Werner, Pierre

W. (Saint-André, Lille 1913-Lussemburgo 2002) dopo aver frequentato le scuole a Lussemburgo, prosegue gli studi alla facoltà di Diritto dell’Università di Parigi (1935-1937) e all’École libre des sciences politiques. Durante questi anni svolge un’importante attività associativa, sia nazionale che internazionale, e diventa, fra l’altro, presidente dell’Association luxembourgeoise des Universitaires catholiques (AV), dal 1935 al 1937, e vicepresidente di Pax romana nel 1937, due vivai di personale politico democratico-cristiano.

Oltre al suo interesse per le materie giuridiche, fin dall’inizio degli studi W. si sente attratto dalle questioni economiche, in particolare dai fenomeni monetari. Dopo aver sostenuto la tesi di dottorato in diritto a Lussemburgo nel 1938, inizia la sua carriera di avvocato. Poco dopo è chiamato dalla Banque générale, nella segreteria della Direzione, un incarico che lo induce ad abbandonare la carriera di avvocato.

All’indomani della guerra, dopo un breve ritorno all’avvocatura, su richiesta di Léon Schaus – che aveva conosciuto ai tempi dell’AV – diventa attaché al ministero delle Finanze, allora diretto da Pierre Dupong. La politica finanziaria e monetaria lussemburghese dell’epoca si inserisce, da un lato, nel sistema di associazione con il Belgio, all’interno dell’Union économique belgo-luxembourgeoise (UEBL) creata nel 1921, dall’altro, nel sistema mondiale realizzato con gli accordi di Bretton Woods. La collaborazione con il ministero delle Finanze lo porta anche a essere introdotto immediatamente negli ambienti finanziari internazionali e ad acquistare dimestichezza con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.

Questi incarichi portano W. a partecipare a varie commissioni incaricate di realizzare l’unione economica fra Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo (Benelux). Come dichiarerà nelle sue memorie a proposito del Benelux, la «posizione internazionale del Lussemburgo del dopoguerra è stata conquistata soprattutto grazie a una politica di presenza, di ponderazione e di disponibilità discreta» – un orientamento che si può considerare peraltro una costante della diplomazia lussemburghese.

Fino agli anni Sessanta il contribuito di W. al processo di integrazione europea è molto relativo (v. Integrazione, metodo della; Integrazione, teorie della). Come egli stesso affermerà nelle memorie, non era «quello che si può definire un militante europeo della prima ora, uno di quelli che hanno applaudito Winston Churchill in occasione dei discorsi di Zurigo e dell’Aia». Sin dal 1949, peraltro, aveva maturato la convinzione «della necessità imperiosa, per i nostri paesi dell’Europa occidentale, di avviare la costruzione economica e politica dell’Europa unita», che considerava «quasi un obbligo intellettuale» a fronte della debolezza e della divisione dell’Europa.

Negli stessi anni W. partecipa, a volte attivamente, alle riunioni del Partito cristiano sociale. Nel 1953 è nominato ministro delle Finanze nel governo di Joseph Bech. Nel 1954 è eletto per la prima volta deputato e in questa occasione, oltre a quello delle Finanze, riceve anche il ministero della Difesa. Non si occupa ancora di affari europei, compito che spetta a Bech, il quale in compenso delega a W. alcune responsabilità di politica interna. Per esempio, non partecipa ai lavori della Conferenza di Messina, ma si tiene al corrente grazie ai rapporti degli esperti e ai colloqui con Lambert Schaus, capo della delegazione lussemburghese. In assenza di Bech, è incaricato di pronunciare il discorso di fronte alla Camera dei deputati, il 26 novembre 1957, sui Trattati di Roma che deve essere ratificato. Tuttavia, è come esperto in questioni economiche e monetarie, e forte dell’esperienza acquisita nell’UEBL e nel Benelux, che W. affronta il processo di integrazione europea.

Divenuto capo del governo nel 1959 – incarico che ricopre fino al 1974 senza interruzione –W. è anche ministro delle Finanze dal 1959 al 1964, del Tesoro, degli Esteri e della Giustizia dal 1964 al 1967, del Tesoro e della Funzione pubblica dal 1967 al 1969 e, infine, delle Finanze e degli Affari culturali dal 1969 al 1974. Come ministro delle Finanze e come capo del governo, W. è coinvolto al livello più alto nei negoziati sulla Comunità economica europea (CEE).

Favorevole all’idea di un rilancio politico dell’Europa e a una leadership francese, al contrario del suo ministro degli Esteri Schaus diffidava però delle intenzioni più profonde di Charles de Gaulle in merito alle Istituzioni comunitarie. Nel colloquio con il generale del settembre 1960, a Parigi, W. esprime le riserve del governo lussemburghese a proposito delle proposte francesi: tra le altre cose, il timore di rimettere in discussione i Trattati (la nuova struttura non avrebbe dovuto indebolire quelle esistenti) e la necessità della solidarietà atlantica e della coesione all’interno dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Il Lussemburgo esprime un parere favorevole alla prima versione del Piano Fouchet e si dissocia in questa occasione dalla posizione dei partner del Benelux che fanno dell’adesione del Regno Unito (sollecitata nel luglio 1961) la premessa di una più ampia integrazione politica.

W. ritiene – ed è una posizione che manterrà costantemente – che i britannici, di cui auspica la cooperazione, non siano pronti a entrare in Europa e ad accettare tutte le implicazioni dei trattati. Inoltre, teme che la posizione dei membri ostili alla sovranazionalità, tra i quali de Gaulle, possa essere rafforzata da un eventuale ingresso della Gran Bretagna. Infine W. privilegerà sempre la volontà di proseguire innanzitutto con la costruzione europea, anche a costo di farla senza la Gran Bretagna. Ancora nel 1966, sempre per le stesse ragioni (condizioni britanniche eccessive, ostilità della Francia), W. si mostra molto scettico di fronte agli interlocutori olandesi e belgi sulle possibilità di successo di un’iniziativa che mira all’integrazione della Gran Bretagna nelle Comunità. Tornando al Piano Fouchet, durante tutta la fase dei negoziati (W. non partecipa personalmente ai lavori della commissione), il governo lussemburghese cerca una mediazione, ma seguendo l’esempio dei partner, rifiuta l’ultima versione del Piano.

Per W. una delle principali battaglie di questi anni è il Trattato di fusione degli esecutivi, non in quanto tale, ma a causa della questione della sede delle istituzioni. Nel 1950 e nel 1951 Bech riesce a ottenere che la sede “precaria” della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) sia a Lussemburgo, ma il Trattato di fusione degli esecutivi rischia di rimettere in discussione la situazione, perché presuppone che il Mercato comune europeo (MEC) sia collocato al centro degli sviluppi comunitari e che l’Alta autorità e i suoi servizi lascino Lussemburgo e siano integrati sul piano amministrativo a Bruxelles: di qui l’ostilità del Lussemburgo per il Trattato. I rappresentanti lussemburghesi riescono anche a far inserire nel rapporto sulle condizioni di fusione, consegnato alla fine del 1963 ai governi, un paragrafo in cui si afferma che «il problema della sede delle istituzioni e degli organi comunitari riveste per il Granducato di Lussemburgo un carattere essenziale dal punto di vista sia politico che economico». Da qui l’idea di una compensazione «equivalente», che W. fa sfumare gradualmente in compensazione «coerente», per approdare a una specializzazione delle competenze riunite a Lussemburgo allo scopo di farne la capitale giudiziaria e finanziaria e «uno dei perni della futura Europa».

In effetti, il Trattato firmato l’8 aprile 1965 prevede che l’Alta autorità e i suoi servizi si trasferiscano a Bruxelles, in virtù delle disposizioni del Trattato di fusione degli esecutivi, ma in cambio Lussemburgo recupera, fra l’altro, la Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea), la Banca europea per gli investimenti e i loro servizi, oltre ad accogliere le sessioni periodiche dei Consigli dei ministri. In seguito W. riesce, sempre in questa prospettiva della “coerenza”, a far collocare a Lussemburgo la sede provvisoria delle istituzioni finanziarie create dagli Stati membri nel 1973, in particolare quella del Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM).

Durante la crisi della “sedia vuota” W. mantiene la posizione abituale del Lussemburgo, che punta a dare la priorità assoluta al rispetto dei Trattati. Questo significa non solo opporsi a qualsiasi proposta francese che possa rimetterli in discussione, ma anche cercare una soluzione alla crisi nel quadro comunitario favorendo una posizione comune dei Cinque, la cui coesione è considerata essenziale, atta a ottenere un ritorno della Francia al tavolo dei negoziati. Da qui il suo rifiuto di costituire un fronte del Benelux, come gli propone Paul-Henri Spaak (a seguito delle posizioni radicali adottate da Joseph Luns e dai Paesi Bassi, che considerano anche la possibilità di continuare in Cinque), ma anche di un accordo belga-lussemburghese.

Quando assume la presidenza del Consiglio dei ministri delle Comunità (v. anche Presidenza dell’Unione europea), W. si rammarica che la crisi abbia interrotto l’evoluzione del processo di integrazione europea e si prefigge due obiettivi: trovare un accordo sul finanziamento della Politica agricola comune (PAC) e soprattutto porre fine il più rapidamente possibile alla crisi della “sedia vuota” e riprendere lo sviluppo delle Comunità.

Il principale contributo di W. alla costruzione europea resta il Rapporto sull’Unione economica e monetaria. Nel novembre 1960 tiene una conferenza a Strasburgo, in cui riprende e sviluppa l’idea di Fernand Collin di un’unità di conto comune – “euror” – negli scambi internazionali adattandola al quadro europeo. Evoca altresì la necessità di un avvicinamento monetario fra i Sei «progressivo e concomitante all’avvicinamento delle politiche economiche, e questo nell’interesse della coesione e della solidità dei legami europei, come pure nell’interesse dell’influenza dell’Europa nel mondo». Nel novembre 1962, in seguito a un memorandum della Commissione europea che prospetta la fusione delle politiche economiche nazionali, da un lato, e una politica monetaria comune, dall’altro, perché l’unione economica, in particolare la PAC, rendeva necessaria la fissità dei tassi di cambio con riserva di variazione entro limiti molto stretti, W. sottolinea come sia fondamentale «garantire meglio di quanto non preveda allo stato attuale il trattato la fissità dei tassi di cambio» e prevede, in un primo tempo, di rafforzare la disciplina tra i Sei mediante disposizioni vincolanti, con l’organizzazione di aiuti economici automatici o condizionali come contropartita. L’organizzazione di questa solidarietà monetaria si sarebbe dovuta realizzata nel quadro di un «istituto monetario».

Nel 1967 e nel 1968, mentre appaiono le prime falle nel sistema monetario internazionale, emerge la necessità di una zona monetaria stabile. Nel gennaio 1968, in occasione dell’Euroforum in Germania, W. presenta un programma d’azione monetaria che prevede consultazioni fra i partner per la definizione delle operazioni a carattere monetario, la definizione dell’unità di conto, la specificazione degli impegni reciproci in vista del mantenimento di rapporti fissi tra le monete dei partner, l’articolazione della cooperazione monetaria dei Sei con quella praticata sul piano mondiale, la realizzazione di uno schema di accordo in materia di reciproco aiuto, che si appoggerà su un fondo europeo di cooperazione monetaria. Tutto questo si realizzerà grazie a un’azione «progressiva e organica»: l’uso della moneta di conto e diverse azioni di solidarietà istituzionalizzate» dovranno avvicinarsi al «sistema finale ideale, che si appoggerà su un fondo di riserva europeo e sulla moneta europea».

Nel settembre 1968 W. riprende queste proposte per esporle di fronte agli altri ministri delle Finanze a Rotterdam. Secondo le sue stesse parole, non si tratta di sostituire una moneta comune alle monete nazionali. Tuttavia W. esprime ugualmente la sua «ferma convinzione che non si potrà rinviare il problema della rinuncia alla sovranità monetaria alla fine di un processo politico di unificazione, a meno di rinunciare all’idea di unione economica». Richiama anche con chiarezza l’esistenza di due scuole di pensiero: «quella che sostiene che la comunità monetaria cadrà come un frutto maturo dall’albero della politica comune e che non è il caso di parlarne al momento, e un’altra, che afferma che la costruzione di una vera politica economica e congiunturale comune sarà sempre inibita dall’assenza dell’unificazione monetaria». W. insiste sul necessario «parallelismo» dei due approcci, concludendo che la solidarietà monetaria si stabilirà solo in conseguenza del rafforzamento della politica economica, da cui dipende, ma che rappresenta anche una potente leva per avvicinare le politiche nazionali. Il suo piano risponde a due ordini di preoccupazioni: quella di non essere sufficientemente attrezzati giuridicamente per fronteggiare le tempeste monetarie e quella di raccogliere i frutti degli sforzi effettivi di coordinamento dei punti di vista a livello internazionale, insomma di diventare una minoranza di blocco per alcune decisioni del Fondo monetario internazionale (FMI).

Il Vertice europeo (v. Vertici) dell’Aia del 2 e 3 dicembre 1969 fissa l’obiettivo dell’approfondimento dell’unità europea tramite la costituzione di un’Unione economica e monetaria (già delineata nel febbraio dello stesso anno in quello che è stato chiamato il “primo Piano Barre”) (v. anche Barre, Raymond). Questa decisione dà luogo, fra l’altro, alla creazione di un gruppo speciale di studi presieduto da W., incaricato di stabilire un piano di Unione economica e monetaria da realizzarsi per tappe. In realtà, qualche giorno prima della decisione del Consiglio, la Commissione gli aveva consegnato una comunicazione, il “secondo Piano Barre”, che conteneva gran parte delle proposte che in seguito si ritroveranno nel rapporto W. I due testi sono presentati nell’ottobre 1970 al Consiglio. Al contrario del Piano Barre, il rapporto di W. prevede la creazione di un’unione economica e monetaria che comporta, in materia di politica finanziaria, importanti trasferimenti di sovranità dagli Stati alla Comunità europea, oltre alla convertibilità totale e irreversibile delle monete, all’eliminazione dei margini di fluttuazione dei cambi e alla fissazione di rapporti di parità, alla liberalizzazione completa dei movimenti dei capitali. Tutto ciò avrebbe potuto portare, eventualmente, alla creazione di una moneta unica.

Il rapporto insisteva sul metodo graduale e non fissava un calendario troppo preciso o rigido. Prevedeva, fra l’altro, una prima tappa durante la quale gli orientamenti fondamentali della politica economica e monetaria sarebbero stati gradualmente definiti in comune. I rapporti di cambio fra le monete della Comunità sarebbero stati, fra l’altro, progressivamente rafforzati e l’ampiezza delle fluttuazioni fra i paesi membri avrebbe dovuto essere contenuta entro limiti relativamente stabili, il che avrebbe presupposto il rafforzamento della solidarietà delle banche centrali nazionali. Il rapporto prevedeva, in un secondo tempo, la prosecuzione delle azioni avviate, ma in modo più vincolante, per arrivare in particolare al trasferimento di responsabilità dal livello nazionale allo stadio comunitario: la politica economica comune e la politica monetaria comune sarebbero state stabilite a livello comunitario e in seguito sottoposte al controllo del Parlamento europeo.

Il rapporto W. ottiene un’accoglienza molto tiepida, ma è la Francia a mostrarsi più ostile: Georges Pompidou critica aspramente le implicazioni sovranazionali contenute nel piano e la delegazione francese blocca il processo alla fine del 1970. Secondo Valéry Giscard d’Estaing, all’epoca ministro delle Finanze, «se si vuole che gli Stati continuino a esistere, è necessario un approccio confederale ai problemi, cioè una filosofia totalmente diversa da quella del piano Werner». Il progetto di unione monetaria adottato provvisoriamente dal Consiglio dei ministri nel marzo 1971 e che resterà negli anni Settanta il testo di riferimento in materia di politica economica e monetaria, malgrado le vicissitudini internazionali (la crisi monetaria della primavera 1971, con la fine della convertibilità del dollaro che rimette radicalmente in discussione il sistema monetario nato a Bretton Woods e compromette fortemente la prospettiva dell’Unione economica e monetaria, più tardi lo choc petrolifero del 1973) ed europee (in particolare, la difficoltà di dare una risposta comune alle difficoltà monetarie), mantiene solo alcune misure del Piano Werner, che miravano in particolare a eliminare le fluttuazioni dei cambi e a creare un meccanismo di collaborazione finanziaria a medio termine.

Il Serpente monetario europeo, realizzato nel 1971-1972, e il Fondo europeo di cooperazione monetaria (FECOM), creato nel 1973, riprendono in parte queste idee. Inoltre, nel febbraio 1974 il Consiglio decide di rafforzare e migliorare le procedure di coordinamento delle politiche economiche, aggiungendo che «alla convergenza rafforzata delle politiche economiche si deve accompagnare […] un meccanismo preciso ed efficace di consultazioni preliminari a ogni decisione di uno Stato membro relativa alle condizioni in cui la sua moneta viene cambiata con le monete degli altri Stati membri o dei paesi terzi». Tuttavia, solo nel 1978 si riprenderà il filo dell’integrazione con il Sistema monetario europeo (SME), basato sull’Unità di conto europea, l’ECU.

Ma W. a questo punto non è più a capo del governo, perché il Chrëschtlech sozial Vollekspartei (CSV) è passato all’opposizione dal 1974 al 1979, ma è alla testa del gruppo parlamentare cristiano-sociale. Eletto al Parlamento europeo nel 1979, si dimette nello stesso anno per riassumere la presidenza del governo, incarico che svolge fino al 1984, dirigendo anche il dipartimento degli Affari culturali e del culto. In questa veste è arbitro delle dispute linguistiche del Granducato, facendo votare una legge che dichiara il lussemburghese lingua ufficiale. Contribuisce anche attivamente ad avviare le operazioni che porteranno all’istituzione della Banca centrale del Lussemburgo (creata nel 1998) nel quadro del Sistema europeo delle banche centrali e svolge un ruolo importante nella promozione del Lussemburgo al rango di piazza finanziaria internazionale. Nel luglio 1984 lascia il mondo politico per l’incarico di presidente del consiglio d’amministrazione della compagnia lussemburghese di telediffusione (CLT), dal 1985 al 1987. Si dedica anche al progetto di diffusione satellitare della televisione lussemburghese, dal 1989 al 1996, come presidente del consiglio d’amministrazione della Società europea dei Satelliti, di cui diventa in seguito presidente onorario.

Nel 1971, come tributo per il suo impegno europeo di lunga data, in particolare al fianco di Jean Monnet nel Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa, W. riceve la medaglia d’oro Robert Schuman, e nell’ottobre 1998 il premio del Principe delle Asturie «per il suo contributo al processo di unione monetaria che è culminato nella creazione dell’Euro».

Christine Vodovar (2012)