Spinelli, Altiero

Gli anni 1907-1927

S. (Roma 1907-ivi 1986) trascorre la primissima infanzia in Brasile (1908-12). Tornato in Italia, frequenta le stesse scuole elementari dove insegna la madre e si distingue per essere un alunno precoce. Il contesto familiare è molto importante per la prima formazione di Altiero. Il padre, che nel frattempo lavora all’industria di cioccolata della famiglia, è un uomo di idee socialiste e anticlericali, è sua la scelta di un matrimonio civile e di chiamare i figli con nomi non riconducibili a santi. Infatti, Altiero è il primogenito maschio, ma avrebbe dovuto chiamarsi Alterio se le poste brasiliane non avessero storpiato il nome indicato dal padre per telegramma alla madre per il nascituro. S. ha una sorella maggiore di nome Azalea, mentre gli altri fratelli e sorelle si chiamano (in ordine di nascita): Veniero, Anemone, Cerilo e infine Asteria, Gigliola e Fiorella. È sempre il padre a iniziare il figlio al socialismo regalandogli, nel 1922, la collezione delle opere di Marx, di Lenin e di Vassalle. In questa fase è decisivo anche il rapporto tra Altiero e lo zio materno, Umberto Ricci, professore di economia all’Università di Roma. L’ottimo rendimento scolastico durante gli anni del ginnasio e del liceo permette ad S. di finire gli studi da privatista e iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza nel 1922 all’età di 17 anni. Al 1922 risalgono anche le prime manifestazioni dello squadrismo fascista ricordate da S., il quale interessandosi di politica condivide l’analisi di Palmiro Togliatti nelle colonne del quotidiano “Il Comunista”. Nell’autunno del 1924 S. aderisce al Partito comunista e dopo poche settimane diventa segretario della cellula del quartiere Trionfale. Scrive S. in merito all’iscrizione al partito: «Sono diventato comunista come si diventa prete, con la consapevolezza di assumere un dovere ed un diritto totali, di accettare la dura scuola dell’obbedienza e dell’abnegazione per ben apprendere l’arte ancor più dura del comando, deciso a diventare quel che il fondatore di quest’ordine aveva chiamato il “rivoluzionario di professione”».

S. frequenta il gruppo universitario comunista della Sapienza dove, fra gli altri, incontra Giorgio Amendola che introduce al comunismo sottraendolo alla tradizione liberale della famiglia. Per le sue capacità politiche e organizzative viene subito coinvolto nell’attività del partito. Dalle memorie di Camilla Ravera si legge un’opinione di Gramsci sul giovane S.: «A Spinelli bisogna fin da oggi dare da fare qualcosa di utile: è un lavoratore, bisogna impegnarlo nella collaborazione con noi». La sua carriera all’interno del partito è in rapida ascesa: fa parte del comitato della federazione giovanile laziale e collabora con Camilla Ravera, Ruggero Greco e Giovanni Fornari. Nel gennaio del 1926 partecipa al congresso nazionale (clandestino) della federazione giovanile comunista, dove fra il gruppo ordinovista di Gramsci e la purezza ideologica di Bordiga, S. sceglie il primo. All’estate del 1926 risale l’ultima vacanza con la famiglia, nella quale S. si mostra isolato rispetto agli interessi dei fratelli. In quest’occasione Giuseppe Dozza gli porta la notizia che deve partecipare al congresso della federazione giovanile comunista francese a Saint-Denis. S. si mette in viaggio e passa la frontiera clandestinamente, ma è scoperto e riaccompagnato alla frontiera da un poliziotto con idee antifasciste. Tornato a Roma S. riceve la proposta di diventare segretario interregionale della gioventù comunista per l’Italia centrale, quindi quadro del partito, accettarne la clandestinità e i rischi. Il padre tenta invano di dissuaderlo. Dal novembre 1926 il loro rapporto è così compromesso e il gelo tra i due continuerà, con brevi interruzioni, anche durante la prigionia fino alla fine della guerra, quando Altiero non sarà più comunista. Sono gli anni in cui il fascismo afferma il suo potere nella politica e nella società. Con il delitto Matteotti e il ritiro delle forze democratiche sull’Aventino la strada è aperta al regime di Mussolini.

Il 3 dicembre 1926 S. è schedato per la prima volta dalla polizia fascista e proposto per cinque anni di confino. Quando arriva la polizia il 4 dicembre per arrestarlo egli è già a Milano, dove scambia i ruoli con il segretario interregionale della zona milanese. S. nella clandestinità prende il nome di Ulisse e spiega così la ragioni di quella scelta: «Da quando ero entrato nella clandestinità mi ero dato lo pseudonimo di Ulisse, perché nel mio animo risuonavano ancora, da quando li avevo letti per la prima volta sui banchi della scuola, i versi “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza”». Come l’eroe dantesco potevo dire di me e de “li miei compagni” che “dei remi facemmo ali al folle volo”. Ed ora il turbine mio si era levato contro; mi aveva sommerso; il volo era finito. Tre mesi più tardi, fra quattro mura, compivo vent’anni». A Milano S. soggiorna sotto falso nome (Giorgio Massari). In questo periodo egli frequenta Battistina (Tina) Pizzardo, già conosciuta a Roma, che sarà sua compagna e amante per pochi mesi, ma con la quale avrà una corrispondenza dal carcere fino a metà degli anni Trenta.

Gli anni 1927-1943

Il 3 giugno 1927 S. è arrestato a Milano, durante un controllo di routine, insieme con Giovanni Parodi e Arturo Vignocchi. La famiglia è informata da Tina Pizzardo la quale è a sua volta imprigionata in altri arresti successivi, insieme con Aldo Penazzato che rivela il nome di battaglia di Altiero. Nella corrispondenza con i genitori S. mostra la sua tempra. Afferma di nuovo le sue convinzioni ideologiche, le sue scelte politiche, parla delle sue condizioni, sostiene che è meglio il carcere dell’università ed è critico nei confronti di una certa gioventù che preferisce una vita comoda. Nel luglio 1927 avviene il trasferimento a Roma presso il carcere di Regina Coeli (cella 561, VI braccio). S. inizia il suo periodo di studio e richiede alla famiglia: vocabolari e grammatiche per il tedesco e il greco; libri di entomologia (sua grande passione) di Jean-Henri Fabre; i tre volumi della storia della rivoluzione francese di Carlyle; il Discorso sul metodo di Cartesio; le opere di Stuart Mill e poi ancora volumi di economia politica, di scienza delle finanze, le Cronache del Villani, testi di storia universale, di storia della filosofia, romanzi (Fëdor Dostojevskij, Jack London, Edmond Rostand), classici greci e latini insieme a grammatiche russe e francesi, praticamente una biblioteca. La censura carceraria non consente a S. di ricevere tutti i titoli. In proposito egli si lamenterà, senza successo, scrivendo una lettera (il 20 gennaio 1928) all’ispettorato generale delle carceri per segnalare come la censura del cappellano del carcere si ispirasse più alla morale cattolica che a quella fascista. Il primo interrogatorio avviene il 3 agosto del 1927 dove S. nega tutto, in base alla linea di difesa stabilita insieme agli altri compagni arrestati con lui. Si fa passare per agente di commercio, ma rifiuta di fare il nome dell’azienda per non comprometterla. Nel suo stesso mandato di cattura figurano ottantadue nomi, tra cui quello di Umberto Terracini. A carico di S. c’è l’imputazione di partecipazione a un’organizzazione segreta a carattere militare finanziata dall’estero, con relativa propaganda per fomentare la guerra civile; ricostituzione del partito comunista e apologia di reato: è imputato, insomma, di quasi tutti i crimini previsti dalle leggi speciali fasciste. Nel secondo interrogatorio, allo stesso modo, S. continua a negare l’appartenenza al partito comunista e non riconosce le prove a suo carico, trovate nelle perquisizioni delle case milanesi dei compagni. È rinviato a giudizio davanti al Tribunale speciale. Nella corrispondenza in attesa del processo la madre ha toni disperati, mentre S. prova a consolare la famiglia convinto che la bufera fascista si placherà presto e consigliando letture (libri di Thiers e Taine) al fratello Veniero. Il 18 marzo 1928, in occasione dell’anniversario della Comune di Parigi, S. riceve la prima punizione con isolamento (fino al 5 aprile) per aver tenuto un discorso di commemorazione. Il processo si apre il 6 aprile 1928, ma S. dichiara di rispondere solo al Partito comunista e non ai giudici del Tribunale fascista. Si presenta con abiti consunti, nonostante la famiglia lo avesse pregato di indossare abiti nuovi. L’atteggiamento di rigore è simile al contegno di Amedeo Bordiga, tra i fondatori del PCI, al cui processo S. aveva assistito nell’estate del 1923. S. viene condannato a 16 anni e 8 mesi, senza attenuanti (quali, per esempio, buona famiglia) nonostante per la legge di quel tempo, non sia maggiorenne. Inoltre, il codice penale Zanardelli prevedeva che per le lunghe detenzioni fosse prevista la segregazione cellulare per un sesto della pena in completo isolamento. Nel caso di S. l’isolamento corrisponde a 2 anni e 9 mesi, trascorsi nel carcere di Lucca. Sulla sua condanna S. scrive in una lettera ai genitori: «Non c’è veramente nessuna ragione di atterrirsi nel sentir parlare di 16 anni di reclusione che certamente non farò. Mi dispiace che crediate che non sento la mancanza della libertà […]. Ma io non conosco un desiderio di libertà che mi faccia diventare vile. Se anche domani dovessi per caso uscire dal carcere, preferirei continuare ad agire come ho agito finora piuttosto che accontentarmi di vivere vilmente sicuro. La vera libertà consiste nell’agire conformemente alle proprie idee e nel saperne sopportare le conseguenze. E mi sento molto più libero io qui in carcere che una quantità di persone che “libere” non hanno il coraggio di muovere un dito a favore di ciò che pensano».

La detenzione nel carcere di Lucca dura dal 20 maggio 1928 al 9 gennaio 1931. In questo periodo S. studia e, con poco impegno, lavora come impagliatore di sedie. Si dedica alla matematica (che continuerà con Eugenio Colorni a Ventotene), agli scritti di Leibniz e alla filosofia della scienza. Si misura con la lettura in lingua originale di testi francesi, tedeschi, latini e greci (lingue imparate in prigione), si cimenta anche con il russo e lo spagnolo. Lo studio della filosofia classica tedesca (Kant, Hegel), del pensiero marxista, del socialismo scientifico e di Croce sono “tollerati” dalla censura, sempre presente, ma meno restrittiva rispetto a Regina Coeli. Invece, rimane sotto stretta sorveglianza la corrispondenza epistolare. S. ha diritto di scrivere due lettere al mese di quattro facciate. Tuttavia, sia per le continue difficoltà nella spedizione sia a causa del controllo più severo per i detenuti a sorveglianza speciale, le lettere in entrata e in uscita dal carcere sono poco affidabili come fonti. Pertanto, S. non ha informazioni sulla situazione politica italiana, né su quella internazionale. Appena liberata nel settembre 1928, Tina Pizzardo chiede a S., attraverso la famiglia, di sposarlo. Ha inizio così una corrispondenza tra i due molto controllata dal direttore del carcere, poco incline a riconoscere loro la condizione di “fidanzati”. Altiero mostra titubanza nelle sue lettere verso la proposta della compagna, anche perché la prospettiva del matrimonio genera false speranze nella madre, che vorrebbe vederlo presto libero. S. respinge ogni pressione paterna per la richiesta di grazia, inizialmente non senza indugi. Infatti, lo stesso S. descrive nelle pagine del diario la tentazione di tornare in libertà: «Un giorno di agosto del 1929 – avevo 22 anni ed ero vuoto di saggezza nella carne e nello spirito – ho saputo che un compagno di carcere avendo fatto domanda di grazia era stato liberato. Per alcuni giorni sono stato in una vera e propria agonia. Uscire dal carcere non dipendeva dunque che da un mio gesto».

Se S. non accetta l’idea della grazia, non è contrario alla revisione del processo. Infatti, la sua condanna è avvenuta ai sensi dell’art. 3 delle leggi speciali del 1926, che prevedeva una pena variabile dai quindici ai trenta anni per complotto contro lo Stato e istigazione all’attentato. Gli altri appartenenti al disciolto partito comunista erano stati in seguito condannati ai sensi dell’art. 4 della stessa legge, che prevedeva una pena dai tre ai dieci anni per la riorganizzazione di un partito disciolto dall’autorità. Nel maggio del 1930 S. presenta istanza di revisione senza consultarsi con i genitori, ma a essa non segue nessuna risposta positiva. Intanto continua a opporsi alla domanda di grazia proposta dal padre e fa desistere i genitori dal chiedere ogni genere di raccomandazione per avere uno sconto di pena. La fierezza di Altiero appare in un passaggio di una lettera ai suoi, diretto al padre: «Tu, babbo, non ti addolorare se io ho imparato delle idee diverse da quelle che tu avresti desiderato. Non tutti gli uomini possono avere le medesime opinioni. Ma questo ho innegabilmente imparato da te, ad essere fiero della mia dignità, a non vergognarmi di quello che penso, a saperne sopportare le conseguenze, e a saper non essere schiavo del desiderio di denaro».

Il 10 gennaio del 1931 S. lascia il carcere di Lucca, destinato alla casa di pena di Santa Maria in Gradi di Viterbo, dove arriva il 19 dello stesso mese. Durante il viaggio fa tappa nelle celle di transito di Pistoia, di Firenze e di nuovo nel carcere di Regina Coeli di Roma. La detenzione nel carcere di Viterbo dura dal 19 gennaio 1931 alla metà di luglio del 1932. Scrive S. nel diario meditando su quel soggiorno: «Avevo lasciato Lucca col senso di avervi traversato un periodo provvidenziale della mia vita. A Viterbo lasciai invece dietro di me un periodo arido in cui avevo cercato la compagnia e trovato la solitudine, cercato il dialogo e trovato il monologo, cercato l’amore e trovato la rinuncia». Naufraga, infatti, contro il muro dell’ideologia e della disciplina di partito la sua intenzione di «poter intraprendere l’opera di convincimento che mi ero proposta sull’urgente necessità di ripensare non tanto questa o quella linea politica, quanto i principi fondamentali sui quali l’Internazionale aveva creduto di poter fondare la lotta per il comunismo». La censura nel nuovo carcere è più severa e i controlli sono più frequenti. Nonostante questo, nella casa di pena è presente un collettivo comunista sotto la guida di Giuseppe Pianezza, il quale riesce a tenere i contatti con il partito cui invia i verbali delle riunioni. Nell’atteggiamento di S. di fronte alle direttive del partito emergono tutti i dubbi maturati attraverso le letture. Si arriva al primo scontro in occasione del dibattito all’interno del collettivo sulla svolta attuata dal partito comunista durante il IV congresso clandestino a Colonia nel 1931. S. è già individuato da Pianezza come elemento deviante rispetto al gruppo, insieme ai bordighiani (Zanasi, Fiore, Bussanich e Sandrone). Di fronte ai compagni, S. nega punti considerati fondamentali. Al momento del voto sull’accettazione della relazione finale di Colonia sono presentate tre mozioni, di cui una di S. che si vota da solo. I principali punti di dissenso sono: l’ideale della “libertà proletaria”, secondo lui superiore a quello della dittatura del proletariato sostenuto dal partito e l’“atteggiamento passivo” di questo verso l’Unione sovietica. Dopo il voto sulle mozioni, Pianezza cerca di difendere S. imputando le sue “deviazioni” alla condizione di recluso.

Alle sue letture se ne aggiungono le seguenti a Viterbo: Shakespeare, Les fleurs du mal di Charles Baudelaire, i romanzi di Lewis Sinclair (Babbit e Arrowsmith), Madame Bovary di Gustave Flaubert, le opere di Ivan Turgheniev, Lion Feuchtwanger (Süß l’ebreo), Honoré de Balzac (Eugénie Grandet), Israel Zangwill (I sognatori del ghetto), le favole dei fratelli Grimm in tedesco, Arnold Zweig (La questione del sergente Griscia), Jacob Wasserman, (L’affare Maurizius); Hegel, Alfredo Oriani, Giambattista Vico, Theodor Mommsen e, a dimostrazione della curiosità intellettuale di Altiero, Piero Gobetti, Bolton King e la rivista di Einaudi, “la Riforma sociale”. Sul piano familiare, S. apprende della conversione al cattolicesimo delle sorelle Anemone e Azalea e intensifica i rapporti epistolari con il fratello Veniero, che si è trasferito a Torino e fa da intermediario con Tina. Tra Altiero e il fratello vi sono divergenze di vedute e di interpretazione su comuni letture. Tuttavia, Veniero rimane un valido punto di riferimento fino a quando è arrestato il 29 luglio del 1931 per appartenenza al PCI e propaganda a favore del partito. Infine, contrasti fra la famiglia S. e Tina, che si aggiungono a sue esitazioni verso il matrimonio, la inducono a un profondo ripensamento e a un allontanamento da Altiero il quale, impotente, vede crescere la sua solitudine. Nel giugno 1932 avviene il trasferimento di S. e Veniero presso il carcere di Civitavecchia, dove sono raccolti tutti i detenuti politici considerati irriducibili. Prima di partire, S. ribadisce alla famiglia la sua scelta antifascista. Dopo l’isolamento “provvidenziale” di Lucca e il periodo “arido” di Viterbo, il soggiorno a Civitavecchia vede acuirsi lo scontro con il partito.

La nuova detenzione dura dalla seconda metà di luglio del 1932 al marzo del 1937. In questo periodo, e in particolare tra il 1932 e il 1935, avviene una vera e propria evoluzione nel pensiero di S., che critica Marx e apprezza Croce, come si può leggere anche nelle lettere inviate al padre e come emerge dai suoi contributi alle discussioni con gli altri comunisti. Altiero condivide “il camerone” con Mauro Scoccimarro, Giovanni Parodi, Girolamo Li Causi e altri venti detenuti. Tra i compagni di prigionia si possono ricordare i nomi di: Manlio Rossi Doria, Eugenio Reale, Emilio Sereni, Pratolongo, Santhià, Voccoli, Francesco Leone, Leo Valiani, Pietro Secchia e Umberto Terracini. Quest’ultimo è senza dubbio il leader del gruppo comunista. Inizialmente S. partecipa alla vita del collettivo, alla gestione dei soldi, alle forti proteste dei detenuti in seguito al sequestro dei libri, alle letture collettive ed alle lezioni politiche di Terracini. A questi S. si sente più vicino rispetto, per esempio, alle posizioni di Secchia, con il quale si scontrerà, poiché egli approva la politica comunista nei confronti di Hitler. Per mettere in evidenza i limiti della politica comunista, S. si riferisce agli articoli di Carlo Rosselli Italia e Europa, La guerra che torna. Egli si riconosce pienamente, infatti, in questi scritti del giugno 1933.

Intanto, l’11 novembre 1932 il fratello Veniero è libero grazie a un’amnistia e il fascismo “abbuona” cinque anni di pena anche a S. Egli accetta la richiesta del padre a favore di una nuova revisione del processo e dà indicazioni su come procedere e quali articoli citare. La domanda non è presa in considerazione, ed egli riprende gli studi, dedicandosi a Gioacchino Volpe, Giordano Bruno, Sorel, Bergson ed alle letture sulla questione meridionale. Nel frattempo Veniero parte per Torino, dove è inserito da Tina nell’ambiente culturale di “Giustizia e libertà”, frequentando un gruppo di intellettuali, tra i quali Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Bruno Maffi, Renzo Giua, Barbara Allason, Vittorio Foa, Aldo Garosci, Henek Rieser. Quest’ultimo è un polacco trasferitosi in Italia che Tina sposerà alla fine del 1935. Veniero informa Altiero di queste frequentazioni prima di scomparire nella clandestinità. In questi anni S. si interessa all’educazione dei fratelli più piccoli, quindi di pedagogia spiegando il metodo Montessori alla madre (maestra) e ugualmente di psicanalisi. Una nuova amnistia, nel settembre 1934, in seguito alla nascita della figlia del re, permette a S. di avere una riduzione di altri due anni: da scontare restano dunque solo due anni e quattro mesi. Intanto continuano con l’altro fratello, Cerilo, le discussioni interrotte con Venerio sui temi di politica, di filosofia e di cultura. Anche Cerilo conosce il carcere, ma soltanto per un breve periodo, dal 4 gennaio 1936 al 19 febbraio 1937, poiché beneficia anche lui di un’amnistia. S. apprende tardi del matrimonio di Tina, nascosto finora dalla famiglia; egli cerca di dimenticarla presto, avendo sopportato finora ben altre sofferenze. La situazione politica a livello internazionale è in movimento: il 1935 è l’anno del VII congresso comunista a Mosca, della guerra fascista d’Etiopia, delle prime avvisaglie della guerra in Spagna, cui S. pensa di partecipare contando di espatriare clandestinamente dopo la sua liberazione. All’interno del collettivo l’analisi sulla nuova posizione del PCI vede un giudizio negativo e una posizione critica di S. insieme a Terracini, Leo Valiani e Carlo Alpi. S. è un aperto sostenitore di una società socialista, e agli occhi dei compagni appare sempre più come un comunista in crisi. Quando, il 28 gennaio 1937, S. è pronto a uscire dal carcere, in realtà viene deferito per l’assegnazione al confino. Fino all’11 marzo 1937 resta a Regina Coeli, da cui inoltra una serie di ricorsi a Mussolini, tutti disattesi. Poi è imbarcato verso Ponza.

S. è confinato nell’isola di Ponza dal 12 marzo 1937 al 12 luglio 1939. Qui avviene la definitiva espulsione dal PCI. L’opera di formazione avviata da S. in carcere continua anche nell’esperienza del confino. Questa ha spesso generato il contrario di quello che il fascismo si attendeva: non l’annientamento spirituale dell’avversario bensì il suo rafforzamento culturale e la formazione di “quadri” antifascisti preparati e motivati. Il confino, inoltre, offre maggiori nascondigli per il materiale di propaganda e rappresenta un fattore di educazione verso la popolazione locale completamente estranea al dibattito politico. I detenuti si riuniscono in gruppi di cui i principali sono duecento comunisti, trenta anarchici, un piccolo gruppo di giellisti, alcuni ex comunisti e un solo socialista, Sandro Pertini. Tra i compagni di confino S. ritrova Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro, Girolamo Li Causi e Umberto Terracini. In aprile S. è sistemato in un alloggio indipendente e riesce così ad appagare il suo crescente bisogno di solitudine. A Ponza il confronto con la dirigenza comunista diventa sempre più aspro e Secchia decide di “affidare” S. a Giorgio Amendola. Quando giunge la notizia dei processi staliniani del 23 gennaio 1937, ai compagni si chiede di approvare le epurazioni volute da Stalin all’interno del partito comunista sovietico. S. ha un atteggiamento molto critico nei confronti della sottomissione pretesa dal partito e della politica dell’URSS nella guerra di Spagna. Rifiuta di fare autocritica come richiesto da Amendola e, in risposta, presenta al comitato direttivo del collettivo comunista un quaderno in cui espone la sua interpretazione della politica staliniana, manifestando un forte dissenso dall’ideologia marxista. Le tesi di S. sono confutate punto per punto e, di conseguenza, su proposta di Giorgio Amendola egli è espulso dal PCI per «deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese» (insieme a lui è allontanato anche Carlo Alpi). Solo Umberto Terracini mantiene un atteggiamento più morbido verso le posizioni espresse da S. All’espulsione segue il bando: S. non è più salutato, è escluso dalle mense gestite dai comunisti, non è più degno di uno sguardo e di una parola, come se fosse una non-persona, «come se al mio posto ci fosse l’aria», scrive, e spiega nel modo seguente la scelta, così dolorosa, di lasciare il PCI: «Mentire con me stesso, rinunziare alla libertà del mio pensiero non è però mai stato scritto nel patto tra l’anima mia ed il comunismo, ed è contro questo scoglio che ora fa naufragio la mia militanza con voi […]. La conclusione cui non posso sottrarmi è che per nulla al mondo vorrei rinunziare alla mia libertà, se l’ho difesa in me stesso contro i muri di pietra e quelli di idee che mi circondano, se per essa ho accettato di distruggere tanta parte di me, devo volerla anche per il mio prossimo. Perciò dopo dieci anni di riflessioni vi lascio e mi accingo a passare nel campo di coloro che non sempre riescono, ma almeno si propongono di limitare il potere, necessario, ma demoniaco dei governi, di metterlo al servizio della comunità, di garantire la libertà dei cittadini». Dopo il bando dal PCI la vita di S. trascorre tra lo studio, il lavoro di traduzione e la sua attività di orologiaio. Tra le letture compiute si segnalano: la Storia d’Italia di Benedetto Croce; la Storia del Risorgimento italiano di Renato Fabietti; la Storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia di Cesare Spellanzon e infine, L’Italia in cammino di Gioacchino Volpe. La sua traduzione dell’opera di Eduard Füter, Storia della storiografia moderna è proposta a Laterza, ma la casa editrice rinuncia. Soltanto dopo l’intervento di Croce presso l’editore Ricciardi di Napoli avverrà la pubblicazione nel 1934. In questo periodo S. si sforza di diventare il più possibile indipendente dalla famiglia, in considerazione delle difficoltà economiche che attraversa in quel momento e delle precarie condizioni di salute della madre. Dopo il periodo di prigionia trascorso a Ponza, S. è trasferito a Ventotene.

Il confino sull’isola di Ventotene dura dal 13 luglio 1939 al 18 agosto 1943. Così lo ricorda S.: «Quegli anni in quell’isola sono ancora oggi presenti in me con la pienezza che hanno solo i momenti ed i luoghi nei quali si compie quella misteriosa cosa che i cristiani chiamano l’elezione».

Le condizioni di vita dei prigionieri politici restano molto dure. Il regolamento prevede più appelli giornalieri e una limitata mobilità; in particolare, per i detenuti politici la sorveglianza è a vista: ogni prigioniero speciale, come S., ha una guardia a distanza di pochi passi, per questo chiamata “angelo” dai confinati. I gruppi politici sono più numerosi a Ventotene, si contano 400 comunisti, i cui leader restano Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia e Umberto Terracini; gli anarchici; i membri di Giustizia e libertà; alcuni socialisti, tra cui Sandro Pertini, Eugenio Colorni e Alberto Jacometti; mentre tra gli apolitici vi sono i testimoni di Geova, la setta protestante degli studenti biblici, i pentecostali, gli abissini e gli albanesi.

S. soffre l’isolamento dai compagni e nell’estate del 1940 inizia a frequentare Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. In particolare con Rossi avvia una proficua attività di traduzioni che gli permetterà di guadagnare anche del denaro. Scrive Jacometti nelle sue memorie: «Se l’Italia post-fascista possiederà immediatamente traduzioni di notevoli opere inglesi e tedesche, lo si dovrà all’operosità di costoro durante gli ultimi due anni». A sancire il rapporto di amicizia, nell’ottobre 1942, S. prepara una «nota autobiografica per Rossi dopo le maldicenze fatte presso di lui da varia gente» per difendersi dalle malelingue. Insieme a Colorni, condivide l’amore per il nuoto, per la matematica, per la psicoanalisi. Oltre a riparare orologi insieme a Giuseppe Pianezza (anche lui allontanatosi dal PCI), si dedica anche alle attività agricole, in parte a seguito del suo nuovo incarico di responsabile della mensa federalista, la prima a Ventotene e in tutta la Resistenza europea. Il periodo sull’isola è principalmente legato alla stesura del Manifesto per un’Europa libera ed unita (in seguito noto come Manifesto di Ventotene), riconosciuto come il documento politico fondante del Federalismo europeo. Le idee del testo nascono dalle discussioni tra S., Rossi e Colorni alle quali partecipano altri confinati fra i quali si ricordano Dino Roberto, Giorgio Braccialarghe, Arturo Buleghin, Ursula Hirschmann (moglie di Colorni), nonché i due albanesi Lazar Fundo e Stavo Skendi. Per l’ispirazione e la preparazione del manifesto è preziosa la corrispondenza tra Rossi e Luigi Einaudi (al primo è concesso ricevere posta pur essendo un prigioniero politico “pericoloso”), grazie alla quale giungono sull’isola alcuni scritti dell’economista italiano e dei federalisti inglesi, tra i quali il libro di Lionel Robbins The economic causes of the war (1940), considerato illuminante da S.

Il Manifesto è terminato nel maggio 1941, quando le sorti della guerra sono ancora a favore delle forze nazifasciste. Dopo l’attacco tedesco all’URSS una seconda stesura è preparata nel giugno-agosto, e in questa le critiche all’accordo Molotov-Ribbentrop sono più moderate. Per quanto riguarda i contenuti, la prima edizione stampata (agosto 1943) presenta una struttura quadripartita: il primo capitolo è dedicato alla «crisi della civiltà moderna» generata, secondo gli autori, dalla sovranità assoluta dello Stato nazionale; il secondo e il terzo capitolo contemplano i «compiti del dopoguerra» e, rispettivamente, l’obiettivo dell’«unità europea» intesa come una federazione europea, insieme alla «riforma della società»; infine, nel quarto capitolo si prevede una «situazione rivoluzionaria» con lo scontro tra «vecchie e nuove correnti», tra quanti vogliono mantenere in Europa il vecchio ordine degli Stati nazionali e coloro che si battono per il suo superamento in una riorganizzazione federale del continente europeo. A distanza di anni lo stesso autore individua gli errori e i concetti ancora attuali del Manifesto. Tra gli errori vi sono: l’idea di un partito rivoluzionario, di origine leninista; la convinzione che dopo la guerra si sarebbe creata una crisi rivoluzionaria propizia per la fondazione dello Stato federale europeo; l’assenza di una analisi geopolitica, conseguenza della condizione di reclusione in cui era stato scritto il documento. Riconosce S.: «Più grave era il fatto che non avevamo in alcun modo previsto che gli europei, dopo la fine della guerra, non sarebbero rimasti più padroni di sé nella ricerca del loro avvenire, ma avendo cessato di essere il centro del mondo, sarebbero stati pesantemente condizionati da poteri extraeuropei». Invece, le idee forza del Manifesto sono: l’intuizione che la federazione europea non ha un valore solo ideale e culturale, piuttosto è un obiettivo politico per il quale la generazione attuale deve battersi subito («Non un invito a sognare, ma un invito a operare»); l’idea che la priorità politica dell’idea federale comporti la fondazione del Movimento federalista europeo, un’avanguardia nella società con l’obiettivo di raggiungere l’obiettivo della federazione; la convinzione che la nuova linea di divisione non è più tra destra e sinistra, ma tra le forze dell’innovazione e le forze della conservazione: da una parte, coloro che si battono per la creazione di un nuovo potere (federale) sopranazionale, dall’altra, quanti continuano a credere nell’ordine (diviso) degli Stati nazionali.

La circolazione del Manifesto tra i confinati suscita forti reazioni: la maggioranza esprime contrarietà e scetticismo, pochissimi lo appoggiano apertamente. In quel clima di nuove tensioni, e di vere e proprie scissioni (come sopra indicato nasce la prima mensa federalista), S. prende il nome di battaglia Pantagruel. Durante i colloqui con Rossi e Colorni, come sopra accennato, Altiero conosce la giovane Ursula, al tempo moglie di Eugenio. Ella svolge un ruolo molto importante per diffondere sul continente i primi scritti federalisti, in particolare due saggi: Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche e Politica marxista e politica federalista. Questi sono oggetto di un’intensa corrispondenza con Colorni, nel frattempo liberato e rientrato a Roma tra il maggio-giugno del 1943. Caduto Mussolini, il 25 luglio, il governo Badoglio fa crescere tra i confinati le speranze di una immediata liberazione. Tuttavia, detenuti comuni, anarchici e comunisti sono trasferiti in Toscana fino all’agosto 1944. Nei concitati giorni dopo la caduta del duce S. scrive, il 3 agosto, le Tesi federaliste; come in seguito avrà modo di spiegare: «Nate in un momento in cui mi chiedevo se mai sarei uscito vivo dal confino [le Tesi] avevano la concisione di un testamento politico». Infatti, saranno sostanzialmente i testi di riferimento per l’imminente fondazione del Movimento federalista europeo (MFE). Il 18 agosto S. è un uomo libero, e descrive così i suoi sentimenti: «Mi congedai idealmente da tutti i compagni di prigione di tutte le tendenze. L’intima loro fierezza gregaria consisteva nel sapere che ora uno ad uno stavano tutti raggiungendo il loro posto di battaglia nella loro formazione politica, la quale esisteva, era ben nota, li aveva attesi e si accingeva ora ad accoglierli festosamente per la loro fedeltà tenace. La mia solitaria fierezza era di tutt’altra natura, perché nessuna formazione politica esistente mi attendeva, né si preparava a farmi festa, ad accogliermi nelle sue file. Sarei stato io a suscitare dal nulla un movimento nuovo e diverso per una battaglia nuova e diversa – una battaglia che io, ma probabilmente per ora solo io, avevo deciso di considerare, benché ancora inesistente, più importante di quelle in corso in cui andavano ad impegnarsi tutti gli altri. Con me non avevo per ora, oltre me stesso, che un Manifesto, alcune Tesi e tre o quattro amici, i quali attendevano me per sapere se l’azione della quale avevo con loro tanto parlato sarebbe veramente cominciata».

Il 27 e 28 agosto 1943 a Milano, in casa di Mario Alberto Rollier, nasce il MFE. Durante la riunione, tra gli antifascisti presenti, il manifesto è quasi ignorato: come ricorda lo stesso autore, «rimase in soffitta semidimenticato». Solo in una fase successiva è riconosciuto l’«atto di nascita della più coerente azione federalista in Europa». Inizia per S. la diffusione delle idee federaliste nel panorama politico italiano ed europeo.

Gli anni 1943-1945

«Fra il 1943 e il 1945 ho lavorato sull’ipotesi di una rinascita democratica impetuosa che sarebbe partita dall’avvenuta distruzione non solo dell’ordine europeo del passato, ma anche di quello interno di quasi tutti gli Stati-nazione dell’Europa»: così S. scrive sui primi anni di libertà, trascorsi principalmente in Svizzera, in Francia e a Milano per cercare nuovi federalisti.

Seguendo l’esempio di altri antifascisti costretti all’espatrio, anche i federalisti prendono la strada della vicina Svizzera. S. vi arriva il 15 settembre 1943 nelle vicinanze delle Cantine di Mandria. L’ingresso nella confederazione elvetica avviene con l’aiuto di alcuni contrabbandieri e il pagamento di 5000 lire. Alla polizia S. dichiara di essere “studente”, “senza religione” e di essere conosciuto dal consigliere socialista del Cantone Ticino Guglielmo Canevascini e dal fratello di Mario Alberto Rollier, Guido. Durante il breve fermo di polizia, S. fa la conoscenza di Rodolfo Morandi, dirigente del partito socialista, cui farà leggere i suoi scritti federalisti, Politica marxista e politica federalista e Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche. Tra i due intercorre uno scambio epistolare che mette in evidenza da una parte le resistenze socialiste al pensiero federalista e dall’altra la differenza tra l’approccio federalista e quello dottrinale socialista sulla questione internazionale, come si è già manifestata a Ventotene con Sandro Pertini. Sono diverse, inoltre, le due concezioni e le rispettive posizioni sul concetto di classe. Morandi rimprovera al federalista di aver abbandonato la nozione di classe che S. considera superata nell’esperienza delle moderne società industriali. Tale polemica coinvolge anche il pensiero di Giustizia e libertà. Così dice S. in una lettera a Ernesto Rossi, datata 15 ottobre 1943: «Credo che di tutta l’impostazione ideologica dei giellisti e dei socialisti ci sia maledettamente poco da utilizzare. Il “giacobinismo” del programma di GL è interessante solo per la formazione mentale dei giellisti del 1933, ed è di una qualità molto superficiale». Tali posizioni finiranno per allontanare S. da Morandi., mentre si aprono spazi per una collaborazione con Ignazio Silone, cui lo lega soprattutto l’atteggiamento critico nei confronti della dirigenza socialista. A Daro di Bellinzona, dove si sistema nell’appartamento di un socialista ticinese, Ursula e Altiero fanno la conoscenza di Teresa e Bruno Caizzi, che saranno in seguito tra gli amici più cari di S., e frequentano poche persone fra cui Ernesto Carletti, l’avvocato Ferdinando Targetti e Gugliemo Canevascini. Attraverso Leo Valiani, S. riesce ad avere notizie sulla sua famiglia, in particolare sul fratello minore, Veniero, il quale attraverso una movimentata militanza, si è arruolato nell’esercito americano con il quale torna in Italia per poi disertare. Grazie all’aiuto finanziario di Veniero, S. può vivere in Svizzera senza il sostegno del comitato di soccorso di Lugano.

Leo Valiani gli offre la possibilità di aderire a una nuova formazione politica, il Partito d’Azione (PdA), che si presenta come la vera novità del panorama antifascista italiano. S. confida questa sua decisione a Ignazio Silone; decisione che è condivisa anche da Rossi. Entrambi vedono aprirsi la possibilità di influire su un partito “nuovo”. «Io ed i miei amici intendevamo mantenere tuttavia al movimento federalista il carattere di movimento al di sopra dei partiti, perché esso pone un problema che è oggi preliminare alla stessa divisione in partiti su scala nazionale. Quantunque i migliori membri del PdA abbiano accettato l’impostazione politica internazionale federalista, essa estende la sua influenza – e ancor più dovrà estenderla per l’avvenire – anche su altri partiti», scrive S. in una lettera a Silone, il 28 novembre 1943. L’azione federalista deve adesso concentrarsi sui seguenti obiettivi: avvicinare al problema federale europeo alcuni elementi progressisti del campo alleato; sensibilizzare le organizzazioni politiche e culturali svizzere; mettersi in contatto con le resistenze di altri paesi, in particolare quella francese. Si crea, così, una vasta rete di contatti fra i fuoriusciti italiani e stranieri che hanno trovato rifugio in Svizzera (in particolare: Luigi Einaudi, il giornalista François Bondy, René Bertholet).

In Italia, il partito socialista attraversa una profonda crisi che poi sfocia nella creazione del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP, agosto 1943), cui aderisce anche Colorni, sperando di diffondere l’ideale federalista tra i socialisti. Nella campagna di proselitismo all’idea federalista, S. e Rossi prendono contatto con due movimenti di natura paneuropea: l’Europa-Union di Basilea e il Mouvement populaire suisse en faveur d’une fédération de peuples di Ginevra, ma il loro orientamento culturale risulta troppo moderato per abbracciare l’idea di creare una sorta di “Zimmerwald federalista”, una riunione di rappresentanti dei movimenti di resistenza europea con una forte impronta federalista. Nasce l’idea di Primo progetto di un convegno federalista (19 ottobre 1943). I due movimenti svizzeri portano nuove conoscenze e relazioni, S. entra in contatto con i maquisards francesi in Svizzera. Oltre a organizzare il convegno, S. e Rossi svolgono un’intensa attività politica e di propaganda con le forze politiche italiane in Svizzera e con la resistenza in Italia, soprattutto con il Partito d’Azione, che con la pubblicazione di “Nuovi quaderni di Giustizia e libertà” offre loro l’opportunità di far sentire la voce del federalismo anche al di fuori del PdA. All’interno dell’azione federalista S. si configura sempre più come l’ideatore e Rossi come l’organizzatore. L’attività di propaganda federalista si svolge in particolare all’interno dei campi profughi, dove il controllo svizzero è minore, nonostante il divieto di svolgere attività politica da parte degli internati. Della sua efficacia ne è prova l’adesione di Luciano Bolis (futuro dirigente federalista e a lungo vicesegretario di S.). Una delle maggiori preoccupazioni di S. e Rossi è quella di far giungere materiale propagandistico in Italia. Questo è costituito da materiale fotografico (fotogrammi di documenti, articoli, materiale di propaganda), che viene portato clandestinamente in Italia e lì sviluppato. Per questa loro intensa attività essi diventano il punto di riferimento per l’Italia del nord del PdA per il coordinamento degli antifascisti che rientrano in Italia.

S. è sollecitato dal PdA attraverso Leo Valiani, così pure dal gruppo di federalisti di Milano (Cerilo Spinelli e Mario Alberto Rollier) a rientrare in Italia per continuare a svolgere la sua attività politica, ma S., rispondendo negativamente, motiva così la sua decisone in una lettera a Mario A. Rollier, nel febbraio 1944: «Sono d’accordo sull’importanza del lavoro da fare in Italia. Tuttavia c’è anche qui molto ed importante lavoro da fare di cui vorrei vi rendeste conto e che non bisogna alla leggera gettare al vento». È di questo periodo Il problema politico italiano, redatto da S. tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944, dove vengono presentati problemi italiani in chiave federalista. La situazione politica italiana e la propaganda federalista sono i temi su cui si focalizza la riflessione, l’azione e la produzione di S. Di particolare interesse teorico, più che pragmatico sono le riunioni che si tengono dal febbraio al luglio 1944 nella casa ginevrina del pastore protestante olandese Visser ’t Hooft. S. prepara i documenti e il materiale su cui discutere, come il Progetto di dichiarazione federalista (gennaio 1944) e successivamente la prima bozza della Déclaration des mouvements de Résistance et de libération Européens, presentata alla prima riunione assembleare federalista in casa di Visser ’t Hooft il 31 marzo 1944.

Agli inizi di giugno, S. incontra la delegazione in Svizzera del Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia (CLNAI), con i rappresentanti dei cinque partiti del comitato di Milano. L’intenzione di S. è di allargare il ristretto cenacolo politico federalista per preparare una forma mentis federalista nel maggior numero possibile di partiti. Su come diffondere il documento finale uscito dalle riunioni ginevrine si evidenziano due tendenze: S. vorrebbe una pubblicazione in opuscolo, in lingua francese, dei documenti principali del convegno (la Dichiarazione federalista internazionale e la lettera di accompagnamento); Rossi, invece, propende per fare un numero speciale del foglio del Movimento federalista europeo in Italia, “L’Unità europea”. Il compromesso è trovato nel pubblicare documenti di Ginevra nel n. 5 de “L’Unità europea” (in francese nell’edizione stampata in svizzera a cura di Rossi e in italiano in quella stampata a Milano da Rollier); esce anche la rivista in francese auspicata da S. e, in seguito, la dichiarazione è pubblicata anche nel volume, edito dal Centre d’Action pour la Fédération Européenne, L’Europe de demain (Editions de la Baconnière, Neuchâtel 1945), quando ormai S. è tornato in Italia delegando a Rossi tutto il lavoro federalista in Svizzera. Tuttavia, il compromesso non colma le divergenze fra i due. Il dissidio si evidenzia in due lettere, quella di S. a Rossi del 14 agosto 1944 e la risposta di Rossi del 16 agosto. S. rivendica come suo il lavoro di Ginevra: i contatti, la redazione della dichiarazione e dei documenti; ma tutto viene contestato nella risposta di Rossi. Questi, però, mette in evidenza che la missione in Svizzera per S. è terminata in un sostanziale fallimento. Secondo Rossi, invece, vi sono ancora spazi per continuare nella direzione di orientare le forze politiche svizzere e, tramite loro, i dirigenti alleati. La mancata adesione socialista al progetto di aggregazione federalista di Ginevra, l’amarezza per la polemica con Rossi e la morte di Colorni, ferito a morte dai fascisti a Roma il 28 maggio 1943, spingono S. ad accelerare il suo rientro in Italia. Così il 24 settembre 1944 passa da solo la frontiera e giunge a Milano.

L’idea di preparare un documento programmatico e ideologico sulla questione “Nord-Sud”, voluto dal gruppo dirigente milanese Valiani-Lombardi-Foa, si realizza nella bozza dei Piani di lavoro, la cui stesura è in un primo tempo affidata a S., nella quale questi inserisce molti contenuti del Manifesto. Tuttavia sul tema cruciale del «trasferimento degli attributi della sovranità concernenti la difesa territoriale, i rapporti diplomatici con le potenze esterne alla federazione, la politica monetaria e doganale, le comunicazioni internazionali, l’amministrazione dei territori ancora incapaci di autogoverno» alla federazione europea, S. incontra resistenze, obiezioni e forti critiche. Le argomentazioni contenute nel Piano di lavoro sono poi riprese nella Lettera aperta del Pd’A a tutti i partiti aderenti al Clnai del 20 novembre 1944, con la quale si chiude una fase e si delinea il contributo apportato dal federalista S. all’elaborazione di una politica internazionale – nonché interna – per il PdA dell’Italia settentrionale.

Alla fine del dicembre 1944, S. riceve una lettera di invito, firmata da André Malraux, André Ferrat, Jacques Baumel e Pascal Pia, con la quale si convoca una “conferenza federalista” nella capitale francese. S. intende parteciparvi come federalista invece che “azionista”. Il 21 dicembre 1944 passa il confine, ma è di nuovo arrestato per due motivi: essendo rientrato in Italia dalla Svizzera lasciando la qualifica di profugo politico, la Svizzera non concede un nuovo diritto di asilo; inoltre il CNL milanese ha dimenticato di inserirlo nella lista degli incaricati di missioni ufficiali. Dopo vari trasferimenti e grazie all’intervento dell’amico Bertholet, S. viene rilasciato e può raggiungere Ursula a Zurigo. Durante questa permanenza svizzera, S. sposa Ursula il 19 gennaio 1945. Il viaggio in Francia dura quattro mesi, durante il quale egli ha modo di percepire una maggiore, seppur generica, sensibilità federalista e di incontrare eminenti personalità politiche ed intellettuali. Il 18 marzo del 1945 S. indirizza una lettera ad Albert Camus, tra gli organizzatori della conferenza parigina. In essa egli presenta una sintesi dell’idea federalista; preme affinché la questione della federazione europea venga messa in agenda nelle Assemblee costituenti dei paesi europei; auspica di trovare uomini nuovi per concretizzare l’idea federalista in un progetto politico e inserirla nel dibattito culturale e programmatico delle forze politiche antifasciste. Il programma della conferenza, che si tiene a Parigi dal 22 al 24 marzo 1945, prevede i seguenti interventi: un rapporto generale; un rapporto sulla politica dei movimenti democratici in vista della Federazione europea (preparato da S. per il relatore Antonelli); il problema economico dell’Europa federale; il problema tedesco; un rapporto sul problema coloniale. Durante la conferenza emergono due tendenze: da una parte i mondialisti, convinti che per l’Europa è ipotizzabile solo una prospettiva di un governo federale mondiale delle Nazioni Unite; dall’altra i “realisti”, che considerano più opportuno e più fattibile il sorgere di istituzioni monetarie, economiche, federazioni parziali in vista di una successiva più profonda unione. Il principio della sovranità dello Stato non è superato e resta alla base della tesi “realista”. Nelle discussioni e prese di posizione della riunione c’è l’emarginazione del concetto di “federazione europea”, per questo S. afferma «rien appris, rien oublié».

Dopo Parigi, ritorna a Milano nel maggio del 1945 e riprende il suo posto nella segreteria del PdA Alta Italia. Il panorama italiano del federalismo non si presenta migliore di quello francese e internazionale in generale. Con la morte di Colorni e Ginzburg è venuto a mancare qualsiasi riferimento per i giovani socialisti autonomisti vicini alle idee federaliste e anche la svolta spinelliana, con la rinuncia a una azione federalista rivoluzionaria, ha indebolito molto il cuore del movimento. È sempre S. a dare una svolta al movimento pubblicando l’articolo Bilancio su “L’Unità europea”, n. 12, del 17 giugno 1945, in cui auspica un’attività di «dissodamento della coscienza politica moderna tutta irrigidita dalle tradizioni nazionalistiche, in modo da abituarla a comprendere gli avvenimenti ed a costruire su di essi con una visione federalista». Alla fine della guerra, nell’animo di S. prevale una forte delusione nata dalla constatazione che in un’Europa divisa in due blocchi l’azione federalista rischia di divenire vana e inefficace.

Gli anni 1947-1954

«Fra il 1947 e il 1954 ho lavorato sull’ipotesi che i grandi ministri moderati europei, incoraggiati dallo spirito missionario democratico che allora animava la politica estera americana, ed impauriti da quanto stava avvenendo in Europa orientale, ci avrebbero ascoltati e si sarebbero accinti alla costruzione federale». Così S. descrive nelle sue memorie questo periodo.

Dopo la Liberazione si assiste in Italia a un fiorire di associazioni europeiste la cui attività si interseca con la biografia spinelliana. Questo fenomeno sembra contrastare con la decisione di S. e di Rossi di abbandonare l’attività federalista (per ragioni sia politiche che personali). Questo tuttavia non impedisce a S. di seguire l’attività delle nascenti associazioni. L’Associazione federalisti europei (AFE) di Firenze vede la partecipazione di personaggi quali Piero Calamandrei, Giacomo Devoto, Enzo Enriques Agnoletti. L’AFE ha il merito di creato creare il nucleo costitutivo di un’organizzazione federalista in Toscana e in Emilia Romagna. Legata al federalismo mazziniano, si distingue per questo dal MFE di stampo più anglosassone. Seppure con diverse ideologie di riferimento, le due realtà confluiranno in un unico movimento. Questo avvicinamento si trasforma in fusione nella riunione congiunta tra AFE ed MFE a Milano (9-10 settembre 1945); in tale occasione, però, si evidenzia il conflitto fra S. e Umberto Campagnolo, appena entrato nel movimento. Il convegno serve a S. per precisare la sua nuova strategia federalista, alla luce della situazione internazionale e del bilancio dell’attività federalista precedente: non più proselitismo fra le masse, retaggio di una vecchia concezione di partito, ma la fondazione di un centro studi, un “movimento di pensiero federalista”. Contrario alla relazione di S. si dichiara Campagnolo, per il quale, invece, la situazione è molto favorevole a una vasta diffusione delle idee rivoluzionarie federaliste. Delle tre mozioni presentate al congresso, prevale la posizione di compromesso di Aldo Garosci, che si pone a metà tra azione di studio e azione di massa. L’esito del congresso conferma in S. la sua decisione di lasciare il MFE; nella lettera di dimissioni, fatta pervenire alla conferenza organizzativa del movimento a Firenze (8 e 9 gennaio 1946), i fondatori del pensiero federalista, S. ed Ernesto Rossi, ribadiscono di considerare il federalismo un’idea guida per la riflessione teorica, senza spazi di intervento pratico. Privato del sostegno finanziario del fratello Veniero e del PdA, S. viene aiutato da Rossi, nominato il 20 dicembre 1945 presidente dell’Azienda rilievo alienazione residuati (ARAR) e già sottosegretario del ministero della Ricostruzione nel governo di Ferruccio Parri. S. prende servizio come fiduciario dell’ARAR con lettera di incarico del 6 giugno 1946, e ben presto diventa direttore della sede di Venezia, posto che mantiene fino al giugno del 1947.

S. continua però a tenere contatti con la politica: aderisce al nuovo Movimento per la democrazia repubblicana (MDR), nato dalla scissione di Parri e Ugo La Malfa dal PdA, per il quale si candida nella circoscrizione Roma-Viterbo-Latina, ma non viene eletto. Con le elezioni del 2 giugno si delinea, invece, una predominanza della Democrazia cristiana (DC, 35,2% dei voti), del blocco PSIUP-PCI (rispettivamente il 20,7 e il 19% dei voti), mentre il PdA riesce a mantenere solo pochi deputati. Per il MDR scrive documenti programmatici e di politica internazionale. Quando sulla scena politica italiana si affaccia il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) di Giuseppe Saragat, S. lo vede come una “terza forza”, una forza politica socialista democratica, di stampo occidentale vicina al socialismo anglosassone, da contrapporsi ai moderati di Alcide De Gasperi e ai comunisti di Togliatti. Altiero aveva incontrato Saragat poche volte, ma i suoi rapporti erano stati meno conflittuali di quelli avuti con Pietro Nenni. Per S. si aprono nuove prospettive politiche che lo costringono a scegliere tra la carriera manageriale e la militanza politica: lascia l’ARAR nel marzo 1948. Il 5-6-7 ottobre 1946 si tiene a Venezia il I congresso nazionale del MFE senza la presenza di Rossi e S. Tuttavia, Campagnolo cerca di cancellare l’eredità storica del MFE, portando di nuovo a una spaccatura fra MFE e AFE. Il congresso si chiude così con la nomina di un comitato direttivo e di una giunta esecutiva dai quali vengono eliminati tutti i principali rappresentanti sia del MFE “storico” (Rollier e Giussani) che dell’AFE (Devoto).

S. si disinteressa del dibattito all’interno del movimento, ma non abbandona l’attività di studio: nel giugno 1946 pubblica l’articolo Aurora o crepuscolo della democrazia, nel quale esprime la sua analisi del momento internazionale. Egli intravede due vie possibili: un contesto di Stati dotati di poteri illimitati verso i cittadini o uno scenario di Stati con poteri, estesi e diversi da quelli del secolo passato, ma limitati. S., che individua negli Stati Uniti la potenza internazionale in grado di gestire in modo diverso la ricostruzione internazionale, riafferma il principio che bisogna “partire da occidente”, avendo come punto di riferimento non più l’URSS come nel 1944, ma gli USA. In Europa, nel frattempo, si assiste al sorgere di diverse forme di Adesione all’ideale di unificazione europea: un esempio è l’Unione parlamentare europea (UPE) nata nel luglio del 1947. Iniziare da Occidente o, in alternativa, includere anche gli Stati del blocco sovietico nella prospettiva della federazione europea diventa uno dei temi di discussione nel I congresso dell’Unione europea dei federalisti (UEF) che si tiene a Montreux nell’agosto del 1947 cui partecipa anche il MFE. È in questa sede che S. riafferma la scelta di escludere l’Est europeo dal progetto federativo e avanza l’ipotesi di convocare un’Assemblea costituente europea per far sorgere il federalismo nella parte occidentale dell’Europa. Accanto a questa tendenza costituzionalista si inserisce quella “internista”, che vede il federalismo come l’unico modo per organizzare gli Stati e l’insieme delle relazioni politiche. Sarà quest’ultima proposta a imporsi a Montreux.

Chiuse le possibilità di azione a livello europeo, almeno per il momento, in S. rinasce l’interesse per il MFE italiano. Il 16 novembre 1947 si svolge a Ivrea il II congresso regionale. S. vi partecipa insieme a Ursula, sostenendo la linea “cominciare da Occidente”. Pur mantenendo spunti contro il Piano Marshall, la componente filocomunista risulta in minoranza. Si avverte un clima di cambiamento all’interno del MFE, che si rafforza nel II congresso nazionale del movimento a Milano, il 15 febbraio 1948, cui partecipano anche Rossi e S. Qui emergono due posizioni: la prima (S.-Rossi, Rollier) considera il Piano Marshall un motore di integrazione europea; la seconda (Gorra-Cecconi, Umberto Campagnolo) non abbandona l’idea di una possibile fase rivoluzionaria che avrebbe riunificato l’Europa. Si vota su due mozioni: la “mozione unificata” e la “mozione Gorra-Cecconi”; durante il congresso, S. sta in disparte e come concordato è Rossi a prendere la parola. Passa la mozione unificata con larga maggioranza, sostenuta da S. Fra i membri del consiglio direttivo nazionale risulta eletto Rossi, membro anche della giunta esecutiva, mentre risulta vacante il posto di segretario generale. Questo resta da assegnare fino al 6 giugno 1948: grazie a un intenso lavoro di Rossi, S. è eletto segretario con una vittoria di misura sull’altro candidato Aldo Moranti. La nomina di S. segna non solo il suo rientro nel MFE, ma coincide anche con l’inizio di una nuova fase costruttiva dell’Europa. Qualche mese prima, il 18 aprile 1948, si sono svolte le elezioni politiche, e in quella circostanza il gruppo dirigente del MFE ha approvato il testo della Lettera-appello da inviare a tutti i candidati indistintamente dal “loro colore” fatta eccezione per quelli del Movimento sociale italiano (MSI), dei partiti monarchici e del Movimento sociale italiano-Destra nazionale (MSDN), nella quale si ribadiva l’impegno di mantenere neutrale il movimento rispetto a qualsiasi partito e di votare per coloro che effettivamente fossero disposti a operare per l’unità federale dell’Europa.

Tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1948 si assiste a un deterioramento della situazione internazionale, che vede il suo apice nel blocco imposto dai sovietici alle comunicazioni via terra tra la parte occidentale dell’ex capitale tedesca e le zone occupate dagli Alleati nella Germania occidentale. Ma segnali di cambiamento verso un’integrazione settoriale tra i paesi europei arrivano sia dal progetto di Unione doganale italo-francese, varato nel settembre 1947, sia e soprattutto dal Congresso dell’Aia, dal 7 al 10 maggio 1948 che rappresenta, seppur come ala moderata, la continuazione del Congresso di Montreux (UFE, Unione dei federalisti europei). A esso partecipa anche S. insieme alla delegazione italiana con nomi di prestigio. Si decide di proporre la creazione di un Consiglio d’Europa, con un comitato di ministri e un’Assemblea consultiva europea, di fatto organi senza potere. I risultati sono deludenti e S. esprime le sue critiche in un articolo Poca Europa a Strasburgo, apparso su “Il Mondo”, il 13 agosto 1949. Egli argomenta come di fatto la sovranità degli Stati membri del Consiglio d’Europa non fosse intaccata. Tesi che è confermata anche durante il III congresso del MFE, tenutosi a Firenze dal 23 al 25 aprile 1949. Il functional approach è per S. il principale nemico dell’unificazione europea; per questo bisogna mobilitare i federalisti italiani ed europei sulla creazione di un Patto federale europeo, affinché il federalismo entri nel programma dei partiti di governo, cioè negli organi in cui si seleziona la classe politica. Insieme alla proposta di un Patto federale europeo si chiude il primo anno di segreteria di S., con un bilancio positivo: maggiore visibilità sulla scena politica italiana, organizzazione consolidata, grande produzione di pubblicazioni, opuscoli e articoli. Non mancano le critiche relative soprattutto al ruolo di opposizione che il MFE ha nei confronti del governo. Emergono due posizioni: una attendista (Salvatorelli), che vuole evitare lo scontro con il governo; l’altra (S.) che rivendica, invece, la libertà di criticare. Nel dibattito interviene La Malfa, che vede nei federalisti una forza che sospinge i governi e non li critica. S. ribadisce per contro il dovere dei federalisti di essere critici sull’operato dei governi europei, e in particolare di quello italiano. Il dibattito non è solo interno al MFE, ma ha un attento osservatore in De Gasperi, che vuole promuovere l’organizzazione di un movimento europeista di ispirazione cattolica, poiché la sua visione europeista ha le sue basi nell’universalismo cristiano.

Si fanno i primi passi verso l’integrazione europea (v. Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della), di fronte alla necessità di eliminare i conflitti fra Francia e Germania. Il segnale di una rinnovata volontà a favore dell’unità europea giunge dal ministro degli Esteri francese, Robert Schuman (Dichiarazione Schuman). Questi, il 9 maggio 1950, presenta un’iniziativa che, mettendo in comune interessi economici concreti, ha l’obiettivo politico di una federazione al fine di mantenere la pace in Europa (v. Piano Schuman). La proposta, ispirata da Jean Monnet, prevede la creazione di un’autorità sopranazionale che controlli la produzione del carbone e dell’acciaio. In questo modo nasce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), il 18 aprile 1951, alla quale aderiscono sei paesi (Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi). È la prima delle Comunità europee, all’origine dell’attuale Unione europea. Con un articolo dal titolo significativo Dal carbone all’Europa, pubblicato ne “Il Mondo” del 1° luglio 1950, S., pur accogliendo con favore l’iniziativa di Monnet, continua a dichiararsi perplesso di fronte al metodo funzionalista (v. Funzionalismo), anche se, a differenza di comunisti e socialisti, il MFE difende l’operato del governo italiano. È questo per S. un periodo di intensa attività pubblicistica sui temi federalisti, ma soprattutto riguardanti il dibattito interno alla politica italiana. Egli si mostra molto polemico con la dirigenza comunista e socialista; a Pertini, che lo indica come esempio di anticomunismo, risponde con una lettera al direttore de “L’Italia socialista”, Aldo Garosci, dal titolo molto esplicito: Consigli ai Babbi della sinistra (6 luglio 1948). Alla base della polemica ci sono i vecchi conflitti del confino, e dovranno passare molti anni prima che il futuro Presidente della Repubblica italiana riconosca a S. la sua lungimiranza e ponga fine agli antichi rancori. La posizione politica di S. è precisa: egli rivendica un’autonomia ideologica del federalismo nei confronti di tutta la sinistra italiana. Il socialismo di S. è di tipo keynesiano; egli è per la laicità dello Stato, per un’economia che garantisca pari opportunità per tutti come postulato dalla parte “sociale” del Manifesto di Ventotene. Ed è nel I Congresso per la libertà della cultura, nel giugno 1950 a Berlino, che S., in forte polemica con lo scrittore Arthur Koestler, tra i principali promotori del Congresso, sostiene che la libertà culturale e la lotta contro il comunismo non devono impedire di criticare i sistemi democratici e la loro organizzazione.

In questo periodo scoppia la guerra di Corea; alla proposta americana di formare una forza di difesa integrata composta da vari contingenti nazionali e con la partecipazione di unità tedesche, la Francia risponde con il Piano Pleven, che prevede la formazione di un “esercito europeo” e un ministero della Difesa europeo: è la concezione della Comunità europea di difesa (CED). S. non si associa all’accoglienza favorevole da parte del governo italiano, ribadendo la necessità di limitare la sovranità dei paesi che parteciperanno all’esercito europeo e sottolineando che il meccanismo di difesa integrato europeo non può prescindere da un’organizzazione federale. In questo periodo di grandi tensioni internazionali, uno spiraglio viene dalla chiusura della campagna per il Patto federale europeo, che avviene con una grande manifestazione al teatro Sistina e vede la partecipazione di Luigi Einaudi, ma l’assenza di Saragat e Silone. La soddisfazione di S. è di poter apporre la sua firma dopo quella del presidente del consiglio De Gasperi. Tra il 17 e il 19 novembre 1950 si tiene a Strasburgo il III Congresso dell’Unione europea dei federalisti: viene accettata l’impostazione della propaganda data da S. verso un patto federale europeo e la Costituente europea; nell’aprile del 1951 si tiene a Lugano una conferenza di federalisti per studiare le forme di attuazione di una campagna a favore della Costituente europea, di cui S. è relatore. La campagna per la Costituente ha una significativa influenza sui governanti europei e in particolare su De Gasperi, sicché quando il 15 febbraio 1951 si apre a Parigi la conferenza per l’organizzazione dell’esercito europeo, i federalisti svolgono un’azione di pressione e di propaganda. Infatti, il Memorandum relatif à la constitution de l’autorité politique européenne à la quelle l’armée européenne doit appartenir, preparato da S., non solo riscuote un certo interesse fra i rappresentanti europei, ma costituisce anche per De Gasperi una base su cui formulare la sua proposta durante la riunione dei sei ministri degli Esteri, l’11 dicembre 1951: l’inserimento dell’art. 38 attribuisce all’Assemblea prevista dal Trattato CED un esplicito mandato costituente. De Gasperi chiede, insieme all’esercito europeo, un governo europeo con un parlamento europeo e un’imposta federale europea quali condizioni per il funzionamento della struttura militare. Quando cominciano i lavori dell’Assemblea ad hoc, nome meno impegnativo di Assemblea costituente, col compito di elaborare un progetto di unione “federale o confederale”, il MFE e S. forniscono materiale informativo; nel marzo 1952, S. è l’animatore di un Comitato giuridico per la Costituzione europea all’interno del Movimento europeo, con una intensa produzione di documenti. Il Congresso del MFE che si tiene a Torino alla fine del 1952 lo riconferma ancora segretario. La morte di Stalin (marzo 1953) frena il processo di ratifica della CED e la successiva conferenza di Berlino, voluta da Winston Churchill, non apre gli orizzonti; nell’articolo La coalizione antieuropea pubblicato ne “Il Mondo” del 20 aprile 1954, S. descrive le difficoltà che la CED incontra nella fase di ratifica in Italia, ma soprattutto in Francia, mentre in un articolo successivo individua il fallimento della CED nella riaggregazione delle forze contrarie alla cessione delle sovranità nazionali: «Poiché pensare che si possa, nel quadro degli Stati nazionali, avere ancora una garanzia qualsiasi di libertà, di benessere, di pace, questa è veramente un’utopia, è la ricerca di un fine assurdo e irrealizzabile».

Gli anni 1954-1961

«Fra il 1954 e il 1961 ho lavorato sull’ipotesi che fosse possibile mobilitare l’europeismo, ormai diffuso, in una protesta popolare crescente – il Congresso del popolo europeo – diretta contro la legittimità stessa degli Stati nazionali», scrive Altiero nei suoi diari.

Il fallimento della CED rappresenta una dura sconfitta per i federalisti, non mitigata dalla proposta del Regno Unito di dare vita all’Unione dell’Europa occidentale (UEO), che si presenta più come un patto di alleanza che un progetto di forza armata europea come era la CED. A questa amarezza si aggiunge la scomparsa di Alcide De Gasperi: per S. si acuisce la difficoltà di poter contare sull’europeismo dei governi, almeno su quello italiano. Egli capisce che si rende necessario un cambio di strategia e quindi sceglie di abbandonare l’azione federalista all’interno dei governi nazionali per un’azione “popolare” e pensa a un Congresso del popolo europeo sul modello del Partito del Congresso di Gandhi, allo scopo di fare pressione sui paesi membri della CECA e creare un’Assemblea costituente. «È ai popoli democratici di Europa, riconosciuti come fonte prima del potere dei governi e dei parlamenti nazionali che bisogna chiedere e ottenere che sia data la parola», scrive nell’articolo Una falsa Europa, pubblicato su “Il Mondo” il 12 ottobre 1954. Inizia per lui una nuova fase, parallela a una ripresa dell’europeismo d’ispirazione funzionalista. Infatti, Jean Monnet, non più presidente dell’Alta autorità della Ceca, studia le forme e i possibili settori del proseguimento dell’integrazione europea: Monnet suggerisce al ministro degli Esteri belga Paul-Henri Charles Spaak di lavorare su una gestione in comune delle risorse nucleari dei sei paesi della CECA. Il governo belga e il Benelux cercano nuove forme di collaborazione nel campo delle energie tradizionali, in particolare di quelle agricole. Questa proposta sarà la base di discussione della Conferenza di Messina (1-3 giugno 1955).

In una lettera inviata al ministro belga da S., in qualità di leader dei federalisti europei, egli mette in evidenza ancora una volta i limiti di un sistema fondato sulla nascita di un mercato comune senza intaccare il principio delle sovranità nazionali. Secondo i federalisti, il mercato comune deve nascere non sugli accordi fra Stati sovrani, ma attraverso un’assemblea costituente legittimata a creare la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. In questa nuova fase S. riscrive il Manifesto dei federalisti europei (1956), aggiornando quello di Ventotene, ma ribadendo il principio del federalismo come idea politica autonoma. Nella lettera di accompagnamento inviata a varie personalità, S. mette in evidenza le differenze con il Manifesto di Ventotene: viene dato maggiore spazio al Congresso del popolo europeo, unica via verso la Costituente europea. L’obiettivo è di affermare che la volontà del popolo europeo è sovrana, e a tal fine si propone di organizzare vere e proprie “elezioni primarie” dei deputati del popolo europeo. La campagna del Congresso del Popolo europeo si svolge in alcune città e, sul modello del Congresso del Popolo indiano, prevede di eleggere dei candidati indicati dal movimento federalista. La crisi del canale di Suez, scatenata dalla sua nazionalizzazione da parte di Nasser (26 luglio 1956), vede il ritiro del Regno Unito e della Francia. In particolare, per Parigi è necessaria una nuova iniziativa utile a recuperare prestigio: c’è, quindi, un atteggiamento meno rigido e arroccato su posizioni di protezionismo nazionale nei confronti dell’Europa. Si preparano rapidamente due Trattati, di assoluta novità nel panorama politico internazionale: la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea per l’energia atomica (CEEA o Euratom) che sono firmati a Roma, il 25 marzo 1957, con l’assenza della Gran Bretagna (v. Trattati di Roma). Dopo il “carbone europeo” previsto dalla CECA, in seguito alle due nuove comunità nascono l’atomo europeo e il mercato comune: il primo ispirato da Jean Monnet, mentre il secondo dall’iniziativa del Benelux.

Tuttavia, per S. e per i federalisti l’Europa federale non è ancora nata, anzi la nascita della CEE e dell’Euratom è denunciata come la «beffa del mercato comune». Forte della convinzione che la strada per la vera Europa politica debba passare attraverso la sovranità popolare, come afferma il Manifesto dei federalisti europei, S. partecipa al comitato organizzativo del Congresso del popolo europeo che si riunisce a Stresa (agosto 1956); se S. ha dalla sua parte tutto il MFE, altrettanto non si può dire dell’UEF, dal cui Bureau exécutif ha dato le dimissioni. Il congresso di Stresa serve a rilanciare anche emotivamente l’azione federalista. Si tengono le prime “elezioni primarie” in Francia, Germania e Belgio; mentre in Italia i votanti andranno aumentando dalle prime elezioni “private” del 1957 in poi. Una maggiore visibilità dell’azione facilita i finanziamenti per lo svolgimento delle elezioni, per le quali i principali contributi provengono dalle società Olivetti e Montecatini. In Italia, il risultato principale di questa azione di pressione è la presentazione alla Camera dei deputati (febbraio 1961) della “mozione Ferrarotti”, dal nome del primo firmatario, deputato del movimento di Comunità, Franco Ferrarotti, strettamente legato alla attività politico e culturale della Olivetti (v. anche Olivetti, Adriano).

In questo periodo si assiste alla riorganizzazione dei movimenti federalisti: l’UEF nel giugno 1959 diventa MFE sopranazionale. L’MFE italiano diventerà la commissione italiana del MFE sopranazionale. In questo frangente S. cede la segreteria per un paio d’anni (1959-1961) al vicesegretario, Luciano Bolis, per poi riprenderla dal 1961 al 1962. S. valuta l’ipotesi di fare del MFE una forza politica autonoma, entrando in dissidio con Mario Albertini sulla concezione della natura e dell’azione del movimento. Secondo Albertini, il movimento deve restare autonomo, indipendente, senza prendere una posizione apertamente in appoggio a una forza politica, mentre per S. esso deve prendere atto che vi è una parte politica più incline alle idealità federaliste e questa parte il movimento deve scegliere come interlocutrice.

Tuttavia Albertini riesce, dopo il congresso di Lione del 1961, a riunire una crescente opposizione alla leadership di S. che viene messo in minoranza nel movimento, attuando una vera e propria campagna di “de-spinellizzazione”. Il desiderio di S. di ancorare il MFE nel quadro politico italiano ed europeo è anche motivato dall’emorragia di iscritti, che dalle 50.000 unità del 1954 passano a soli 2000 nel 1963, con la conseguente perdita di capacità di influenza e di presenza del movimento sulla scena politica.

Gli anni 1961-1970

«Fra il 1961 e il 1970, ritirandomi quasi completamente dall’azione politica, ho meditato sul significato della Comunità economica europea, sugli aspetti nuovi della difesa militare introdotti dall’arma nucleare, sulla possibilità di un rilancio dell’azione federalista». Così è presentato questo periodo dallo stesso autore.

Nella biografia un capitolo a parte occupa la sua collaborazione con la casa editrice il Mulino di Bologna. S. ha già pubblicato con loro alcuni saggi apparsi in un volume collettivo, ma la prima proposta editoriale risale al giugno 1959, in merito alla pubblicazione di un volume di scritti che è il seguito di Dagli Stati sovrani agli Stati Uniti d’Europa, edito a Firenze nel 1950 dalla Nuova Italia con la prefazione di Aldo Garosci. Inizia così una collaborazione che si interromperà solo con la scomparsa dell’autore nel 1986. La proposta di S. coincide con una nuova impostazione della casa editrice sorta dalla fortunata esperienza della rivista, “il Mulino, mensile di attualità e cultura”, e più tardi, “rivista di cultura e politica”. S. entra nella redazione della rivista, attività che lo assorbirà molto, perché a lui è affidata la responsabilità della sezione di politica internazionale. A S. questo incarico permette di allargare gli orizzonti dei suoi interessi politici e soprattutto di entrare in contatto con i protagonisti della vita politica e culturale americana, attraverso le conoscenze di Fabio Luca Cavazza, che gli procura in seguito un insegnamento sul funzionamento delle istituzioni europee presso l’Università Johns Hopkins, posto che mantiene fino al 1965. Il primo articolo a firma di S., Victor B. Sullam e Giorgio Galli, La Nuova Frontiera in America, in Europa e in Italia, analizza la complessità dei rapporti fra Europa e USA, ripropone il problema dell’unificazione europea alla luce dei nuovi scenari internazionali e propone la federazione europea come un vasto progetto di democrazia. La rivista organizza a Bologna dal 22 al 24 aprile 1961 il convegno di studi “La politica internazionale degli Stati Uniti e le responsabilità dell’Europa”. S. cura la parte scientifica, invitando importanti personalità, esperti di politica ed economia di fama internazionale. Il convegno ha un ampio respiro culturale e serve soprattutto a tessere rapporti fra gli ambienti progressisti statunitensi ed italiani. Il convegno lancia a opera di Giorgio La Malfa e Arthur Schlesinger l’idea di dare vita a una convenzione mondiale per la libertà e la democrazia.

Nel suo memorandum The idea of Democratic Revolution, che prepara per il suo viaggio negli USA (11 giugno 1961), S. analizza la democrazia come metodo di organizzazione sociale e politica nel XX secolo. Come scrive in una lettera a Sullam del 12 giugno 1961: «Gli scopi sono due: a) lo sviluppo del progetto di una World convention for democratic action (progetto nato dal congresso di Bologna del Mulino), b) la creazione di public relations del Movimento federalista europeo con uomini della nuova amministrazione o vicini ad essa e influenti presso di essa». Durante il suo soggiorno americano S. lavora sull’idea della convenzione mondiale per la libertà e la democrazia, in stretta collaborazione con il consigliere di John. F. Kennedy, Arthur M. Schlesinger. Una nota preparata da Dana Durand, Freedom and Democracy. A Declaration of Principles, sulla base di un documento corrispondente opera di S., costituisce la base organizzativa del gruppo di lavoro euro-americano che si riunisce a Parigi dando vita all’International study group on freedom and democracy (ISG). S. ha un ruolo molto attivo sul piano dell’organizzazione di una iniziativa che è fortemente finanziata anche dalla Central intelligence agency (CIA); tuttavia l’ISG non ha vita lunga, a causa sia della faraonica organizzazione prevista sia per le crescenti difficoltà finanziarie e la scomparsa del principale referente politico, Kennedy.

In questo periodo la costruzione dell’integrazione europea procede a fatica. La figura politica dominante è il generale Charles de Gaulle, che attraverso il Piano Fouchet tenta di imporre una configurazione di tipo confederale all’Europa. Il Piano Fouchet è presentato quando nel Parlamento italiano è in discussione la mozione Ferrarotti con la quale i federalisti fanno pressione sul governo affinché si adoperi per richiedere la convocazione di un’assemblea costituente europea. Tuttavia, la mozione Ferrarotti, mancando il sostegno socialista, non è approvata. S. accoglie con profonda insoddisfazione questo ulteriore fallimento, che lo spinge a ricercare in alcune componenti del partito socialista una possibile sponda per una rinnovata azione federalista. L’occasione per proporre una rinnovata iniziativa federalista “a sinistra” è l’XI convegno degli Amici del mondo, (2-3 febbraio 1963), dal titolo evocativo: “Che fare per l’Europa?”, al quale partecipa anche S. considerandolo un momento propizio per un approfondimento del confronto con componenti del socialismo autonomista e in prospettiva anche del partito comunista. A tutte le realtà del centrosinistra si rivolge Altiero nell’articolo preparato per il convegno, Esiste una politica europea del centrosinistra?, in cui l’idea di un’Assemblea costituente è rappresentata nell’Assemblea parlamentare europea, cioè lo stesso organo che dal 1962 si chiama Parlamento europeo. Convinto della necessità di costituire un gruppo di pressione, sul modello del Comitato d’azione per gli Stati uniti d’Europa di Monnet, S. crea in Italia, nel dicembre 1963, il Centro di iniziativa democratica europea (CIDE), un organo di formazione e riflessione sui problemi del processo di integrazione economica e sulle prospettive di unificazione politica.

Il 1964 vede S. impegnato nella progettazione del Centro italiano affari internazionali (CIA), idea nata dalla redazione de “il Mulino” su proposta di Cavazza. La proposta scaturisce dalla necessità di dare agli studi internazionali una veste non accademica e un approccio più dinamico, non erudito, strutturato sul modello del Council on foreign relations esistente negli Stati Uniti e in Canada, o del Royal institute of international affairs in Gran Bretagna. Durante la fase di elaborazione del progetto, emerge la diversità circa la finalità del centro fra Cavazza e S. Per quest’ultimo, «il CIAI deve essere insieme una scuola di futuri dirigenti ed un centro di pressione intellettuale sui dirigenti attuali», spiega in Considerazioni preliminari e primo progetto di lavoro per il Consiglio italiano per gli affari internazionali, mentre per Cavazza il centro deve facilitare l’incontro e il confronto fra politici ed esperti italiani e stranieri, marginalizzando il ruolo della formazione della classe dirigente. Lo scontro fra i due avviene proprio sulla natura e sulla funzione del CIAI, allargandosi successivamente alla questione della partecipazione della Fondazione Olivetti. Dal canto suo S. “sospetta” il collega di aver preso accordi con la Ford foundation affinché, grazie ai finanziamenti solo americani, il centro avesse poi un’impostazione diversa da quella pensata insieme all’inizio.

Il viaggio di S. negli USA (dal 7 gennaio al 27 febbraio 1965), realizzato grazie al Foreign leaders exchange program, segna una pausa nella vicenda del CIAI; durante il suo soggiorno S. ha una fitta agenda di incontri, lezioni, dibattiti, colloqui con alti esponenti politici e studiosi di centro studi e fondazioni, fra cui la Ford foundation con cui S. riprende il progetto CIAI. L’esito degli incontri va nel senso voluto da S., soprattutto per quanto riguarda finalità e scopi da dare al futuro centro, che intanto ha preso il nome di Istituto affari internazionali (IAI, ottobre 1965) e di lì a poco avrebbe ricevuto un sostanzioso grant triennale di 300 mila dollari della Ford foundation, con la significativa partecipazione finanziaria della Fondazione Olivetti insieme al sostegno di numerose altre società, tra cui anche la FIAT. Nell’ambito delle attività dello IAI, che verte sulla promozione di incontri non formali fra studiosi, politici, giornalisti, esponenti dell’imprenditoria, dei sindacati, su temi di politica estera, il ruolo di S. è centrale: tiene numerose conferenze, seminari, lezioni, promuove convegni, pubblicazioni (“Lo Spettatore internazionale”, “Quaderni dello Spettatore internazionale”) e organizza gruppi di studio internazionali; sotto la sua direzione lo IAI acquista grande visibilità e prestigio. In questo periodo S. contatta l’editore Einaudi per pubblicare un testo di sue memorie, che sarà stampato nel 1968 con il titolo Il lungo monologo, per i tipi delle Edizioni dell’Ateneo, a causa del rifiuto di Giulio Einaudi. Sono degni di nota anche due suoi articoli apparsi su “Lo Spettatore internazionale”, Sintomi e cause della crisi atlantica e Coordinamento e integrazione nella NATO, in cui S. prende posizione sulla crisi dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (North Atlantic treaty organization, NATO), conseguenza dell’abbandono dell’alleanza atlantica da parte dei francesi, auspicando un ordine federale mondiale da raggiungere con un metodo costituente dal “basso” senza scartare strumenti del metodo funzionalista. La politica italiana in campo europeo sembra aver ritrovato un nuovo slancio con Giuseppe Saragat, ministro degli Esteri, al quale S. invia un promemoria sulle linee generali di una iniziativa italiana per la costruzione di un’Europa democratica: propone la creazione di un sistema bicamerale dove il Consiglio dei ministri rappresenta gli interessi dei governi nazionali, mentre il Parlamento europeo diventa il depositario della volontà dell’elettorato, cioè del popolo europeo. Tuttavia, il funzionamento della CEE si arresta a causa della Resistenza francese a qualsiasi proposta di avanzamento nel processo. La presentazione del piano Saragat genera una nuova crisi.

S. invia al Presidente della Commissione europea una lettera, in data 5 luglio 1963, che ha una certa diffusione nella stampa europea, ma che viene ignorata dalla stampa federalista italiana; nella lettera egli invita Walter Hallstein a far assumere alla Commissione europea un ruolo di guida politica dell’integrazione: «Il programma politico intorno al quale dovreste proporvi di riunire in ogni paese della Comunità forze politiche sufficienti per vincere le resistenze dei governi nazionali si riassume nella volontà di opporre l’idea della democrazia federale europea alle idee di egemonia e di balcanizzazione». Hallstein risponde che i tempi non sono ancora maturi e che la situazione necessita che si proceda a piccoli passi. Nel 1965 il presidente della Commissione presenta un piano che prevede di cambiare il sistema di finanziamento della Politica agricola comune: basato su un fondo comune, esso avrebbe permesso alla CEE di dotarsi di “Risorse proprie” fuori da ogni controllo degli Stati membri. Nel piano è anche previsto un ampliamento dei poteri di controllo dell’Assemblea parlamentare europea, necessario per verificare l’utilizzo dei fondi. Ma la Francia del generale de Gaulle si oppone alla proposta della Commissione e ritira i suoi rappresentanti dal Consiglio dei ministri. Ha inizio la crisi della “sedia vuota”, che dopo aver bloccato l’attività delle Istituzioni comunitarie si conclude con il Compromesso di Lussemburgo (30 gennaio 1966) in cui la Francia ottiene un rafforzamento del metodo intergovernativo a scapito di quello comunitario (v. anche Cooperazione intergovernativa).

S. si muove con molta facilità nel mondo della politica nazionale e internazionale grazie alla sua esperienza di militante, confinato, esule, ma anche alle conoscenze che si sono allargate con l’attività direzionale dello IAI. L’istituto ha un’intensa attività che permette al suo direttore di poter chiedere ulteriori finanziamenti alla Ford anche per il triennio 1969-71. Sotto la direzione di S. lo IAI organizza, fra l’altro, simposi di prestigio internazionali (da ricordare quello sul regime internazionale del fondo marino) e l’avvio di una nuova pubblicazione quadrimestrale, “L’Italia nella politica internazionale”, che presenta l’insieme delle attività italiane nel campo diplomatico, economico, militare e culturale. È di questi anni il riavvicinamento a Pietro Nenni, di cui S. diventa consigliere speciale. Le Note concernenti una politica estera italiana possibile nel 1969 e negli anni Settanta segnano la ripresa dei contatti e l’inizio di una nuova collaborazione tra S. e il leader socialista. Questi, in qualità di ministro degli Esteri del governo presieduto da Mariano Rumor (dal 12 dicembre 1968 all’8 agosto 1969), si adopera in particolare per l’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità e per un potenziamento della difesa militare europea non solo in ambito NATO, ma anche sfruttando l’esistenza di quell’ibrido della diplomazia europea che era l’Unione dell’Europa occidentale (UEO). La strategia viene indicata a Nenni da S. con le Note concernenti una politica estera italiana possibile nel 1969 e negli anni Settanta. Queste ispirano le parole del ministro nel discorso alla Camera del 24 gennaio 1969 in cui egli riafferma la necessità che l’unità europea non si esaurisca con l’unità economica e l’urgenza di una politica estera comune. L’obiettivo è di creare un rapporto privilegiato con la Gran Bretagna e di rilanciare insieme alla Repubblica Federale Tedesca l’unità politica europea, anche senza il sostegno iniziale della Francia di de Gaulle. Questa nuova linea strategica è la formulazione politica del principio “avanti con chi ci sta” al fine di far ripartire l’integrazione europea in quei settori dove si sarebbe verificata la convergenza degli interessi nazionali.

Degno di nota è il memorandum di S. scritto dopo un suo viaggio a Londra alla fine del gennaio 1969. Nel testo egli illustra, alla luce di numerosi incontri con funzionari del Foreign office e politici, come da parte del governo inglese vi fosse una apertura all’ipotesi di una Comunità politica. L’iniziativa italiana per rilanciare l’integrazione politica è presentata al Consiglio ministeriale della UEO (Lussemburgo, 6-7 febbraio 1969) ed è accolta con favore da una Gran Bretagna desiderosa di entrare nelle Comunità e vista con interesse dalla cancelleria tedesca, sempre meno disponibile ad accettare i veti francesi. L’impegno politico italiano in favore dell’ingresso della Gran Bretagna nella CEE raggiunge il culmine con la dichiarazione congiunta italo-britannica del 28 aprile 1969, firmata da Nenni e da Stewart, ministro degli Esteri britannico. Tale dichiarazione considera prioritaria l’integrazione politica rispetto a quella economica, chiede l’elezione diretta del Parlamento europeo e auspica una politica estera comune. Sebbene S. ne sia l’ispiratore, dall’incontro non emerge la volontà di aprire una conferenza nel quadro all’UEO per «mettere in piedi le strutture dell’integrazione politica». Dopo la dichiarazione nessuna iniziativa diplomatica è intrapresa per attuarla, anche perché Nenni lascia il dicastero degli Esteri nell’agosto 1969, in seguito a una crisi di governo. Per S. si chiude una fase in cui ha potuto svolgere liberamente il ruolo di “consigliere del principe”.

Gli anni 1970-1976

«Fra il 1970 e il 1976 ho lavorato sull’ipotesi che la Commissione della CEE avrebbe potuto assumere il ruolo di guida politica nella rimessa in moto della costruzione dell’unione politica». Questa è la sintesi del contributo di S. come commissario europeo.

Con l’inizio degli anni Settanta si creano le condizioni per nuovi impulsi all’integrazione europea, facilitati sul piano politico dall’uscita di scena del generale de Gaulle e sul piano economico da una crescita delle esportazioni. La Conferenza dell’Aia (1-2 dicembre 1969) sancisce punti fondamentali di questo avanzamento: apertura a nuovi membri, necessità di un’unione monetaria per la stabilità dei mercati (che diventerà il Sistema monetario europeo, SME). In questa conferenza si stabilisce anche di creare una università europea, come simbolo dell’unione, cui si aggiungerà qualche anno dopo anche l’inno europeo. Durante questo periodo si vanno accumulando problemi non sempre di natura “europea”, tra cui la crisi energetica e il terrorismo che, specialmente in Italia, finisce per assorbire energie e preoccupazioni politiche. Alla fine degli anni Settanta avviene un importante avanzamento del processo di integrazione. Infatti, i cittadini europei sono chiamati alle urne per votare a suffragio universale nel giugno 1979 il primo Parlamento europeo (v. Elezioni dirette del Parlamento europeo).

Per S. si apre la possibilità di diventare commissario europeo. Egli prepara con cura la sua candidatura, forte delle sue competenze e del prestigio acquisito come direttore dello IAI, per le sue conoscenze politiche e consapevole di non avere rivali italiani nell’area laico-socialista. Assume l’incarico il 3 luglio del 1970 e si stabilisce a Bruxelles, lasciando la direzione dello IAI, non senza aver dato garanzie alla Ford Foundation sulla continuità “spinelliana” anche con la nuova gestione Merlini. S. ottiene l’incarico per i settori degli Affari industriali (Direzione generale III), della Ricerca e sviluppo tecnologico (Direzione generale XII) e, temporaneamente, il controllo del centro comune di ricerca di Ispra (Direzione generale XV), come da egli stesso richiesto. Oltre alle perplessità della stampa internazionale di fronte a un candidato così federalista, giungono le congratulazioni per la nomina di S., e fra queste spicca quella di Monnet. S. riallaccia i rapporti con il MFE, nel quale presenta il suo “Piano d’azione per la democratizzazione del Parlamento europeo, per l’elezione dei suoi membri a suffragio universale e per la determinazione dei suoi compiti e competenze”, approvato a Strasburgo il 27 settembre 1970 dal comitato centrale del movimento. Costituisce il suo gabinetto, diretto inizialmente da Gianfranco Speranza e successivamente dall’inglese Christopher Layton. La scelta di un inglese suscita scandalo, sia perché il Regno Unito non è ancora un paese membro delle Comunità, sia perché un commissario di solito non sceglie un capo di Gabinetto di una nazionalità diversa. La presenza di S. come commissario coincide, quindi, con la necessità di rilanciare il processo d’integrazione, anche alla luce dei risultati della Conferenza dell’Aia. Si lavora inoltre nel comitato alla realizzazione del Rapporto Davignon per gettare le basi del coordinamento di una politica estera comune.

In una intervista concessa ad Arrigo Levi (Un federalista tra i bottoni, in “La Stampa”, 1° agosto 1970), S. individua la soluzione per uscire dall’impasse istituzionale nel metodo sopranazionale al posto di quello intergovernativo, auspicando un ritorno al modello funzionalista di Monnet. Sul tavolo del nuovo commissario ci sono anche altre problematiche da affrontare: l’instabilità del sistema monetario internazionale e il ruolo della Comunità sullo scacchiere internazionale, ma il rafforzamento delle istituzioni appare prioritario. S. guarda con attenzione alla funzione della Commissione, al funzionamento del Consiglio dei ministri, al ruolo del Parlamento e in particolare a quello del Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER), costituito dagli ambasciatori degli Stati membri presso le Comunità europee con il compito di preparare il lavoro del Consiglio dei ministri della Comunità. Il COREPER è giudicato da S. troppo influente. Dare quindi priorità al recupero del ruolo politico della Commissione e ampliare i poteri del Parlamento: sono queste le priorità che S. evidenzia nella Nota al Presidente Malfatti, 22 settembre 1970 e successivamente ribadite e ampliate nel Progetto di riforma presentato al gruppo socialista dell’Assemblea delle Comunità europee nel settembre 1971. Nell’articolo Le plan Pompidou pour l’Europe: une chance à saisir, apparso in “Le Monde” del 30 marzo 1971, a commento e analisi dell’intervento di Georges Pompidou, che auspicava di creare un nuovo sistema istituzionale per dare vita ad una confederazione, S. esorta i rappresentanti degli Stati a intraprendere la strada del rinnovamento, ma la sua voce rimane inascoltata.

La Commissione aveva avuto mandato col Trattato di Lussemburgo (22 aprile 1970) di preparare, tra l’altro, un rapporto sulla possibilità di allargare i poteri del Parlamento; a fronte della proposta del presidente Franco Maria Malfatti di creare due gruppi di lavoro formati da funzionari, S. suggerisce la creazione di una “Communitarian commission” formata da giuristi e costituzionalisti dotati di “sensibilità politica” e ottiene l’incarico di formare la lista dei componenti il gruppo di lavoro, affidando la presidenza al giurista francese Georges Vedel. Nel marzo 1972, alla conclusione della prima fase, dai lavori della Commissione Vedel risulta che il Parlamento non ha alcun potere di emendamento sulle proposte della Commissione e sulle modifiche apportate dal Consiglio. S. si mostra molto critico in merito e propone come emendamento la Codecisione tra Parlamento e Consiglio nel processo legislativo, anticipando di venti anni il Trattato di Maastricht. La Commissione Vedel non accoglie i suggerimenti di S. e delimita, invece, gli ambiti di competenza del Parlamento, prevedendo una gradualità nell’estensione dei poteri legislativi e di controllo dell’assemblea. I risultati della seconda fase della Commissione Vedel danno al parlamento un potere di codecisione, da intendersi come “parere conforme”, ma senza la possibilità di portare emendamenti, condizione essenziale invece per S. (v. anche Procedura di parere conforme). Infatti, egli è a favore di un ruolo un ruolo decisivo del Parlamento nel Processo decisionale e della indipendenza della Commissione dalla volontà dei governi.

Le puntuali osservazioni di S., unico ad aver preparato documenti, sono disattese. Ugualmente è ignorato il suo contributo, tramite il collaboratore Riccardo Perissich, al lavoro della Commissione presieduta da Émile Noël. A questa delusione se ne aggiungono altre, che provengono dalla situazione economica italiana in un periodo di fluttuazione della lira. Un nuovo slancio è trovato da S. nel Vertice di Parigi (ottobre 1972) nel quale viene dato incarico alla Commissione, e non a comitati intergovernativi, di gestire i compiti più importanti per lo sviluppo della Comunità. Il federalista non riceve però il sostegno di Monnet, che in occasione della presentazione dell’edizione francese del libro di S. Agenda per l’Europa, ridimensiona il ruolo della Commissione. Con la nuova presidenza di François-Xavier Ortoli, S. decide di cambiare strategia; di fronte a una Commissione restia ad affrontare una riforma globale della Comunità, egli propone di allargare il processo decisionale del Parlamento senza revisione dei Trattati. Anche per quanto riguarda l’unione monetaria, egli propone di affidare competenze specifiche in campo economico a organi sopranazionali. Ma gli emendamenti proposti da S. restano lettera morta. Di fronte alla crisi petrolifera, all’uscita dal sistema monetario europeo (SME) di alcuni paesi, all’instabilità monetaria, S. mette in guardia dal pericolo di ricadere in scelte incentrate solo su interessi nazionali e continua a proporre soluzioni politiche unitarie a livello europeo. Il 12 marzo 1974 gli viene conferito il prestigioso premio Robert Schuman, prima personalità italiana a ricevere questo riconoscimento, per la sua attività di federalista e per il suo impegno nel rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo. Quest’occasione diventa una tribuna da dove S. pronuncia un discorso appassionato, veemente e critico. In esso egli denuncia l’Europa come “vassallo” degli Stati Uniti d’America; critica l’approccio degli Stati europei verso l’Unione Sovietica e verso l’Est europeo; considera l’Europa incapace di definire un’efficace politica mediterranea e agricola; propone, invece, di dar vita a una democrazia europea con il primato del Parlamento, di convocare un’assemblea costituente per dotare l’Europa di una Costituzione. I risultati del Consiglio dei capi di Stato e di governo di Bonn nel dicembre 1974 non tengono conto delle indicazioni di S. Infatti il vertice si conclude con due risultati diversi: l’istituzionalizzazione degli incontri dei capi di Stato e di governo con il nome di Consiglio europeo e l’impegno a eleggere il Parlamento europeo, entro il 1978, a suffragio universale e diretto. Tuttavia, ancora una volta, secondo S., non ci sono significative concessioni sopranazionali. Solo uno spiraglio giunge da Ortoli nel discorso del 9 gennaio 1975, con il quale il presidente dichiara di impegnare la Commissione in un’azione politica per denunciare il metodo intergovernativo. Dal 30 giugno 1975 alle sue dimissioni nel maggio 1976, S. è meno presente ai lavori della Commissione, per problemi di salute e per una grave malattia che colpisce l’amata sposa Ursula.

Per tracciare una sintesi, certamente non esaustiva, del lavoro di S. commissario è necessario ricordare le sue principali iniziative in materia di Unione economica e monetaria, riforma della politica agricola comune; affari industriali (Direzione generale III), ricerca e sviluppo tecnologico (Direzione generale XII). In materia di politica industriale il contributo di S. è stato notevole proprio perché una simile politica a livello comunitario, a suo avviso, doveva essere integrata a politiche comuni per lo sviluppo regionale, la dimensione sociale, la ricerca tecnologica e la tutela dell’ambiente (nasce dal gabinetto S. il primo progetto di una politica ambientale europea, ispirata al principio “chi inquina paga”). Senza dimenticare il suo interesse per lo sviluppo di una politica europea dell’aeronautica e il suo impegno per il controllo del Centro comune di ricerca di Ispra (Direzione generale XV), ristrutturato profondamente sotto il suo mandato al fine di garantire criteri di efficienza e di produzione scientifica su progetti strategici. Agendo come un commissario a tutto campo, S. mostra la sua capacità di ricondurre ogni problematica e aspetto tecnico nei vari settori al problema più generale dell’assetto politico-istituzionale della Comunità.

Gli anni 1976-1986

«Fra il 1976 e il 1986 ho lavorato sull’ipotesi che il Parlamento europeo avrebbe dovuto assumere un ruolo costituente nella costruzione europea». Queste le parole di S. sull’ultima parte della sua vita.

S. rifiuta di essere candidato nelle liste socialiste per le elezioni comunali del 1976 con la previsione, in caso di vittoria, di diventare il successivo sindaco di Roma; il rifiuto non è motivato solo dalle condizioni di salute di Ursula, ma anche dalla maggiore importanza che S. darebbe a un eventuale incarico nella politica europea. In questo frangente è il PCI a cogliere l’occasione di proporre a S. un’ulteriore candidatura, non alle elezioni comunali bensì a quelle nazionali. Nella sua lettera di accettazione ad Amendola, S. chiarisce la sua posizione nei confronti del partito, con il quale vuole collaborare dall’esterno e dal quale vuole essere autonomo. La sua decisione suscita una vasta eco nella stampa internazionale, europea e americana: essa non risparmia critiche e perplessità per questa sua virata verso il partito comunista. Nella sua ultima riunione della Commissione S. precisa come la sua scelta sia motivata da una visione comune della politica europea. La sua autonomia di deputato dal partito è ben visibile in alcuni momenti della politica italiana, come ad esempio nella dichiarazione di voto di fiducia al governo guidato da Giulio Andreotti (11 agosto 1976), nell’aspra critica contro la politica del governo nei confronti degli Stati Uniti, nell’accusa al governo di atteggiamenti ambigui e contraddittori in tema di politica europea, perché da una parte sostiene le elezioni europee e dall’altra si oppone all’adesione dei paesi mediterranei usciti dal fascismo. Inoltre, egli offre la sua visione critica verso le posizioni del PCI e le sue proposte alla sinistra, come si può leggere nel libro-pamphlet Pci, che fare? del 1978.

Del resto, anche il PCI non capisce sempre il pensiero di S., specie in politica estera, sebbene lo candidi due volte al Parlamento europeo. Se per S. si può ancora una volta parlare di delusione, per il PCI si deve parlare di diffidenza. È infatti con diffidenza che il partito vede la nascita del “Club del Coccodrillo”. In qualità di deputato europeo S. si batte per rendere il Parlamento una camera costituente. Con l’obiettivo di lavorare sulla riforma delle istituzioni lancia un appello ai colleghi deputati per costituire un intergruppo, che si riunisce la prima volta il 9 luglio 1980, su invito di S., al ristorante “Au Crocodile” di Strasburgo (da qui il nome del Club). La riunione è verbalizzata da Pier Virgilio Dastoli, assistente di S. dal 1977, e vede la partecipazione di Hans August Lücker, Karl von Wogau (entrambi appartenenti al Partito popolare europeo, PPE), Stanley Johnson (conservatore), Richard Balfe e Brian Key (laburisti), Paola Gaiotti De Biase (DC), Bruno Visentini (liberale), Silvio Leonardi (comunista). Nel dicembre dello stesso anno, i deputati che aderiscono al Club del Coccodrillo sono già una settantina, periodicamente informati tramite una newsletter, “Crocodile: lettera ai membri del Parlamento europeo”, fondata da Felice Ippolito, deputato europeo indipendente di sinistra e da Pier Virgilio Dastoli. Su pressione dei membri dell’associazione, il Parlamento europeo vota (9 luglio 1981) una risoluzione che prevede la creazione di una commissione istituzionale permanente, il laboratorio del progetto di Trattato sull’Unione europea. In parallelo al lavoro e all’azione del Club del Coccodrillo, due ministri degli Esteri, Emilio Colombo e il tedesco Hans-Dietrich Genscher, intendono con un piano rilanciare la riforma delle istituzioni, dando maggior rilievo al Parlamento e al Consiglio europeo: un progetto che lascia sperare grandi orizzonti e che invece si conclude con una semplice dichiarazione durante il Consiglio europeo di Stoccarda il 19 giugno 1983 (v. Dichiarazione di Stoccarda). Rispetto al piano dei due ministri, il progetto di riforma del Club del Coccodrillo appare, quindi, come un trattato costituzionale. Esso prevede un nuovo equilibrio nei rapporti tra Parlamento, Commissione e Consiglio dei ministri dell’Unione a favore del primo e su basi federali; la ridefinizione dei ruoli delle istituzioni; un Principio di sussidiarietà fra i paesi membri. Strategicamente il progetto di trattato ispirato da S. non approfondisce i temi di politica estera e di difesa. Il progetto è approvato a larga maggioranza dall’assemblea di Strasburgo il 14 febbraio 1984. S. è consapevole che il progetto per essere accettato ha bisogno di un paese che se ne faccia carico, che lo difenda e lo sostenga, e per questo si rivolge al presidente François Mitterrand, che raccoglie l’invito con il suo intervento di fronte al Parlamento europeo, il 24 maggio 1984. Le parole del presidente francese giungono per S. come una vittoria, cui si aggiunge il successo della pubblicazione del libro Come ho tentato di diventare saggio, Io, Ulisse.

Tuttavia, il Consiglio europeo di Fontainebleau (14-17 giugno 1984) alla fine della presidenza francese (v. anche Presidenza dell’Unione europea) non fa menzione del progetto di trattato elaborato dal Parlamento. I governi decidono di affidare a un comitato di esperti il compito di studiare progetti in campo economico e commerciale, indicando solo convocarla convocazione di una conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative). Il “Comitato Dooge” (v. Dooge, James), dal nome del suo presidente, grazie all’opera diplomatica di S., vede anche la partecipazione di Mauro Ferri, già presidente della Commissione Affari istituzionali del Parlamento europeo. Tuttavia, il contributo del comitato è minimo e, per S., non appare all’altezza della situazione politica europea. Al Consiglio europeo di Milano, nel giugno 1985, il dibattito politico dimentica completamente il testo del Parlamento europeo e le bandiere federaliste che riempiono piazza Duomo non sono sufficienti a far sentire la voce dei cittadini europei. Nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo, commentando con ironia e amarezza i risultati della conferenza intergovernativa, S. ha ancora parole di speranza e di incoraggiamento e invita «a non rassegnarsi né a rinunciare». Battagliero fino in fondo, non rinuncia a rispondere con una lettera sulla stampa indirizzata a un giovane segretario della Federazione giovani comunisti italiani (FGCI), intervenuto contro l’Europa in occasione dell’attacco americano a Gheddafi, ribadendo la necessità di un potere federale europeo che elabori una politica estera e di difesa comune. Prima di morire, sul comodino della clinica romana dove è ricoverato, lascia incompleto un testo di una lecture preparata per un’iniziativa de “il Mulino” promossa da Ezio Raimondi.

L’Atto unico europeo è la risposta dei governi al progetto sull’Unione europea ispirato da S. Il progetto rappresenta una fonte di innovazioni per ogni trattato successivo, fino ai nostri giorni. Di seguito si introducono i principali aspetti originali del progetto di S. (tra parentesi, quando possibile, i riferimenti ai trattati successivi). Da un punto di vista del metodo è una novità poiché il Trattato, di natura costituzionale, non è elaborato secondo il tradizionale metodo diplomatico, ossia tramite una conferenza intergovernativa, ma dal Parlamento, anticipando così il metodo della Convenzione. Nella struttura generale il progetto si configura come un nuovo Trattato istitutivo (dell’Unione europea), e non come una semplice revisione dei Trattati esistenti. A conferma di questo nuovo approccio, l’articolo 1 del progetto prevede la creazione di un’Unione europea che supera le tre Comunità esistenti nel 1984 (la soppressione dei tre pilastri (v. Pilastri dell’Unione europea) è prevista dal Trattato di Lisbona in fase di ratifica). L’articolo 3 del progetto riconosce la nozione di Cittadinanza europea in parallelo alla cittadinanza nazionale (idea che sarà ripresa dal Trattato di Maastricht e mantenuta nei Trattati successivi). L’articolo 4 introduce la nozione dei diritti fondamentali come risultano dai principi comuni delle costituzioni nazionali e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (anticipazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea promulgata a Nizza nel 2000). L’articolo 4, al quarto comma, prevede il principio di sanzioni in caso di violazioni dei principi democratici da parte di Stati membri dell’Unione (una simile disposizione a garanzia del rispetto dei diritti fondamentali sarà introdotta nel Trattato di Amsterdam). Il progetto di S. riconosce all’articolo 8 il Consiglio europeo tra le istituzioni dell’Unione, anticipandone l’evoluzione costituzionale (è necessario attendere il Trattato di Lisbona, in fase di ratifica, per un simile riconoscimento). L’articolo 10, inoltre, prevede due metodi per l’azione dell’Unione: da un lato, il metodo comunitario classico; dall’altro il metodo intergovernativo. La novità del progetto di S. consiste nel permettere il passaggio dall’azione intergovernativa al metodo comunitario dopo una Decisione del Consiglio europeo. Inoltre, l’articolo 12 offre per la prima volta una chiara definizione del “principio di sussidiarietà” (introdotto nel diritto europeo dal Trattato di Maastricht), secondo il quale nelle competenze concorrenti l’azione dell’Unione è necessaria laddove essa si riveli più efficace rispetto all’azione degli Stati membri. Sempre il progetto riconosce la Procedura di codecisione fra il Parlamento europeo ed il Consiglio, prevedendo anche un comitato di concertazione tra le due istituzioni e con la partecipazione della Commissioni (tali innovazioni saranno introdotte dal Trattato di Maastricht) (v. Procedura di concertazione). Per la prima volta il progetto prevede l’investitura della Commissione, per cui questa entra in funzione dopo aver ricevuto un voto di investitura da parte del Parlamento europeo (simile disposizione sarà introdotta e perfezionata nei Trattati successivi). L’articolo 20 stabilisce che il Consiglio dell’Unione sia composto da ministri incaricati in modo specifico e permanente delle questioni europee (una sorta di “Senato” che prefigura il Consiglio legislativo previsto dalla Convenzione europea nel suo progetto di Trattato costituzionale, ma non più ripreso in seguito).

Dimostrando realismo politico, S. inserisce nel progetto una clausola che impedisce un voto maggioritario per un periodo transitorio di dieci anni, nel caso in cui un interesse nazionale sia riconosciuto come tale dalla Commissione (è lo spirito del “Compromesso di Lussemburgo” e del meccanismo prefigurato dal Compromesso di Ioannina, ripreso poi nel Trattato di Lisbona). Nella designazione dei commissari da parte del presidente, introdotta dall’articolo 25 del progetto, c’è l’idea che la composizione della Commissione sia svincolata dalle nazionalità e dalla rotazione ugualitaria degli Stati membri (anche se non esattamente, il principio è stato ripreso dal Trattato di Lisbona). Infine, l’articolo 42 del progetto sancisce la preminenza del diritto europeo su quello degli Stati membri come risulta dalla Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (v. anche Corte di giustizia dell’Unione europea).

Dopo aver descritto le principali innovazioni, può essere interessante ricordare brevemente quali disposizioni previste dal progetto di S. non sono state ancora recepite dai Trattati. L’articolo 73 del progetto prevede un sistema di perequazione finanziaria per ridurre gli squilibri economici tra le regioni dell’Unione. L’articolo 82 contempla la possibilità di un’entrata in vigore del Trattato anche senza l’unanimità delle ratifiche, ma con una maggioranza di Stati membri in rappresentanza di due terzi della popolazione dell’Unione (questa maggioranza deciderebbe sull’entrata in vigore del Trattato e dei rapporti con gli Stati non ratificanti). L’articolo 84 stabilisce una semplice procedura di Revisione dei Trattati mediante l’accordo del Parlamento e del Consiglio, come prevista per le leggi organiche, evitando così l’unanimità delle ratifiche (v. anche Voto all’unanimità). Infine, l’articolo 71 prevede la possibilità di creare nuove entrate per l’Unione senza la necessità di modificare il Trattato e che la Commissione possa essere autorizzata per legge a emettere prestiti. Molte di queste idee sono ancora attuali e restano in attesa di una volontà politica europea in grado di realizzarle.

Ricorda il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, nel discorso in occasione della visita ufficiale a Ventotene (il 21 maggio 2006): «Chi si accinge ad una grande impresa – scrisse Altiero qualche mese prima di lasciarci – non sa “se lavora per i suoi contemporanei o per i suoi figli, che lo hanno visto costruire ed erediteranno da lui; o per una più lontana, non ancora nata generazione che riscoprirà il suo lavoro incompiuto e lo farà proprio”. Ebbene, egli ha lavorato per tutti».

Samuele Pii (2008)