Rocard, Michel

R. (Courbevoie, Hauts-de-Seine 1930), figlio del grande fisico Yves Rocard, è senz’altro il più “europeo” dei capi storici del Partito socialista. Fin dall’adolescenza l’Europa è la più forte delle sue convinzioni. Mentre frequenta il liceo risponde con entusiasmo all’“appello ai volontari dell’Europa”, lanciato dal professore di diritto Daniel Villey in “Réforme”, il settimanale della Chiesa riformata di Francia, in cui si chiede a cinquanta giovani di talento di dedicare cinque anni della loro vita alla costruzione europea. Rifiutato perché troppo giovane, durante i cinque anni di studio a Scienze politiche R. scopre la politica e, innanzitutto, l’idea europea. «Per me è stata subito una passione, un’evidenza. La battaglia della mia epoca, della mia generazione».

Coinvolto da uno dei suoi amici, Jean-Jacques de Félice, nel 1948 R. partecipa a Strasburgo a un’assemblea dei popoli d’Europa. Diventato segretario nazionale degli Studenti socialisti nel dicembre 1953, nel maggio 1954 partecipa all’Assemblea europea della gioventù politica, promossa a Vienna dall’organizzazione di destra Paix et Liberté. La sua relazione sull’Europa e il mondo, pronunciata per conto dell’Internazionale socialista, denuncia «la dipendenza europea di fronte agli Stati Uniti» e invita a costruire l’Europa «con la partecipazione di tutta la classe operaia europea». Giudicato filocomunista dai giovani democristiani e dallo stesso Guy Mollet, il discorso, in compenso, è accolto positivamente dai membri dell’Unione della gioventù socialista, di cui R. diventa uno dei leader. Entrato all’École nationale d’administration (ENA) nel 1956, milita contro la politica algerina di Mollet. Nel 1958 segue Alain Savary, che crea il Partito socialista autonomista, diventato nell’aprile 1960 il Partito socialista unificato (Parti socialiste unifié, PSU) con il sostegno di Pierre Mendès France, partito di cui R. sarà nominato segretario nazionale nel 1967. Candidato del PSU alle elezioni presidenziali del 1969, ottiene solo il 3,61% dei suffragi espressi, ma ormai si impone come una delle figure di spicco della sinistra non comunista, portavoce della deuxième gauche di ispirazione cristiana, autogestita, favorevole al decentramento ed europea. Un sondaggio dell’epoca lo colloca in testa alle personalità della sinistra.

Consapevole dell’impasse politica in cui si dibatte il PSU, R. sostiene François Mitterrand nella campagna presidenziale del 1974. La sua prima missione è europea, perché deve negoziare con il socialdemocratico Willy Brandt, cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, una eventuale rivalutazione del franco nel caso che la sinistra vinca le elezioni in Francia. Ma Mitterrand è battuto da Valéry Giscard d’Estaing e i disaccordi con R. non tardano a emergere, soprattutto sul tema delle nazionalizzazioni. Eletto sindaco di Conflans-Sainte-Honorine nelle elezioni municipali del marzo 1977, R. si mostra molto reticente di fronte all’unione della sinistra con i comunisti. Al congresso di Nantes, nel giugno 1977, si richiama a una cultura di sinistra «decentrata, regionalista», contrapposta all’altra «giacobina, centralizzatrice, statalista», incarnata dal primo segretario del Partito socialista. Dopo le elezioni legislative del marzo 1978, perse dalla sinistra, si serve della televisione per invitare a costruire un «grande progetto». Si deve allontanare dalla vita politica in seguito a un incidente e non è in grado di partecipare alla campagna del giugno 1979 per le prime elezioni europee a suffragio universale. Il 19 ottobre 1980 annuncia la sua candidatura per il Partito socialista nelle successive elezioni presidenziali: il cosiddetto “appello di Conflans” è un’iniziativa di enorme goffaggine politica che gli procurerà l’odio perpetuo di Mitterrand.

Dopo la vittoria di Mitterrand alle presidenziali, il 10 maggio 1981, R. è relegato al ministero subalterno della Pianificazione, delle Infrastrutture per il territorio e del Movimento cooperativo nel governo di Pierre Mauroy (giugno 1981). Una delle sue prime iniziative è una visita in Alsazia, per sostenere la vocazione europea di Strasburgo e della sua regione (3 settembre 1981). Al ministero dell’Agricoltura, che occupa durante il terzo governo Mauroy (23 marzo 1983), poi nel governo Fabius (19 luglio 1984), si fa criticare dai produttori di latte francesi, che ritengono di essere poco tutelati nel Consiglio dei ministri della Comunità europea (marzo 1984). Dopo essersi dimesso clamorosamente, il 4 aprile 1985, per esprimere il suo disaccordo nei confronti del ripristino dello scrutinio proporzionale imposto dal capo dello Stato, R. dichiara la sua intenzione di proporsi nuovamente come candidate alle presidenziali del 1988. Surclassato di nuovo da Mitterrand, rieletto con una larga maggioranza, ciò nonostante è nominato primo ministro il 9 maggio 1988.

R. è a capo di un governo sotto controllo, rigidamente sorvegliato e imbrigliato dal Presidente della Repubblica, soprattutto in politica estera. Nella grande tradizione gollista del «dominio riservato» presidenziale, Mitterrand non lascia quasi nessun margine di manovra a R. in quest’ambito, tanto più che il ministro degli Esteri Roland Dumas e quello degli Affari europei Édith Cresson sono fedelissimi del presidente.

Il primo intervento del nuovo primo ministro sulla questione europea è una sorpresa per molti osservatori: in un’intervista concessa al periodico “L’Expansion” (9 settembre 1988), respinge una diminuzione troppo rapida e forte del tasso dell’IVA, rischiando di provocare una crisi all’interno dell’Europa, dando l’impressione che voglia far prevalere gli interessi del suo paese su quelli del mercato unico previsto per il 1993. Così facendo, assume una posizione meno europea di quella della Lettre à tous les Français inviata da François Mitterrand durante la campagna elettorale. Pur ricordando di essere un europeo convinto, R. dimostra che nella sua posizione di primo ministro si considera innanzitutto il difensore dell’interesse nazionale. Questo non gli impedisce di affermare la sua fede «in un’Europa fondata sulla democrazia pluralista, su un alto livello di sviluppo», quando inaugura il 18 ottobre 1988 una targa commemorativa per celebrare il centenario della nascita di Jean Monnet, che fa il suo ingresso nel Panthéon il 9 novembre 1988. In questa circostanza ricorda che la costruzione europea esige «un alto livello di protezione sociale»; e se pure sostiene Laurent Fabius, capolista dei socialisti alle elezioni europee del giugno 1989, impegnato in una campagna per l’Europa sociale, R. ricorda tuttavia con grande pragmatismo che il suo obiettivo primario consiste nel preparare la Francia alla scadenza del 1993, il che comporta delle concessioni a criteri liberali di convergenza. Ciò nonostante, nel dibattito organizzato all’Assemblea nazionale sulla sua politica europea, in cui l’opposizione propone una mozione di censura, riconferma le sue convinzioni socialiste in materia europea: «Socialisti a Parigi, non sceglieremo di certo il liberalismo a Strasburgo o a Bruxelles!» (16 maggio 1989). E il 14 luglio 1989, nel pieno delle celebrazioni del bicentenario della Rivoluzione francese e del vertice dei 7 paesi più industrializzati, dal quale è stato escluso da Mitterrand, R. interviene ugualmente sull’argomento dichiarando alla catena televisiva britannica ITV che Margaret Thatcher, di cui denuncia la «crudeltà sociale», «frena violentemente» il processo di integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

Congedato bruscamente da Matignon da François Mitterrand, il 15 maggio 1991, R. riprende tuttavia nel 1992 una posizione preponderante sia all’interno del Partito socialista che sul piano europeo. Pur avendo sottolineato «gli aspetti molto imperfetti» del Trattato di Maastricht (21 aprile 1992), s’impegna attivamente per la sua ratifica. Su “Le Monde” del 24 aprile 1992 firma un lungo articolo intitolato Après Maastricht, dove insiste ancora una volta sulla dimensione sociale del modello europeo e chiede che l’Europa si comporti «in futuro sempre più come una nazione». In una intervista televisiva del 31 maggio 1992 si pronuncia a favore di un’«Europa più ampia possibile», aperta ai paesi dell’Est, e di un referendum per ratificare il Trattato di Maastricht. Durante la campagna, a partire dal mese di luglio, moltiplica i meeting e le conferenze, esortando i giovani simpatizzanti dei club Forum a essere «patrioti dell’Europa» di fronte a un’Europa dei nazionalisti e dell’odio (5 settembre 1992). La vittoria del “sì” a Maastricht, il 20 settembre 1992, contribuisce alla crescita della sua popolarità, rendendolo di nuovo uno dei candidati potenziali di una futura presidenza.

La disfatta socialista alle elezioni legislative del 22 marzo 1993 permette a R. di impadronirsi finalmente della segreteria del Partito socialista. A questo titolo comincia a «raddrizzare la sinistra», escludendo i mitterrandisti, e apre la lista del Partito socialista in occasione delle elezioni europee, previste il 12 giugno 1994. Durante la campagna elettorale, a Tolosa, difende il progetto di una «nouvelle donne» per l’Europa, cioè un prestito europeo per finanziare una politica di grandi lavori e recuperare le periferie, e anche una Costituzione europea, «breve e chiara, che dica quel che l’Europa fa e non fa» (30 maggio 1994). Anticipando il risultato delle elezioni europee, lancia a Créteil il progetto di una «nuova alleanza» a sinistra, che riunisca tutte le forze progressiste, gli ambienti associativi, compresi i sindacati, nella prospettiva delle future elezioni presidenziali (7 giugno 1994). Ma esce sconfitto dal dibattito televisivo che lo oppone, l’8 giugno, all’ex Presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing e, fatto ancora più grave, subisce la concorrenza della lista Energie radicale di Bernard Tapie, segretamente incoraggiata dal Presidente della Repubblica. Il risultato di questa opposizione fratricida è catastrofica per la lista di R., che raccoglie solo il 14,49% dei voti (ossia il 9% in meno di Laurent Fabius alle europee del 1989) e solo 15 eletti, mentre la lista di Tapie lo tallona con il 12,03% e 12 eletti. Una settimana più tardi R. è escluso dal consiglio nazionale del Partito socialista a favore del mitterrandiano Henri Emmanuelli. Da questo momento R. sembra rinunciare alle ambizioni presidenziali per dedicarsi al mandato di deputato europeo. In questo ruolo riesce a far approvare molte risoluzioni di cui è relatore – sulla diminuzione della durata del lavoro, sulla rinegoziazione della convenzione che lega l’Unione europea a circa 24 Stati dell’Africa sub sahariana, Caraibi e Pacifico, sulla creazione di un Centro di prevenzione delle crisi all’interno della Commissione europea, e contro un progetto di direttiva adottato dalla Commissione e dal Consiglio sulla brevettabilità dei software. Partecipa altresì all’elaborazione del rapporto internazionale La Turquie dans l’Europe, plus qu’une promesse?, guida una missione europea per le elezioni presidenziali palestinesi e diventa l’animatore del Collegium international éthique, politique et scientifique.

Secondo R. l’Europa comincia a controbilanciare l’egemonia americana, come ha dimostrato pilotando l’uscita dalla crisi durante la rivoluzione arancione in Ucraina, o con l’aiuto fornito alla sopravvivenza dei palestinesi. A suo avviso «l’Euro svolgerà sempre più un ruolo stabilizzatore importante nel disordine finanziario mondiale». Deplora invece che l’Europa non abbia ancora definito e difeso un ampio sistema di servizi pubblici e di protezione sociale. È questa, ai suoi occhi, «la battaglia centrale dei socialisti in Europa oggi», una battaglia che gli sembra possibile vincere nell’arco di dieci anni.

Jean   Garrigues (2006)