cambiati gli obiettivi e le priorità dell’UGAE, così come l’organizzazione. Oggi l’Ufficio è presieduto dal sottosegretario al Gabinetto del primo ministro, Marcel Koprol e da Rado Genorio, e Andrej Engelman in qualità di vicedirettori. l’UGAE si avvale inoltre della collaborazione di vari esperti di affari europei che hanno acquisito la loro preziosa esperienza durante i negoziati di adesione all’UE. L’Ufficio del Sottosegretariato svolge funzioni organizzative, amministrative e di consulenza, e coordina il lavoro delle singole unità dell’Ufficio governativo per gli Affari europei e la loro cooperazione con gli altri ministeri e con il governo della Repubblica di Slovenia. Le altre unità organizzative interne dell’UGAE sono la Direzione traduzioni e Affari generali e la Direzione per il Coordinamento e i negoziati, la quale prepara il materiale e i pareri e fornisce consulenza ad altri ministeri, organizzazioni e istituzioni nazionali.

Oggi, dopo il successo dei preparativi per l’adesione all’UE, l’UGAE svolge molte attività di coordinamento nell’ambito degli affari europei. È responsabile del coordinamento del lavoro dei rappresentanti sloveni in seno a varie istituzioni e organismi dell’UE e coordina le attività della Slovenia come Stato membro. Si occupa anche di quelle attività connesse alla strategia di graduale eliminazione dei programmi d’assistenza alla preadesione e di altri strumenti della strategia di preadesione nell’ambito del processo di integrazione della Slovenia nell’UE, che non siano sotto la giurisdizione di altri specifici organismi. L’UGAE controlla la preparazione del materiale riguardante gli affari UE per il governo sloveno. Tale materiale viene successivamente inoltrato all’Assemblea nazionale della Repubblica di Slovenia, a eccezione della parte concernente la politica estera e di sicurezza comune dell’UE. L’UGAE partecipa alla revisione del materiale insieme a vari commissioni e organismi dell’Assemblea nazionale, in particolare la Commissione per gli Affari UE. Coordina inoltre la formulazione di pareri in merito ai processi di adesione di nuovi Stati membri e partecipa ai negoziati negli organismi dell’UE. Controlla, inoltre, l’armonizzazione dell’attuazione degli effettivi accordi firmati con l’UE e le attività degli organismi comunitari stabilite dai sopraccitati accordi; supervisiona la cooperazione della Slovenia all’assistenza tecnica dell’UE ai paesi del Terzo mondo e le condizioni per la cooperazione delle organizzazioni non governative nell’ambito delle questioni connesse alle attività dell’UE.

Helena Korošec (2007)




Ufficio per l’integrazione europea

L’Ufficio per l’integrazione europea fu istituito l’11 novembre 1994 dal Consiglio dei ministri del governo di Lettonia. A partire dal 1° dicembre 2003, l’attività dell’ufficio fu trasferita ad altre istituzioni statali lettoni, quali il ministero delle Finanze, il ministero della Giustizia e la Cancelleria di Stato. Originariamente l’Ufficio per l’integrazione europea riportava direttamente al primo ministro ed era coadiuvato da 23 gruppi di lavoro tecnici. In base alla propria dichiarazione d’intenti, lo scopo principale dell’Ufficio era gestire e coordinare l’integrazione della Lettonia nell’Unione europea preparando il terreno per un decision-making informato, promuovendo le riforme necessarie e lo sviluppo e assicurando un’efficiente raccolta e diffusione di informazioni.

L’ufficio cercò di favorire la continuità del processo d’integrazione (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), di sviluppare il programma di integrazione approvato dal governo e di informare in maniera obiettiva e indipendente la società e il governo a tal riguardo. L’ufficio analizzò tale processo e propose misure mirate a perseguire la politica di integrazione e in linea con gli obiettivi fissati dal governo e dai vari ministeri in materia di integrazione nell’UE.

Uno dei compiti più importanti dell’ufficio era quello di redigere il Programma nazionale per l’adozione dell’Acquis comunitario, che preparava in stretta collaborazione con i vari ministeri del governo. Tale Programma, pubblicato ogni anno a partire dal 1996, stabiliva gli obiettivi di vasta portata seppur specifici che la Lettonia avrebbe dovuto raggiungere per favorire l’integrazione dello Stato nell’Unione europea. Dal 1998, l’Ufficio per l’integrazione europea lavorò in stretta collaborazione anche con il ministero degli Affari esteri per apportare il contributo lettone alla Relazione periodica dei progressi della Lettonia verso l’adesione (v. Criteri di adesione; Paesi candidati all’adesione), pubblicata dalla Commissione europea. L’ufficio svolgeva la funzione di segreteria tecnica sia per il Consiglio per l’integrazione europea (un’istituzione statale incaricata di sviluppare e promuovere a tutti i livelli di governo una politica congiunta sull’integrazione della Lettonia nell’Unione europea) sia per il Consiglio di funzionari senior (l’istituto governativo che aveva il compito di promuovere la cooperazione interministeriale nell’attuazione di una politica unitaria per l’integrazione della Lettonia nell’Unione europea). L’ufficio organizzava l’agenda dei lavori e le riunioni dei due Consigli e si occupava anche della supervisione del Centro per la traduzione e terminologia, a cui è affidata la traduzione della legislazione dell’Unione europea in lettone e della legislazione lettone nelle lingue ufficiali degli Stati membri dell’UE.

I compiti dell’Ufficio per l’integrazione europea si suddividevano in cinque aree principali: raccolta e diffusione delle informazioni, coordinamento delle politiche, ravvicinamento legislativo tra la Lettonia e l’UE, coordinamento di progetti di cooperazione e cooperazione bilaterale.

Raccolta e diffusione delle informazioni

Una delle attività più importanti dell’ufficio consisteva nel fornire informazioni riguardo al processo di integrazione europea e nel promuovere una consapevolezza pubblica dell’Unione europea. A questo scopo, l’Ufficio per l’integrazione europea preparava svariate pubblicazioni, forniva regolarmente informazioni ai media, organizzava seminari e dibattiti e rispondeva alle richieste di informazioni generali. L’Ufficio manteneva un contatto costante con i colleghi della Commissione europea, per assicurare la libera circolazione delle informazioni tra la Lettonia e l’Unione europea. Scambi di informazioni avvenivano anche con il Sottocomitato per il ravvicinamento legislativo, nonché con il Comitato di associazione e il Consiglio di associazione. Le attività di coordinamento delle informazioni dell’Ufficio non si svolgevano soltanto in funzione delle scadenze e delle priorità dell’Unione europea, ma tenevano in considerazione anche quelle del governo e della società lettoni.

Coordinamento delle politiche

L’Ufficio per l’integrazione europea non solo raccoglieva e diffondeva informazioni nell’interesse del governo, del parlamento e del pubblico in generale, ma elaborava anche proposte a sostegno di decisioni politiche e di attività specifiche mirate a promuovere l’integrazione del paese nell’UE. L’ufficio in tal modo funzionò da supporto all’attività del Consiglio per l’integrazione europea, del Consiglio dei funzionari senior, di svariati ministri e gruppi di lavoro interministeriali. Oltre a proporre risoluzioni per le politiche, l’Ufficio per l’integrazione europea sviluppava gli strumenti per organizzare il processo di integrazione, in cooperazione con il governo, i vari ministri e altre istituzioni statali. Ad esempio, l’Ufficio non solo elaborava il Programma nazionale per l’adozione dell’acquis, ma ne coordinava e monitorava l’attuazione.

Ravvicinamento legislativo tra la Lettonia e l’UE

Una delle principali responsabilità dell’Ufficio consisteva nel monitorare il processo di ravvicinamento legislativo. L’Ufficio valutava la conformità dei disegni di legge e della legislazione con le norme dell’UE e, dove necessario, elaborava proposte per apportare modifiche alla legislazione. Inoltre, analizzava il processo di ravvicinamento legislativo e informava la società, gli organi di decision-making e la Commissione europea dei risultati. Rappresentanze dell’Ufficio, pertanto, presenziavano sia agli incontri dei segretari di Stato che a quelli del Comitato di gabinetto dei ministri. L’Ufficio riceveva richieste anche dal Comitato per gli affari europei della Saeima affinché valutasse la conformità dei disegni di legge presentati alla Saeima con i requisiti dell’Accordo di associazione in merito al ravvicinamento giuridico. Laddove la proposta di legge era considerata molto importante nell’ambito dell’integrazione europea, i giuristi dell’Ufficio partecipavano a gruppi di lavoro con l’incarico di redigere la proposta di legge.

Coordinamento di progetti di cooperazione

L’Ufficio per l’integrazione europea collaborava strettamente con altre istituzioni statali per lo sviluppo, il coordinamento e l’implementazione di vari programmi di assistenza tecnica esteri mirati a fornire un supporto ai rami industriali sottoposti forzatamente a ristrutturazione nell’ambito del processo d’integrazione. L’Ufficio si impegnò per assicurare che l’assistenza offerta soddisfacesse al meglio le finalità del Programma nazionale per l’integrazione nell’Unione europea. A questo riguardo, le maggiori responsabilità dell’Ufficio erano quelle di coordinare le attività dell’Ufficio per l’assistenza tecnica e lo scambio di informazioni nonché coordinare e supervisionare i progetti di institution building nell’ambito del Programma di aiuto comunitario ai paesi dell’Europa centrale e orientale (PHARE) dell’UE.

Cooperazione bilaterale

La Lettonia ha un legame molto stretto con la Danimarca. La cooperazione tra i due Stati si basa su un accordo firmato dai rispettivi ministri degli Affari esteri. Secondo le condizioni dell’accordo, la Danimarca si impegna a istituire un programma di aiuto per favorire l’integrazione della Lettonia all’interno dell’Unione europea, assistendo la Lettonia nell’adempimento dei criteri di Copenaghen (v. Criteri di adesione). L’assistenza danese è rivolta soprattutto alla formazione dei dipendenti pubblici lettoni su temi quali l’Unione europea, la cooperazione regionale, l’istituzione del mercato comune (v. Comunità economica europea), il ravvicinamento legislativo e l’applicazione degli standard nel settore dell’agricoltura. La Lettonia ha ricevuto finora più di 6 milioni di corone danesi nell’ambito del programma di aiuto danese.

Richard Charles Mole (2009)




Ufficio statistico delle Comunità europee

Ruolo e funzioni

L’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT) raccoglie ed elabora dati dell’Unione europea (UE) a fini statistici, promuovendo il processo di armonizzazione dell’approccio statistico tra gli Stati membri. La sua missione è quella di fornire all’UE un servizio informativo statistico di elevata qualità. L’EUROSTAT è stato istituito nel 1953 per soddisfare le richieste della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Con l’istituzione nel 1958 della Comunità economica europea, è diventato una Direzione generale della Commissione europea. Nella sua struttura attuale è suddiviso in sei Direttorati competenti in risorse umane; strumenti e metodologie statistiche; statistiche economiche e monetarie; mercato comune (v. Comunità economica europea), occupazione e statistiche sociali; statistica per l’agricoltura, la pesca, i fondi strutturali e l’ambiente; statistiche per le relazioni esterne.

Il compito principale di EUROSTAT consiste nel mettere a disposizione della Commissione europea, dei settori politici, economici, delle istituzioni pubbliche e private, delle università, della stampa, dati statistici attendibili e comparabili.

esso sovrintende alla produzione di statistiche comunitarie mediante la predisposizione di definizioni e classificazioni comuni, coordinando le altre direzioni generali della Commissione europea attive in campo statistico.

Il sistema attuale è essenzialmente nazionale e regionale ed EUROSTAT svolge soprattutto il ruolo di catalizzatore, normalizzando e rendendo comparabili le informazioni statistiche raccolte a fini nazionali.

L’armonizzazione

La funzione fondamentale dell’EUROSTAT è quella di sviluppare un linguaggio statistico comune a tutti i paesi membri nel senso di creare un sistema statistico condiviso che abbracci i concetti, i metodi, le strutture e gli standard tecnici. EUROSTAT non raccoglie i dati, dal momento che questo compito è svolto dagli Istituti nazionali di statistica (INS) dei paesi membri i quali, dopo aver verificato ed analizzato i dati nazionali, li trasmettono all’EUROSTAT, il cui ruolo in questo caso si sostanzia nel consolidare i microdati e nell’assicurare la loro comparabilità mediante metodologie di armonizzazione. In particolare con la nascita dell’Euro è diventata pressante la necessità di misurare lo sviluppo dell’Unione economica e monetaria. Ciò ha spinto verso una maggiore armonizzazione delle metodologie di raccolta ed elaborazione delle informazioni statistiche tra gli Stati membri stimolando fortemente il lavoro dei sistemi statistici nazionali con riflessi importanti sul miglioramento della qualità delle statistiche nazionali e il rafforzamento dell’importanza dell’EUROSTAT che assurge a un ruolo primario nel sostenere e supportare i processi politici ed economici che avvengono nell’Unione europea e nel fornire gli elementi conoscitivi a sostegno dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione degli interventi comunitari.

Il sistema statistico europeo

Il Sistema statistico europeo (SSE) può essere definito come la rete di rapporti tra le autorità statistiche nazionali e l’autorità statistica comunitaria per la produzione e la diffusione delle statistiche europee. Il SSE si caratterizza per una struttura organizzativa a tre livelli, nel quale operano EUROSTAT, gli INS e gli altri organismi statistici nazionali preposti in ciascuno Stato membro alla produzione e alla diffusione delle statistiche necessarie all’esercizio delle attività dell’Unione europea. Da un punto di vista sostanziale, il SSE è un vero e proprio network di cui l’EUROSTAT rappresenta il nodo principale, anche se la sua funzione e struttura non è riconosciuta come tale in nessun atto giuridico e resta basata unicamente sulla volontà di cooperazione delle sue parti.

L’obiettivo del SSE è di assicurare la produzione di statistiche affidabili e confrontabili per l’insieme degli Stati membri dell’UE e dello Spazio economico europeo (SEE). In quest’ottica, il SSE coordina i propri lavori anche con quelli di organizzazioni internazionali quali l’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OCSE), le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.

Ogni livello del SSE contribuisce alla realizzazione del programma statistico dell’Unione europea secondo il Principio di sussidiarietà, definito dall’art. 3 B del Trattato di Maastricht. Di conseguenza, dal momento che la sussidiarietà implica che una funzione nazionale può essere trasferita a livello europeo solo se ciò risulta assolutamente necessario per l’ottenimento del risultato assoluto e se, così facendo, tale risultato può essere raggiunto in modo più efficiente, ciò si traduce nella piena autonomia per gli INS di produrre un certo dato statistico utilizzando una fonte amministrativa o predisponendo un’indagine statistica ad hoc, purché le caratteristiche finali del dato statistico corrispondano a quelle fissate a livello europeo. È a livello nazionale, infatti, che è massima l’efficienza dei processi di produzione statistica e si garantisce in questo caso un soddisfacente rapporto costo/efficacia evitando il sovraccarico di risposte presso le unità oggetto di indagine, soprattutto le imprese.

Le attività del SSE si concretizzano nella programmazione di progetti e iniziative, in un quadro pluriennale (cinque anni), e nella collaborazione per la definizione di metodi e norme, per l’armonizzazione dei concetti, classificazioni e processi di produzione, per il miglioramento della confrontabilità dei dati, per l’interscambio e la diffusione dei dati, indicatori e analisi.

Il quadro normativo alla base del sistema statistico europeo

Sotto il profilo dei riferimenti normativi, l’attività statistica europea ha trova una prima legittimazione nel 1992, quando la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa formulò una “Carta di principi” (Carta di Ginevra) di natura etica e politica sui principi fondamentali della statistica pubblica. Questa Carta costituisce la dichiarazione politica più importante in materia di autonomia scientifica della statistica; essa colloca le attività statistiche nel quadro normativo del rispetto dei valori e dei diritti dei suoi membri e, in particolare, afferma per la prima volta che la statistica deve rispondere ai principi universali di imparzialità, di scientificità, di legalità e di rispetto della riservatezza.

Successivamente, nel 1997, è stata data una solida base giuridica alle statistiche dell’Unione in tre importanti atti: la Decisione 281/97 della Commissione europea; il regolamento 322/97 del Consiglio dei ministri; il Trattato di Amsterdam del 1997.

La Decisione 281/97 della Commissione europea ha chiarito il ruolo e le responsabilità di EUROSTAT riguardo alla produzione delle statistiche comunitarie, e ha riaffermato la necessità del rispetto per le statistiche della Comunità dei fondamentali principi di indipendenza scientifica, imparzialità, affidabilità, pertinenza e costi/benefici.

Il regolamento 322/97 del Consiglio, noto come “Legge statistica di base”, contiene disposizioni di carattere generale. L’obiettivo del regolamento è stato quello di creare, da un lato, un quadro normativo per organizzare in modo sistematico e programmatico la produzione delle statistiche comunitarie sulla base di norme uniformi e, ove necessario, di metodi armonizzati, dall’altro di definire la divisione di responsabilità tra le autorità statistiche nazionali e comunitarie nel rispetto del principio di sussidiarietà.

Il regolamento definisce i soggetti responsabili della produzione delle statistiche comunitarie all’art. 2; a livello comunitario EUROSTAT è responsabile dell’esecuzione dei compiti affidati alla Commissione nel settore statistico; mentre a livello nazionale l’individuazione dei responsabili, gli Istituti nazionali di statistica, avviene conformemente alla normativa di ciascuno Stato membro.

Il nuovo quadro della statistica comunitaria è stato, inoltre, ridefinito dal Trattato di Amsterdam: l’art. 213A (ora art. 285) del Trattato, emendando il precedente art. 213 del Trattato CE, che prevedeva statistiche con esclusiva competenza della Commissione, fa riferimento alle “rilevazioni statistiche della Comunità”, dando a esse un carattere più ampio e facendo, quindi, diventare indispensabile il ruolo di EUROSTAT.

L’autonomia istituzionale di EUROSTAT

Con l’affermarsi dell’era della conoscenza è aumentato l’interesse generale per il dato statistico e le esigenze degli utilizzatori stessi che richiedono dati sempre più tempestivi, dettagliati ed accurati.

In quest’ottica, l’autonomia di EUROSTAT diventa una caratteristica imprescindibile, perché è fondamentale che i fruitori dei dati statistici abbiano non solo la consapevolezza che i dati offerti siano raccolti, costruiti e resi disponibili con rigore scientifico ma, inoltre, che la statistica ufficiale sia autonoma e indipendente dal potere politico.

Allo stato del Diritto comunitario, EUROSTAT rappresenta una Direzione generale della Commissione europea e di conseguenza l’unica autonomia di cui gode è di tipo tecnico, sancita dall’art. 5 della Decisione 281/97 della Commissione europea sul ruolo di EUROSTAT riguardo alla produzione di statistiche comunitarie, che stabilisce: «nel proprio ambito di competenza, EUROSTAT provvede alla scelta delle tecniche scientifiche, delle definizioni e delle metodologie più adatte per il rispetto dei principi e per il conseguimento degli obiettivi indicati nel Regolamento di base», assicurando, quindi, esclusivamente l’indipendenza scientifica dell’EUROSTAT.

Al di là dell’autonomia scientifica l’EUROSTAT resta a tutti gli effetti uno strumento tecnico della Commissione europea e quindi sottoposto a tutte le regole burocratiche della Commissione stessa, soprattutto a quelle finanziarie. In particolare, dal punto di vista finanziario le risorse destinate all’EUROSTAT sono generalmente insufficienti. Ne consegue che i lavori statistici sono finanziati anche con fondi destinati ad altre Direzioni generali della Commissione. Questa situazione compromette ulteriormente la sua autonomia in quanto è concreto il rischio di concepire dei programmi in ragione di questa dipendenza, trascurando i bisogni di informazione di tutti gli altri utilizzatori. A tal riguardo, anche l’attuale formulazione dell’art. 285 del Trattato CE non appare del tutto soddisfacente, poiché prevede l’elaborazione di statistiche comunitarie solo «laddove necessario per lo svolgimento delle attività della Comunità», senza alcun riferimento all’interesse autonomo dei cittadini a conoscere l’evoluzione dei principali fenomeni economici, sociali o ambientali, nonché a valutare l’impatto delle stesse politiche comunitarie. A ciò si deve aggiungere che i confini tra le statistiche pubbliche (di interesse generale) e le statistiche di gestione (che interessano una determinata Direzione generale) sono piuttosto labili e non rigidamente determinati. Risulta quindi ovvio che in presenza di limiti finanziari, la Commissione privilegerà le proprie statistiche di gestione.

In sintesi, l’autonomia dell’EUROSTAT resta un punto di criticità da non sottovalutare soprattutto ora che EUROSTAT produce stime anticipate dei principali indicatori economici europei (PIL, produzione industriale, ecc.) per ridurre il divario tra Stati Uniti ed Europa nella tempestività di diffusione di questi dati, passando così dal ruolo di “assemblatore” di dati nazionali a quello di “produttore” autonomo di statistiche, ancorché aggregate a livello europeo. Si auspica, quindi, che venga modificato il suo assetto giuridico e si compia un’evoluzione istituzionale rendendo l’EUROSTAT un soggetto realmente autonomo e, quindi, a tutti gli effetti imparziale. L’imparzialità unitamente alla trasparenza si pone, infatti, come canone fondamentale per lo svolgimento del suo compito. Tale principio è diretto alla salvaguardia dell’attuazione della funzione statistica, in particolare in tutti quei casi in cui esiste un rischio, anche solo potenziale, di deviazione da essa e, quindi, quando coesistono interessi diversi da quelli che devono essere realmente presi in considerazione.

L’EUROSTAT e gli istituti nazionali di statistica

La produzione di statistiche europee è basata sul principio dell’armonizzazione dell’output e non dell’input, in quanto i singoli Istituti nazionali di statistica (INS) sono chiamati a produrre i dati richiesti, gestendo autonomamente gli aspetti organizzativi, finanziari e metodologici delle rilevazioni statistiche con l’unico vincolo che le caratteristiche finali dei dati corrispondano a quelle fissate a livello europeo.

L’intero sistema statistico europeo, di cui EUROSTAT costituisce il fulcro, si basa sul legame tra gli Istituti nazionali di statistica e l’EUROSTAT. Le interrelazioni tra i diversi enti sono alla base di questo sistema decentralizzato in cui l’EUROSTAT svolge, fondamentalmente, il ruolo di collettore dei dati raccolti dagli INS, garantendo, in particolare, la loro armonizzazione. Questo sistema decentralizzato presenta diversi vantaggi ma, contemporaneamente alcuni problemi, in particolare, riguardo alla tempestività e alla qualità delle informazioni statistiche che sono fortemente condizionate dall’effettivo grado di cooperazione degli Stati membri.

La collaborazione tra gli INS ed EUROSTAT si fonda su strutture che valorizzano il dialogo fra i diversi soggetti. Le sedi di consultazione e di dialogo sono costituite da un numero crescente di Comitati e Gruppi di lavoro (GDL), ai quali occorre aggiungere altre strutture, come i gruppi di lavoro informali e i comitati di coordinamento (interni alla Commissione). Una nuova forma di cooperazione a livello comunitario è costituita dai Leadership groups (LEGS). Consiste nel delegare ad uno Stato membro, per un periodo limitato, il coordinamento delle attività di un gruppo di Stati membri insieme a EUROSTAT, sotto il controllo del Comitato del Programma statistico (CPS), al fine di sviluppare nuovi progetti statistici in settori non interamente disciplinati dalla legislazione comunitaria.

L’EUROSTAT e la qualità dell’informazione statistica. Il codice delle statistiche europee

Le statistiche ufficiali assolvono un ruolo fondamentale nelle società democratiche in quanto mettono a disposizione delle autorità pubbliche, dei politici, degli operatori economici e sociali nonché dei cittadini informazioni obiettive e imparziali sulla base delle quali è possibile adottare decisioni informate e dibattere apertamente talune tematiche. Di conseguenza, le statistiche ufficiali devono essere prodotte e diffuse conformemente a norme comuni che garantiscano l’ottemperanza ai principi di imparzialità, affidabilità, obiettività, indipendenza scientifica, efficienza economica e riservatezza statistica. Statistiche d’elevata qualità sono necessarie anche ai fini del monitoraggio e della revisione dell’attuazione di altre importanti iniziative politiche a livello europeo, quali la strategia di sviluppo sostenibile, le Politiche dell’immigrazione e dell’asilo, ecc.

Nel suo complesso il SSE ottempera in grande misura alle prescrizioni in tema di indipendenza, integrità e responsabilità. L’enorme quantità e diversità delle statistiche prodotte e diffuse dalle autorità statistiche nazionali e dall’autorità statistica comunitaria nell’ambito di tale sistema, abbracciando statistiche che vanno ben oltre il settore del bilancio, rispettano le rigorose prescrizioni previste in materia di qualità e affidabilità. Di notevole importanza sono gli sforzi compiuti dall’EUROSTAT nella direzione di garantire un’elevata qualità dei dati statistici. In questa ottica si inquadra il Codice delle statistiche europee promulgato con la Raccomandazione della Commissione europea del 25 maggio 2005.

Il Codice comprende 15 principi da applicare riguardo alla produzione delle statistiche comunitarie. Il suo obiettivo è duplice: da una parte, accrescere la fiducia nelle autorità statistiche proponendo talune disposizioni istituzionali e organizzative e, dall’altra, migliorare la qualità delle statistiche da esse prodotte e diffuse, promuovendo una applicazione coerente da parte di tutti i produttori di statistiche ufficiali in Europa dei principi, delle pratiche e dei metodi statistici internazionali migliori. I principi sono raggruppati in tre sezioni concernenti rispettivamente il contesto istituzionale, i processi statistici e la produzione statistica.

Claudio Quintano (2008)




Ufficio umanitario della Comunità europea

Natura dell’istituzione e sue competenze

L’Ufficio umanitario della Comunità europea (European Community humanitarian office, ECHO) è stato istituito nel 1992 dalla Commissione europea allo scopo di far fronte alle emergenze di tipo umanitario, attraverso la fornitura di assistenza e soccorso sotto forma di beni e servizi.

L’ECHO ha il compito di unificare e rendere più efficaci le misure di aiuto umanitario a favore di tutti i paesi terzi in situazioni di particolare necessità e gravità, come, ad esempio, quando vi siano vittime di guerre civili di lunga durata (come nel caso delle ex repubbliche iugoslave), o per far fronte alle prime urgenze derivanti da catastrofi naturali (come nel caso del ciclone El Niño, che nel 1998 investì ben tre continenti: Asia, Africa e America), da violenti conflitti, e in caso di carestia determinata da questi, per soccorrere i profughi e gli sfollati.

L’ECHO opera mediante una rete di circa 200 partner, con i quali stipula Contratti quadro di partenariato (CQP); tra i suoi partner rientrano organizzazioni non governative (ONG), la rete della Croce rossa e agenzie specializzate dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Nella ripartizione dei fondi dell’ECHO, le ONG amministrano circa il 60% del bilancio umanitario, la Croce rossa circa il 10% e le agenzie ONU più del 25%. Il resto degli interventi è costituito da azioni dirette di ECHO o da azioni di agenzie specializzate degli Stati membri (dati relativi al 2000).

Il ruolo umanitario svolto dall’Unione europea si è notevolmente sviluppato nell’ultimo decennio, sino a costituire uno tra gli aspetti di maggior rilievo nella Politica estera e di sicurezza comune. In questo contesto, è di estremo rilievo il ruolo di coordinamento e di organizzazione svolto dall’ECHO.

Dacché è stata istituita nel 1992, l’ECHO ha firmato più di 7500 contratti di aiuto, per un valore di circa 5 milioni di euro, arrivando con i suoi programmi di aiuto in più di 85 paesi. Solo per l’anno 1999 la spesa di ECHO è stata di 812 milioni di euro, per più della metà destinati al Kosovo.

L’aiuto fornito dall’ECHO è, evidentemente, indiscriminato e si rivolge in modo diretto a coloro che ne hanno bisogno, prescindendo dalla razza, dal sesso, dalla religione e dalle convinzioni politiche.

Successivamente all’entrata in vigore del Regolamento del Consiglio n. 1257/96 relativo all’aiuto umanitario, l’ECHO ha visto accrescere il suo ruolo e il suo mandato, a seguito di una ridefinizione e razionalizzazione dell’attività umanitaria della Comunità, la quale – come dettato dall’art. 1 del Regolamento – «comporta azioni di assistenza, di soccorso e di protezione basate sul principio di non discriminazione, a favore delle popolazioni di paesi terzi, soprattutto le più vulnerabili, e con priorità a quelle dei paesi in via di sviluppo vittime di catastrofi naturali o di eventi di origine umana, come guerre o conflitti, oppure da situazioni e avvenimenti eccezionali di portata analoga a calamità naturali o causate dall’uomo, per il periodo necessario a far fronte alle esigenze umanitarie che ne derivano».

Tale Regolamento fissa le modalità di esecuzione di tutte le azioni di aiuto umanitario della Comunità, a favore delle vittime cui le autorità del proprio paese non sono in grado di garantire un soccorso tempestivo ed efficace.

Le “Strategie di aiuto” dell’ECHO

Secondo il dettato del Regolamento, le operazioni di aiuto umanitario finanziato dalla Comunità possono essere avviate su richiesta sia della Commissione, sia di organizzazioni non governative, sia di organizzazioni internazionali, sia, infine, di uno Stato membro o del paese beneficiario.

Più precisamente, tra le diverse procedure cui la Commissione può ricorrere, rientra anche la c.d. “procedura di delega”: in caso di emergenze improvvise, la Commissione può delegare al direttore di ECHO la competenza delle “decisioni più urgenti”, nel rispetto di determinati presupposti (importo massimo di 3 milioni di euro e durata massima dell’azione di 3 mesi).

Nel 2001 è stata adottata dall’Unione europea una nuova procedura amministrativa, finalizzata a rendere più tempestivo l’intervento dell’ECHO, in caso di emergenze gravi e improvvise. Grazie a tale procedura i tempi di intervento sul terreno (e cioè i tempi necessari per adottare la decisione finanziaria e mobilitare il partner prescelto) sono stati ridotti da una media di 5 giorni a 48 ore.

L’azione dell’ECHO è strutturata sulla base di una “strategia di aiuto annuale”, conformemente al suo approccio alle crisi umanitarie basato sui bisogni e può comprendere generi di prima necessità, cibo, attrezzature mediche, farmaci, così come prevedere l’intervento di squadre addette alla depurazione delle acque e all’assistenza medica. Attraverso il documento annuale relativo alla strategia di aiuto, elaborato a seguito di consultazioni con gli altri partner, vengono fissate le priorità tematiche e geografiche sulle quali dovrà articolarsi l’intera programmazione.

La strategia di aiuto per il 2005, ad esempio, ha individuato quali aree strategiche l’Africa (Sud Africa, Grandi laghi, Corno d’Africa), l’Asia (Medio Oriente, Sudest asiatico) e il Caucaso settentrionale (Cecenia).

Costante, inoltre, è l’interesse dell’ECHO verso le c.d. “crisi dimenticate”, situazioni di rischio cui l’opinione pubblica o altri donatori prestano poca attenzione. Nella programmazione relativa al 2005, tra le crisi dimenticate per le quali era previsto l’intervento dell’ECHO rientravano la Tailandia, l’Indonesia, la Birmania, l’Uganda, lo Yemen, il Nepal, l’Algeria, la Somalia ed il Tagikistan.

Quest’ultimo – caso emblematico di “crisi dimenticata” – vede da anni l’impegno costante dell’ECHO. Territorio colpito da una sanguinosa guerra civile dal 1992 al 1997 e successivamente – nel 2000 – da una terribile siccità, il Tagikistan usufruisce degli aiuti umanitari della Comunità sin dal 1993, con uno stanziamento di fondi che nel 2001 raggiungeva i 10 milioni di euro.

Tipologie d’intervento dell’ECHO

Tre sono, essenzialmente, gli strumenti attraverso i quali si dispiega l’intervento umanitario dell’ECHO: aiuto di emergenza, ossia aiuti economici finalizzati essenzialmente all’acquisto ed alla fornitura di beni di prima necessità (cibo, medicinali, tende, coperte, attrezzature mediche); aiuto alimentare, fornito periodicamente alle regioni colpite da carestia o siccità ovvero aiuto alimentare di emergenza, in caso di improvvisa insufficienza, dovuta ad impreviste calamità naturali o disastri provocati dall’uomo; aiuto ai rifugiati e agli sfollati: per queste particolari circostanze, l’UE – in collaborazione con gli Stati membri – aiuta a superare il periodo di emergenza fino a quando sono in grado di fare ritorno a casa o di stabilirsi in un nuovo paese.

La collaborazione dell’ECHO con le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali si realizza anche attraverso la previsione dei c.d. “fondi tematici”, stanziando cioè determinati aiuti economici che non vengono destinati direttamente al singolo progetto, ma a una determinata organizzazione o agenzia delle Nazioni Unite, la cui attività è rivolta a un settore cui l’ECHO attribuisce particolare rilevanza.

Per il 2004 erano previsti i seguenti stanziamenti: 4 milioni di euro per l’Ufficio della Nazioni Unite che si occupa del coordinamento degli affari umanitari; 3 milioni di Euro per l’Organizzazione mondiale della sanità; 7,43 milioni di Euro per l’United Nations children’s fund (UNICEF), il fondo delle Nazioni Unite rivolto all’infanzia; 0,36 milioni di euro per l’organizzazione della Conferenza mondiale sulla prevenzione dei disastri, voluta dal Segretariato delle Nazioni Unite.

Con particolare riferimento alle zone frequentemente colpite da calamità naturali, l’ECHO ha considerato altrettanto prioritario, accanto all’aiuto tradizionalmente inteso, lo sviluppo di una cultura di “prevenzione e preparazione ai disastri”, in termini sia teorici che pratici.

Con l’obiettivo di ridurre l’impatto delle calamità naturali, nel 1996 nasceva il programma ECHO’s disaster preparedness programme (DIPECHO), al fine di accrescere la cooperazione e il coordinamento tra autorità nazionali, locali e comunitarie per prevenire i disastri naturali, rafforzare la formazione del personale incaricato della prevenzione delle catastrofi, migliorare le strutture di gestione e sensibilizzare l’opinione pubblica. Il programma aveva un approccio globale ma ha concentrato la sua attività in alcune zone particolarmente a rischio dei Caraibi, dell’America centrale e del Sudest asiatico.

Nel l’anno 2004 sono stati stanziati i seguenti fondi: per l’America centrale (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Panama) 6 milioni di euro; per l’Asia centrale (Tajikistan, Kyrgyzstan, Uzbekistan) 2,5 milioni di euro; per il Sudest asiatico (Cambogia, Vietnam, Laos,Timor Est, Indonesia) 5,2 milioni di euro.

Tra le situazioni che hanno visto l’intervento dell’ECHO a seguito del verificarsi di disastri naturali, meritano di essere ricordati il caso dell’Iran e del Bangladesh, quest’ultimo frequentemente colpito da alluvioni e inondazioni.

Per quanto riguarda il caso iraniano, nel dicembre 2003 la città di Bam era colpita da un devastante terremoto che causava diverse migliaia di vittime, feriti e senzatetto. L’ECHO interveniva tempestivamente sul territorio, con il supporto della Croce rossa finlandese e locale, per organizzare, in tempi brevi, strutture ospedaliere di emergenza. Solo nella prima settimana furono creati 200 posti letto, che permisero di soccorrere più di 1000 pazienti. In totale, la struttura medicò e prestò cure a 36.000 persone ed effettuò 300 interventi chirurgici.

Nel 2004, a seguito di un’inondazione particolarmente violenta, l’ECHO interveniva in Bangladesh con il supporto della ONG britannica Oxfam, riuscendo a dare accesso ad aiuti di emergenza a più di 14.000 senzatetto e fornendo loro cibo, acqua, vestiti, coperte, alloggio temporaneo. In una seconda fase, l’ECHO ed Oxfam si concentravano maggiormente sulla necessità di aiutare la popolazione a ricostruirsi una vita, attraverso un supporto finalizzato allo sviluppo di soddisfacenti condizioni igieniche e sanitarie, alla ricostruzione di case e palazzi, all’utilizzo di strumenti agricoli.

L’ECHO è anche impegnato nella promozione e nella attuazione di programmi di sminamento in numerosi paesi tra i quali l’Afghanistan. Sostiene, inoltre, campagne di informazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, con riferimento alle questioni umanitarie.

Sono frequenti i casi in cui l’ECHO è chiamato a intervenire in un determinato paese perché colpito allo stesso tempo sia da catastrofi naturali che da uno stato di emergenza derivato dal protrarsi di conflitti armati interni.

Tra questi, emblematico è il caso della Colombia, paese nel quale l’ECHO è attivo dal 1996. È da allora, infatti, che l’ECHO ha inserito nelle sue priorità un intervento rivolto alle popolazioni civili, urbane e rurali, vittime non solo dei frequenti disastri naturali (epidemie, terremoti, siccità, alluvioni, eruzioni vulcaniche), ma anche della continua violenza scatenata dal conflitto interno fra i guerriglieri, i narcotrafficanti e le forze armate governative. In questo stato di cose, l’ECHO si muove grazie all’attiva collaborazione della Croce rossa, presente in modo capillare sul territorio, e di circa 50 ONG, sia europee che locali, destinando annualmente al paese tra i 10 e i 15 milioni di euro, rivolti a fornire alla popolazione un aiuto sia materiale, mediante aiuti alimentari e alloggi, sia psicologico, attraverso appositi programmi di “assistenza psicologica”, necessaria in simili contesti dove è ricorrente la violazione dei Diritti dell’uomo.

Un aspetto importante, nell’azione umanitaria dell’ECHO, è l’attività di valutazione e di controllo: è infatti indispensabile verificare, in maniera costante, che chi sta portando avanti un determinato progetto (sia esso una organizzazione non governativa o un altro partner) riesca a garantire per un verso efficienza nella gestione dell’emergenza e, per l’altro, un utilizzo ponderato e rigoroso delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea. In questa prospettiva, nel 1995, il dipartimento finanziario dell’ECHO introduceva una metodologia di revisione contabile, attraverso la quale si svolgevano delle valutazioni (c.d. audits) periodiche, che nel giro di pochi anni hanno riguardato la quasi totalità dei partner dell’ECHO. Una simile procedura è certamente utile a migliorare costantemente la qualità delle azioni future e la gestione delle risorse economiche di cui l’ECHO annualmente dispone.

Raffaele Torino (2006)