Ripa Di Meana, Carlo
Tra i Commissari italiani che si sono succeduti dal 1952, R. di M. (Marina di Pietrasanta 1929) occupa una posizione di rilievo non solo per la durata del suo mandato – nove anni – comparabile a quella dei due commissari più a lungo in carica a Bruxelles, Lorenzo Natali (1977-1989) e Mario Monti (1995-2004). La sua attività europea si segnala anche per il fatto di aver saputo mettere a profitto la favorevole congiuntura del decennio deloriano (v. Delors, Jacques) per dare legittimità e consistenza a nuove dimensioni e prospettive dell’integrazione comunitaria (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Da questo punto di vista l’iniziativa di R. di M. sui temi della cultura e dell’ambiente si apparenta all’azione di coloro che hanno tentato, a volte con successo, di allargare o di approfondire l’area di intervento delle istituzioni sopranazionali. È il caso di Altiero Spinelli, per quanto riguarda la Politica industriale, e di Delors per l’unificazione monetaria (v. Unione economica e monetaria). Politiche queste ultime senza dubbio più pesanti e centrali nella costruzione del mercato unico, tronco fondamentale dell’Europa comunitaria. Ciò nondimeno è pur vero che l’Unione europea (UE) una volta raggiunta la Libera circolazione delle merci e la Libera circolazione dei capitali, e introdotto con successo l’Euro, per consolidare il proprio assetto politico-istituzionale e soprattutto per renderlo più democratico e accettato, deve ricercare un consenso più largo per superare l’impasse in cui si è venuta a trovare. È opinione diffusa che una più marcata personalità e presenza internazionali, e una maggiore attenzione alla rilevanza europea di alcune questioni di generale interesse per i cittadini, quale l’ambiente e la cultura, possano assolvere al compito e contribuire ad assicurare al processo di integrazione un equilibrio adeguato alle sfide cui è confrontato.
Da questo punto di vista anticipa nelle proposte e nelle decisioni esigenze che troveranno, almeno come diagnosi, un ascolto più esteso in un periodo successivo
R. di M. assume le responsabilità brussellesi dopo una vivace militanza politica, prima nel PCI togliattiano e poi nel PSI di Bettino Craxi, che, liberatosi della tutela comunista, si muove su una linea di radicale contestazione delle tradizioni politiche e culturali della sinistra italiana.
In questa fase l’apporto di R. di M. è soprattutto rappresentato dalla sua presidenza della Biennale di Venezia, per la quale promuove e organizza, nel 1977, la Biennale del Dissenso, brillante episodio di una battaglia che è insieme nazionale ed europea.
La successiva e più diretta esperienza comunitaria è vissuta da R. di M. nelle vesti di parlamentare europeo. È infatti eletto a Strasburgo nel 1979, prime Elezioni dirette del Parlamento europeo a suffragio universale. Durante tutta la legislatura si impegna particolarmente sui problemi delle relazioni esterne della Comunità, e si fa promotore di prese di posizione e iniziative a sostegno della lotta dei Fedayyìn afghani contro l’invasione sovietica. Questo impegno assorbente non gli impedisce di essere socio attivo di due club, L’Amigo, a iniziativa di Delors, e il Club del Coccodrillo di Altiero Spinelli.
Nel corso del suo primo mandato come Commissario (1985-1989), R. di M. è responsabile degli Affari istituzionali – incluso il negoziato che porterà all’Atto unico europeo – della cultura e della comunicazione, materie sprovviste di base giuridica nei Trattati istitutivi e comunque guardate con sospetto dai governi dei paesi membri, interessati a rivendicare al riguardo un’esclusiva competenza nazionale, o, come nel caso del Belgio e della Repubblica Federale Tedesca (v. Germania), le loro rispettive prerogative regionali di natura costituzionale.
Jaques Delors tuttavia, sin dall’inizio della sua presidenza, avverte l’importanza di accompagnare lo sforzo di rilancio del processo di integrazione con politiche e decisioni suscettibili di sviluppare il senso di appartenenza alla Comunità dei cittadini europei. Per queste ragioni incoraggia e sostiene i progetti di R. di M. intesi a identificare linee concrete di espansione della scarsa presenza comunitaria nel settore culturale e della comunicazione.
Quattro sono le direzioni principali dell’iniziativa di R. di M.
In primo luogo la ripresa e la valorizzazione di proposte già approvate, quali per esempio le capitali della cultura, la festa dell’Europa e il Fondo per il patrimonio architettonico, l’Orchestra dei giovani della Comunità europea, che sopravvivevano a fatica, con esiguo coinvolgimento di enti pubblici e privati.
In secondo luogo la “invenzione” di simboli europei. L’inno e la bandiera vengono adottati ufficialmente nel 1985 e nel 1986. Il significato e l’importanza dei quali sono dimostrati dalla loro successiva eliminazione nella versione definitiva del c.d. Trattato della riforma, firmato a Lisbona nel 2007 a seguito della bocciatura del Trattato costituzionale (v. Costituzione europea; Trattato di Lisbona).
Si comincia inoltre a dare attuazione alle Raccomandazioni che il Comitato Adonnino, costituito nel 1984 dal Consiglio europeo di Fontainebleau, aveva elaborato per dare seguito e prospettiva ad una “Europa dei cittadini”.
In questo modo, ben prima del Trattato di Schengen e del completamento del Mercato unico, si affrontano le questioni del diritto di ognuno a risiedere e a lavorare in ciascuno degli Stati membri nonché le questioni relative alla semplificazione dei controlli alle frontiere e del mutuo riconoscimento dei diplomi scolastici.
Infine, quarta direzione, una risoluta azione per promuovere la televisione senza frontiere (la direttiva arriverà in porto nel 1991), per mettere in cantiere un programma comunitario di aiuto dell’industria audiovisiva – il I Programma media diventerà operativo nel 1991 con il decisivo sostegno del presidente François Mitterrand – e per stimolare la nascita di un canale televisivo paneuropeo con risorse pubbliche e private.
Di quest’ultimo tentativo rimane oggi solo in funzione Euronews che – pur essendo di nicchia – rappresenta comunque l’unico strumento di comunicazione multilingue di cui dispone l’Europa (v. anche Politica europea delle telecomunicazioni).
A tutto questo si aggiunge che i propositi e gli obbiettivi di R. di M. trovarono una loro esposizione complessiva in una Comunicazione del 1987 dedicata appunto al rilancio dell’azione culturale. Tale Comunicazione fu approvata dal Consiglio cultura, che proprio allora fu istituzionalizzato, a seguito dell’entrata in vigore dell’Atto unico che all’art. G37, divenuto art. 128 del Trattato CE, menziona per la prima volta la cultura, e ne fa oggetto di possibile cooperazione intergovernativa tra gli Stati membri.
Nel 1989 R. di M. è confermato membro della Commissione e Delors gli affida il portafoglio dell’Ambiente, convinto di disporre dell’uomo giusto per assicurare un impulso innovativo a un settore di attività che l’Atto unico aveva di recente legittimato accanto alle altre politiche comunitarie (modifica degli articoli 2 e 3 dei Trattati di Roma e introduzione degli articoli 130R, 130S e 130T che compongono il titolo XVI espressamente dedicato all’ambiente).
R. di M. risponde alle aspettative, non limitandosi peraltro a migliorare l’organizzazione e l’efficienza della struttura amministrativa posta sotto la sua guida (la Direzione generale XI), ma cercando di sfruttare al massimo ogni possibilità di intervento in materia, reso possibile dalle norme comunitarie, quelle vecchie e quelle nuove dell’AUE.
Così, caratteristicamente, l’iniziativa si sviluppò su diversi piani.
Innanzitutto, attraverso un’intransigente verifica dell’applicazione delle Direttive (v. Direttiva) europee già in vigore, con il perseguimento delle infrazioni (v. Diritto comunitario, infrazione al), senza riguardi per il peso politico del governo eventualmente implicato.
In secondo luogo, R. di M., facendosi forte del nuovo articolo 100A che permetteva di affrontare i problemi ambientali connessi alle condizioni della concorrenza e all’attuazione delle politiche comuni con la procedura, in Consiglio dei ministri, del voto a Maggioranza qualificata, interviene sistematicamente nel programma di adozione delle direttive per il Mercato unico, affermando la pertinenza della dimensione ambientale.
Infine il capitolo relativo all’utilizzo dell’art. 235 del Trattato CE, valendosene per consolidare e accrescere una legislazione ambientale motivata da considerazioni esclusivamente ecologiche, indipendentemente cioè dalla realizzazione del Mercato Unico.
In tutti e tre gli ambiti R. di M. diede prova di una tale alacrità da turbare l’ordine delle priorità e il ritmo politico seguito dal presidente. È d’altra parte una nota distintiva dell’ambientalismo – anche di quello non fondamentalista o radicale – di non essere interamente riconducibile in una logica puramente pragmatica e di rappresentare comunque un fattore di disturbo in una dinamica politica prestabilita.
Ciò risulta ancora più vero in un contesto in cui erano in gioco contemporaneamente il progetto, senza precedenti comparabili, rivolto a dare validità a un ambientalismo transnazionale e la volontà deloriana di imperniare la costruzione di un’Unione coesa su solidarietà economico-sociali più tradizionali.
Inevitabile dunque il ripetersi di contrasti e di conflitti tra il presidente e il Commissario nei tre tipi di interventi che abbiamo richiamato, e che si tradussero innanzitutto in un certo numero di deferimenti alla Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) di alcuni governi. Il Regno Unito si trovò così a dover fronteggiare denunce sul mancato rispetto di Direttive comunitarie, per esempio quella sulla purezza dell’acqua potabile.
La Spagna dovette rispondere di aver messo in pericolo fauna protetta attraverso il prosciugamento di zone paludose. Anche alla Repubblica Federale Tedesca, paese per molti versi all’avanguardia nella politica ambientale, fu imputata l’inosservanza di norme comunitarie. Il clamore sollevato da tali atti del Commissario fu grande, ma grande fu anche la reazione favorevole di larghi settori dell’opinione pubblica degli stessi paesi membri coinvolti nelle denunce.
I risultati più rilevanti e duraturi R. di M. li ottenne però nelle proposte collegate alla Armonizzazione legislativa resa necessaria dall’obbiettivo 1992, la realizzazione di un effettivo mercato unico. In particolare la richiesta di approvare norme di tipo americano per le autovetture, capaci cioè di ridurre in misura robusta i gas di scappamento, suscitò una tempesta di critiche e di attacchi. Le imprese automobilistiche, in specie le francesi e le italiane, accusarono il Commissario di mettere a rischio la loro produzione in prevalenza di vetture medio-piccole. Alla fine tuttavia le marmitte catalitiche furono approvate (EURO1), prima tappa di un programma progressivo di inasprimento delle norme non più contestate, che ai nostri giorni si avviano a superare anche il livello attualmente in vigore (EURO4).
Per quanto riguarda le norme nuove, fondate esclusivamente su esigenze ecologiche, il bilancio complessivo dell’azione del Commissario è principalmente legato a tre sue proposte. L’Agenzia dell’ambiente (EPA), la Carbon tax, la creazione di un Ispettorato comunitario dell’Ambiente.
Soltanto la prima ha visto la luce, mentre la seconda ha attraversato fasi di alterna fortuna, senza mai sparire del tutto dal dibattito e dal negoziato, comunitario e internazionale, ma neppure senza mai sconfiggere davvero le numerose esitazioni e diffidenze.
Forse il momento più alto – e più critico – fu raggiunto in occasione del Vertice della Terra, patrocinato dall’ONU, che si sarebbe tenuto nel giugno del 1992 a Rio de Janeiro. R. di M. era sul punto di presentare a Bruxelles il testo definitivo della proposta di direttiva il cui obbiettivo era naturalmente quello di ridurre l’effetto serra. Il Commissario contava di illustrarne il contenuto a Rio. Poiché però la Commissione, auspice Delors, si era già accordata per una conclusione poco impegnativa della Conferenza a proposito della Convenzione sul riscaldamento del pianeta, il Commissario dichiarò che non avrebbe partecipato alla riunione. E qualche giorno dopo si dimise diventando ministro per l’Ambiente del nuovo governo di Giuliano Amato.
Il dinamismo della Politica ambientale durante i quattro anni di gestione di R. di M si spiega certo in parte per la presenza di due circostanze favorevoli. La diffusa reazione dell’opinione pubblica europea in seguito a Chernobyl e più in generale il fatto che il cammino dell’integrazione aveva ripreso un passo accelerato quale effetto della presidenza di Delors.
Ciò riconosciuto, va subito aggiunto che la vivacità e la continuità dell’iniziativa di R. di M. era anche il risultato di un sapiente mix di ricorso alla stampa e di alleanza con il Parlamento europeo. Lo si vide con chiarezza in occasione della dura e vittoriosa battaglia condotta contro la progettata Esposizione universale di Venezia, sostenuta dall’Italia e dal suo governo e fondata sull’applicazione rigorosa delle norme europee sull’impatto ambientale.
Un altro significativo esempio del rapporto politico che il Commissario stabilì con il Parlamento europeo è costituito dalla presentazione del “Libro verde sull’ambiente urbano” (v. Libri verdi), che traeva origine da una Risoluzione parlamentare del 1988, e che fu approvato dal Consiglio dei ministri dell’Ambiente nel gennaio 1991. R. di M. aveva riconosciuto che i problemi erano innanzitutto di competenza (v. Competenze) nazionale e locale, ma che una azione comunitaria avrebbe potuto aiutare a identificare le questioni comuni e a stimolare lo scambio di esperienze nella ricerca di soluzioni più adeguate. Questa filosofia serviva da premessa e giustificazione di una serie di proposte e iniziative concrete, che sarebbero state accettate dalla Conferenza su L’avvenire europeo dell’ambiente urbano, tenutasi a Madrid nell’aprile del ’91.
Dopo il passaggio di R. di M. alla Commissione, la politica ambientale europea non sarebbe potuta più essere solo un elegante esercizio di stile.
Gerardo Mombelli (2012)