Schmid, Carlo

S. (Perpignan 1896-Bonn 1979) è considerato uno dei padri fondatori della Repubblica federale di Germania, nonché uno dei più autorevoli esponenti della socialdemocrazia tedesca del secondo dopoguerra. Di padre svevo e madre francese, il giovane S. partecipò come volontario al primo conflitto mondiale. Finita la guerra, studiò scienze giuridiche, indirizzandosi successivamente alla carriera accademica. Nel 1940 S. fu chiamato dalla Wehrmacht, anche in virtù della sua precedente esperienza di giurista del tribunale del Württemberg, a prestare servizio come consulente presso il Comando superiore militare di stanza a Lille. Qui entrò in contatto con alcuni dei principali esponenti della resistenza tedesca, con i quali collaborò attivamente fino ai falliti attentati contro Hitler del 1943-1944. L’esperienza della guerra e del nazismo fu determinante rispetto alla scelta di S. di dedicarsi successivamente alla ricostruzione politica e spirituale del suo paese (v. Weber, 1999, pp. 129-140).

La sua familiarità con la potenza di occupazione francese gli consentì un rapido ingresso nella politica. Chiamato sin dal 1945 a ricoprire nel Land Württemberg-Hohenzollern il doppio incarico di capo del governo provvisorio e di responsabile dei dicasteri della Giustizia e della Cultura, S., che aveva aderito al partito socialdemocratico tedesco (Sozialdemokratishe Partei Deutschlands, SPD), si trovò nel giro di poco tempo a disporre di amplissimi poteri, che dispiegò per contribuire a quella che egli considerava una necessaria, quanto auspicabile, “politica di educazione” dei tedeschi alla democrazia. Tale atteggiamento pedagogico-prescrittivo, nutrito dal desiderio di non ripetere gli errori di Weimar, trovò esplicita espressione soprattutto nel suo operato di costituente e, in particolare, nel suo sostegno all’idea della “democrazia protetta”. Come segretario della principale commissione del Consiglio parlamentare, istituito nel 1948, S. si adoperò con determinazione per immunizzare la futura democrazia tedesca e i suoi principi fondamentali contro gli eventuali cambiamenti della maggioranza, favorendo inoltre l’introduzione di quei meccanismi di razionalizzazione della forma di governo (come in particolare la “sfiducia costruttiva”), cui si associa generalmente anche l’idea del cancellierato. Sempre a S. va, inoltre, riconosciuta la paternità del termine “legge fondamentale” (Grundgesetz), che i costituenti tedeschi finirono per preferire al più impegnativo concetto di “costituzione” (Verfassung) per affermare il carattere provvisorio della neonata Repubblica federale e, nella fattispecie, la loro indisponibilità ad accettare la divisione del paese come definitiva. D’altra parte, la questione nazionale ebbe per S. un’importanza centrale nel corso di tutta la sua carriera politica, anche in considerazione del fatto che dal 1949 al 1966 fu chiamato a ricoprire l’incarico di presidente prima e di vicepresidente poi della Commissione parlamentare del Bundestag per le questioni di politica estera. In questo ambito S. si distinse nei primi anni dal leader carismatico Kurt Schumacher e da molti altri suoi colleghi di partito per le sue idee meno intransigenti espresse nei confronti della politica filo occidentale di Konrad Adenauer. Soprattutto sul tema dell’integrazione europea, S. manifestò apertamente, senza tuttavia giungere a contestare la linea ufficiale del partito al momento del voto, la sua contrarietà a qualsiasi atteggiamento di opposizione pregiudiziale. In tal senso, egli fu, insieme a Willy Brandt, tra coloro i quali all’interno della SPD per primi rifuggirono dalla tentazione di opporre alla Europa “cristiano-democratica”, “capitalista”, “clericale” e “cartellista” (Schumacher) un’ideologia europea socialdemocratica, ritenendo che il processo d’integrazione europea rappresentasse una necessità a sé stante, che prescindeva dalle contrapposizioni di tipo ideologico (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della). Coerentemente con queste posizioni, S. aderì nel 1949 sia all’associazione europeista Europa Union che al Movimento europeo e, nel 1950, accettò di entrare a far parte dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa di Strasburgo. Per S. il fatto che la divisione del paese rendesse impossibile per la Repubblica federale partecipare sin dall’inizio alla costruzione europea non doveva, infatti, esimere la SPD dal sostenere il processo d’integrazione (v. Schmid, 1949). Tuttavia, le sue posizioni s’irrigidirono, così anche i toni dei suoi interventi parlamentari divennero più aspri, allorché con il progetto della Comunità europea di difesa (CED) i tentativi di costruzione dell’Europa sconfinarono dalla sfera economica verso la dimensione politico-militare (v. Paterson, 1974, pp. 86 e ss.) S. riteneva, infatti, che tra l’alternativa neutralista e l’ingresso della Repubblica federale nella CED vi fosse posto per una terza opzione: «legarsi all’Occidente con forme che non siano percepite dall’Est come minacciose e instaurare con l’Est un rapporto di libero scambio, che rafforzi l’Occidente invece di indebolirlo» (discorso di S. davanti al Bundestag del 9/7/1952). Sulla base di questa convinzione, S. si fece portavoce della proposta di sostituire l’alleanza militare con l’Occidente con un «sistema di sicurezza collettiva»; una soluzione strategica che, a partire dal Congresso di Dortmund del settembre 1952, avrebbe fortemente influenzato il dibattito sulla politica estera e sulla questione nazionale fino alla riunificazione del paese (v. Weber, 1996, pp. 458 e ss.) Tale proposta avrebbe ben presto definito la posizione ufficiale della SPD, paradossalmente proprio nel momento in cui l’influenza di S. all’interno del partito iniziava a declinare (v. Paterson, 1974, pp. 86 e ss.). Sempre sullo sfondo di questa terza “opzione”, S. si unì al coro di quanti condannarono l’atteggiamento di chiusura assunto da Adenauer in risposta alla “nota Stalin” e accolse, invece, molto positivamente l’invito rivoltogli nell’estate 1955 dal cancelliere ad accompagnarlo nel corso della prima visita ufficiale del governo tedesco a Mosca. Con il suo appello alla «magnanimità del popolo russo», S. svolse un ruolo non secondario nell’operazione che avrebbe portato al rilascio dei prigionieri di guerra tedeschi (v. Schmid, 1979, pp. 575 e ss.). Secondo la testimonianza raccolta da Paterson, S. rimase, peraltro, molto impressionato nel corso del viaggio dalla indisponibilità dei sovietici a mostrarsi malleabili sulla questione della riunificazione tedesca (v. Paterson, 1974, p. 120). Nondimeno, S. continuò anche nel periodo successivo a sostenere la normalizzazione dei rapporti con l’Est, nel quadro di un sistema di sicurezza collettivo, come l’unica strategia politicamente e moralmente sostenibile, fino a ventilare l’ipotesi di un riconoscimento di fatto della Deutsche Demokratische Republik (DDR); una proposta che all’epoca in cui fu avanzata suscitò perplessità e imbarazzo anche all’interno del suo partito. In questa prospettiva, egli può essere considerato anche come un precursore della Ostpolitik. Quando, tuttavia, negli anni della Grosse Koalition (1966-1969) la prospettiva di una ridefinizione dei rapporti con l’Est si fece concreta, a S. fu negata la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano, dal momento che gli fu affidato il ministero per i rapporti con il Consiglio federale. Grazie alla sua popolarità e al suo prestigio intellettuale, S. fu chiamato a ricoprire, in patria e all’estero, importanti incarichi istituzionali; i posti chiave del potere, però, gli furono preclusi: dal 1949 al 1966 e dal 1969 al 1972 fu vicepresidente del Bundestag, dal 1963 al 1966 presidente dell’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale a Parigi e dal 1969 al 1969 coordinatore delle relazioni franco-tedesche nell’ambito degli accordi dell’Eliseo (v. Trattato dell’Eliseo). Nel 1959 S. arrivò ad un passo dalla presidenza della Repubblica federale: quale candidato di punta della SPD, fu, infatti, sconfitto con uno scarto minimo di voti dal cristiano-democratico Heinrich Lübke.

Con un misto di sentimenti di orgoglio per il suo passato e di sconforto per il presente, nelle ultime pagine delle sue memorie S. rivendicherà, del resto, l’appartenenza a una particolare generazione di politici: «Di questi nessuno era entrato in politica per brama di potere o nella prospettiva di fare carriera, ma perché credevano che il mondo in cui vivevano potesse essere migliorato, se solo gli uomini si fossero adoperati con maggiore buona volontà, con maggiore comprensione e con maggiori sentimenti umanitari» (v. Schmid, 1979, pp. 852 e ss.).

Gabriele D’Ottavio (2010)