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Principio di attribuzione

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Il principio di attribuzione costituisce uno dei fondamenti dell’organizzazione e del funzionamento della Comunità europea (CE) (Comunità economica europea). Implicito nel sistema originariamente istituito dal Trattato di Roma (v. Trattati di Roma) del 1957, tale principio è stato formalmente iscritto all’articolo 5, primo comma, del Trattato CE in seguito alle riforme introdotte con il Trattato di Maastricht del 1992.

In virtù del principio in questione, la Comunità può agire esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono conferite dal Trattato CE e nell’ambito degli obiettivi da esso previsti. Ciò si traduce concretamente nella necessità che ogni atto giuridico o altra iniziativa assunta dalle Istituzioni comunitarie trovi fondamento in una o più specifiche disposizioni del Trattato CE, le cosiddette basi giuridiche (v. Diritto comunitario; v. anche Infrazione al diritto dell’Unione europea). Tali disposizioni – disseminate nei titoli dedicati alle diverse politiche comunitarie – di norma indicano in dettaglio il tipo di azione da adottare, la procedura da seguire a tal fine, le condizioni e gli eventuali limiti dell’azione in questione.

Va tuttavia tenuto presente che il Trattato CE definisce agli articoli 2 e 3 rispettivamente gli obiettivi della Comunità europea e le politiche da attuare al fine della loro realizzazione in termini molto generali, che non sempre trovano piena corrispondenza nelle basi giuridiche specifiche. Per di più, di regola le competenze della Comunità sono definite in funzione non tanto – o non solo – dei settori d’intervento, quanto piuttosto degli obiettivi fissati nel trattato.

Ciò ha condotto a interpretare talora in maniera estensiva la portata delle basi giuridiche previste dal Trattato, al fine di permettere l’intervento delle istituzioni comunitarie e dunque la realizzazione delle missioni loro impartite, anche nei casi in cui non appaiono precisamente definiti i poteri d’azione loro attribuiti dal trattato.

È stata così sviluppata la teoria delle cosiddette Competenze implicite, che ha trovato adeguato riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia CE, 9 luglio 1987, cause riunite 281, 283, 284, 285 e 287/86, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca e Regno Unito contro Commissione, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1987, p. 3203) (v. Corte di giustizia dell’Unione europea). Le competenze implicite hanno assunto una particolare importanza nell’ambito delle relazioni esterne, laddove è stato riconosciuto che la Comunità è un soggetto di diritto internazionale che può stipulare accordi con paesi terzi e con organizzazioni internazionali non soltanto nei rari casi in cui ciò sia previsto dal Trattato – per esempio in materia di politica commerciale – ma anche in tutti gli altri settori in cui essa è dotata della competenza ad agire sul piano interno (v. Personalità giuridica dell’Unione europea). Più precisamente, pur in mancanza di esplicita autorizzazione nelle disposizioni del Trattato, la Corte di giustizia ha ammesso che la Comunità possa concludere accordi internazionali al fine di salvaguardare l’effetto degli atti adottati in virtù della competenza interna (v. Corte di giustizia CE, 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione contro Consiglio – più nota come sentenza AETR, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1971, p. 263) e anche, in assenza di atti già adottati, al fine di salvaguardare il futuro esercizio della sua competenza interna, nel caso in cui la conclusione di un accordo internazionale costituisca per la Comunità l’unica possibilità di agire al fine di realizzare gli obiettivi che le sono prescritti (v. Corte di giustizia CE, 15 novembre 1994, parere 1/94, Competenza della Comunità a stipulare accordi internazionali in materia di servizi e di tutela della proprietà intellettuale, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1994, p. I-5267).

Un’altra specificità del sistema è costituita dall’articolo 308 del Trattato CE, la disposizione che consente alla Comunità europea di adottare degli atti pur in assenza dell’abilitazione conferita da una base giuridica specifica, nel caso in cui tali atti risultino necessari per la realizzazione di uno degli scopi prescritti dal Trattato. Si tratta di una base giuridica speciale che conferisce dei poteri d’azione di natura suppletiva e funge da valvola di sicurezza, cui ricorrere in casi imprevisti al momento della redazione del Trattato.

Malgrado il carattere evidentemente eccezionale di questa disposizione – che si riflette anche nel fatto che gli atti giuridici su di essa fondati vanno votati dal Consiglio con Voto all’unanimità – nel passato si è fatto ricorso all’articolo 308 con una certa larghezza al fine di permettere alla Comunità di agire in settori originariamente non coperti dal Trattato CE (per esempio, in materia di ambiente, di ricerca scientifica e di istruzione), col beneplacito peraltro della Corte di giustizia, che ha ammesso la legittimità degli atti adottati sulla base di questa disposizione al fine di integrare sotto certi aspetti il trattato (v. Corte di giustizia CE, 18 febbraio 1970, causa 38/69, Commissione contro Italia, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1970, p. 47). Tuttavia, l’utilizzazione dell’articolo 308 si è sensibilmente ridotta in tempi più recenti, soprattutto per il fatto che le varie riforme intervenute a partire dalla metà degli anni Ottanta hanno introdotto nel Trattato CE numerose nuove basi giuridiche che hanno esplicitamente permesso alla Comunità di agire nei settori sopra menzionati. Anche le sempre più frequenti critiche in merito a presunte applicazioni abusive della disposizione in questione hanno giocato un ruolo importante nella tendenza alla progressiva riduzione della sua applicazione. A questo proposito, la Corte di giustizia ha avuto cura di precisare la portata e i limiti di tale disposizione al fine di garantirne la compatibilità con il principio di attribuzione, affermando che essa non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle norme del Trattato, in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità (v. Corte di giustizia CE, 28 marzo 1996, parere 2/94, Adesione della Comunità alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in “Raccolta della giurisprudenza”, 1996, p. I-1759).

Il Trattato di Lisbona – che modifica profondamente gli attuali Trattati CE e UE – conferma il carattere fondamentale del principio di attribuzione ai fini della delimitazione delle competenze dell’Unione europea, precisando peraltro che le competenze non attribuite espressamente all’Unione appartengono agli Stati membri. Si tratta di un corollario già implicito nel sistema attualmente vigente, ma comunque utile al fine di meglio delineare la portata del principio in questione.

Paolo Stancanelli (2008)