Saraceno, Pasquale

S. (Morbegno 1903-Roma 1991) si iscrisse alla Bocconi nel 1923 e, riuscendo a conciliare studio e lavoro, si laureò nel 1929 con Gino Zappa. Risale a quegli anni, la grande amicizia di S. con Ezio Vanoni. Dal professor Zappa, insieme alle tecniche di analisi dei bilanci aziendali, S. ebbe a recepire piena consapevolezza della presenza, alla radice degli andamenti macroeconomici, dei calcoli e dei comportamenti delle imprese. Proprio tale consapevolezza, bocconiana ed einaudiana, se così può dirsi, avrebbe fatto di Donato Menichella il suo vero maestro, o comunque la personalità che più profondamente avrebbe influito su di lui e sulle sue idee.

Menichella conobbe e apprezzò l’intelligenza di S. in occasione di una ispezione della S.F.I., (la holding nella quale il Credito Italiano aveva concentrato le sue partecipazioni azionarie e di cui lo stesso Menichella era direttore generale), a una società che gestiva a Foggia le “fosse” in cui veniva immagazzinato il grano. Il rapporto sull’ispezione di quel giovane e ancora sconosciuto impiegato della Commerciale, che qualcuno gli aveva casualmente segnalato, parve a Menichella così puntuale da suggerirgli di fare ancora ricorso a S. quando, poco tempo dopo, avrebbe dovuto accingersi a costituire la struttura dell’IRI, il nuovo istituto di cui era stato nominato direttore generale. S. entrò all’IRI nel 1933 e al fianco di Menichella partecipò alla complessa e straordinaria vicenda che portò all’acquisizione da parte dell’Istituto delle partecipazioni azionarie e creditizie delle banche in crisi e poi nel 1936 alla formulazione della legge bancaria.

Contemporaneamente e parallelamente prese avvio la carriera universitaria di S. Nel 1936 conseguì la libera docenza; nel 1942 divenne professore straordinario di Tecnica industriale alla Cattolica di Milano; nel 1959 passò alla facoltà di Ca’ Foscari a Venezia, di cui fu poi professore emerito.

Ancor prima della caduta del fascismo, attraverso Sergio Paronetto, S. entrò in contatto con Alcide De Gasperi, al quale ebbe modo di illustrare il valore della singolare esperienza di intervento pubblico in economia che l’Italia andava compiendo grazie all’IRI. Su questo tema e su quello del Mezzogiorno, in piena sintonia con Menichella e con Francesco Giordani, S. concorse alla formazione degli indirizzi di politica economica dei governi presieduti da De Gasperi e caratterizzati dal ruolo attivo di Einaudi. Decisiva fu l’influenza che il terzetto (Menichella, Giordani, S.) ebbe insieme a Pietro Campilli nella scelta degasperiana di istituire la Cassa del Mezzogiorno.

Sullo sfondo vi era quella intelligente mediazione fra liberalismo e cultura cattolica rappresentata dalla stesura nel 1943 di un documento che prese il nome di “codice di Camaldoli”. S., Vanoni e Paronetto vi collaborarono (insieme a Capograssi, Gonella, Montini e altri intellettuali di ispirazione cattolica) proprio per “codificare” ambiti e limiti dell’intervento in una economia di mercato: cioè per individuare strumenti di intervento dello Stato nell’economia rapidamente smobilizzabili una volta conseguito l’obiettivo. Di qui, fra il 1944 e il 1945, una importante serie di articoli di S. sui temi della moderna economia industrializzata apparsi sulla rivista “Studium”.

Negli anni del secondo dopoguerra S. fece altresì parte della delegazione italiana alla Conferenza della pace di Parigi; partecipò ai lavori della Commissione delle Nazioni Unite per l’Europa, a quelli dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE), più tardi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e della Comunità economica europea (CEE); fu membro del Consiglio della Banca europea per gli investimenti (BEI).

Nel 1946 (con Menichella, Giordani, Cerzato, Caglioti e altre personalità) S. promosse l’iniziativa, realizzata da Rodolfo Morandi (allora ministro dell’Industria) di fondare l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ). Ne sarebbe stato sempre il massimo animatore: prima come segretario generale sotto le presidenze di Morandi e Giordani, poi come vicepresidente sotto le presidenze di Paratore e Cerzato, infine da presidente (carica che avrebbe conservato fino alla morte).

Tra i tanti studi e documenti ispirati da S. ed elaborati alla SVIMEZ, ricordiamo quelli in vista dello “Schema Vanoni” negli anni Cinquanta, quelli della Programmazione economica nazionale degli anni Sessanta e Settanta, quelli di una intensa collaborazione con ministri come Ugo La Malfa e Antonio Giolitti. Proprio grazie allo SVIMEZ l’esperienza italiana di intervento pubblico nell’economia avrebbe attirato l’attenzione della cultura internazionale. Chiamati appunto da S., del consiglio di amministrazione della SVIMEZ avrebbero fatto parte Paul N. Rosenstein-Rodam, Robert Marjolin, Jan Timbergen.

L’unificazione di un’economia dualistica, quale quella italiana, fu sempre considerata da S. questione europea di primaria grandezza. Il Sud in Europa e l’Europa nel Sud fu l’idea e l’indicazione costante di uomo dell’economia e dell’imprese che della programmazione aveva maturato una propria concezione. Essa doveva concepirsi come metodo attraverso il quale si possono, con continuità di indirizzi e di controlli, modificare le convenienze di mercato affinché sia lo stesso mercato a soddisfare esigenze che nascono al di fuori di esso.

S. può essere, quindi, a buon diritto collocato nell’ambito di quella corrente di pensiero e di azione che nella storia d’Italia fa capo a Nitti, il meridionalista e uomo di Stato che già al volgere del secolo aveva visto con straordinaria lungimiranza come il riscatto del Mezzogiorno non potesse che fondarsi sull’industrializzazione. La quale era da promuoversi per S. attraverso l’intervento dello Stato: non però nella burocrazia e nelle nazionalizzazioni, ma nell’ente pubblico operante nello stesso regime di autonomia e responsabilità che vige per l’impresa privata.

D’altro canto, nell’ultimo periodo della sua vita a S. sarebbe capitato di percepire come nei fatti in Italia il meridionalismo fosse stato sacrificato al regionalismo e come le inadempienze del secondo tendessero a considerarsi fallimenti del primo. Il che gli sembrava ingiusto e ingeneroso.

In alcuni articoli sul “Corriere della Sera”, S. aveva reagito e cercato, invano, di riaprire in termini seri e credibili il dibattito nazionale sulle azioni per far riprendere al Mezzogiorno il cammino verso l’Europa.

Luigi Compagna (2010)