Rapporto Vedel

L’approvazione del Trattato del Lussemburgo del 22 aprile 1970, che modificava i Trattati di Roma, aumentando i poteri del Parlamento europeo (PE) relativi al controllo delle Risorse proprie della Comunità economica europea, e la previsione della realizzazione dell’Unione economica e monetaria secondo un piano avviato il 1 gennaio 1971, portò alla ribalta del dibattito comunitario il problema dell’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo. Di fronte a un importante trasferimento di poteri dagli organi nazionali alle Istituzioni comunitarie, l’ampliamento delle competenze del PE appariva un elemento fondamentale per garantire che le decisioni (v. Decisione) fossero prese in un quadro di legittimità democratica (v. anche Deficit democratico). Nel luglio 1971, la Commissione europea incaricò un gruppo di personalità indipendenti, prevalentemente giuristi, presieduti dal costituzionalista francese Georges Vedel, di studiare l’insieme dei problemi collegati all’aumento dei poteri dell’Assemblea e di presentare proposte in merito. Un’iniziativa fortemente voluta da Altiero Spinelli, in quel momento membro della Commissione, alla quale l’esponente federalista (v. Movimento federalista europeo) voleva assegnare il ruolo di promotore delle riforme necessarie per portare avanti l’unificazione politica (v. anche Federalismo).

Il Rapporto Vedel (RV), presentato il 25 marzo 1972, fu elaborato cercando di rispondere ai due criteri del mandato conferito dalla Commissione: democrazia ed efficacia. Dopo aver esposto i metodi e i criteri di scelta, il Rapporto descriveva lo stato della Comunità nel 1972, come pure le istituzioni e la prassi vigenti alla luce dei compiti che attendevano la Comunità. Avendo di mira principalmente l’organizzazione del controllo parlamentare, le proposte contenute nel RV prendevano in esame l’estensione delle competenze del PE, la sua composizione, le relazioni tra esso e i Parlamenti nazionali. Le modifiche da apportare all’intero sistema istituzionale comunitario, per sollecitare uno sviluppo dell’integrazione (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), portavano il RV ad andare aldilà del problema del controllo parlamentare. Infine, tanto sotto il punto di vista giuridico quanto sotto il profilo politico, il RV analizzava le modalità con le quali attuare le riforme proposte.

Innanzitutto, va rilevato come il gruppo non volesse proporre una completa Revisione dei Trattati, ma impostasse i suoi lavori secondo un metodo “funzionale”, basato cioè sulla valutazione dei mezzi democratici efficaci per conseguire gli obiettivi europei ricercati dagli Stati membri. Nella convinzione che «talvolta, a una soluzione idealmente migliore occorre preferire una soluzione più attuabile in pratica, sempre che essa rappresenti un passo verso l’obiettivo finale» (“Bollettino delle Comunità europee”, 1972, suppl. n. 4, Relazione Vedel, p. 13) (v. anche Funzionalismo). La scelta di non proporre grandi imperativi giuridici, ma di modificare il sistema comunitario solo nella misura strettamente utile fu probabilmente il motivo della delusione di Spinelli, che giudicò il RV “fiacco” (v. Spinelli, 1991). Dopo aver analizzato le ragioni che richiedevano un rafforzamento dei poteri dell’istituzione parlamentare europea, al centro delle proposte del RV vi era l’ampliamento delle competenze legislative del PE, mediante l’attribuzione, per alcune materie e in due fasi successive, di un vero e proprio potere di Codecisione con il Consiglio dei ministri. Sottolineando che le competenze in materia di bilancio comunitario (v. Bilancio dell’Unione europea) che il PE avrebbe esercitato a partire dal 1975 costituivano uno strumento d’influenza di portata molto limitata, il RV riteneva che solo un potere di codecisione in materia legislativa potesse trasformare con efficacia il ruolo dell’Assemblea. Molta importanza era attribuita anche al rafforzamento della funzione di controllo politico del PE, tramite un voto d’investitura parlamentare del Presidente della Commissione europea. Il RV respingeva la tesi che le Elezioni dirette del Parlamento europeo costituissero un prerequisito per l’aumento dei poteri del PE, ma non trascurava di sottolinearne l’importanza per la legittimazione dell’ordinamento comunitario (v. anche Diritto comunitario) e per lo sviluppo di forze politiche europee, pur riconoscendo che il formarsi di un sistema europeo di partiti richiedeva tempo (v. Partiti politici europei). Inoltre, veniva affrontato il problema delle relazioni tra il PE e i parlamenti nazionali. Il timore di un eccesso di vincoli posti dai parlamenti nazionali ai governi e i possibili intralci al Processo decisionale comunitario erano risolti con la proposta di tenere riunioni congiunte delle commissioni specializzate dei parlamenti nazionali e del PE. Infine, era suggerita la nomina di ministri europei. Il RV anticipava alcune misure che sarebbero state introdotte solo con il Trattato di Maastricht, e resta una delle migliori analisi non solo delle modifiche necessarie a rafforzare il ruolo del PE, ma anche delle riforme istituzionali adatte a uno sviluppo dell’integrazione, suggerendo formule che, a oggi, non hanno perso di attualità.

Marinella Neri Gualdesi (2010)