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Lotta alla criminalità organizzata e alla droga

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Il termine “criminalità organizzata” è stato coniato negli Stati Uniti, per fare riferimento a uno specifico fenomeno criminale sviluppatosi in quel paese fin dagli ultimi decenni del XIX secolo.

Le caratteristiche precipue del fenomeno sono state ricondotte al coinvolgimento di questa criminalità in attività a fini di lucro, e ai suoi collegamenti con il mondo della politica e dell’amministrazione (soprattutto a livello locale). Tra le attività intraprese ha rivestito particolare importanza la gestione dei mercati che il potere pubblico aveva inteso condizionare o eliminare, attraverso l’adozione di provvedimenti restrittivi o proibizionistici. La criminalità organizzata americana si è in effetti consolidata nell’epoca del proibizionismo antialcol (1919-1932), e una volta conclusa quest’esperienza, ha esteso le proprie operazioni ad altri mercati illegali (il gioco d’azzardo clandestino, il traffico di droga, ecc.).

La lotta alla criminalità organizzata ha impegnato sia il Congresso (che ha varato leggi progressivamente più dure con una gamma sempre più ampia di azioni di contrasto) sia i corpi di polizia ad essa deputati (il Federal bureau of investigation che esiste dal 1908, e la Drugenforcement administration istituita nel 1973, ma erede del Bureau of prohibition dell’epoca della proibizione degli alcolici).

Il fenomeno della criminalità organizzata così come si è verificato negli Stati Uniti non ha molti punti di contatto con l’esperienza europea che tuttavia è, a sua volta, molto differenziata. Una criminalità organizzata per alcuni aspetti assimilabile a quella di oltre Atlantico è esistita (ed esiste) solo in alcuni paesi, ed in particolare in Italia.

I gruppi criminali operanti in alcuni paesi dell’Europa mediterranea, tra cui le mafie italiane, sono stati attivi, nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale, soprattutto nel contrabbando di sigarette. E tra essi si sono instaurate forme di cooperazione.

Dagli anni ’70, con il diffondersi anche in Europa della domanda di stupefacenti e con l’adozione anche qui di provvedimenti proibizionistici nei confronti degli stupefacenti (il ricorso al proibizionismo per eliminare o limitare il consumo di sostanze ritenute dannose, non è specifico solo degli Stati Uniti, e aveva interessato in passato anche alcuni paesi del Nord Europa), il fenomeno criminalità organizzata tende ad investire tutti i paesi. Ma in alcuni la gestione dei traffici illeciti è appannaggio prevalentemente di gruppi autoctoni, mentre in altri lo è di gruppi di immigrati. Stando a quanto emerge dalle indagini, la Colombia ha mantenuto la sua supremazia nel mercato della cocaina; il traffico di eroina continua a essere egemonizzato da turchi (si dice: di etnia curda) che si avvalgono per il trasporto e lo spaccio di bande basate in paesi balcanici o di africani (nigeriani, maghrebini). Le bande autoctone, dove esistono, operano come grossisti sul mercato nazionale soprattutto per l’eroina, ed eventualmente come intermediari per la cocaina.

La mafia siciliana assume inoltre, per alcuni anni, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, un ruolo nella rete – sotto il controllo della Cosa nostra americana (che aveva perso la postazione cruciale di Cuba) – che approvvigionava di eroina la costa est degli Stati Uniti (nel processo che la riguarda, quest’esperienza è stata denominata Pizza connection). Non si è più in presenza di una cooperazione tra gruppi criminali di aree che si affacciano sul Mediterraneo, ma stanno prendendo forma reti transnazionali di trafficanti che possono di volta in volta intrattenere tra loro relazioni cooperative, competitive, o nettamente conflittuali.

Come la criminalità americana, o forse ancor più di essa, la criminalità organizzata italiana esercita il racketeering, e lo esercita soprattutto nei confronti dell’economia legale: il sistema economico locale nelle zone di tradizionale insediamento, o alcuni settori in quelle di emigrazione. Se, perché un gruppo criminale organizzato riesca a imporre all’economia legale un prelievo durevole nel tempo, occorre che si realizzino alcune condizioni: che lo Stato non sia in grado di assicurare un soddisfacente livello di sicurezza, e che i gruppi criminali possano offrire contropartite credibili; si può dire che nelle zone di tradizionale insediamento delle mafie, si è stati frequentemente in presenza di ambedue queste condizioni, che si sono alimentate vicendevolmente.

La lotta alla criminalità organizzata non ha per molto tempo acquisito in Europa il livello di priorità che le è stato attribuito negli Stati Uniti (specialmente negli anni ’20 e a partire dai primi anni ’50), e in molti paesi, dato il limitato radicamento dei gruppi criminali, non l’ha neppure oggi. In Italia, solo a partire dagli anni ’60 si è cominciato a formare un consenso relativamente esteso sulla pericolosità sociale delle mafie, e si sono cominciate ad adottare norme specifiche per contrastarne le azioni (v. S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 1993). La prima vera legge antimafia è stata adottata nel 1982 (legge Rognoni-La Torre).

Le politiche volte a combattere la criminalità organizzata hanno sostanzialmente mantenuto nell’Europa comunitaria un carattere nazionale. Solo a partire dal Trattato di Maastricht (1992) è stata prefigurata una strategia coordinata di contrasto. Il Trattato ha previsto (art. 29) forme di cooperazione a livello delle polizie e della giustizia. Le nuove disposizioni sono state rafforzate con il Trattato di Amsterdam (entrato in vigore nel maggio 1999) e con il successivo Consiglio di Tampere (15-16 ottobre). Di ciò che concerne la lotta alla criminalità organizzata si occupa il titolo VI del Trattato.

Gli interventi dell’Unione nella lotta alla criminalità organizzata sono stati perciò nell’ultimo periodo assai più significativi di quanto non fossero stati in passato. In precedenza esisteva solo un organismo di coordinamento delle agenzie con compiti di lotta alla criminalità organizzata, l’Ufficio europeo di polizia Europol. Europol, nato nel 1992, ha sede a L’Aia. Il suo organico comprende rappresentanti delle diverse agenzie interessate dei paesi membri (forze polizia, dogane, servizi per l’immigrazione, ecc.). Le attività criminali prese di mira sono generalmente quelle che hanno luogo a scala transnazionale.

Nell’ambito della Commissione le attività finalizzate a combattere la criminalità e le attività che essa intraprende, sono coordinate dalla Direzione generale per la giustizia e per gli affari interni.

Negli ultimi anni ’90, l’Unione partecipa attivamente alla preparazione della Convenzione ONU firmata in occasione della Conferenza di Palermo, che ha avuto luogo dal 12 al 15 dicembre 2000 (GU del 31/3/1999 e GU L 30 dell’1/2/2001).

A conclusione di una serie di seminari e convegni (tenuti a Stoccolma nel 1996, a Nordwijk nel 1997, a Londra nel 1998, a Paria de Falesia nel 2000) il 28 maggio 2001 è costituita la rete europea di prevenzione della criminalità (GU L 153 dell’8/6/2001). Essa consta di un Forum della Commissione sulla prevenzione del crimine organizzato e del network per la prevenzione del crimine, che si riunisce con cadenze semestrali.

Nel febbraio 2002 si decide di procedere alla predisposizione di un potere giudiziario europeo contro la criminalità organizzata (GU L 63 del 6/3/2002). In conseguenza di questa decisione si dà vita nello stesso anno a un Organismo europeo per il consolidamento della cooperazione giudiziaria, è in via di costituzione, Eurojust. Si tratta di una struttura di coordinamento con ampie possibilità di intervento nei casi giudiziari che riguardino più paesi. Ha come priorità la lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione, al traffico di droga e al terrorismo, e ha principalmente il compito di favorire la circolazione delle informazioni, favorendo i contatti e il coordinamento delle iniziative.

Sono inoltre previste forme specifiche di cooperazione tra Eurojust ed Europol.

Dal 2003 il Consiglio è tornato più volte sull’esigenza di procedere effettivamente alla formazione di un potere giudiziario europeo per meglio perseguire la criminalità organizzata che opera a scala comunitaria (e globale). Su alcune questioni specifiche (traffico di essere umani, cybercrime, sequestro e confisca dei proventi di attività illecite) già esistono precise posizioni dell’Unione, intese soprattutto a introdurre definizioni omogenee ed a favorire l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, specie per ciò che concerne le sanzioni.

Tutto ciò considerato, la Commissione ha ancor di recente ribadito di «essere da parte sua responsabile di proporre politiche ed interventi e di promuoverne l’attuazione. Tuttavia in alcune aree della lotta al crimine organizzato, gli Stati membri hanno l’esclusività quanto al diritto di dar vita a proposte e decisioni» (v. A common EU approach to the fight against organized crime, Bruxelles, 2004).

Parallelamente a queste decisioni, sono stati stanziati fondi finalizzati a premiare le best practices. Sono stati, infatti, varati i programmi Falcone (1998-2002) e Hippokrates (2001-2002), complementari a programmi finalizzati alla cooperazione giudiziaria (Grotius) e delle polizie (OISIN). Questi programmi, con il programma STOP (che si occupava di tratta di esseri umani e di reati sessuali sui minori), nel 2003 sono stati consolidati in un solo programma quadro (AGIS). I programmi sono coordinati con i rispettivi piani d’azione.

Il primo programma a essere varato è stato Grotius (GU L 287 dell’8/11/1996) destinato a favorire la cooperazione tra gli operatori della giustizia civile e penale. Dal momento che con il Trattato di Amsterdam si sono introdotte distinte basi giuridiche per la cooperazione in materia civile o penale, il programma si è articolato in due parti. Nel 2001 Grotius II (GU L 186 del 7/7/2001) è stato prorogato per due anni. Per la cooperazione in materia civile è stato varato un nuovo programma 2002-2006. Con l’introduzione di AGIS, Grotius II è confluito nel nuovo programma.

Il programma OISIN è stato invece varato nel 1997 (GU L 7 del 10/1/1997) e si è configurato come un sostegno all’azione assegnata a Europol. Il programma copriva il periodo 1997-2000, e la dotazione finanziaria era pari a 8 milioni di euro. Il programma è poi stato prorogato fino al 2002.

Il programma Falcone è stato adottato nel 1998 (GU L 99 del 31/3/1998) come strumento per stimolare la cooperazione tra i responsabili della lotta alla criminalità organizzata. Ha cofinanziato ricerche, scambi di personale e di informazioni, attività formative, ecc. La dotazione finanziaria era pari a 10 milioni di ECU per l’intero periodo. Finalizzato a promuovere la cooperazione in attività di prevenzione del crimine è stato invece il programma Hippocrates (GU L 186 del 7/7/2001), che ha comunque avuto breve vita.

Il programma AGIS (il nome fa riferimento a un antico re di Sparta) è stato varato dal Consiglio europeo del 22 luglio 2002 (GU L 203 dell’1/8/2002), e copre il periodo 2003-2007. Cofinanzia progetti di durata massima biennale, e il cofinanziamento può arrivare fino al 70% del costo del progetto, e in casi particolari al 100%. I progetti devono coinvolgere almeno tre paesi membri. Nel 2003 AGIS ha cofinanziato 111 progetti per un totale di 9,3 milioni di euro. Nel 2004 sono stati selezionati 106 progetti, che prevedono un contributo complessivo pari a 14,7 milioni. L’ammontare complessivo del cofinanziamento deve in ogni caso assestarsi sui 12 milioni annui.

Come si è visto, esiste dalle origini un nesso tra lotta alla droga (o all’alcol) e formazione della criminalità organizzata, anche se ciò non implica necessariamente che l’abrogazione della proibizione consentirebbe l’eliminazione di questa criminalità. E il nesso si è riprodotto nella costituzione di network criminali transnazionali, uno dei teatri operativi dei quali è certamente l’Europa comunitaria.

La lotta alla droga si giustifica in tutti gli ordinamenti per una finalità ultima: la tutela del consumatore. Tuttavia sarebbe arduo dire che la sua lunga storia abbia dato luogo a una significativa contrazione del consumo. In altre parole, se il fine della proibizione era l’eliminazione del consumo, essa si è generalmente rivelata poco efficace. E non vi sono indagini approfondite che possano suffragare l’ipotesi che, in assenza di proibizione, il consumo sarebbe molto più elevato, con conseguenze deleterie per la collettività e soprattutto per i giovani.

La tendenziale globalizzazione del proibizionismo antidroga non è perciò la conseguenza dei successi conseguiti dai precursori, ma è semmai il risultato del carattere transnazionale assunto dalle reti criminali coinvolte nella gestione dei traffici. Un ruolo decisivo in questa direzione è stato giocato dagli Stati Uniti. Ma gli organismi internazionali hanno fatto anch’essi la loro parte. Ad esempio, le Nazioni Unite hanno promosso la stipula di vari trattati sul traffico di droga: i principali risalgono al 1961, 1971 e 1988.

I dati rivolti a quantificare l’offerta e la domanda di narcotici (le droghe a cui, per convenzione, ci si riferisce, sono i derivanti dell’oppio, della coca e della cannabis, ed alcune droghe sintetiche) sono – come tutte le fonti serie dichiarano – molto lacunosi, com’è inevitabile sia nel caso di un mercato proibito. Con l’eccezione degli Stati Uniti in cui il consumo di droga è incluso in un’indagine campionaria, il numero dei consumatori è generalmente ricavato dal numero (spesso non affidabile) di coloro che ricevono trattamenti di disintossicazione e da stime dell’offerta basate sui quantitativi di droga sequestrati. L’ufficio creato nell’ambito delle Nazioni Unite per la lotta alla droga, l’Office on Drugs and Crime (ODC), parla di 200 milioni di consumatori a scala mondiale, di cui 14 milioni di oppio-eroina, 14 di cocaina, 163 di derivati della cannabis, 34 di anfetamine e 8 di ecstasy (v. Executive report, Vienna, 2003). Negli Stati Uniti si parla di 19,5 milioni di consumatori, di cui 5,3 tossicodipendenti (v. The White House, National drug control strategy, Washington, marzo 2004). Nell’Unione europea avrebbe fatto almeno una volta uso di droga un cittadino su cinque, ed i tossicodipendenti in senso stretto ammonterebbero a circa 1,5 milioni (Centro di monitoraggio europeo sulla droga e sulla tossicodipendenza, MCDDA). Sempre in Europa la droga più diffusa coincide con i derivati della cannabis e poi con l’ecstasy (una droga sintetica), a conferma del fatto che i consumatori sono prevalentemente persone in età giovanile; tra le droghe pesanti prevale la cocaina, mentre per l’eroina vi sono segnali di stabilizzazione del consumo.

L’Europa è infine uno dei più importanti produttori di droghe sintetiche.

In Europa, le politiche anti-droga che hanno preso corpo tra gli anni ’60 e gli anni ’80, sono state relativamente omogenee. Alcuni paesi hanno intensificato le pene ed esteso i comportamenti sanzionati, includendovi il consumo. Altri si sono limitati a perseguire il traffico o hanno addirittura varato – l’Olanda (v. Paesi Bassi) ad esempio – degli esperimenti di consumo controllato. Alcuni hanno introdotto una distinzione tra droghe pesanti e leggere, altri non l’hanno fatto.

Una qualche forma di cooperazione per la lotta alla droga esiste a livello comunitario dal 1990, quando dal Consiglio di Roma fu adottato un primo piano d’azione, rivisto dal Consiglio di Edimburgo nel 1992, in coincidenza con la stipula del Trattato di Maastricht che prevede, anche su questo tema, forme di cooperazione e la armonizzazione delle legislazioni. Allo scadere di questo, è stato approvato un successivo piano 1995-1999. Nel frattempo ulteriori innovazioni sono introdotte dal Trattato di Amsterdam.

Come conseguenza di quanto previsto dal Trattato (art. 152), il Consiglio delibera nel 1996 un’azione congiunta per l’armonizzazione delle legislazioni e delle politiche in tema di lotta alla doga. Nel febbraio1997 il COREPER istituisce un Gruppo orizzontale sulla droga.

Il monitoraggio sulla droga è curato da MCDDA e da Europol. Il traffico di droga è menzionato con alta priorità tra le materie su cui sono impegnate Europol (che ha al suo interno una specifica unità antidroga) ed ora anche Eurojust.

Nel 1998 interviene sulla materia il Consiglio di Cardiff. Nel 1999 il Consiglio europeo di Helsinki ha varato una strategia europea per la lotta alla droga, che risponde a sei principali obiettivi: ridurre il consumo (soprattutto da parte dei giovani); ridurre i danni alla salute; potenziare la riabilitazione dei tossicodipendenti; ridurre l’offerta; ridurre i crimini connessi alla droga; ridurre il riciclaggio di denaro sporco e il traffico illecito dei precursori (gli agenti chimici utilizzati per la raffinazione di eroina e cocaina).

Nel giugno 2000, il Consiglio di Santa Maria da Feira ha adottato il piano d’azione 2000-2004 che traduce in proposte la strategia identificata. Il piano propone un approccio equilibrato finalizzato alla riduzione sia della domanda che dell’offerta. Tra gli interventi sono indicati: la lotta al consumo e alla produzione di derivati della cannabis, anfetamine ed ecstasy; l’adozione di progetti integrati per combattere la delinquenza urbana, soprattutto giovanile; l’adozione di interventi in materia di salute e di emarginazione sociale. Per la riduzione dell’offerta si propone di sviluppare progetti di cooperazione con i paesi produttori per promuoverne lo sviluppo economico e sociale, Tenuto conto del fatto che la produzione dell’oppio e della cocaina è notevolmente concentrata, ed i principali produttori sono rispettivamente l’Afghanistan e la Colombia (che si avvale per l’organizzazione del traffico di network caraibici), mentre quella della cannabis è invece assai più diffusa, e il mercato europeo sembra essere prevalentemente rifornito dal Marocco, l’iniziativa più significativa varata dall’Unione è quella nei confronti dei paesi caraibici che ha portato anche all’insediamento di uno specifico ufficio alle Barbados.

Ada Becchi