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Risoluzione

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Le risoluzioni rientrano tra gli strumenti di diritto derivato che possono essere adottati dalle Istituzioni comunitarie. Si tratta di atti privi, in linea generale, di efficacia vincolante per i loro destinatari e atipici, ossia non espressamente inclusi nell’elenco di cui all’articolo 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE) (v. Trattati di Roma). Tali caratteristiche non hanno, comunque, impedito un utilizzo sempre più frequente da parte delle istituzioni comunitarie di risoluzioni, così come di altri atti non previsti dal testo del Trattato CE – quali le comunicazioni, le conclusioni, i programmi d’azione, le dichiarazioni e altri. La Corte di giustizia delle Comunità europee (v. Corte di giustizia dell’Unione europea) ha più volte ritenuto legittima l’adozione di tali atti atipici, purché non pongano disposizioni derogatorie rispetto alle norme del Trattato stesso (v. anche Trattati). Per quanto concerne, specificamente, le risoluzioni, esse sono adottate dal Consiglio dei ministri o dal Parlamento europeo.

In linea generale, una risoluzione approvata dal Consiglio può stabilire i principi fondamentali per l’evoluzione del Diritto comunitario in un determinato settore rientrante nella competenza della Comunità economica europea, ma può anche anticipare l’adozione effettiva di un atto vincolante da parte delle istituzioni comunitarie. È questo il caso, ad esempio, della risoluzione del 21 dicembre 1987 concernente la sicurezza, l’igiene e la salute sul luogo del lavoro, cui a distanza di pochi anni è seguita l’adozione della Direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali. Altro esempio è la risoluzione del 5 aprile 1993 relativa a una «futura azione comunitaria in materia di etichettatura dei prodotti nell’interesse del consumatore» che ha costituito il preludio alla direttiva 94/11/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 marzo 1994, sul Ravvicinamento delle legislazioni, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’etichettatura di determinati materiali destinati alla vendita al consumatore.

Le risoluzioni approvate dal Parlamento europeo, invece, si pongono come obiettivo primario quello di promuovere l’adozione di atti comunitari vincolanti con particolare riferimento, da una parte, alla tutela dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – compresi quelli noti come “di nuova generazione” – e alla piena attuazione dei principi di pari opportunità e di eguaglianza, e dall’altra alla Politica estera e di sicurezza comune. Per quanto riguarda il primo aspetto, si richiamano a titolo di esempio, tra le più recenti, la risoluzione 14 dicembre 2005 avente a oggetto la salvaguardia della privacy, e più precisamente la «conservazione di dati trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica» e la risoluzione 13 marzo 2007 relativa a una «Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010». Per quanto concerne la politica estera, si possono citare, da ultimo: la risoluzione del 10 maggio 2007 in vista del Vertice (v. Vertici) tra l’Unione europea e la Russia del 18 maggio dello stesso anno con cui, tra l’altro, il Parlamento europeo «invita la Commissione e il Consiglio a dar vita a iniziative comuni con il governo russo per rafforzare la sicurezza e la stabilità nel vicinato comune»; la risoluzione del 1° febbraio 2007 nella quale il Parlamento esorta le istituzioni comunitarie e gli Stati membri a promuovere l’adozione in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di una mozione relativa a «un’immediata e incondizionata moratoria universale sulle esecuzioni capitali».

Con una sentenza del 1964 la Corte di giustizia ha escluso che potesse essere attribuito valore vincolante a una risoluzione del Consiglio con cui quest’ultimo aveva assunto l’impegno – soltanto politico, secondo la Corte – di adottare una propria Decisione entro una data prestabilita (sentenza 13 novembre 1964, Commissione c. Granducato di Lussemburgo, cause 90 e 91/1963, in “Raccolta della giurisprudenza”, p. 1217). Peraltro, la proliferazione nel diritto comunitario, in anni più recenti, di risoluzioni e di altri strumenti atipici deve essere valutata nel più ampio contesto del soft law, ossia di quel complesso di atti che, seppur non vincolanti, non hanno un valore solo ed esclusivamente politico, ma possono assumere rilevanza anche sul piano giuridico. Da questo punto di vista, alle risoluzioni sarebbero comunque riconosciuti alcuni effetti di carattere giuridico, consistenti, ad esempio, nell’idoneità a influenzare la condotta dei principali attori dell’ordinamento comunitario, ossia degli Stati membri e delle istituzioni europee o, ancora, a porsi quali «strumenti di regolazione di volta in volta alternativa, complementare o preparatoria ai tradizionali e formalizzati sistemi di produzione delle regole, così come previsti nei Trattati» (v. Poggi, 2005, in www.astrid-online.it).

Claudio Mandrino (2009)

Bibliografia

Borchardt G., Wellens K., Soft law in European Community law, in “European law review”, 1989.

Senden L., Soft law in European Community law, Hart Publishing, Oxford 2004.

Trubek D.M., Cottrel P., Nance M., “Soft law”, “hard law” and European integration: Toward a theory of hybridity, Jean Monnet Working Paper 2/05, New York 2005.

Poggi A., Soft law nell’ordinamento comunitario, Relazione presentata al Convegno “L’integrazione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali”, Catania, 14-15 ottobre 2005, in www.astrid-online.it.