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Rueff, Jacques

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Alto funzionario dell’amministrazione finanziaria, economista, spirito speculativo dotato di capacità di persuasione e di talento didattico, R. nacque il 26 agosto 1896 a Parigi, ove morì il 23 aprile 1978. Durante il primo settennato di Charles de Gaulle influenzò la politica finanziaria e monetaria del governo e le sue idee sulla riforma del sistema monetario internazionale ancorato all’oro provocarono scalpore. L’ironia della storia, poi, fece sì che proprio lui, liberale e liberista, antikeynesiano e antidirigista, legasse la sua notorietà ai piani Poincaré e Pinay.

Cresciuto in un ambiente borghese e intellettualmente stimolante, R. frequentò dapprima i licei Charlemagne e Saint-Louis e, dopo la Prima guerra mondiale, i corsi dell’École polytechnique e dell’École des sciences politiques. A 25 anni pubblicò il suo primo saggio, Dalle scienze fisiche alle scienze morali, nel quale sostenne che alla base delle manifestazioni dello spirito umano vi erano leggi meccaniche non modificabili e garanti dei grandi equilibri. Il saggio riscosse gli elogi di Henry Bergson e di Paul Painlevé. Clément Colson, suo maestro, dichiarò allora che in Francia era nato «un economista matematico e un filosofo». A 27 anni R. entrò nell’Inspection des finances, iniziando così una carriera che doveva portarlo ai livelli più elevati dell’amministrazione finanziaria: nel 1934 direttore aggiunto e dal 1936 al 1939 capo della direzione del Movimento generale dei fondi (diventata nel 1940 direzione del Tesoro); nel 1939 vicegovernatore della Banca di Francia, carica da cui si dimise nel 1941.

Nella seconda metà degli anni Venti le vicende monetarie della Francia, indebolita da frequenti svalutazioni alle quali era ricorsa per finanziare le conseguenze dello sforzo bellico, videro R. al centro di un acceso dibattito che contrappose ai sostenitori del ritorno del franco al valore del 1914 coloro che invece, come R., ritenevano saggio, proprio per favorire la crescita di un’economia debole e chiusa, evitare di innescare subito un processo deflativo carico di rischi. Nel 1926, chiamato al Gabinetto di Raymond Poincaré, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze del governo di “unità nazionale” (nome, questo, che ricordava ai francesi la union sacrée degli anni della guerra e della quale Poincaré stesso, Presidente della Repubblica dal 1913 al 1920, era stato il simbolo), R. affrontò il compito di mettere ordine nelle dissestate finanze dello Stato. La legge 25 giugno 1928, da lui ispirata, reintroduceva la convertibilità con l’oro e si tradusse in una svalutazione di circa il 20% della moneta francese dell’anteguerra (il c.d. franc Poincaré o, come fu anche chiamato, in relazione all’entità della perdita del suo valore, franc a quatre sous).

Negli anni che precedettero lo scoppio della Seconda guerra mondiale R. affiancò alle funzioni di gran commis dello Stato l’attività scientifica attraverso saggi, conferenze, colloqui e, soprattutto, l’insegnamento all’Istituto di statistica dell’Università di Parigi e all’École des sciences politiques. Egli svolse altresì importanti incarichi ufficiali all’estero (addetto finanziario dell’ambasciata di Francia a Londra dal 1930 al 1936) e presso le organizzazioni internazionali (capo della delegazione francese al Comitato finanziario della Società delle Nazioni). Dopo la liberazione della capitale nel 1944, R. divenne consigliere economico del generale de Lattre de Tassigny, Comandante delle truppe francesi in Germania, rappresentò la Francia nel Comitato per le riparazioni di Mosca e, dopo avere presieduto dal novembre al dicembre 1945 la Conferenza internazionale di Parigi per le riparazioni, guidò fino al 1952 l’Agenzia interalleata di Bruxelles istituita da quella Conferenza.

Ma il “momento di gloria” di R. venne nel settembre 1958, allorché Antoine Pinay, ministro delle Finanze del Gabinetto di de Gaulle, lo chiamò a presiedere il Comitato di esperti per la riforma economica e finanziaria. I risultati dei relativi lavori, sotto forma di “raccomandazioni” presentate al governo in dicembre, suggerivano, da un lato, di rimediare attraverso misure drastiche al dissesto finanziario di un paese ancora alle prese con la guerra d’Algeria e, dall’altro, di preparare l’economia francese al nuovo scenario caratterizzato dall’adesione alle Comunità europee (avvenuta nel 1957 sotto il governo di Guy Alcide Mollet) (v. Trattati di Roma) e dalla conseguente forte spinta alla liberalizzazione degli scambi e alla concorrenza. Il “piano Rueff-Pinay”, entrato in vigore nel gennaio 1959, contemplava una svalutazione del 17% della moneta, l’entrata in vigore il 1° gennaio 1960 del nuovo franco (pari a cento vecchi franchi), la progressiva eliminazione delle restrizioni quantitative agli scambi (riguardanti il 90% delle importazioni), il progressivo ritorno all’equilibrio di bilancio (attraverso l’inasprimento della pressione fiscale), la riduzione della spesa sociale a carico dello Stato, l’aumento delle tariffe dei servizi pubblici e la soppressione di diverse sovvenzioni. Questo piano, su cui si concentrarono le critiche delle parti sociali e di diversi ministri i (che provocarono le dimissioni di Mollet oltre a quelle, respinte, di Pinay) venne considerato troppo liberale e, anzi, di pericolosa applicazione per un sistema fino ad allora fortemente protetto. Nonostante le opposizioni, il piano trovò attuazione grazie all’autorità e al prestigio dei quali godeva nelle circostanze di allora de Gaulle, per il quale mettere l’economia della Francia in grado di misurarsi con un ambito più vasto di quello dei suoi confini geografici significava liberarla dai lacci e dai lacciuoli del corporativismo, della demagogia, del controllo dei cambi e, soprattutto, della “assistenza dall’esterno”.

Grazie al “piano Rueff-Pinay”, la Francia fu dunque in grado di applicare il 1°gennaio 1959 le prime misure contemplate dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) per l’attuazione dell’Unione doganale senza dovere fare ricorso, contrariamente a quanto avevano temuto diverse personalità politiche quali Pierre Pflimlin e Pierre Mendès France, a deroghe o a clausole di salvaguardia. Certamente R. aveva ben presente l’opportunità di dare continuità ai suoi sforzi, e la costituzione di una Commissione, di cui erano presidente il primo ministro Michel Debré e vicepresidenti Louis Armand e R. stesso, aveva lo scopo di favorire la progressiva liberalizzazione prevista dal Trattato CEE. In una serie di articoli pubblicati su “Le Monde” nel giugno 1960 R. sostenne la necessità di un nuovo sistema monetario internazionale nel quale, a differenza di quello di Bretton Woods fondato sulla convertibilità del dollaro, il ruolo regolatore degli scambi sarebbe stato svolto soltanto dall’oro. Contrario ad affidare tale ruolo a un’autorità monetaria, governativa o sovranazionale, egli era convinto che la produzione di metallo prezioso sarebbe stata sufficiente ad assicurare il progressivo incremento degli scambi, evitando così che le banche centrali accumulassero liquidità eccessive, foriere, a loro volta, d’inflazione. Queste convinzioni furono fatte proprie da de Gaulle in una conferenza stampa del 1965.

Tuttavia, se, da un lato, le misure assunte per convertire in oro i dollari della Francia rappresentarono l’attuazione delle idee di R., dall’altro, quando si trattò di decidere dei diritti speciali di prelievo, la posizione del governo francese non fu contraria: un segno che per de Gaulle la creazione di nuova liquidità attraverso quei diritti assumeva il duplice significato di sostenere lo sviluppo del commercio internazionale e di ridimensionare il ruolo del dollaro.

Luigi Guidobono Cavalchini Garofali (2011)

Bibliografia

Rueff J., La crise du capitalisme, “La Revue bleu”, 1935.

Rueff J., Epître aux dirigistes, Gallimard, Paris 1949.

Rueff J., Le péché monétaire de l’Occident, Plon, Paris 1972.

Rueff J., La réforme du système monétaire international, Plon, Paris 1973.