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Levi Sandri, Lionello

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L.S. (Milano 1910-Roma 1991) si laurea in giurisprudenza nel 1932, per entrare due anni dopo nell’amministrazione dello Stato. Nel dopoguerra ricoprirà la carica di capo di gabinetto, prima al ministero del Lavoro e della previdenza sociale, poi presso il ministero dei Trasporti.

Fra il 1943 e il 1945 comanda una divisione di Fiamme verdi (gruppi partigiani di ispirazione cattolica) che agisce in Val Camonica, esperienza che gli varrà una medaglia d’argento al Valor militare.

Conseguita nel 1940 la libera docenza in Diritto del lavoro, a partire dal 1946 tiene in diverse occasioni l’insegnamento di tale disciplina all’Università degli studi di Roma, dove passa in seguito a insegnare Diritto della sicurezza sociale. Nel corso della sua lunga carriera accademica pubblicherà diverse opere su argomenti di natura giuslavoristica, divenendo inoltre membro del Comitato direttivo dell’Associazione italiana giuristi e delle sezioni italiane della Société internationale du droit du travail et de la sécurité sociale e dell’Association internationale du droit des assurances. Sarà inoltre socio ordinario dell’Istituto italiano di studi della protezione sociale e del lavoro e socio fondatore dell’Istituto di studi legislativi. Nel 1968 sarà infine fra i fondatori dell’Istituto europeo di sicurezza sociale.

Fra il 1946 e il 1950 è consigliere comunale del Partito socialista italiano (PSI) a Brescia, per passare, dopo la scissione di Palazzo Barberini, nelle file del Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), formazione della quale diviene membro della direzione nazionale. Dal 1948 è anche membro del Consiglio di Stato, organo presso il quale nel 1964 assumerà l’incarico di presidente di sezione.

Sempre nei primi anni del dopoguerra L.S. partecipa, come delegato o consigliere tecnico, alle più importanti conferenze internazionali dedicate alle questioni del lavoro e dell’emigrazione, fra le quali le prime conferenze postbelliche dell’Organizzazione internazionale del lavoro, la conferenza di Parigi del 1947 per la preparazione del Piano Marshall quella di Roma del gennaio 1948 sulla manodopera, la conferenza sociale del Movimento europeo del 1950 e quella del 1956 sulle relazioni umane nell’industria.

Nel febbraio 1961, in sostituzione del dimissionario Giuseppe Petrilli, L.S. è nominato membro della Commissione esecutiva (v. anche Commissione europea) della Comunità economica europea (CEE), carica che gli sarà confermata sia nel gennaio 1962, al momento del varo della seconda commissione Hallstein (v. Hallstein, Walter), sia nel luglio 1967 quando, con l’entrata in vigore del Trattato sulla “fusione degli esecutivi”, nasce la Commissione unica delle Comunità europee sotto la presidenza del belga Jean Rey. A partire dal luglio 1964 assume la vicepresidenza dell’organismo, per mantenerla fino alla conclusione della sua carriera di commissario, nel giugno 1970.

A garantirgli le ripetute conferme in carica sono la sua autorevolezza in campo giuslavoristico e la consuetudine di attribuire regolarmente la responsabilità degli Affari sociali a uno dei membri italiani della Commissione. Infatti, negli oltre nove anni a Bruxelles, L.S. si occupa costantemente di problemi sociali, e presiede organismi specializzati come il Comitato del Fondo sociale europeo e i comitati consultivi per la libera circolazione dei lavoratori e per la formazione professionale (v. anche Libera circolazione delle persone). In tal modo contribuisce a definire le posizioni, particolarmente avanzate, che la Commissione sostiene in materia negli anni Sessanta, ispirate all’idea che un’attiva politica sociale comunitaria sia elemento essenziale per l’intera costruzione europea, non solo in quanto necessario complemento dell’integrazione economica, ma anche come mezzo per contribuire a diffondere gli ideali europeisti fra le masse popolari (v. anche Integrazione, teorie della; Integrazione, metodo della).

In virtù del suo ruolo, L.S. è sempre il rappresentante ufficiale della Commissione in occasione dei tentativi di aumentare le Competenze sociali comunitarie, che trovano costantemente l’appoggio del governo di Roma ma vengono spesso bloccati dagli altri Stati membri. Ne sono un esempio le numerose proposte miranti ad accentuare i caratteri “redistributivi” del Fondo sociale europeo, presentate dalla Commissione fin dal 1962 ma regolarmente svuotate di significato dal Consiglio dei ministri, che accetterà una riforma sostanziale del Fondo soltanto alla fine del decennio. Altro esempio significativo è il tentativo di dar vita a una Politica della formazione professionale che, eliminando ostacoli sostanziali alla libertà di circolazione dei lavoratori, rappresenterebbe secondo l’esecutivo di Bruxelles, di cui L.S. è portavoce, un elemento chiave dell’intero processo d’integrazione; le proposte della Commissione, di segno marcatamente sopranazionale, nel 1963 vengono approvate dal Consiglio, ma ottengono il voto contrario di Francia e Germania che, contrarie a cessioni di sovranità in un settore di tale delicatezza, negli anni successivi mettono in atto una vera e propria azione di boicottaggio che impedisce l’applicazione concreta delle nuove norme.

Miglior fortuna ha invece l’attuazione della libertà di circolazione dei lavoratori sancita dal regolamento 1612 del 1968 che, stabilendo parità di diritti per i cittadini di tutti gli Stati membri sui mercati del lavoro nazionali, sembra rappresentare, agli occhi di L.S., il primo passo concreto verso l’istituzione di una vera e propria Cittadinanza europea.

In ogni caso, il suo costante entusiasmo, e un impegno mai venuto meno nei quasi dieci anni a Bruxelles, fanno guadagnare a L.S. una grande stima non solo fra i colleghi della Commissione, ma anche fra i responsabili per le questioni sociali dei singoli Stati membri, che alla riunione del Consiglio Affari sociali del luglio 1970, la prima dopo la fine del suo mandato, esprimeranno unanime apprezzamento per la lunga e proficua attività europea del commissario italiano.

Sul versante dell’impegno politico, fra il 1966 e il 1969 L.S. è membro della direzione nazionale del Partito socialista unificato e si schiera intanto, con Sicco Mansholt e altri socialisti del continente, a favore della fondazione di un Partito socialista europeo, nella convinzione che, in assenza di elezione diretta del Parlamento comunitario (v. Parlamento europeo), la democratizzazione della CEE debba passare attraverso un “mercato comune dei partiti politici” (v. anche Partiti politici europei). Quando, nel 1976, la Conferenza dei Partiti socialisti della Comunità istituirà quattro gruppi di lavoro per elaborare un manifesto comune in vista delle prime Elezioni dirette del Parlamento europeo, L.S. sarà chiamato a presiedere quello dedicato alle politiche sociali (v. anche Politica sociale).

Ripreso l’insegnamento universitario a Roma fin dalla fine del mandato europeo, nel 1979 L.S. diviene presidente del Consiglio di Stato. In tale veste nel 1981 è nominato, assieme ai giudici costituzionali Aldo Sandulli e Vezio Crisafulli, membro della commissione dei “tre saggi” istituita dal Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani per indagare sulla loggia massonica P2.

Lorenzo Mechi (2010)

Bibliografia

CEDEFOP, Towards a history of vocational education and training (VET) in Europe in a comparative perspective; proceedings of the first international conference, October 2002, Florence, vol. II, CEDEFOP Panorama series, n. 103, Ufficio Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo 2004.

Chi è? Dizionario biografico degli italiani d’oggi, Filippo Scarano Editore, Roma 1961.

Romero F., Emigrazione e integrazione europea. 1945-1973, Edizioni Lavoro, Roma 1991.

Falchi G., Levi Sandri M.C., Morelli D., Pescatore G., Sandulli P., Lionello Levi Sandri: una vita per la libertà e la giustizia, Istituto storico della Resistenza bresciana, Brescia 1992.