Schumacher, Kurt

S. (Kulm 1895-Bon 1952), figlio di un agiato commerciante, allo scoppio della guerra nel 1914 si arruolò volontario e chiese di essere inviato in prima linea. Gravemente ferito, dovette subire l’amputazione del braccio destro. Nel 1920 si trasferì a Stoccarda per lavorare nella redazione di un giornale socialdemocratico. Fu la sua iniziazione a un impegno politico che sarebbe durato tutta la vita. Dal giornalismo passò, infatti, all’attività partitica nel Land del Württemberg, al cui parlamento (dieta) fu eletto giovanissimo. Si era fatto notare per la vivacità intellettuale, la preparazione teorica e la virulenza degli attacchi ai comunisti e ai nazionalsocialisti, che considerava entrambi antipatriottici: i primi per la loro supina dipendenza dai bolscevichi russi, i secondi per essere asserviti ai grandi capitalisti (egli rimase sempre fedele a una sua interpretazione democratica ma dogmatica del marxismo). Eletto nel 1930 al Reichstag, all’avvento di Hitler al potere fu dichiarato decaduto e, malgrado avesse potuto fuggire all’estero, preferì restare in Germania. Fu arrestato e inviato in un campo di concentramento per avversari politici irriducibili, dove rimase per dodici anni, sino al 1945.

Dopo il crollo del III Reich si dedicò alla ricostituzione della Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) nelle tre zone occupate dagli alleati occidentali e a Berlino. Nel frattempo nella zona sovietica di Berlino un altro esponente del partito, Otto Grotewohl, iniziò invece trattative per la sua fusione con il partito comunista, secondo i desideri dell’occupante. Invano S. tentò di opporsi a quella che considerava non soltanto la definitiva scomparsa della SPD nella Germania orientale, ma anche un grave colpo alla possibilità della riunificazione, che nella sua concezione era il compito principale cui dovevano dedicarsi i tedeschi e i socialdemocratici in particolare. Essa, a suo avviso, poteva realizzarsi soltanto con l’affermazione del socialismo e con la conseguente presa di distanza dai vincitori, da quelli occidentali non meno che da quello sovietico. Questa sua convinzione spiega le decisioni che S., eletto presidente del partito nel l946, fece a esso adottare negli anni successivi, che furono quelli degli inizi della Guerra fredda – svoltasi in parte proprio in Germania – e dei primi tentativi di unificazione europea. S. vedeva con grande sospetto la politica che sino al l948 sembrò esser perseguita dagli alleati occidentali, che consisteva nel creare istituzioni federali basate sulla massima decentralizzazione trattando i vari Länder come se fossero Stati indipendenti l’uno dall’altro. La creazione del “Consiglio economico della Bizona”, che univa le zone britannica e statunitense, avrebbe, secondo S., approfondito la divisione con la zona sovietica e dato troppi poteri ai parlamenti dei Länder a scapito di un futuro governo unitario. Britannici e statunitensi, malgrado in varie elezioni il partito socialdemocratico avesse avuto maggior successo di quello cristiano democratico guidato da Konrad Adenauer, preferirono appoggiarsi su quest’ultimo.

Nella primavera del l948, dopo aver imposto una drastica riforma monetaria, gli alleati occidentali, compresi i riluttanti francesi, proposero ai rappresentanti dei Länder di convocare un’assemblea costituente a cui fosse affidato il compito di creare una repubblica federale. I presidenti dei Länder socialdemocratici si opposero, malgrado fosse cominciato il braccio di ferro per il blocco di Berlino operato dai sovietici. Per S., infatti, la nuova Germania doveva essere uno stato che, pur nel rispetto di limitate autonomie amministrative dei Länder storici, fosse non solo fortemente centralizzato, ma anche guidato da un capo dell’esecutivo che disponesse di ampi poteri. Solo così – egli riteneva – sarebbe stato possibile a un futuro governo socialista imporre delle riforme sociali a tutto lo Stato, senza incontrare resistenze localistiche. La socialdemocrazia, d’altronde, aveva sempre avuto una tradizione fortemente unitaria. Nonostante la sua opposizione, fu creato un consiglio parlamentare, in cui i socialdemocratici restarono in minoranza, che elaborò la “Legge fondamentale” di uno Stato tedesco federale “provvisorio”.

Non meno dura fu l’opposizione della SPD a ogni iniziativa sul piano internazionale come l’European recovery program (ERP o Piano Marshall) o europeo, in cui S. sospettava lo scopo di tenere la Germania debole, divisa e sottoposta al grande capitale internazionale. Egli fu perciò contrario anche alla creazione del Consiglio d’Europa, della Comunità Europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e specialmente della Comunità europea di difesa (CED), organizzazioni che – a suo avviso – non ponevano la Germania su un piano di uguaglianza con gli altri stati europei e le toglievano il diritto sovrano della libertà d’azione internazionale. Per queste sue prese di posizione, S. si scontrò duramente con Adenauer, eletto cancelliere nel l949, accusandolo di essere un docile strumento nelle mani degli alleati occidentali. Il conflitto raggiunse il suo punto massimo tra il 1950 e il 1951 a proposito del riarmo tedesco, al quale la SPD si dichiarò favorevole, ma a condizione che i contingenti della Repubblica federale in un esercito europeo fossero posti sullo stesso piano di quelli degli altri stati e messi in grado di poter reagire immediatamente ed efficacemente anche da soli contro un eventuale attacco sovietico. Quando la CED fu approvata dal Parlamento tedesco, egli dichiarò che se fosse giunto al potere avrebbe fatto in modo che il trattato relativo, da lui definito “illegittimo”, fosse dichiarato nullo. Com’è noto, esso non fu mai ratificato. Le dichiarazioni di S. e le posizioni che egli aveva fatto prendere al suo partito lo posero sempre in contrasto non soltanto con le autorità alleate ma anche con gli altri partiti socialisti europei. Quello italiano, all’epoca legato dal patto di unità d’azione con il Partito comunista, criticava il suo deciso anticomunismo, mentre quello francese si irritava del suo rifiuto a qualsiasi cooperazione europea, economica, politica e militare. Anche i laburisti britannici giudicavano la sua linea politica troppo dogmatica, proprio per quell’impasto di marxismo e patriottismo che rendeva impossibile qualsiasi intesa con gli altri partiti. Già allora alcuni suoi critici, non necessariamente suoi avversari, lo avevano paragonato a Charles de Gaulle per la determinazione con cui sosteneva il suo ideale di assoluta indipendenza e per la scarsa considerazione in cui teneva i governanti stranieri, che accusava di non comprendere che «gli Hitler passano ma la Germania per fortuna resta». Tuttavia, a parte altre ovvie differenze con de Gaulle, egli non ebbe mai l’occasione di mettere in pratica le sue idee. Idolatrato dalla base del suo partito, non era altrettanto amato dagli altri suoi esponenti, che ammiravano il suo passato, ma ritenevano la sua intransigenza ed il suo moralismo improduttivi nella lotta politica. Egli dal canto suo sospettava spesso un troppo tiepido spirito di collaborazione o addirittura infedeltà nei più attivi di loro, come Ernst Reuter che, quale borgomastro di Berlino, era diventato durante il blocco della città (1948-1949) molto popolare in tutta la Germania. Il 20 agosto del l952 S., già da tempo debilitato, scomparve. La sua morte non provocò crisi tra i membri del partito che però, continuando ad ammirare la sua dirittura e la forza della sua personalità, avrebbero lentamente ma sicuramente abbandonato la sua eredità politica, troppo influenzata dai ricordi e dai condizionamenti degli anni Venti. Quando nel l957 la SPD approvò il programma di Godesberg, oltre a rigettare il marxismo, accettò praticamente molte delle scelte – specialmente in economia e nella politica europea e della difesa – contro cui egli si era sempre battuto.

Alberto Indelicato (2010)