Vidal, José Beneyto

V. (Carcagente 1927, Valencia-Parigi 2010) studia Scienze politiche presso l’Università Complutense di Madrid e dimostra una particolare propensione e uno spiccato interesse per materie quali diritto e sociologia. Dopo la laurea frequenta un corso di dottorato di ricerca a Madrid e completa poi all’estero la sua formazione presso La Sorbona e le università di Francoforte e di Heidelberg.

Insegna Sociologia all’Università Complutense, dove si era laureato, e diviene direttore del Collegio di alti studi europei “Miguel Servet” di Parigi; nel 2006 gli viene conferita la laurea honoris causa dall’Università di Valencia. È socio fondatore del quotidiano “El País” e segretario generale dell’Agenzia europea per la cultura e fino al 2005 ha ricoperto l’incarico di presidente del Consiglio mediterraneo della cultura, entrambe agenzie dell’UNESCO.

Intellettuale di punta dell’opposizione antifranchista, pur non affiliandosi a nessun partito, sin dai primissimi anni Cinquanta prende parte attiva all’interno delle organizzazioni clandestine di stampo moderato. In particolare partecipa e promuove l’attività della Associazione spagnola di cooperazione europea (Asociación española de cooperación europea, AECE), principale associazione europeista spagnola – con sede a Madrid – guidata da rappresentanti dell’opposizione moderata al regime di stampo liberal-democratico e monarchico. Esprime la sua militanza attraverso attività culturali e partecipazione presso centri studio “semitollerati” dal governo ufficiale. V. è uno degli organizzatori del Congresso di Monaco del giugno 1962, simbolo del trionfo dell’europeismo spagnolo come elemento di riconciliazione di un paese spaccato in due sin dallo scoppio della guerra civile. In particolare, nella fase organizzativa del Congresso, V. aiuta Dionisio Ridruejo, José Suárez Carreño, Fernando Baeza e Antonio Villar Massò – privati dal regime del loro passaporto – a raggiungere la capitale bavarese, dove parallelamente confluiscono i più illustri membri dell’opposizione in esilio. Il suo obiettivo, condiviso da altri uomini dell’AECE, è quello di coinvolgere in quell’incontro non solo i rappresentanti dei partiti politici dell’opposizione, ma anche le grandi istituzioni sociali e soprattutto membri dell’esercito, della chiesa e della finanza, in modo da costruire un’intelaiatura sociale alternativa rappresentativa delle frange riformiste della classe dirigente del paese per opporsi al perdurare del regime.

Per V. il Congresso di Monaco rappresenta l’atto costituente della democrazia spagnola, il simbolo dell’inizio del processo di riconciliazione tra l’opposizione dell’esilio e quella costituitasi intorno ai primi anni Cinquanta all’interno del paese. Centrale in tal senso l’attenzione che dedica all’incontro tra José María Gil-Robles e Rodolfo Llopis – simbolo non solo della riconciliazione di due protagonisti appartenenti a due famiglie politiche storicamente contrapposte – rispettivamente quella democristiana e quella socialista – ma soprattutto emblema della riconciliazione di due rappresentanti del fronte nazionalista e repubblicano nel corso della guerra civile.

L’attività di oppositore di V. negli anni Sessanta passa anche attraverso la promozione dell’attività del Centro de enseñanza e investigación (CEISA) e la Escuela crítica de ciencias sociales.

Nella fase finale del regime, V. partecipa anche alla Junta democratica (in qualità di presidente della comunità Madrilena e delegato delle relazioni esterne dell’associazione a livello nazionale, 1975-1976), piattaforma antiregime fondata nel giugno del 1974 dal segretario generale del Partido comunista de España (PCE) Santiago Carrillo, alla quale prendono parte tra gli altri José Antonio Trevijano e José Luis Villalonga.

Da sempre promotore dell’integrazione della Spagna in Europa, V. considera l’adesione agli organismi comunitari come uno strumento necessario all’abbattimento della dittatura e vede la riunificazione di una opposizione frammentata come l’inizio di un percorso per la trasformazione democratica delle istituzioni spagnole (v. anche Integrazione, metodo della).

Critico nei confronti dell’interpretazione maggioritaria della storiografia iberica relativa al successo della transizione, nei suoi frequenti interventi radiofonici e negli articoli pubblicati principalmente in “El País”, “Le Monde diplomatique” ed “Europa Zeitung”, V. presenta le caratteristiche asimmetriche di tale processo, di cui al di là della riuscita politico-istituzionale evidenzia il fallimento sul piano sociale. Nei suoi articoli pone l’accento soprattutto sull’insoddisfazione e sull’insuccesso della transizione verso un sistema sociale alternativo a quello sedimentatosi negli anni del franchismo. Per quel che concerne invece gli aspetti politico-istituzionali, mette in luce il ruolo svolto dalla Resistenza democratica e dalla trasformazione socio-economica del paese avviatasi a partire dalla fine degli anni Cinquanta.

Sempre attivo nella difesa dei valori democratici e della costruzione europea, nel 2004 V. si schiera contro l’approvazione del Trattato costituzionale europeo (v. Costituzione europea), criticando in particolare la lunghezza e l’estrema complessità del testo e la fase di stallo che avrebbe imposto l’applicazione del principio del Voto all’unanimità in materia di Politica estera e di sicurezza comune e fiscale; nella parte relativa alle politiche concrete dell’Unione europea (III), avversa la scelta del primato del carattere economico del Trattato rispetto alla realizzazione degli obiettivi politici e sociali.

Tra le sue opere più note legate alle tematiche europeiste ricordiamo Por una Europa política, social y ecológica (2005) e El reto constitucional de Europa (2005). Tra le sue opere generali: Del franquismo a una democracia de clase (1977), Diario de una ocasion perdida (1981), España a debate (1991), Memoria democratica (2007).

Maria Elena Cavallaro (2012)




Vike-Freiberga, Vaira

V.-F. (Riga 1937) frequentò la scuola elementare lettone del campo profughi a Lubecca fino al 1949, quando la famiglia si trasferì in Marocco, a Casablanca. Nella città marocchina studiò al College de Jeunes Filles de Mers-Sultan fino a quando, nel 1954, la famiglia si trasferì in Canada. Nel 1958 si laureò in lettere all’Università di Toronto (Victoria College) e quindi si specializzò in psicologia nel 1960 sempre all’Università di Toronto. Terminò il corso di studi universitari presso l’Università McGill a Montreal, in Quebec, ove nel 1965 le fu assegnato un dottorato di ricerca in Psicologia sperimentale.

Terminato il dottorato, V.-F. entrò all’Università di Montreal, dove insegnò per 33 anni e condusse ricerche nell’ambito della psicologia sperimentale e della psicolinguistica. Oltre alle sue attività accademiche, è stata anche presidente della Federazione di scienze sociali del Canada, della Società reale del Canada, dell’Associazione canadese di psicologia, dell’Associazione americana per l’Avanzamento degli studi baltici e vicepresidente del Consiglio delle scienze del Canada. Nel 1998 ha abbandonato il mondo accademico.

Come molti altri emigrati baltici nell’America del Nord, V.-F. ha mantenuto un forte legame con la sua prima patria, adoperandosi affinché i governi occidentali non riconoscessero la legittimità dell’annessione dei tre Stati baltici da parte di Stalin nel 1940 e cercando inoltre di preservare la lingua e la cultura lettone in esilio. Negli anni Sessanta incoraggiò giovani emigrati a raccogliere migliaia di poemi e ballate lettoni e li catalogò in un database. Organizzò numerose conferenze e seminari sulla cultura lettone e fu direttore e presidente del consiglio di amministrazione di Divreizdivi, un centro dedicato al patrimonio culturale lettone.

Nel 1998, dopo essersi ritirata dall’attività accademica ed essere stata nominata professore emerito dall’Università di Montreal, V.-F. ritornò in Lettonia dove le fu affidata dal primo ministro Guntars Krasts la direzione dell’Istituto lettone. Malgrado non si fosse mai occupata di politica in precedenza (o forse proprio per questo), il nome di V.-F. comparve nella lista dei candidati per le elezioni presidenziali del 1999. Dopo 5 turni di votazioni, V.-F. vinse a sorpresa, ottenendo 53 voti su 100 e superando il ministro degli Affari esteri ed ex primo ministro Valdis Birkavs. L’8 luglio 1999 iniziò il suo mandato quadriennale, e V.-F. divenne la prima donna presidente di uno Stato dell’Europa dell’Est o di una ex Repubblica sovietica.

In un primo momento si diffuse la preoccupazione che, essendo una candidata di compromesso, V.-F. potesse non essere all’altezza dell’incarico. Il fatto che non parlasse russo, lingua madre di un terzo della popolazione lettone, era considerato uno svantaggio, così come la mancanza di esperienza nella politica lettone e i suoi stretti rapporti con il settore petrolifero, agrario e finanziario. A ogni modo, giacché priva di un retroterra culturale politico, V.-F. non aveva legami con l’élite politica lettone, ritenuta corrotta e opportunista da gran parte della popolazione lettone e di quella russa e anche dagli ambienti esteri. Questa fu una delle ragioni per cui la Lettonia non riuscì ad attrarre tanti investimenti esteri quanto l’Estonia. V.-F. iniziò rapidamente a imparare il russo, cercando di diventare un esempio per la comunità russa nella repubblica. Infatti, conquistò il consenso della comunità russa in Lettonia e della Russia stessa, allorché, in uno dei suoi primi atti in qualità di presidente, pose il veto sulla nuova legge sulla lingua, che stabiliva che tutte le transazioni commerciali private fossero redatte in lettone, ritenendola eccessivamente restrittiva.

La legge, successivamente rivista, ottenne l’approvazione dell’Alto commissario per le minoranze nazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e quella della Saeima il 9 dicembre. Appena due giorni dopo, le politiche di integrazione portate avanti dai presidenti Ulmanis e V.-F. diedero i loro frutti e la Lettonia fu ammessa al Consiglio d’Europa. Pur cercando di raggiungere gli standard occidentali in materia di diritti minoritari per la popolazione di lingua russa, V.-F. non ebbe remore a difendere gli interessi dei propri concittadini nei confronti della Russia, chiedendo ad esempio risarcimenti al Cremlino per le vittime lettoni del regime sovietico. Fu rieletta presidente per un secondo quadriennio nel giugno del 2003. Si candidò senza avversari, ottenendo 88 dei 100 voti dei deputati della Saeima.

Richard Mole (2006)




Viklund, Daniel

V. (Oviken 1908-ivi, 1996) si laureò presso l’Università di Uppsala nel 1933, e successivamente iniziò a lavorare come giornalista per il giornale locale “Upsala Nya Tidning”. Dopo essersi fatto le ossa come cronista e aver lavorato per un breve periodo come redattore del quotidiano minore “Lunds Dagblad”, V. fu ingaggiato nel 1939 dall’importante quotidiano svedese, “Dagens Nyheter” (DN). Il DN inviò immediatamente V. a Londra, dove sarebbe rimasto come corrispondente estero per l’intera carriera professionale.

I primi tempi, gli articoli di V. davano conto degli sforzi bellici del Regno Unito. In un famoso articolo egli descrisse l’attacco a un velivolo della linea Amsterdam-Londra, sul quale viaggiava lui stesso, da parte di aerei da combattimento, e la conseguente morte di un passeggero seduto nel posto precedentemente a lui assegnato e dal quale fortunatamente era stato invitato a spostarsi. Negli anni Cinquanta e Sessanta V. si occupò della cronaca politica. Grazie alla sua lunga esperienza nella capitale britannica, stabilì ottime relazioni con l’ambiente politico e amministrativo del Regno Unito. Raggiunse inoltre una posizione di privilegio tra i corrispondenti esteri: divenne leader di un gruppo di giornalisti che, in segreto, ricevevano informazioni ufficiose dal n. 10 di Downing Street.

Molti degli articoli di V. si focalizzavano sulla “questione del mercato”, vale a dire i tentativi politici per superare le divisioni economiche determinate, nell’Europa occidentale, dalla creazione della Comunità economica europea (CEE) e dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). In conseguenza della forte dipendenza commerciale della Svezia dalla Gran Bretagna, e del fatto che il futuro dell’EFTA dipendeva in larga parte dalle relazioni tra Gran Bretagna e CEE, tali questioni furono accolte con interesse in Svezia.

Gli articoli sugli sviluppi dell’Europa spinsero V. a scrivere tre importanti libri sulla Svezia e sul processo d’integrazione dell’Europa occidentale (v. Integrazione, metodo della). Il primo fu pubblicato nel 1977 con il titolo Spelet om frihandelsavtalet (“La lotta per l’accordo del libero scambio”). Grazie alle buone relazioni che intratteneva a Stoccolma, Londra, Bruxelles e Parigi, dove rimase dal 1969 fino al suo pensionamento avvenuto nel 1974, il libro offriva un vivido resoconto dei complessi negoziati che condussero alla fine al primo giro di allargamenti della CEE e alla firma degli Accordi di libero scambio tra la Comunità e i rimanenti Stati dell’EFTA.

V. univa propositi didattici a un’aspra critica sul modo in cui il governo svedese aveva condotto le trattative. Egli sosteneva che la “strategia aperta di adesione” svedese, perseguita dal 1967, era sbagliata fin dall’inizio. Mancando di precisare quale tipo di adesione si volesse e senza fare riferimento alle specifiche clausole di adesione dei Trattati di Roma, il governo, secondo V., aveva sottovalutato il fronte comune formato dalla Commissione europea e gli Stati membri sull’inviolabilità del principio dell’Acquis comunitario. Mentre il governo svedese voleva dare precedenza al contenuto rispetto alla forma, avviando negoziati su vari temi politici e lasciando la questione dell’Associazione o dell’adesione a pieno titolo a una decisione successiva, la CEE voleva solamente trattare o per una piattaforma di piena adesione, oppure per una piattaforma di associazione, dando la priorità alle trattative con i paesi che preferivano la prima opzione.

Secondo V., alla mancanza di comprensione da parte del governo svedese della logica politica del processo di decision-making della CEE, si aggiungeva un’errata percezione dei rapporti di potere tra le parti negozianti. Era la Svezia ad avere bisogno della CEE, e non il contrario. Il governo aveva presunto che la CEE avrebbe individuato un proprio interesse nel sostenere la politica svedese di neutralità e che perciò sarebbe stata pronta ad accettare le richieste svedesi per un trattamento particolare. Tuttavia, secondo quanto riferito da V., tali calcoli non ebbero alcun peso nelle decisioni adottate dalla CEE. Alla fine, la Svezia fu costretta ad accettare lo stesso tipo di associazione offerta agli altri stati dell’EFTA, e così le ambizioni in merito a questo accordo furono di molto ridimensionate rispetto agli iniziali obiettivi e attese del governo svedese.

Il secondo libro di V., pubblicato nel 1987, s’intitolava Attförstå EG. Sveriges framtid i Europa (“Per capire la CE. Il futuro della Svezia in Europa”). Malgrado il sottotitolo, nel volume era stata data limitata importanza alla questione della politica svedese sulla CEE. Seguendo la propria convinzione che i media, col trascorrere degli anni, si fossero ben poco adoperati nell’informare sulla questione CEE e che sia la popolazione sia i leader politici fossero generalmente disinformati circa la sua natura, l’ambizione di V. era quella di fornire un’introduzione generale all’integrazione europea. La trattazione comprendeva capitoli sugli sviluppi storici, i trattati di base, le competenze e la composizione delle istituzioni, il processo di decision-making e la politica CEE in merito a varie aree tematiche. Il libro, giornalistico nello stile e nel gergo, seguiva la falsariga di molti testi accademici sull’integrazione europea. Fu pubblicato allorché le relazioni con la CEE raggiunsero in Svezia l’apice dell’interesse nell’agenda politica. Prima di allora, tali relazioni erano state trattate per lo più come una questione puramente commerciale; pertanto il libro di V. colmò un vuoto importante nel dibattito pubblico e nell’informazione dei cittadini svedesi.

Il terzo libro di V. venne pubblicato due anni dopo, nel 1989, con il titolo Neutralitetsdebatten. Tro, vetande, illusioner (“Il dibattito sulla neutralità. Credenze, fatti e illusioni”). In esso egli esponeva le radici storiche della politica svedese di neutralità, la sua applicazione durante le due guerre mondiali e durante la Guerra fredda e discuteva le restrizioni autoimposte, come il mancato ingresso nella CEE, che si riteneva ne fossero la conseguenza. Sebbene lo stesso autore considerasse il libro come un contributo alla discussione generale sulla politica svedese di neutralità, tuttavia era suo principale proposito sostenere che la neutralità non fosse un ostacolo per l’adesione della Svezia alla CEE.

Il libro sulla politica di neutralità della Svezia è probabilmente il meno importante della trilogia di V. Ambizioso e piuttosto ben documentato, fu dato alle stampe in un periodo nel quale i requisiti per una politica sulla sicurezza nazionale, in Svezia come in molti altri paesi, erano fondamentalmente cambiati. Nell’anno della pubblicazione del libro, tutte le principali forze politiche svedesi, governo incluso, erano giunte alla conclusione che la politica di Neutralità non avrebbe più dovuto interferire con la candidatura svedese all’adesione alla CEE. La tesi fondamentale di V. suscitava, pertanto, ben poco interesse.

All’inizio di del 1996, l’anno della morte di V., la Svezia era entrata nell’Unione europea (UE) come membro a pieno titolo. La visione di V. di una Svezia che partecipasse a pieno titolo al processo d’integrazione si era così realizzata. Con il trascorrere degli anni, il dibattito svedese era maturato divenendo più approfondito e competente. Tuttavia, il grande contributo di V. rimane quello di aver stimolato e portato avanti il dibattito in un periodo in cui era largamente trascurato e in cui vi era un gran bisogno di dare maggiore profondità e prospettiva al dibattito.

Jakob Gustavvson (2012)




Vitorino, António

V. (Lisbona 1957), laureatosi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lisbona, nel 1986 diventò professore ordinario.

La sua carriera politica iniziò come membro del Parlamento per il Partido socialista (PS) fra il 1980 e il 1983. Dopo la vittoria di quest’ultimo nelle elezioni di aprile del 1983, entrò a far parte della coalizione di governo con Partido socialdemocrata (PSD). Fu segretario di Stato per gli affari parlamentari fra il 1984 e il 1985. Nel 1985 e 1986 presiedette la Commissione parlamentare per gli Affari costituzionali e i diritti civili e ricoprì la carica di vicepresidente del gruppo parlamentare socialista.

Partecipò, come capodelegazione del Partito socialista, alle consultazioni con il governo socialdemocratico che condussero alla seconda revisione della Costituzione portoghese nel 1989. La seconda revisione della Costituzione portoghese fu studiata per modificare la maggior parte degli articoli in materia di economia al fine di rendere il Portogallo maggiormente in linea con le politiche del Mercato unico europeo e della legislazione europea.

Nel 1989 diventò giudice della Corte costituzionale, una posizione che ricoprì fino al 1993. Nel 1994 fu eletto membro del Parlamento europeo.

L’elezione di Antonio Guterres a nuovo leader del Partito socialista nel 1992 portò a un crescente impegno di V. nelle strategie per la campagna elettorale del partito in vista delle elezioni legislative del 1995. V. era un fedele sostenitore di Guterres e del suo programma di modernizzazione del partito. Per molti aspetti, V. e Guterres sono stati i predecessori della “terza via” presentata da Tony Blair nel partito laburista alcuni anni dopo.

V. ebbe un ruolo importante nel riorganizzare la società civile in quelli che sono stati definiti gli Stati generali (Estados gerais), in modo da sostenere il Partito socialista come alternativa al governo socialdemocratico.

La vittoria del Partito socialista nell’ottobre del 1995 portò alla formazione di un governo di minoranza socialista. V. divenne ministro della Difesa; si dimise nel novembre del 1997 in seguito a dichiarazioni di stampa relative a una sua presunta evasione fiscale sull’acquisto di una proprietà; scagionato l’anno successivo e invitato dal primo ministro Guterres a rientrare nel governo, V. declinò l’invito.

Diventò, invece, Commissario europeo per gli Affari interni e la Giustizia nella Commissione europea guidata da Romano Prodi dal 1999 al 2004. La sua indole calma e operosa portò a significativi progressi in materia di integrazione. A partire dal Consiglio europeo di Tampere in Finlandia del 1999, gli Stati membri decisero di procedere a ritmo veloce nell’ambito del settore della Giustizia e affari interni. La maggior parte delle misure riguardavano l’istituzionalizzazione degli accordi di cooperazione fra Stati membri, come Eurojust o l’Ufficio europeo di polizia, per facilitare la cooperazione giudiziaria e di polizia su questioni transeuropee, come la criminalità organizzata.

V. ha svolto un ruolo importante nella formulazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata dalla Convenzione del 2000 e nella Convenzione europea che ha condotto al Trattato costituzionale stilato fra il 2002 e 2003, deciso dal Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001, contribuendo al rafforzamento della posizione dei cittadini europei nei Trattati.

Alla fine del mandato di Romano Prodi come presidente della Commissione europea, il nome di V. fu avanzato, insieme a quello di altri, come suo possibile successore, in considerazione della solida reputazione nell’Unione europea acquistata grazie al suo modo serio e competente di trattare complesse questioni legali di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), come la costruzione di uno Spazio giuridico europeo e la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei.

Dopo il rientro da Bruxelles, V. fu il principale artefice della campagna elettorale del Partito socialista per le elezioni legislative anticipate del 18 febbraio 2005. Come era accaduto nella campagna del 1995, mobilitò la popolazione per sostenere le politiche del Partito socialista. La sua campagna fu chiamata Nuove frontiere (“Novas fronteiras”) ed egli ricorse a internet per raggiungere potenziali elettori. In questa occasione sostenne il popolarissimo candidato José Socrates. A causa delle impopolari politiche di austerità della precedente coalizione governativa di centrodestra, la campagna elettorale fu un grande successo e il Partito socialista vinse con una maggioranza assoluta. Nonostante la vittoria, V. rifiutò di entrare a far parte del governo e decise, invece, di diventare presidente della Commissione degli Affari europei nel Parlamento portoghese. Il suo obiettivo principale era di esaminare la legislazione europea che doveva essere trasposta nell’ordinamento portoghese.

Parallelamente alla carriera politica, V. ha portato avanti una meno nota carriera accademica, pubblicando numerosi lavori sul diritto costituzionale, sul sistema giuridico in una prospettiva comparativa e sulla democrazia e la partecipazione in Portogallo.

José M. Magone (2010)