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Opt-out della Danimarca dal diritto UE: problema o privilegio

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Fin dal 1993 la Danimarca ha beneficiato di una serie di opt-out dall’Unione europea in riferimento all’Euro, alla Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), alla Giustizia e affari interni (GAI) e alla cittadinanza nell’Unione (v. Cittadinanza europea). Mentre l’ultimo opt-out è ora irrilevante, i rimanenti toccano questioni centrali dell’attuale politica UE.

Gli opt-out riflettono un generale scetticismo danese rispetto al cosiddetto “processo di unificazione” ed emergono drammaticamente nel referendum del 1992 sul Trattato di Maastricht. Sebbene il Trattato fosse approvato da una grande maggioranza del Folketing, poi respinto nel successivo referendum. Seguirono sei mesi di difficili negoziati sul modo di risolvere tale problema, ovvero il fatto che la Danimarca non era costituzionalmente in grado di firmare il Trattato nella sua forma originaria. Poiché gli altri 11 Stati membri escludevano una revisione del Trattato, gli sforzi furono indirizzati affinché la Danimarca fosse esonerata dall’applicazione di quelle parti di esso che apparivano particolarmente sgradite ai cittadini. Nell’ottobre 1992 una larga parte della coalizione accettò il cosiddetto “compromesso nazionale”, il cui nucleo era costituito dai quattro opt-out menzionati. E malgrado la forte perplessità di diversi paesi, il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 accettò gli opt-out avanzati dalla Danimarca, con la clausola che il paese non avrebbe dovuto intralciare il processo di unificazione nelle aree oggetto di deroga. In tal modo la Danimarca ottenne i propri opt-out, ma perse influenza. In seguito, la Risoluzione di Edimburgo e il Trattato di Maastricht furono ratificati con un nuovo referendum.

A quel tempo gli opt-out erano ipotetici, più che reali. L’euro, il PESD e il GAI erano all’epoca cose a venire e rimaneva da vedere quanto seriamente gli opt-out avrebbero influito sulla posizione danese nell’Unione.

Dai primi anni Settanta la Danimarca aveva preso parte attiva nella Cooperazione monetaria europea, ma per ragioni costituzionali il governo aveva negoziato un protocollo per il trattato, alla Conferenza intergovernativa (v. Conferenze intergovernative) del 1991. Venne affermato che la decisione della Danimarca di aderire alla terza fase dell’Unione economica e monetaria (UEM), cioè l’adozione dell’euro, non sarebbe stata presa nel 1992, ma soltanto dopo un successivo referendum. La Risoluzione di Edimburgo costituì un significativo, ulteriore passo poiché stabiliva che la Danimarca avrebbe rinunciato definitivamente ad aderire all’euro. D’altro canto, la Risoluzione di Edimburgo non esentò la Danimarca dagli altri obblighi nell’UEM e, infatti, la Danimarca si dimostrò oltremodo scrupolosa nell’osservarli. Inoltre, nel 1998, la Danimarca concluse un cosiddetto Accordo ERM II (Exchange rate mechanism) con l’UE che ancorò la corona danese all’euro. Ma essendo stato negato alla Danimarca l’accesso al Comitato per l’euro, il gruppo informale che controlla di fatto l’Ecofin, il paese fu comunque relegato ai margini della politica economica e monetaria europea.

In questo scenario il governo indisse un referendum, nel settembre 2000, sulla revoca dell’opt-out relativo all’euro, ma 53% della popolazione votò contro. L’argomentazione del governo si rivelò inefficace in una situazione nella quale l’economia danese era più forte di quella dei paesi dell’euro, e dove la moneta europea perdeva nei confronti del dollaro. Infatti, il pubblico parve considerare l’opt-out sull’euro come un privilegio e non un problema, come invece faceva il sistema politico. E, effettivamente, gli urgenti avvertimenti sulle conseguenze negative derivanti da un “no” all’euro, non risultarono essere giustificati. Dal 2000, l’economia danese continua a dare migliori risultati di quella dell’Eurolandia ed è oggi una tra le più forti in Europa.

Sul versante della politica di difesa, la Risoluzione di Edimburgo stabilì che la Danimarca non avrebbe aderito all’Unione dell’Europa occidentale (UEO) e nemmeno avrebbe preso parte ai processi decisionali stabiliti dall’art. J.4.2. del Trattato di Maastricht. Come risultò in seguito, ambedue le esenzioni erano state di relativa importanza fino al 1999, con l’inizio del PESD, e la decisione di creare una forza di reazione UE entro il 2003. A causa dell’opt-out, la Danimarca si recò a mani vuote alla “conferenza di impegno dell’ottobre 2000, organizzata per l’adesione alle forze di reazione. D’altra parte, essa decise di prendere parte agli organismi politico-militari del PESD fino a un certo punto: il membro danese dello Stato maggiore si limitava a trattare con il direttivo per le crisi civili, e il capo della Difesa danese non partecipava al voto del Comitato militare. Fino a ora, il tratto più significativo dell’opt-out danese in materia di difesa è stato il ritiro del personale dalla Macedonia e dalla Bosnia quando l’UE succedette all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) rispettivamente nel 2003 e 2004. Il ruolo attivo della Danimarca come partner di una coalizione con gli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq può essere considerato come una reazione compensativa rispetto all’esclusione autoimposta dal PESD.

Nel 1992 l’opt-out danese sulla Giustizia e affari interni, sotto forma di ipotesi, stabilì che la Danimarca non avrebbe accettato il trasferimento di parti della GAI dalla cooperazione intergovernativa a quella sovranazionale. È esattamente ciò che avvenne con il Trattato di Amsterdam del 1997 e, come conseguenza, la Danimarca ottenne una revisione dell’opt-out; ciò venne applicato a quelle parti degli Accordi di Schengen che sarebbero dovute essere incluse nel “primo pilastro” dell’Unione (v. Pilastri dell’Unione europea). In tal modo la Danimarca fu esentata dal partecipare alle politiche dell’UE per l’asilo politico e l’immigrazione, per la legge sulla cooperazione civile e sul controllo delle frontiere (v. Politiche dell’immigrazione e dell’asilo). D’altra parte, la Danimarca avrebbe continuato a partecipare, a pieno titolo, alle parti governative della GAI, come la cooperazione di polizia (v. Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale).

A lungo il sistema politico considerò gli opt-out come limitazioni indesiderate dell’impegno europeo della Danimarca; il problema era come convincere il pubblico che gli opt-out costituivano un ostacolo, e non un privilegio. Ma dal 2003 il governo liberal-conservatore cambiò orientamento e decise di voler mantenere gli opt-out sulle questioni dell’asilo politico e dell’immigrazione, in merito alle quali esso aveva adottato una politica rigidamente nazionalista che avrebbe quasi certamente dovuto essere liberalizzata nell’ambito della politica comune UE.

All’interno delle trattative per il nuovo Trattato costituzionale dell’UE del 2003 (v. Convenzione europea), l’obiettivo primario per la Danimarca fu quello di salvare gli opt-out facendo sì che essi fossero inclusi nel Trattato. Gli opt-out sull’euro e sulla politica in materia di difesa vennero inclusi senza modifiche nei protocolli del Trattato. Gli opt-out sulla GAI si rivelarono più difficili, poiché la GAI, nel suo insieme, doveva adesso essere stabilita dal Metodo comunitario, e quindi con procedure sovranazionali. Ora la Danimarca si trovava di fronte a un dilemma: da una parte, un opt-out non modificato l’avrebbe esclusa da ogni partecipazione negli ambiti della Giustizia e affari interni, il che era politicamente inaccettabile; dall’altra, il governo voleva salvaguardare gli opt-out sulle politiche dell’immigrazione e dell’asilo politico. Il dilemma venne risolto trasformando l’opt-out sulla GAI in un opt-in di tipo britannico, che avrebbe consentito alla Danimarca di prendere parte alle decisioni che fossero di suo interesse, e non alle altre.

All’inizio del 2005 il futuro degli opt-out danesi era incerto. Il governo liberal-conservatore aveva fermamente rifiutato di fissare una data per un altro referendum sugli opt-out, argomentando che il referendum sul Trattato costituzionale (del settembre 2005) avrebbe dovuto avere la precedenza (v. anche Costituzione europea). Lo status incerto di questo Trattato, oltre al recente interesse governativo in merito agli opt-out sulla GAI e l’ombra lunga del fallito referendum sull’euro nel 2000, sembrano indicare che gli opt-out rimarranno ancora per un certo periodo di tempo un aspetto importante della politica danese in ambito UE.

Nikolaj Petersen (2012)

Bibliografia

Dansk udenrigspolitisk institut, Udviklingen i EU siden 1992 på de områder, der er omfattet af de danske forbehold, DUPI, Copenhagen 2000.

Petersen N., “Game, Set and Match”. Denmark and the European Union after Edinburgh, in Tilikainen T., Petersen I.D. (a cura di), The Nordic Countries and the EU, Politiske Studier, Copenhagen 1993.

Petersen N., Europæisk og globalt engagement 1973-2003. Dansk Udenrigspolitiks Historie, vol. 6, Danmarks Nationalleksikon, Copenhagen 2004.